Appena la porta d’ingresso si chiuse, come se fosse stato un segnale, Tansy respinse il marito sebbene le sue labbra gli restituissero ancora il bacio.
«Non dobbiamo osare di essere felici, non dobbiamo, Norman» gli disse «Neanche per un attimo.»
Uno sguardo turbato e apprensivo rannuvolava l’anelito di felicità nei suoi occhi, come se guardasse un muro alto che le nascondeva la luce del sole. Quando rispose alla domanda spaventata di Norman, fu in un sussurro, come se il fatto solo di pronunciare quel nome fosse in sé pericoloso.
«La signora Carr…»
Le sue mani gli strinsero il braccio come per avvertirlo dell’imminenza del pericolo.
«Norman, io ho paura, io ho una tremenda paura. Per noi due. La mia anima ha imparato tante cose. È tutto diverso da ciò che pensavo. Molto peggio. E la signora Carr…»
Le mente di Norman divenne di colpo annebbiata ed esausta. Gli pareva odioso dover spezzare quella sensazione di sollievo. Il desiderio di pretendere, per un po’ di tempo almeno, che le cose fossero razionali e comuni era diventato per lui una specie di bramosia. Guardò Tansy completamente stordito come se fosse un’immagine di un sogno di un fumatore d’oppio.
«Sei salva» le disse un po’ brusco. «Io ho combattuto per riaverti, ora che mi sei stata restituita io non ti lascerò più. Nessuno ti potrà toccare, nessuno.»
«Oh, Norman» disse abbassando gli occhi. «So che sei stato coraggioso e così in gamba, so i rischi che hai corso, i sacrifici che hai dovuto fare per me, rinunciando per un’intera settimana ad usare la tua mente raziocinante, sopportando la bestialità della mente denudata di quella donna. E hai battuto Evelyn Sawtelle e la signora Gunnison lealmente, con le loro stesse armi. Ma la signora Carr?» le sue mani gli trasmisero il loro tremore. «Norman, quella ti ha lasciato fare, ha solo atteso che tu le battessi, voleva impaurire quelle donne e ha preferito che fossi tu a farlo anziché lei. Ora però ci si mette anch’essa».
«No, Tansy, no» le diceva con monotona insistenza; ma era incapace di trovare alcun argomento per sostenere il suo diniego.
«Povero caro, tu sei stanco» disse diventando di colpo tenera e affettuosa. «Ti porto qualcosa da bere.»
Gli sembrò di aver continuato a battere le ciglia e a fregarsi gli occhi e a scuotere il capo, e nient’altro sino al momento in cui tornò Tansy con la bottiglia.
«Vorrei cambiarmi» disse guardando il suo vestito stracciato e sgualcito. «Poi dobbiamo parlare.»
Bevve d’un fiato la dose di whisky, che era piuttosto forte, poi se ne versò un’altra. Ma l’alcool non gli procurò alcuno stimolo. Non lo aveva liberato da quella sensazione di narcosi. Anzi, questa sensazione s’intensificava. Dopo alcuni minuti si alzò e andò traballando sino alla camera da letto.
Tansy aveva indossato un vestito di lana bianca, un abito che a lui era sempre piaciuto, ma che non aveva messo da molto tempo. Ricordò che se lo sentiva stretto, troppo piccolo per lei. Ma ora capiva che nella gioia del ritorno si sentiva felice di ritrovare il suo corpo giovanile e lo voleva mostrare sotto la sua luce migliore.
«È come entrare in una casa nuova» gli disse con un sorriso che per un attimo cancellò la sua espressione ansiosa. «O meglio, come tornare a casa dopo una lunga assenza. Ti senti felice, ma ogni cosa ti sembra un po’ strana. Ci vuole un po’ per riabituarsi.»
Ora che lei aveva pronunciato la parola strana, Norman si rendeva conto che c’era una specie di incertezza nei suoi movimenti, nei gesti, nelle espressioni; pareva come una convalescente dopo una lunga malattia, che sa solo alzarsi e camminare.
Si era pettinata all’indietro, e i capelli le ricadevano sulle spalle. Era ancora scalza e ciò la rimpiccioliva, le dava l’aria di una ragazzina. La trovò attraente anche se la vedeva con una mente istupidita e annebbiata.
Norman le aveva portato una bibita, ma lei l’assaggiò appena e la ripose sul tavolo.
«No, Norman. Noi dobbiamo parlare» disse. «Ci sono molte cose che ti devo dire e forse non avremo molto tempo per discuterne.»
Lui si guardò attorno: per un attimo gli occhi gli caddero sulla porta bianca dello spogliatoio di Tansy. Poi annuì con gravità e si sedette sul letto. Quell’impressione di sogno da narcosi era più forte che mai e la voce stranamente vivace e i modi asciutti di Tansy parevano far parte di quel sogno.
«Dietro tutta questa faccenda c’è la signora Carr» cominciò a dire. «È stata lei ad avvicinare la signora Gunnison e Evelyn Sawtelle, e questo fatto di per sé è piuttosto significativo: le donne sono sempre molto discrete sulle questioni di magia, lavorano da sole. Un pizzico di scienza viene tramandato dalle vecchie alle giovani, specialmente da madre a figlia, ma sempre con moderazione e con molta diffidenza. Questo è l’unico caso di cui la signora Gunnison abbia sentito parlare (io l’ho saputo scrutando la sua mente), in cui tre donne hanno fattivamente collaborato. È un avvenimento senza precedenti, di un’importanza rivoluzionaria, che promette Dio solo sa quali cose per l’avvenire. Perfino adesso, io non posseggo che un infimo indizio delle ambizioni della signora Carr. Queste ambizioni mirano ad un vasto accrescimento dei suoi poteri. Sono già tre quarti di secolo, più o meno, che lei sta tramando la sua tela.»
Norman incamerava apaticamente queste insolite asserzioni. Bevve un altro sorso di whisky.
«A vederla sembra un’innocua vecchietta, un po’ svanita, ma molto puritana in superficie, infantile ma pudica» continuò Tansy. Norman trasalì perché gli era parso di avvertire nella voce di lei una nota di segreto giubilo. Era un contrasto così inaspettato che si persuase di essere stato vittima della sua immaginazione. Quando lei riprese a parlare, quella nota era sparita dalla sua voce.
«Ma questo è solo una parte del suo travestimento, da aggiungere alla voce suadente e ai suoi modi cordiali. È l’attrice più furba che esista al mondo. Sotto quella corteccia è dura come l’acciaio, è fredda nei punti che per la signora Gunnison sono scottanti, è ascetica laddove la signora Gunnison è schiava dei suoi appetiti. Ma anch’essa ha i suoi appetiti, profondamente nascosti nell’intimo. Ha una grande ammirazione per il Massachussets puritano. Talvolta ho la stranissima sensazione che cerchi di restaurare, con mezzi inimmaginabili, quella comunità che aveva bandito le streghe, la cosidetta comunità teocratica, e di volerla restaurare così com’era, ma ai nostri giorni.
“Domina le altre due donne per mezzo della paura. In un certo senso esse sono poco più di due apprendiste nel suo laboratorio di stregoneria. Tu che sai qualcosa della signora Gunnison, capirai ciò che intendo dire quando dichiaro che ho visto i pensieri della signora Gunnison fremere di terrore perché s’immaginava di aver leggermente offeso la signora Carr.»
Norman terminò il suo whisky. La sua mente, anziché afferrare questa nuova minaccia, se ne allontanava. Si sarebbe dovuto svegliare a suon di frusta, si disse svogliatamente. Tansy spinse il suo bicchiere verso quello di Norman.
«La paura della signora Gunnison è giustificata perché la signora Carr ha poteri così malefici che non ha mai bisogno di usarli, tranne che per minacciare. I suoi più potenti atout sono gli occhi. Con quelle spesse lenti possiede l’arma sovrannaturale, la più temuta, l’arma contro la quale sono diretti più della metà di tutti i sortilegi protettivi, l’arma il cui nome è noto in tutto il mondo e che è diventata il bersaglio preferito degli scettici: il malocchio. Con quella può impadronirsi dell’anima di un altro individuo solo a guardarlo.
“Finora si è trattenuta perché voleva punire le altre due, colpevoli di disubbidienza leggera, ponendole in una situazione in cui avrebbero dovuto per forza chiedere il suo aiuto. Ma ora si sbrigherà ad agire. Nel tuo operato ha avvertito un pericolo per la sua persona.»
La voce di Tansy era diventata così concitata ed affannosa, che Norman comprese che lottava contro il tempo. «Inoltre, ha un altro movente sepolto in fondo all’oscurità della sua mente. Non oso neanche citarlo, ma a volte l’ho sorpresa che studiava i miei movimenti, le mie espressioni con la più strana avidità.»
S’interruppe di colpo e divenne pallidissima.
«Ora la sento… sento che cerca di farmi uscire da me stessa… sta penetrando in me… Nooo!» Tansy gridò. «No, non puoi farmelo fare… io non voglio… non voglio!»
Prima che se ne rendesse conto, sua moglie era caduta in ginocchio, si aggrappava alle sue gambe, gli stringeva le mani. «Non lasciare che quella donna mi tocchi, Norman» balbettava come un bambino terrorizzato. «Non lasciare che mi venga vicino.»
«Non temere, non la lascerò avvicinare…» disse finalmente sveglio.
«Oh, ma tu non la puoi fermare… sta venendo qui… col suo stesso corpo. Vedi che non ha paura di te? Viene per portarmi via l’anima un’altra volta. Io non ti posso dire ciò che vuole, è una cosa troppo ripugnante.»
L’afferrò alle spalle. «Tu me lo devi dire» le disse. «Di che si tratta?»
Lentamente alzò il suo viso sbiancato, impaurito, e i suoi occhi guardarono negli occhi di Norman e non li abbandonarono neppure un secondo mentre gli parlava. «Lo sai che la signora Carr ti ama, Norman. Tu conosci i suoi modi ridicolmente giovanili. Sai che vuol sempre avere gente giovane intorno a sé, che si nutre dei loro sentimenti, della loro innocenza, dei loro entusiasmi. Norman, l’appetito della signora Carr per tutto ciò che è giovane è stato per anni e anni la sua passione dominante. Ha respinto la vecchiaia e la morte per molto tempo, più tempo di quanto tu possa immaginare. È più vicina ai novanta che ai settanta, ma inesorabilmente, la marcia del tempo incombe su di lei. Non è la morte di cui ha paura, ma farebbe qualsiasi cosa, capisci, qualsiasi cosa, Norman, per possedere un corpo giovane.
“Non lo vedi, Norman? Le altre due volevano la mia anima, ma questa vuole il mio corpo. Non hai mai notato il modo in cui ti guarda? Ti desidera, Norman, quella vecchia megera, desidera te e vuole amarti fisicamente impossessandosi del mio corpo. Vuol possedere il mio corpo e intrappolare la mia anima in quel vecchio manico di scopa: questo è il suo vero corpo, far morire la mia anima in quel corpo ignobile, in quella sozza carne. Ed ora viene qui, sta venendo qui adesso.»
Guardò con profondo orrore i suoi occhi terrorizzati, fissi, quasi ipnotici.
«La devi fermare, Norman, la devi fermare nell’unico modo in cui si possa fermare.» E senza staccare gli occhi da quelli del marito, Tansy si alzò e uscì a ritroso dalla stanza.
C’era effettivamente qualcosa di ipnotizzante, nei suoi occhi, uno strano effetto del suo terrore, perché parve a Norman che appena uscita dalla stanza essa fosse già di ritorno al suo fianco e gli metteva in mano qualcosa di freddo, di duro e di angoloso.
«Dovrai fare molto presto» stava dicendo «se tu esiti per il minimo istante, le darai l’occasione anche breve di fissarti con i suoi occhi e sarai perduto… ed io sarò perduta per sempre. Lo sai come fa il cobra, che sputa veleno negli occhi delle sue vittime… ebbene è così. Sii pronto, Norman, è molto vicina.»
Si udirono dei passi affrettati nel vialetto del giardino, la porta d’ingresso si aprì di colpo: Tansy si spinse contro suo marito, così vicina da sentire sul petto i suoi seni. Le sue labbra umide cercarono le sue. Le restituì il bacio quasi brutalmente. Lei sussurrò: «Fa’ presto, tesoro» e poi scappò.
I suoi passi erano ora nel corridoio, Norman alzò la rivoltella. Si avvide allora che la camera da letto era immersa in una strana, non naturale oscurità. Tansy aveva chiuso le tende. La porta della camera da letto si aprì verso l’interno. Una forma sottile, in abito di seta grigia, si profilò contro la luce del corridoio. Oltre la canna della rivoltella egli vide il viso appassito, le lenti spesse. Le sue dita erano sul grilletto.
La testa dai capelli d’argento si scosse.
«Presto, Norman, presto!» La voce era vicino a lui, nervosa.
La figura in grigio nel vano della porta non si mosse. La rivoltella oscillò, poi improvvisamente si girò fino a puntarsi sulla figura che gli stava vicino…
«Norman!»