STORIE DOLOROSE DEL PIANO DI MAHIGUL

Quando sono a Mahigul, oggi luogo pacifico, anche se ha una storia sanguinosa dietro di sé, trascorro la maggior parte del tempo alla Biblioteca Imperiale. Molti la considerano un’attività noiosa, quando si è in un altro piano, o anche nel proprio, ma io, al pari di Borges, penso al paradiso come a qualcosa di molto simile a una biblioteca.

Gran parte della Biblioteca Imperiale di Mahigul è all’aperto. Gli archivi, gli scaffali, le unità di archiviazione elettroniche, e i computer per i leggomat, sono ospitati sottoterra, in ambienti dove si possono controllare la temperatura e l’umidità, ma al di sopra di quel vasto complesso sorgono ariosi portici che forniscono passeggi e riparo ai visitatori, attorno a terreni, piazze e parchi: i Giardini di Lettura della Biblioteca.

Qualcuna di quelle piazze è poco più di un cortile pavimentato, ordinato e isolato, come un chiostro; altri sono vasti parchi con collinette, boschetti, prati aperti e radure erbose protette da siepi di arbusti in fiore.

Tutti sono assai silenziosi. Non sono mai affollati; si può parlare con un amico, discutere in gruppo; di solito c’è un poeta che declama a poca distanza da noi, ma c’è anche la perfetta solitudine, per chi la desidera.

I cortili e le piazzette hanno sempre una fontana, che a volte è una vasca silenziosa, con l’acqua che giunge da sotto, a volte una serie di tazze, con l’acqua che cade a cascatelle dall’una sull’altra. Nei parchi maggiori si snodano le numerose branche di un fiume dall’acqua trasparente, con piccole cascate qui e là. Potete udire costantemente il suono di qualche ruscello.

Sono fornite sedie comode, poco appariscenti, e leggere, spostabili, alcune senza gambe, solo un telaio con il sedile e la spalliera di tela, in modo che possiate sedere sull’erba corta e verde, ma appoggiare la schiena mentre leggete, e ci sono sedie, tavolini e sdraio anche all’ombra degli alberi e sotto i portici. Tutti questi sedili hanno un collegamento in cui potete inserire il leggomat.

Il clima di Mahigul è incantevole, asciutto e caldo per tutta l’estate e l’autunno. In primavera, durante le piogge leggere, ma continue, con tendoni tesi da un portico all’altro — in modo che possiate ancora sedere all’aperto, ascoltare il leggero tambureggiare della pioggia sulla tela sopra di voi — alzando gli occhi dal libro scorgete gli alberi e il cielo pallido al di là del tendone. O potete sedervi sotto i portici di pietra che circondano una piazzetta e vedere i cerchi che si allargano sulla superficie della vasca centrale punteggiata di gigli d’acqua.

L’inverno è spesso nebbioso, ma non di una bruma gelida, bensì di una nebbiolina attraverso cui — e nonostante la cui presenza — la luce del sole è sempre calda e palpabile, come il colore in un opale lattescente. La nebbia addolcisce l’inclinazione dei prati e fa sembrare gli alberi alti e scuri più vicini, in una tranquilla, misteriosa intimità.

Perciò, quando sono a Mahigul mi reco laggiù, e saluto i pazienti ed eruditi librai, e guardo tra i nuovi arrivi finché non trovo qualche interessante scritto di narrativa o di storia.

Di storia, in genere, perché quella di Mahigul supera la narrativa di molti altri piani. È una storia triste e violenta, ma in un luogo così dolce e tranquillizzante come i Giardini di Lettura sembra non solo possibile, ma anche saggio aprire il proprio cuore alla follia, al dolore e al rimpianto.

Queste sono alcune delle storie che ho letto sedendo alla tiepida luce d’autunno, sulla sponda erbosa di un corso d’acqua, o nell’ombra profonda di una piccola piazzetta silenziosa e nascosta, in un caldo pomeriggio d’estate, nella Biblioteca di Mahigul.

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