Come è comune in simili torri, non c’era un ingresso al livello del suolo. Una scala stretta, diritta, ripida e senza ringhiera conduceva ad una porta altrettanto stretta, situata a circa dieci cubiti di altezza al disopra della pavimentazione del cortile. Quella porta era aperta, e fui felice di notare che il Dr. Talos non la richiudeva alle nostre spalle. Percorremmo un breve corridoio, che equivaleva indubbiamente allo spessore della parete, e sbucammo in una stanza che sembrava occupare (come tutte le camere che vidi all’interno di quella torre) tutto lo spazio disponibile a quel livello. Essa era piena di macchinari che mi parvero almeno altrettanto antichi quanto quelli che avevamo nella Torre di Matachin, ma il cui uso andava al di là della mia capacità d’immaginazione. Su un lato di quella stanza, un’altra scala stretta saliva al piano superiore, e, dalla parte opposta, un’oscura scala scendeva verso il luogo, quale che fosse, in cui era rinchiuso il prigioniero che avevo sentito urlare poco prima: infatti sentii ancora la sua voce emergere dall’oscurità sottostante.
— È impazzito — commentai, reclinando la testa in direzione del suono.
— La maggior parte lo sono — annuì il Dr. Talos. — Per lo meno, la maggior parte di quelli che ho esaminato. Somministro loro decotti di elleboro, ma non posso dire che servano a molto.
— Avevamo alcuni clienti come quelli al terzo livello della nostra segreta, perché eravamo costretti a detenerli per via di cavilli legali. Essi erano stati consegnati a noi, capisci, e nessuno che ne avesse l’autorità era disposto ad autorizzare il loro rilascio.
— Simpatizzo con il vostro problema. — Il dottore mi stava guidando verso la scala che saliva.
— Con il tempo, morivano — continuai cocciutamente, — o per le conseguenze delle torture subite o per altre cause. Non si otteneva alcuno scopo valido nel tenerli imprigionati.
— Suppongo di no. Sta’ attento a quell’aggeggio con l’uncino: sta cercando di agganciarti il mantello.
— Perché lo tenete rinchiuso? Non avete obblighi legali nel senso in cui li avevamo noi, ne sono certo.
— Per restare nella parte, suppongo. È per questo che Baldanders conserva la maggior parte di questi aggeggi. — Il Dr. Talos si volse a guardarmi, un piede sul primo scalino. — Adesso ricordati di comportarti bene. Non amano essere chiamati cacogeni, sai. Rivolgiti loro usando i nomi che diranno di avere questa volta, e non fare riferimenti al fango, anzi, in effetti, sarà meglio che tu non parli di nulla di spiacevole. Il povero Baldanders ha lavorato così duramente per rimediare e far la pace con loro dopo aver perso la testa nella Casa Assoluta! Sarà annientato se tu dovessi rovinare tutto proprio quando loro stanno per partire.
Promisi che sarei stato il più diplomatico possibile.
Dal momento che la nave si librava sulla torre, avevo supposto che Baldanders ed i comandanti della nave si trovassero all’ultimo livello, ma mi ero sbagliato. Mentre salivamo al piano successivo udii un mormorio di voci e poi il suono di quella del gigante che mi fece pensare, come mi era accaduto spesso quando viaggiavamo insieme, al crollo di un lontano muro in rovina.
Anche quella stanza conteneva macchinari, ma questi, anche se apparivano altrettanto vecchi quanto quelli al piano di sotto, sembravano però funzionanti ed inoltre collegati, in base a qualche logica ma incomprensibile relazione, gli uni con gli altri, come i congegni nella sala di Typhon. Baldanders ed i suoi ospiti si trovavano all’estremità più lontana della camera, dove la testa del gigante, tre volte più grossa di quella di un uomo normale, si ergeva al disopra dell’ammasso di metallo e cristallo come quella di un tirannosauro che sbucasse dalle più alte foglie di una foresta. Mentre avanzavo verso di loro, notai quel che rimaneva di una giovane donna che avrebbe potuto essere una sorella di Pia, e che giaceva sotto una campana lucente. Il suo addome era stato aperto con una lama tagliente ed alcuni dei suoi visceri rimossi e disposti intorno al suo corpo che sembrava essere nel primo stadio di decomposizione, anche se le labbra si muovevano. I suoi occhi si aprirono mentre le passavo accanto, poi si richiusero.
— Abbiamo compagnia! — annunciò il Dr. Talos. — Non immaginerai mai chi è!
La testa del gigante si volse lentamente, ma mi fissò senza dar mostra di capire, come aveva fatto quando il Dr. Talos lo aveva svegliato, quella prima mattina, a Nessus.
— Conosci già Baldanders — continuò il dottore, rivolto a me, — ma ti devo presentare gli altri ospiti.
Tre uomini, o esseri che almeno sembravano tali, si alzarono con moti aggraziati. Uno di loro, se fosse veramente stato un essere umano, sarebbe stato basso e tozzo. Gli altri due erano parecchio più alti di me, alti come esultanti. Le maschere che tutti e tre portavano davano loro l’aspetto di raffinati uomini di mezz’età, pensosi e posati, ma io ero conscio del fatto che gli occhi che mi fissavano attraverso le fessure delle maschere dei due più alti erano più grandi degli occhi umani, ed anche del fatto che l’essere più tozzo non aveva affatto gli occhi, per cui dietro la sua maschera si vedeva solo oscurità. Tutti e tre erano vestiti di bianco.
— Onorevoli! Questo è un nostro grande amico, il Maestro Severian dei torturatori. Maestro Severian, permettimi di presentarti gli onorevoli Hieroduli Ossipago, Barbatus e Famulimus. Il compito di questi nobili personaggi è quello d’inculcare la saggezza nella razza umana… qui rappresentata da Baldanders ed ora anche da te stesso.
L’essere che il Dr. Talos aveva presentato come Famulimus parlò. La sua voce avrebbe potuto essere senz’altro umana se non fosse stato per la maggiore risonanza e musicalità, superiori a quelle di qualsiasi voce umana avessi mai udito, e tali da darmi l’impressione di ascoltare il discorso di qualche strumento a corda animatosi di vita propria.
— Benvenuto — intonò la voce. — Per noi non c’è gioia più grande che incontrarti, Severian. Tu ti sei cortesemente inchinato davanti a noi, ma dinnanzi a te noi piegheremo le ginocchia. — E s’inginocchiò brevemente, come fecero anche gli altri.
Nulla di ciò che quell’essere avrebbe potuto dire o fare mi avrebbe potuto stupire maggiormente, e venni colto troppo di sorpresa per riuscire a rispondere.
L’altro cacogeno alto, Barbatus, parlò come avrebbe potuto fare un cortigiano, per riempire il silenzio di un vuoto nella conversazione che sarebbe altrimenti stato imbarazzante. La sua voce era più profonda di quella di Famulimus, e sembrava avere in sé una nota militare.
— Tu sei il benvenuto qui… decisamente benvenuto, come ha detto il mio caro amico e come tutti noi abbiamo tentato di manifestare. Ma i tuoi amici devono rimanere all’esterno, fintanto che noi saremo qui. Naturalmente, tu lo sai già. L’ho detto solo per una questione di formalità.
Il terzo cacogeno, con voce tanto profonda che la si percepiva più che udirla, mormorò che non aveva importanza, e, come se temesse che io potessi scorgere le fessure vuote della sua maschera, si volse e finse di osservare qualcosa fuori dalla stretta finestra alle sue spalle.
— Allora forse non importa — osservò Barbatus. — Dopo tutto, Ossipago è quello che ne sa di più.
— Allora hai amici qui? — sussurrò il Dr. Talos. Era una sua caratteristica il fatto che raramente parlava ad un gruppo, come fa la maggior parte delle persone, ma si rivolgeva invece al singolo individuo come se fossero soli, oppure declamava come se si trovasse davanti ad un’assemblea di migliaia di persone.
— Alcuni isolani mi hanno scortato qui — risposi, tentando di affrontare la cosa meglio che potevo. — Devi sapere della loro esistenza. Vivono su masse fluttuanti di canne, nel lago.
— Stanno insorgendo contro di te! — Il Dr. Talos si rivolse al gigante. — Ti avevo avvertito che sarebbe accaduto. — Si precipitò alla finestra dalla quale l’essere chiamato Ossipago sembrava intento a guardare e, spintolo da un lato, scrutò fuori nella notte. Quindi, voltosi verso il cacogeno, s’inginocchiò, gli afferrò la mano e la baciò. Quella mano era chiaramente un guanto di un qualche materiale flessibile, pitturato per sembrare carne e contenente qualcosa che non era certo una mano.
— Ci aiuterai, Onorevole, vero? Hai certo fantassini a bordo della tua nave. Allinea, per una volta, esseri orrendi sulle mura, ed esse rimarranno al sicuro per un secolo.
— Severian sarà il vincitore — intervenne Baldanders con la sua voce lenta. — Altrimenti, perché si sarebbero inginocchiati dinnanzi a lui? Anche se può darsi che lui muoia e noi no. Conosci i loro metodi, dottore. Il saccheggio potrebbe disseminare il sapere.
— Lo ha mai fatto prima? Dimmi! — Il Dr. Talos si volse furiosamente contro di lui.
— Chi lo può dire, Dottore?
— Sai che non lo ha mai fatto. Essi sono gli stessi ignoranti, superstiziosi bruti che sono sempre stati! — Si volse di nuovo. — Nobili Hieroduli, rispondetemi! Se qualcuno lo sa, quelli siete voi!
Famulimus fece un gesto, e non fui mai tanto consapevole della verità dietro la sua maschera come in quel momento, perché nessun braccio umano avrebbe mai potuto fare un movimento del genere, che inoltre era privo di significato e non indicava né consenso né dissenso, né irritazione né consolazione.
— Io non parlerò di tutte le cose che tu sai — rispose. — E cioè che coloro che temi hanno imparato a sopraffarti. Può essere vero che essi siano ancora semplici di mente; eppure, qualcosa portato nelle loro case li può rendere saggi.
Si stava rivolgendo al dottore, ma io non riuscii a contenermi più a lungo e chiesi:
— Posso domandarti di cosa stai parlando, sieur?
— Parlo di voi, di tutti voi, Severian. Il fatto che io parli non ti può danneggiare ora.
— Solo se non lo fai troppo liberamente — intervenne Barbatus. — C’è un marchio usato su un qualche mondo, dove talvolta la nostra consunta nave trova infine riposo. È il segno di un serpente con una testa a ciascuna estremità del corpo. Una testa è morta… l’altra la divora.
— Si tratta di questo mondo, credo — osservò Ossipago, senza allontanarsi dalla finestra.
— Senza dubbio, Camoena potrebbe rivelare quale sia la sua casa. Ma del resto, non ha importanza se lo sai o meno. Mi comprenderai ancora più chiaramente. La testa viva indica la distruzione. La testa che non vive indica il costruire. La prima si nutre della seconda, e, nutrendosi, nutre il suo cibo. Un bambino potrebbe pensare che, se la prima morisse, la testa morta e costruttiva trionferebbe, rendendo la sua gemella simile a sé. La verità è che entrambe si decomporrebbero presto.
— Spesso — commentò Barbatus, — il mio caro amico è men che chiaro. Riesci a seguirlo?
— Io no! — annunciò irosamente il Dr. Talos, e, giratosi con fare disgustato, si precipitò giù per la scala.
— Non ha importanza — mi disse Barbatus, — dal momento che il suo padrone ha capito. — Fece una pausa, come per dar modo a Baldanders di contraddirlo, poi riprese, sempre rivolgendosi a me: — Il nostro desiderio, vedi, è quello di far progredire la vostra razza, non d’indottrinarla.
— Far progredire il popolo della spiaggia? — chiesi.
Durante tutto quel tempo, le acque del lago avevano fatto salire fino a noi, attraverso la finestra, il loro lamento notturno, e la voce di Ossipago parve fondersi con esso mentre diceva:
— Tutti voi…
— Allora è vero, quello che così tanti saggi hanno sospettato! Siamo soggetti ad una guida! Voi ci osservate, e, durante i secoli della nostra storia, che a voi devono essere parsi meno che giorni, ci avete fatti uscire dalla condizione di selvaggi. — Nel mio entusiasmo, tirai fuori il libro marrone, ancora umido per il bagno cui lo avevo sottoposto precedentemente in quella giornata, nonostante fosse avvolto in pelle oliata. — Ecco, permettetemi di mostrarvi quello che dice qui: «L’uomo, che non è saggio, è pur sempre oggetto di saggezza. Se la saggezza trova in lui un oggetto degno, è saggio da parte sua illuminare la sua follia?» Qualcosa del genere.
— Ti sbagli — mi disse Barbatus. — Le vostre ere sono eoni per noi. Il mio amico ed io ci occupiamo della vostra razza da un tempo inferiore alla durata della tua vita.
— Queste cose vivono solo una ventina di anni, come i cani — intervenne Baldanders. Il suo tono mi disse molto più di quanto sia scritto qui, perché ogni parola cadde come una pietra gettata in una profonda cisterna.
— Non può essere — obiettai.
— Voi siete il lavoro per cui noi viviamo — spiegò Famulimus. — Quell’uomo che tu chiami Baldanders vive per imparare. Noi provvediamo affinché lui riesca a raccogliere materiale del passato… duri fatti, come semi per dargli potere. Con il tempo, lui morirà per mezzo di mani che non amano conservare, ma morirà con un leggero vantaggio per tutti voi. Pensa ad un albero che taglia una roccia. Esso raccoglie l’acqua, il calore solare che dà vita… e tutti gli elementi vitali per un suo uso. Con il tempo, esso muore e marcisce per nutrire la terra che le sue stesse radici hanno creato dalla pietra. Quando la sua ombra è svanita, nuovi semi germogliano, e, con il tempo, un’intera foresta sorge dove prima c’era quell’albero.
Il Dr. Talos emerse di nuovo dalle scale, battendo le mani in modo lento e derisorio.
— Allora avete lasciato voi qui queste macchine? — chiesi. Mentre parlavo, ero acutamente consapevole del fatto che la donna eviscerata stava mormorando qualcosa alle mie spalle sotto la sua campana di vetro, una cosa che un tempo non avrebbe minimamente disturbato il torturatore Severian.
— No — replicò Barbatus. — Quelle le ha trovate oppure le ha costruite per se stesso. Famulimus ha detto che lui desiderava imparare e che noi abbiamo provveduto a che lo facesse, non che gli abbiamo insegnato noi. Noi non insegnamo nulla a nessuno e cediamo solo quei congegni che sono troppo complessi perché il tuo popolo li possa duplicare.
— Questi mostri — disse il Dr. Talos, — questi orrori non fanno nulla per noi. Tu li hai visti… sai come sono. Quando il mio povero paziente è corso all’impazzata fra di loro, nel teatro della Casa Assoluta, lo hanno quasi ucciso con le loro pistole.
— Non c’è bisogno che tu finga simpatia, dottore. — Il gigante si spostò nella sua grande sedia. — Non ti si adatta. Fare il folle mentre loro mi guardavano… — Le sue immense spalle si sollevarono e ricaddero. — Non avrei dovuto permettere che mi sopraffacesse. Ed ora essi hanno convenuto di dimenticare il fatto.
— Quella notte — osservò Barbatus, — noi avremmo potuto facilmente uccidere il tuo creatore, come tu ben sai. Lo abbiamo bruciato appena quanto bastava per deviare la sua carica.
Rammentai allora quel che il gigante mi aveva detto quando ci eravamo separati nella foresta al di là dei giardini dell’Autarca… che era lui il padrone del dottore. Ora, prima di aver il tempo di riflettere su quel che stavo facendo, afferrai la mano di Talos: la pelle sembrava altrettanto calda e viva quanto la mia, ma era stranamente arida. Dopo un momento, il dottore la liberò.
— Cosa sei tu? — domandai, e, quando non mi rispose, mi rivolsi agli esseri che si facevano chiamare Famulimus e Barbatus. — Una volta, sieurs, ho conosciuto un uomo che era fatto solo parzialmente di carne umana…
Invece di rispondere, essi guardarono verso il gigante, e, sebbene sapessi che i loro volti erano solo maschere, percepii l’imperiosità della loro richiesta.
— Un homunculus — borbottò Baldanders.