7

Il mio primo impulso fu di dirle di andare all’inferno, e sbattere giù il ricevitore. Avevo ormai capito da un pezzo che pensare a una vendetta era infantile. Vendicandomi non avrei riavuto Pete e sarei probabilmente finito in prigione. A essere sincero, dopo che le ricerche erano risultate vane, avevo quasi dimenticato Belle e Miles.

Ma siccome pensai che, quasi sicuramente, Belle sapeva dove si trovava Ricky, le diedi un appuntamento.

Lei avrebbe voluto che l’invitassi a pranzo, ma non lo feci per il semplice motivo che mangiare insieme è una cosa che si fa con amici, perciò, anche se ero disposto a rivedere Belle, non ero disposto affatto a mangiare e a bere con lei. Mi feci dare il suo indirizzo e le dissi che sarei andato da lei la sera stessa, alle otto.

Abitava in una casa modesta nella parte bassa della città, e prima di suonare pensai che, forse, rivedendola, si sarebbero ridestati in me gli antichi sentimenti di rancore e di risentimento. Ma non appena mi ebbe aperto la porta mi accorsi che lei stessa e il tempo mi avevano vendicato.

Secondo gli anni che aveva dichiarato d’avere all’epoca del nostro fidanzamento, Belle avrebbe dovuto essere sulla cinquantina, ma probabilmente ne aveva sessanta suonati. Grazie alle continue scoperte della geriatria e dell’endocrinologia, una donna che tenga al suo aspetto e abbia i mezzi per curarsi, può dimostrare trent’anni anche quando ne ha sessanta, ma Belle non si era data questa pena.

Evidentemente si credeva ancora affascinante, perché indossava una vestaglia trasparente che metteva in mostra troppo, rivelando che apparteneva, senza possibilità di equivoco, ai mammiferi, che era troppo grassa, e che non faceva ginnastica.

Ma lei non se ne rendeva conto. Il suo cervello, un tempo così acuto, le aveva dato un concetto assai alto di sé, rendendola incapace di vedersi qual era veramente.

Mi si gettò addosso con strilletti di gioia, e fece per baciarmi, ma io la presi per i polsi, respingendola. — Stai calma, Belle! — le dissi.

— Ma tesoro! Sono così felice… così eccitata… così emozionata di vederti!

— Ne sono convinto — dissi, deciso a non perdere la calma, per quanto non mi sembrasse facile. — Ricordi l’ultima volta che mi hai visto? Mi avevi rimpinzato di droga in modo da farmi sottoporre al Lungo Sonno senza che avessi la possibilità di protestare.

Perplessa e offesa, lei ribatté: — Ma amore mio, l’abbiamo fatto per il tuo bene! Eri così malato!

Capii che era convinta di quello che diceva, perciò tagliai corto. — Già, già. E Miles, dov’è? Come mai sei la signora Schultz, adesso?

— Non lo sai? — rispose lei, spalancando gli occhi.

— Cosa dovrei sapere?

— Povero Miles… povero caro Miles! Dopo che tu ci hai lasciati, Danny, visse soltanto due anni. — La sua espressione mutò di colpo. — Quel farabutto mi ingannava!

— Come mi dispiace! — dissi, chiedendomi come fosse morto Miles. Gli aveva messo l’arsenico nella minestra, forse? Ma decisi di attenermi al motivo per cui ero andato lì, perciò dissi: — E Ricky dov’è?

— Ricky?

— Sì, la figlia di Miles. La piccola Federica.

— Quell’insopportabile oca! E cosa ne so? Andò a stare da sua nonna.

— Dove? E come si chiama sua nonna?

— Dove? A Tucson, o a Yuma… in qualche posto del genere, insomma. Forse era una india. Ma che importa? Caro, non voglio parlare di quella ragazzina impossibile. Voglio parlare di noi

— Un momento. Come si chiamava sua nonna?

— Danny, cominci a diventare noioso. Perché diavolo dovrei ricordarmi una cosa simile?

— Ti ho chiesto come si chiamava!

— Oh… Hanolon, no, Harney… o forse Heinz. Magari era Heinz. O forse Hinkey… Non essere noioso, caro. Beviamo qualcosa e brindiamo alla nostra felice riunione.

— Ho smesso di bere — le dissi, ed era vero. Ora mi limitavo alle birre che gustavo in compagnia di Chuck.

— Devo dire che sei proprio insopportabile! Spero comunque che non ti dispiacerà se bevo io. — Mentre parlava si versò una generosa dose di gin, poi da un tubetto prese due pastiglie: — Di queste ne vuoi? — mi chiese. Riconobbi le pastiglie: euforion, un eccitante che secondo i fabbricanti era innocuo e non produceva assuefazione.

— Grazie, ma sto bene così.

Lei versò le due pastiglie nel gin, e io decisi di forzare i tempi, perché fra poco non sarebbe stata più in grado di rispondere lucidamente alle mie domande.

— Parlami di te — le dissi. — Come ve la siete cavata con quelli della Mannix?

— Eh? Non se ne fece niente, non lo sapevi? — E accalorandosi d’improvviso: — La colpa è stata tutta tua!

— Mia? Ma se dormivo, io!

— Ti dico che fu tutta colpa tua… Quel coso orribile che avevi fatto con il fondo di una poltrona a rotelle, era quello che quelli della Mannix volevano, e non c’era più.

— Cosa dici? Dov’era?

Lei mi fissò con occhi sospettosi: — Tu dovresti saperlo dov’era, dal momento che l’avevi portato via.

— Io? Sei pazza, Belle! Come avrei potuto fare una cosa simile, se ero irrigidito e raggelato nel sonno? Dov’è finito? E quando è scomparso? — Il fatto che il prototipo del Servizievole Sergio fosse stato rubato da qualcuno s’accordava con le idee che m’ero già fatto in proposito, visto che Belle e Miles non se ne erano serviti. Certo era, comunque, che di tutti i miliardi di persone che abitano sulla faccia della Terra io ero proprio l’unico a non averlo potuto portar via. Non avevo più visto il mio Sergio dopo la disastrosa notte in cui quei due mi avevano intrappolato. — Spiegati meglio, Belle. Cosa ti fa pensare che sia stato io a portarlo via?

— Devi essere stato per forza tu! Nessun altro sapeva che si trattava di una cosa importante, e non di un ammasso di ferraglia. L’avevo detto a Miles di non metterlo nel garage!

— Ma se anche qualcuno lo rubò, è improbabile che abbia potuto servirsene. Gli appunti, i progetti li avevate ancora voi.

— No, non è vero nemmeno questo. Quel cretino di Miles aveva messo tutte le carte insieme in un vano dell’apparecchio, quella sciagurata notte.

Non insistetti, convinto che vaneggiasse. Ormai era storia vecchia di trent’anni. Chiesi invece cosa ne fosse stato della Domestica Perfetta, dopo che l’accordo con la Mannix era sfumato.

— Continuammo a mandarla avanti io e Miles finché il capotecnico non ci lasciò. Miles perdette la testa e decise di cedere l’azienda. Così facemmo, e la Ditta passò alla Geary che la possiede tuttora. — Infatti la ragione sociale per esteso della Domestica Perfetta era Società Geary per la Costruzione di Apparecchi Automatici Domestica Perfetta, anche se tutti chiamavano la società solo col suo vecchio nome.

— E il vostro pacchetto azionario? — chiesi. — Cosa ne avete fatto? L’avete venduto cedendo l’azienda?

— Chi ti ha messo in testa questa stupida idea? — mi rimbeccò lei, con le lacrime agli occhi, tormentando un fazzolettino. — Quel porco mi ha imbrogliato. — Si soffiò il naso con aria pensosa, poi ripeté: — Tutti, sì, e il peggiore sei stato tu, Danny… Dopo tutto il bene che ti avevo fatto!

Dovetti constatare che l’euforion non manteneva le promesse, a meno che Belle non godesse a piangere. — In che modo ti ho ingannata, Belle?

— Cosa? Ma se lo sai… E anche Miles mi ha ingannato. Ha lasciato tutto a quella stupida. Dopo tante promesse, dopo che l’ho curato quando si fece male! E non era nemmeno sua figlia! Questo ti basti a provare che mi ha imbrogliato.

Era la prima buona notizia delle serata: anche se quei due erano riusciti a mettere le mani sulle azioni che io avevo affidato a Ricky, tuttavia la piccola aveva avuto, più tardi, la sua parte.

— Belle — ripresi — cerca di ricordare come si chiamava la nonna di Ricky, e dove abitava.

— Dove abitava, chi?

— La nonna di Ricky.

— E chi è Ricky?

— La bambina di Miles. Cerca di pensare, Belle. È importante.

Questo finì di sconvolgerla. Puntandomi contro l’indice, si mise a strillare: — Ti conosco, sai? Tu eri innamorato di lei, quella piccola orribile viperetta… di lei e di quel gatto ripugnante.

Al ricordare Pete mi sentii avvampare d’ira. Cercando di dominarmi afferrai Belle per le spalle e la scossi un poco: — Calmati, Belle. Io voglio solo sapere una cosa. Qual era l’indirizzo?

— Non voglio più parlare con te — strillò lei, sferrandomi un calcio. — Non lo so — aggiunse poi, calmandosi. E infine: — La nonna si chiamava Hanaker, o qualcosa di simile. La vidi solo una volta, in tribunale, quando vennero per il testamento.

— E cioè quando?

— Subito dopo la morte di Miles, no?

— E Miles quando morì?

— Oh, quante cose vuoi sapere! — sbuffò. — Sei peggio dello sceriffo. Domande, domande! Dimentichiamo tutto e pensiamo solo a noi, caro. Abbiamo tutta la vita. A trentanove anni una donna non è vecchia. Schultz diceva che io ero la creatura più giovane che avesse mai visto… e quel vecchio caprone se ne intendeva, lasciamelo dire. Potremmo essere così felici, amore.

Ero giunto al limite della sopportazione. — Devo andarmene, Belle — mi limitai a dire.

— Cosa? Ma è ancora presto! Io credevo…

— Me ne infischio di quello che credevi. Ti saluto e me ne vado.

— Che peccato! Quando ci rivedremo? Domani? Ho un mucchio di impegni, ma cercherò di trovare qualche momento libero.

— Noi due non ci vedremo più, Belle.

Me ne andai. E non la rividi mai più.

Non appena a casa feci il bagno, strofinandomi forte. Poi mi misi in poltrona e cercai di ricapitolare quanto di utile era emerso dal penoso colloquio con quella specie di donna. Di sicuro non c’era niente, salvo che l’iniziale del nome della nonna di Ricky doveva essere «H» e che viveva in qualche città del deserto, in Arizona, o forse in California. Chissà che un investigatore non riuscisse a trovare qualcosa, con quegli indizi… Comunque dovevo aspettare, perché al momento non avevo i mezzi per pagare indagini che sarebbero state più costose quanto più lunghe e difficili.

E d’altro, cos’avevo scoperto?

Che Miles era morto verso il 1972, se Belle non aveva mentito. Ma se era morto nel circondario avrei potuto trovare traccia del suo decesso negli archivi municipali, senza troppa fatica. Chissà che dal certificato non potessi scoprire anche l’indirizzo di Ricky.

Se, se, se… Quanti se! E se anche l’avessi trovata? Ormai Ricky aveva quarantun anni, e certo era sposata e madre… cosa se ne sarebbe fatta del vecchio zio Danny? Almeno, conclusi per consolarmi, ci saremmo scambiati gli auguri a Pasqua e a Natale.


La mattina seguente, venerdì 4 maggio, invece di andare in ufficio mi recai all’archivio del Municipio. Ma poiché stavano facendo trasloco, mi dissero di tornare dopo un mese. Allora mi recai alla sede del Times dove, torcendomi il collo al microvisore, esaminai il microfilm delle annate 1972-’73. Ma se Miles era morto in quel periodo, come aveva detto Belle, non era morto a Los Angeles. Rimandando a più tardi ulteriori indagini, feci colazione e andai in ufficio. Trovai due chiamate telefoniche, tutt’e due da parte della signora Schultz, e mi affrettai ad avvertire la centralinista di non mettermi mai in comunicazione con la suddetta signora, qualora avesse richiamato. Quindi mi recai al reparto contabilità per informarmi se fosse possibile risalire al proprietario di un pacchetto di azioni vendute da anni. Il capocontabile disse che avrebbe tentato, e io gli diedi i numeri, che ricordavo a memoria, del pacchetto azionario che mi era appartenuto alla fondazione della Domestica Perfetta. Non c’era da sbagliarsi: avevamo infatti emesso mille azioni e io avevo tenuto le prime cinquecentodieci. Centodieci le avevo poi cedute a Belle come regalo di fidanzamento.

Un’ora circa più tardi, mentre meditavo su uno sgradevole colloquio avuto nel frattempo con il capo del reparto pubblicità della Ditta, il quale avrebbe voluto continuare a servirsi di me per articoli e fotografie in veste di vecchio inventore, mi fu recapitato un appunto del capocontabile Reuther. Diceva:


Egregio signor Davis,

In riferimento al nostro colloquio di stamane ho il piacere di informarvi che i dividendi delle azioni dal n. 1 al n. 400 vennero regolarmente pagati dal 1971 al 1980 a nome di certo Heinicke. Quando l’azienda venne riorganizzata nel 1980 le azioni vennero rivendute (così pare, perché prima della riorganizzazione avvenne una transazione che dai resoconti non risulta ben chiara), vennero rivendute, dunque, all’Assicurazione Cosmopolita, che ne è tuttora proprietaria. Riguardo al pacchetto azionario più piccolo, rimase, come avete detto voi, di proprietà di Belle Gentry fino al 1972, quando venne ceduto alla Corporazione Siena, che lo suddivise tra diversi acquirenti. Potremmo, se lo desiderate, rintracciare la destinazione di queste azioni, ma occorrerà parecchio tempo.

Sempre a vostra disposizione, gradite ecc.ecc.


Telefonai subito a Reuther per ringraziarlo e dirgli che non mi occorreva altro. Ora avevo la certezza che la cessione fatta a Ricky non aveva mai avuto effetto, e si confermarono i miei sospetti che in tutta la faccenda avesse avuto una parte di primo piano lo zampino di Belle. Le persone di cui parlava Reuther nella lettera erano certo dei prestanome. Ero sicuro che Belle aveva progettato fin dal principio di ingannare anche Miles oltre che me. Poi, dopo la morte del marito, doveva essersi trovata a corto di contanti e aveva venduto il pacchetto più piccolo. Ma non mi importava quello che era successo delle azioni dopo che erano uscite dalle mani di Belle. M’ero dimenticato di dire a Reuther che facesse ricerche anche sul pacchetto azionario di Miles, attraverso il quale sarei potuto forse risalire finalmente a Ricky. Ma ormai era venerdì sera, e rimandai tutto a lunedì. Adesso preferivo esaminare una seconda busta che mi aspettava e che la segretaria aveva depositato poco prima davanti a me.

Ai primi di marzo avevo scritto all’ufficio brevetti chiedendo gli originali dei brevetti di Pronto-agli-Ordini e Dino Disegnatore. Il fatto che i due brevetti fossero stati rilasciati nello stesso anno, convalidava l’impressione provata alla vista di Dino Disegnatore, e che cioè qualcuno, per non so quale misterioso fenomeno, avesse, nello stesso tempo, avuto le mie stesse idee per cederle poi alla Aladino.

L’ufficio brevetti mi aveva risposto che i brevetti scaduti erano conservati negli Archivi Nazionali situati nelle Caverne Carlsbad. Mi ero perciò affrettato a scrivere agli Archivi.

E ora, la grossa busta che mi stava davanti, aveva tutta l’aria di essere la risposta che aspettavo. Infatti era così.

Per prima cosa esaminai le copie fotostatiche dei disegni e della descrizione di Pronto-agli-Ordini, e dovetti ammettere che non assomigliavano molto a quelli del mio Servizievole Sergio. Era infatti nello stesso tempo più complicato e più semplice ma forse, se avessi continuato a occuparmi della faccenda, dopo Sergio avrei prodotto anch’io un automa similare. Dopotutto, si basava anch’esso sull’uso dei tubi Thorsen e… In quella mi cadde lo sguardo sulla firma dell’inventore, e rimasi a bocca aperta. La firma era: D. B. Davis. Dunque Belle mi aveva mentito ancora, né, pensai, c’era da stupirsi. Era una bugiarda patologica, in un certo senso irresponsabile delle sue azioni. Aveva mentito asserendo che il prototipo del Servizievole Sergio e i disegni relativi erano stati rubati; invece, erano stati ceduti a qualche altro tecnico che li aveva modificati, per poi chiedere il brevetto a mio nome. Però quei due non erano riusciti a fare il contratto con la Mannix perché non avevano potuto consegnare il prototipo desiderato. Così aveva detto Belle, e la cosa doveva rispondere a verità, in quanto collimava con le altre informazioni che avevo ottenuto.

Che Miles si fosse impadronito della mia creazione di nascosto da Belle, facendole credere che era stata rubata? Ma ormai era troppo tardi per pensarci: Miles era morto, e delle parole di Belle sapevo che conto fare. Avevo soddisfatto la mia curiosità, e avevo scoperto che, come supposto, l’inventore originale ero io. Il resto non contava più, dopo tanti anni. Il mio orgoglio professionale era salvo, e poiché avevo i pasti assicurati, che mi importava del denaro che avevo perso?

Mi accinsi quindi a esaminare le carte relative a Dino Disegnatore. I disegni erano una meraviglia, io stesso non avrei potuto fare meglio. Ammirai l’economia dei meccanismi e l’intelligente sistemazione dei circuiti per ridurre al minimo le parti mobili. Le parti mobili sono infatti come l’intestino cieco: una fonte di disturbi che è meglio eliminare appena possibile.

Si era perfino servito, per lo chassis della sua tastiera, di una tastiera per macchina per scrivere elettrica, e dal disegno avrei detto che si trattava di una IBM di serie. Questo era un particolare tutto a favore dell’intelligenza dell’inventore: non reinventare mai qualcosa che già esiste e ci si può procurare con facilità. Voltai la pagina per vedere il nome di quel ragazzo di genio.

Era D. B. Davis.

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