XXXVII TERMINUS EST

Nel mio libro marrone ci sono immagini di angeli che discendono su Urth proprio in quella posizione, la testa gettata all’indietro, il corpo inclinato in modo che la faccia e la parte superiore del torace si trovino alla stessa altezza. Posso immaginare la meraviglia e l’orrore che potevano venire dal contemplare quel grande essere che avevo intravisto nel libro nella Seconda Casa, mentre discendeva in quel modo, eppure non credo che la cosa avrebbe potuto essere più spaventosa. Ora, quando ricordo Baldanders, lo ricordo sempre così. Il suo volto era teso, e lui teneva sollevata una mazza sulla cui punta era inserita una sfera fosforescente.

Ci sparpagliammo come fanno i passeri quando un gufo piomba fra loro, al tramonto. Sentii l’aria smossa dal colpo alle mie spalle, e mi volsi in tempo per vederlo atterrare, puntellandosi con la mano libera e rimbalzando in piedi come avevo visto fare ad acrobati da strada; portava una cintura che non avevo notato prima, un affare formato da prismi di metallo collegati fra loro. Non ho mai scoperto, tuttavia, come avesse fatto a rientrare nella torre per prendere mazza e cintura mentre io credevo che stesse scendendo lungo il muro; forse c’era una finestra, da qualche parte, più grossa di quelle che avevo visto, o magari perfino una porta che dava accesso ad una qualche struttura distrutta dal precedente incendio, appiccato dal popolo della riva. Era perfino possibile che avesse infilato all’interno solo un braccio per prendere gli oggetti.

Ma, oh, il silenzio, mentre scendeva fluttuando nell’aria, la grazia mentre lui, che era grande quanto le capanne di molti poveri, si puntellava con una mano e si voltava, in piedi! Il modo migliore per descrivere quel silenzio è non dire nulla… ma la grazia!

Allora roteai su me stesso, il mantello spinto indietro dal vento e la spada sollevata per colpire, come molte altre volte; e compresi ciò su cui in precedenza non mi ero mai soffermato a riflettere… perché il mio destino mi avesse mandato a vagabondare attraverso mezzo continente, fronteggiando pericoli che provenivano dal fuoco, dalle profondità di Urth, dall’acqua ed ora anche dall’aria, armato di quell’arma così grande e pesante che combattere con essa contro un uomo normale era come tagliare gigli con un’ascia. Baldanders mi vide e sollevò la sua mazza, la cui punta ardeva di una luce bianco-azzurra. Credo fosse una sorta di saluto.

Cinque o sei uomini del lago lo circondarono con lance e bastoni muniti di denti, ma non lo attaccarono: sembrava che il gigante fosse al centro di un qualche cerchio ermetico. Nel momento in cui noi due ci avvicinammo, scoprii il motivo di quel comportamento: un terrore che non riuscivo a comprendere né a controllare si era impadronito di me. Non era che avessi paura di lui o della morte, ma semplicemente avevo paura. Sentii i capelli rizzarmisi sulla nuca come sotto il tocco di uno spettro, una cosa di cui avevo sentito parlare ma che avevo sempre considerato un’esagerazione, un’immagine figurata trasformata in una menzogna. Le mie ginocchia erano deboli e tremavano… al punto che ero lieto che nel buio la cosa non si notasse. Ma ci avvicinammo ancora.

Sapevo fin troppo bene che, in base alle dimensioni di quella mazza e del braccio che la brandiva, non sarei mai riuscito a sopravvivere ad un colpo sferrato con essa: potevo solo schivare e saltare all’indietro. Baldanders, dal canto suo, non avrebbe potuto sopportare un fendente di Terminus Est, perché, anche se era grande e forte quanto bastava per reggere il peso di un’armatura spessa come la bardatura di un destriero, non aveva protezione alcuna ed una lama così pesante e tanto affilata, capace di tagliare in due fino alla vita un uomo normale, avrebbe potuto ucciderlo con un solo colpo.

Lui lo sapeva, e quindi duellammo come attori su un palcoscenico, con violenti fendenti ma senza mai avvicinarci troppo. Per tutto quel tempo, il terrore mi teneva nella sua morsa, al punto che mi sembrava che, se non mi fossi girato e messo a correre, il cuore mi sarebbe scoppiato. C’era un suono nei miei orecchi, e, mentre fissavo l’estremità della mazza, la cui chiara aureola era fin troppo facile da vedere, mi resi conto che era di là che proveniva il rumore che udivo… Quell’arma ronzava emettendo sempre la stessa nota acuta, come un bicchiere colpito con un coltello ed immobilizzato in un tempo cristallino.

Indubbiamente, la scoperta mi distrasse, anche se fu solo per un momento. Invece di vibrare un colpo di traverso, la mazza scese diritta, come un maglio che si abbatta sul paletto di una tenda. Mi spostai da un lato appena in tempo, e la testa lucente e ronzante lampeggiò oltre la mia faccia e si abbatté sulle pietre del selciato, che si spaccarono ed andarono in pezzi come fossero una terrina d’argilla. Una scheggia mi tagliò un angolo della fronte e sentii il sangue scorrere.

Baldanders lo notò, ed i suoi occhi cupi si accesero con una luce di trionfo. Da quel momento in poi, lui ruppe una pietra ad ogni colpo, ed io fui costretto ad indietreggiare ripetutamente, fino a trovarmi con le spalle contro il muro. Mentre mi ritiravo lungo esso, il gigante trasse un maggior vantaggio dalla sua arma, percuotendo a più riprese la parete con colpi orizzontali. Spesso, le schegge di pietra taglienti come lame, mi mancavano, ma altrettanto spesso mi coglievano, e ben presto il sangue prese a colarmi sugli occhi e il petto e le braccia mi si coprirono di carminio.

Mentre balzavo lontano dalla mazza forse per la centesima volta, qualcosa mi colpì al calcagno e mi fece quasi cadere: era il primo gradino di una scala che saliva in cima al muro. Venni respinto su per quella scala un gradino dopo l’altro, e mi trovai su uno stretto passaggio in cima al muro. Adesso veramente avrei voluto girarmi e fuggire, se avessi osato, ma ricordavo con quanta rapidità il gigante si era mosso quando lo avevo sorpreso nella camera delle nubi, e sapevo che mi sarebbe stato addosso in un balzo, così come io, da ragazzo, raggiungevo i topi nella segreta sotto la nostra torre e rompevo loro la schiena con un bastone.

Ma non tutte le circostanze favorivano Baldanders. Qualcosa di bianco lampeggiò fra noi, poi una lancia dalla punta d’osso si conficcò nel grosso braccio, come una lancia da corrida nel collo di un toro. Adesso gli uomini del lago erano abbastanza lontani dalla mazza ronzante da non essere più impediti a lanciare le loro armi per il terrore che essa destava. Baldanders esitò, indietreggiando per estrarre la lancia. Un’altra lo colpì, sfiorandogli la guancia.

Allora conobbi la speranza, e balzai in avanti, e, nel balzare, persi l’equilibrio a causa di un pietra rotta e viscida per la pioggia. Volai quasi giù, ma all’ultimo momento mi afferrai al parapetto… in tempo per vedere la testa luminosa della mazza del gigante discendere su di me. Istintivamente, sollevai Terminus Est per parare il colpo.

Ci fu un urlo tale che sarebbe potuto provenire dalle gole degli spettri di tutti gli uomini e di tutte le donne che quella spada aveva ucciso… poi seguì un’esplosione assordante.

Rimasi stordito per un momento, ma anche Baldanders era stordito, e gli uomini del lago, ora che l’incantesimo della mazza era spezzato, stavano sciamando verso di lui lungo il camminamento da entrambi i lati… Forse l’acciaio della spada, che aveva una sua frequenza di suono e che, come avevo spesso notato, vibrava con meravigliosa dolcezza se sfiorato con un dito, era stato troppo per il meccanismo, quale che fosse, che conferiva alla mazza del gigante i suoi strani poteri. Forse la sua lama, più tagliente di quella di un chirurgo, era penetrata nella testa della mazza. Qualsiasi cosa fosse accaduta, la mazza era scomparsa, ed io tenevo in mano solo l’impugnatura della spada, da cui sporgeva meno di un cubito di metallo frantumato. L’hydrargyrum, che aveva per tanto tempo lavorato silenziosamente all’interno della lama, scaturiva ora da essa in lacrime d’argento.

Prima che mi potessi sollevare, gli uomini del lago stavano balzando al disopra di me. Una lancia si conficcò nel torace del gigante, ed una mazza lo colpì al volto. Due uomini vennero precipitati, urlanti, giù dalla parete da una mossa del braccio di Baldanders, ma altri gli furono subito addosso. Lui se li scrollò di torno mentre io mi alzavo faticosamente in piedi, ancora comprendendo solo in parte quello che era accaduto.

Per un istante, Baldanders rimase immoto sul parapetto, poi balzò giù. Senza dubbio, dovette ricevere un grande aiuto dalla cintura che portava, ma la forza dei muscoli delle sue gambe doveva essere enorme. Lentamente, lentamente, lui s’inarcò sempre più in fuori e sempre più in giù. Tre uomini, che gli erano rimasti aggrappati troppo a lungo, caddero e morirono sulle rocce del promontorio.

Alla fine, cadde anche lui… pesantemente, come se fosse una sorta di nave volante che avesse perso il controllo. Bianche come il latte, le acque del lago eruppero in fuori e poi si richiusero su di lui. Qualcosa che si contorceva come un serpente e talvolta rifletteva la luce sorse dall’acqua e salì nel cielo fino a svanire fra le cupe nubi: indubbiamente, si trattava della cintura. Tuttavia, sebbene gli isolani rimanessero in attesa con le lance pronte, la testa del gigante non riapparve più al disopra delle acque.

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