XI LA MANO DEL PASSATO

Non appena Dorcas mi fece osservare che non le avevo ancora chiesto che cosa avesse visto quel giorno, mi resi conto che avevo cercato di allontanare la conversazione da quell’argomento. Avevo la sensazione che si sarebbe trattato di qualcosa assolutamente privo di significato per me ed a cui Dorcas avrebbe invece attribuito una grande importanza, come fanno spesso i pazzi quando pretendono che i segni lasciati dai vermi sotto la corteccia degli alberi siano una sorta di scrittura sovrannaturale.

— Pensavo che sarebbe stato meglio allontanare la tua mente da questo argomento, di qualunque cosa si tratti — risposi.

— Lo sarebbe indubbiamente, se solo potessimo farlo. Era una sedia.

— Una sedia?

— Una vecchia sedia, un tavolo e parecchie altre cose. Nella Strada dei Tornitori sembra esserci un negozio che vende vecchio mobilio agli eclettici ed a quegli autoctoni che hanno assorbito quanto basta della nostra cultura per desiderarli. Qui non esistono fonti adeguate per sopperire alle richieste di quel tipo di materiali, così, due o tre volte all’anno, il proprietario del negozio ed i suoi figli vanno a Nessus… nei quartieri abbandonati del sud… e riempiono la loro barca. Ho parlato con il padrone, sai, e so tutto in proposito. Laggiù ci sono decine di migliaia di case vuote: alcune sono crollate molto tempo fa, ma altre sono ancora come le hanno lasciate i proprietari. La maggior parte di quelle case sono state saccheggiate, eppure qua e là si trovano ancora pezzi d’argento ed articoli di gioielleria. Ed anche se quasi tutto il mobilio è andato perduto, i proprietari, nell’andarsene, si sono sempre lasciati dietro qualcosa.

Ebbi l’impressione che stesse per piangere, e mi protesi in avanti per accarezzarle la fronte. Con un’occhiata, Dorcas mi fece capire che non gradiva il mio gesto, e tornò a sdraiarsi sul letto.

— In alcune case, poi, l’arredo è ancora completo — proseguì. — L’uomo ha detto che per lui sono le migliori. Lui pensa che alcune famiglie, o forse solo alcuni individui, siano rimasti lì a vivere da soli, quando il quartiere è morto. Forse erano troppo vecchi per andarsene, o troppo cocciuti. Ci ho riflettuto sopra, ed ho concluso che quelle persone dovevano avere laggiù qualcosa che non potevano lasciarsi alle spalle, forse la tomba di un familiare. Comunque, esse sprangarono le finestre per difendersi dai razziatori, e presero dei cani, ed esseri anche peggiori, per proteggersi. Alla fine se ne andarono o giunsero al termine della vita, ed i loro animali divorarono i corpi e poi fuggirono. Ma ormai laggiù non c’era più nessuno, né razziatori né sciacalli, almeno fino all’arrivo di quest’uomo e dei suoi figli.

— Deve esserci una quantità di vecchie sedie — osservai.

— Non come quella. Conoscevo tutto di essa… le incisioni sulle gambe e perfino i disegni tracciati sui braccioli. Allora mi tornarono in mente molte cose. E poi, qui, quando ho vomitato quei pezzi di piombo, simili a semi duri e pesanti, ho compreso. Ti rammenti, Severian, com’era quando abbiamo lasciato il Giardino Botanico? Tu, Agia ed io siamo usciti da quel grande vivaio di vetro e tu hai noleggiato una barca perché ci portasse dall’isola a riva, ed il fiume era pieno di neufari dai fiori azzurri e dalle verdi foglie scintillanti. I loro semi sono scuri, duri e pesanti come quel piombo, ed io ho sentito dire che sprofondano nel letto del Gyoll e vi rimangono per intere ere del mondo. Eppure, quando il caso li riporta vicino alla superficie, essi fioriscono, non importa quanto siano antichi, cosicché si possono veder rifiorire boccioli risalenti ad una chiliade fa.

— L’ho sentito dire anch’io — replicai, — ma questo non significa nulla per te e per me.

Dorcas era immobile, ma la voce le tremava.

— Qual è il potere che li richiama in vita? Me lo sai dire?

— La luce del sole, suppongo… ma no, non lo so spiegare.

— E non esiste altra fonte di luce che non sia il sole?

Sapevo che cosa intendeva dire, anche se in me c’era qualcosa che m’impediva di accettarlo.

— Mentre ci traghettava sul Lago degli Uccelli, quell’uomo… Hildegrin, quello che abbiamo incontrato per la seconda volta sulla tomba fra le rovine della città di pietra… ci ha parlato dei milioni di morti i cui corpi sono stati fatti sprofondare in quelle acque. Come venivano fatti affondare, Severian? I corpi galleggiano. Come venivano appesantiti? Io non lo so. Lo sai tu?

— Venivano infilati loro in gola proiettili di piombo.

— Lo pensavo. — Adesso la sua voce era tanto sottile che riuscivo a stento ad udirla, anche in quella stanza piccola e silenziosa. — No, lo sapevo. L’ho saputo nel momento in cui ho visto quei pezzi di piombo.

— Tu pensi che l’Artiglio ti abbia riportata in vita? Dorcas annuì.

— Ammetto che talvolta abbia avuto effetto, ma solo quando l’ho tolto dalla sacca, ed anche allora non sempre. Allorché tu mi hai tirato fuori dall’acqua, nel Giardino del Sonno Eterno, l’Artiglio era nella mia giberna, e non sapevo neppure di averlo.

— Severian, prima d’ora mi hai già permesso un volta di tenerlo in mano. Potrei vederlo di nuovo?

Estrassi l’Artiglio dalla sua morbida custodia e lo tenni sollevato. Il suo fuoco azzurro sembrava assopito, ma potevo vedere l’arpione dall’aria crudele al centro della gemma che gli aveva procurato il nome. Dorcas stese la mano, ma io, rammentandomi del bicchiere, scossi il capo.

— Pensi che gli arrecherei danno, vero? Non lo farei: sarebbe sacrilegio.

— Se tu credi in quello che hai detto, ed io penso che tu ci creda, allora devi odiare l’Artiglio per averti riportata in vita…

— Dalla morte. — Dorcas stava nuovamente fissando il soffitto, ma ora sorrideva come se condividesse con esso un qualche profondo e comico segreto. — Avanti, dillo. Non ti farà male.

— Dal sonno — replicai. — Se una persona può essere richiamata da essa, allora non si tratta di morte… non della morte come noi l’abbiamo sempre considerata, la morte che vediamo nelle nostre menti quando ne pronunciamo il nome. Anche se ti devo confessare che mi riesce quasi impossibile credere che il Conciliatore, morto ormai da così tante migliaia di anni, possa agire attraverso questa pietra per risuscitare altre persone.

Dorcas non replicò, e non ero neppure certo che mi stesse ascoltando.

— Hai nominato Hildegrin — dissi, — quando ci ha traghettati con la sua barca dall’altra parte del lago perché potessimo cogliere il fiore avern. Ti rammenti quello che ha detto della morte? Che era una buona amica per gli uccelli? Forse allora avremmo dovuto comprendere che una simile morte non poteva essere la morte come noi l’immaginiamo.

— Se dico che credo a tutto questo, mi lascerai tenere l’Artiglio?

Scossi nuovamente il capo.


Dorcas non mi stava guardando, ma dovette scorgere il movimento della mia ombra, o forse il suo immaginario Severian sul soffitto scosse a sua volta il capo.

— Ed hai ragione… intendevo distruggerlo, se solo avessi potuto. Vuoi che ti dica cosa credo veramente? Io credo che ero morta… non addormentata, ma morta; che tutta la mia vita abbia avuto luogo molto, molto tempo fa, quando vivevo con mio marito sopra un piccolo negozio e mi prendevo cura del nostro bambino; che questo vostro Conciliatore che è venuto così tanto tempo fa, non fosse altro che un avventuriero appartenente ad una delle antiche razze che erano sopravvissute alla morte universale. — Le sue mani serravano la coperta. — Io ti chiedo, Severian, quando tornerà, non è lui che dovrà essere chiamato con l’appellativo di Nuovo Sole? E questo non ti fa pensare all’Artiglio? Io credo che, quando è giunto qui, lui abbia portato con sé un oggetto che aveva sul tempo lo stesso potere che si dice gli specchi di Padre Inire abbiano sulla distanza, e che tale oggetto sia la tua gemma.

Dorcas si arrestò per voltarsi a guardarmi con aria di sfida, e poiché non dissi nulla, proseguì:

— Severian, quando tu hai riportato in vita l’ulano, è stato perché l’Artiglio ha modificato per lui il tempo tornando ad un momento in cui egli era ancora in vita. Quando hai parzialmente guarito le ferite del tuo amico è stato perché la pietra ha fatto procedere il tempo fino ad un momento in cui esse erano quasi sanate. E quando sei caduto nella palude, nel Giardino del Sonno Eterno, mi devi aver toccata, o quasi toccata, e, per me, il tempo è tornato ad essere quello in cui ero ancora viva, e quindi sono tornata in vita. Ma ero morta, e morta da lungo tempo, un cadavere rattrappito preservato da quelle acque marroni. Ed in me c’è qualcosa che è ancora morto.

— In ognuno di noi c’è qualcosa che è sempre stato morto — risposi. — Se non altro perché sappiamo che alla fine dovremo morire. Tutti noi, salvo i bambini più piccoli.

— Io devo tornare indietro, Severian, ora lo so, ed è questo quello che stavo cercando di dirti. Devo tornare indietro e scoprire chi ero e dove ho vissuto e cosa mi è accaduto. So che tu non puoi venire con me… — Io annuii. — … e non intendo chiederti di farlo. Non voglio neppure che tu lo faccia. Io ti amo, ma tu sei un’altra forma di morte, una morte che mi è rimasta accanto e mi è stata amica come lo era stata la vecchia morte nel lago, ma sei pur sempre la morte. Io non voglio portare con me la morte mentre vado a cercare la mia vita.

— Ti capisco — dissi.

— Può darsi che mio figlio sia ancora vivo… magari vecchio, ma ancora vivo. Devo sapere.

— Ti capisco — ripetei, ma non potei fare a meno di aggiungere: — C’è stato un tempo in cui mi dicevi che non ero la morte, e che non dovevo permettere agli altri di persuadermi a pensare a me stesso in questi termini. È stato dietro il frutteto, nei giardini della Casa Assoluta. Ti ricordi?

— Tu sei stato la morte per me — replicò, — o, se preferisci, sono caduta nella trappola da cui ti avevo messo in guardia. Forse, tu non sei la morte, ma rimarrai quello che sei, un torturatore ed un carnefice, ed il sangue scorrerà nelle tue mani. Poiché ricordi tanto bene quel momento nella Casa Assoluta, forse tu… non posso dirlo. Il Conciliatore, o l’Artiglio, o forse l’Increato mi hanno fatto questo. Non tu.

— Cosa c’è? — chiesi.

— Il Dr. Talos aveva dato ad entrambi un po’ di denaro, nella radura, proveniente da quanto gli era stato pagato da un ufficiale di corte per la nostra commedia. Mentre eravamo in viaggio, ho affidato tutto a te. Ora, potrei riaverlo? Ne ho bisogno. Se non tutto, almeno una parte.

Svuotai sul tavolo il denaro che avevo nella mia giberna, e che ammontava ad una somma equivalente a quella che avevo ricevuto da lei, o anche maggiore.

— Grazie. Non ne avrai bisogno?

— Non tanto quanto te. E poi, è tuo.

— Partirò domani, se sarò forte abbastanza, e se no dopodomani, che mi senta in forze o meno. Non credo tu sappia con quale frequenza partano le navi dirette a valle.

— Quando vuoi. Basta spingerle in acqua, ed il fiume fa il resto.

— Questo non è da te, Severian, o almeno non lo è molto. È più il tipo di frase che avrebbe detto il tuo amico Jonas, stando a quel che mi hai raccontato. Il che mi ricorda che tu non sei il primo visitatore che è venuto a trovarmi oggi. È venuto anche il nostro amico… o almeno tuo… Hethor. Questo non ti diverte, vero? Scusa, volevo solo cambiare argomento.

— Lui ci gode. Ci gode a guardarmi lavorare.

— Migliaia di persone ci godono quando lavori in pubblico, e tu stesso godi nel farlo.

— Vengono per sentirsi inorriditi, in modo da potersi poi congratulare con se stessi per essere ancora vivi. Ed anche perché amano l’eccitazione e l’incertezza di non sapere se il condannato crollerà all’ultimo momento o se si verificherà qualche macabro incidente. Quanto a me, godo nell’esercitare la mia arte, l’unica vera capacità che io abbia… godo nel riuscire a far sì che tutto vada alla perfezione. Hethor vuole qualcos’altro.

— La sofferenza?

— Sì, la sofferenza, ma anche qualcos’altro.

— Lui ti adora, sai. Ha parlato con me per qualche tempo, oggi, e credo che sarebbe pronto a camminare nel fuoco se tu glielo ordinassi. — A quelle parole dovetti sussultare, perché Dorcas aggiunse: — Tutto questo parlare di Hethor ti infastidisce, vero? Una persona malata è più che sufficiente. Parliamo di altro.

— Non è malato come te, ma non riesco a pensare ad Hethor senza rivederlo come l’ho visto una volta dall’alto del patibolo, con la bocca aperta e gli occhi…

— Sì, quegli occhi… li ho visti stanotte. — Dorcas si agitò, a disagio. — Occhi morti, anche se credo che non dovrei essere io a dire una cosa simile. Gli occhi di un cadavere. Hai la sensazione che, se li toccassi, scopriresti che sono aridi come pietre e che non si muovono mai.

— Questo non è tutto. Quando ero sul patibolo, a Saltus, ed ho guardato giù e l’ho visto, i suoi occhi danzavano. Tu hai detto però che i suoi occhi ti ricordano quelli di un cadavere. Ti sei mai guardata in uno specchio? I tuoi occhi non sono quelli di una morta.

— Forse no. — Dorcas fece una pausa. — Una volta solevi dire che erano molto belli.

— E non sei felice di essere viva? Anche se tuo marito è morto, e tuo figlio è morto e la tua casa è in rovina… anche se tutte queste cose fossero vere… non sei piena di gioia perché sei nuovamente qui? Non sei uno spettro, e neppure una resuscitata come quelli che abbiamo visto nella città di pietra. Guarda in uno specchio, come ti ho detto, oppure, se non vuoi, guarda nel mio volto o in quello di qualsiasi uomo e vedrai ciò che sei.

Dorcas si sollevò a sedere ancor più lentamente e faticosamente di quanto avesse fatto la prima volta quando si era sollevata per bere il vino, ma questa volta sporse le gambe oltre il bordo del letto, e vidi che era nuda sotto la sottile coperta. Prima della sua malattia, la pelle di Jolenta era perfetta, liscia e morbida, mentre quella di Dorcas era punteggiata di lentiggini dorate ed ella era tanto magra che riuscivo sempre ad intravedere le sue ossa. Eppure, Dorcas era molto più desiderabile nelle sue imperfezioni di quanto lo fosse stata Jolenta con la sua carne florida. Pur essendo consapevole di quanto sarebbe stato colpevole da parte mia impormi a lei o anche persuaderla a cedermi, ora che era malata e che stavo per lasciarla, avvertii ugualmente il desiderio che sorgeva in me. Per quanto grande… o piccolo… sia il mio amore per una donna, scopro sempre di desiderarla maggiormente, quando non la posso più avere.

Ma ciò che provavo per Dorcas era qualcosa di più forte ed anche di più complesso. Lei era stata, anche se solo per un tempo tanto breve, l’unica intima amica che avessi avuto, ed il nostro rapporto amoroso, sia il frenetico desiderio che ci aveva animati nel piccolo magazzino in cui ci era stato concesso di trascorrere la notte a Nessus, sia il pigro e prolungato giocare nella nostra camera nel Vincula, aveva sempre costituito una manifestazione caratteristica della nostra amicizia, oltre che del nostro amore.

— Stai piangendo — osservai. — Vuoi che me ne vada?

Dorcas scosse il capo, e poi, come se non potesse controllare oltre quelle parole che volevano uscire a tutti i costi, sussurrò:

— Oh, non vuoi venire anche tu, Severian? Non parlavo sul serio. Non vorresti venire? Venire con me?

— Non posso.

Dorcas si afflosciò sullo stretto letto, e mi parve più piccola e più bambina.

— Lo so. Tu hai il tuo dovere verso la corporazione: non puoi tradirla di nuovo e guardarti ancora in faccia, ed io non te lo chiederò. È solo che non avevo mai smesso del tutto di sperare che lo avresti fatto.

— Devo fuggire dalla città — replicai, scuotendo ancora il capo.

— Severian!

— E devo andare a nord. Tu andrai a sud, e, se io venissi con te, ci manderebbero dietro imbarcazioni piene di soldati.

— Severian, cosa è successo? — Il suo volto era molto calmo, ma gli occhi erano dilatati.

— Ho liberato una donna. Avrei dovuto strangolarla e gettare il suo corpo nell’Acis, ed avrei potuto… in realtà non provavo nulla per lei, e mi sarebbe stato facile farlo. Ma, quando sono rimasto solo con lei, ho pensato a Thecla. Eravamo in un piccolo bersò riparato da arbusti e situato proprio sull’orlo dell’acqua, e le avevo già messo le mani intorno al collo quando ho pensato a Thecla ed a come avevo desiderato di liberarla. Non ero mai riuscito a trovare il modo per farlo, te l’ho detto?

Dorcas scosse il capo quasi impercettibilmente.

— C’erano confratelli ovunque, e per la via più breve avremmo dovuto superarne almeno cinque, che conoscevano sia me che lei. — (Thecla stava ora gridando in un qualche angolo della mia mente). — In realtà, tutto quello che avrei dovuto fare sarebbe stato di dire loro che Maestro Gurloes mi aveva ordinato di portargli la prigioniera. Ma in quel caso sarei dovuto fuggire con lei, ed io stavo ancora cercando di escogitare un modo che mi avrebbe permesso di rimanere all’interno della corporazione.

Non l’amavo abbastanza.

— Adesso è passato — mi consolò Dorcas. — E, Severian, la morte non è quella cosa terribile che tu credi essa sia. — Adesso i nostri ruoli si erano invertiti, come se fossimo stati due bambini sperduti che cercassero di confortarsi a vicenda.

Scrollai le spalle. Lo spettro che avevo mangiato al banchetto di Vodalus era quasi calmo: potevo sentire le sue lunghe dita fredde sul mio cervello, e, sebbene non potessi voltarmi all’interno del mio cranio per vederla, sapevo che i suoi profondi occhi violetti erano dietro i miei. Fui costretto a fare uno sforzo per non parlare con la sua voce.

— Comunque, ero con quella donna, nel bersò, ed eravamo soli. Il suo nome era Cyriaca. Ero certo, o almeno sospettavo, che lei fosse al corrente di dove si trovavano le Pellegrine… perché una volta era stata una di loro. Ci sono mezzi di tortura silenziosi che non richiedono l’uso di alcun apparecchio, e che, pur non essendo spettacolari, risultano senz’altro efficaci. Basta manipolare direttamente i nervi del cliente. Stavo per usare quello che noi chiamiamo il Bastone di Humbaba, ma, prima che la toccassi, lei mi ha rivelato quello che volevo sapere. Le Pellegrine si stanno prendendo cura dei feriti vicino al Passo di Orinthya. Quella donna dice di aver ricevuto appena una settimana fa una lettera da una sua conoscente dell’Ordine…

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