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Mi stavo lamentando col barista perché secondo me l’impianto dell’aria condizionata non funzionava a dovere e faceva troppo freddo, quando la voce del medico disse: — Ha dormito anche troppo, ormai basta.

Cercai di districare i piedi dalla sbarra d’ottone del bar, ma, curiosamente, non c’era sbarra ed ero sdraiato supino… Che avessero installato un nuovo genere di servizio per persone sdraiate? Curioso, non avevo nemmeno le mani! Guarda, micio, non ho mani! Pete, seduto sul mio petto, si mise a miagolare.

Ero al campo, adesso, e il sergente sgridava Ricky… ma che strana Ricky: aveva la faccia di Belle! Vieni, vieni! le diceva se vuoi prenderle! Lo sai che le azioni sono roba da grandi, e tu sei una bambina!

Mi svegliai di soprassalto, e Belle mi gridò: Lo sai che non posso aspettarti trent’anni!. Io cercai di alzarmi, ma mentre stavo per prendere la valigia che avevo messo sotto al letto, Belle scomparve. Feci per correre, ma non potevo, senza piedi… c’era una foresta in fiamme in cima alla montagna, e il sergente gridava: Svegliati… Svegliati… Svegliati…

Mi svegliai e mi riaddormentai parecchie volte prima di rendermi pienamente conto di dov’ero. Quando fui completamente desto vidi che mi trovavo in un letto di ospedale e che stavo bene, a parte un senso di leggerezza alla testa, come avviene dopo un bagno turco.

Nessuno però mi parlava, per quante domande facessi, e continuavano a massaggiarmi e rimpinzarmi di cibo e medicine.

Poi, una mattina in cui mi parve di sentirmi perfettamente a posto, decisi di alzarmi. A parte un lieve senso di vertigine, tutto era a posto. Ricordavo chi ero, dov’ero, e perché mi trovavo lì, e sapevo che tutte le altre storie di Belle e del sergente erano stati soltanto sogni.

Sapevo anche chi mi aveva mandato lì. Se Belle, mentre ero ancora sotto l’effetto della droga, mi aveva ordinato di non serbarle rancore e di dimenticare i suoi tiri birboni, o i suoi ordini non avevano resistito trent’anni, o il sonno freddo li aveva distrutti. Ero incerto su alcuni particolari, ma non mi sfuggiva il fatto che mi avevano ingannato e messo in condizione di non potermi vendicare.

A dire il vero, non provavo più tanta collera nei loro riguardi. Sì, tutto era avvenuto ieri, giacché l’ieri era il giorno antecedente a quello in cui mi ero svegliato del tutto dal Lungo Sonno, ma non bisogna dimenticare che quel sonno era durato trent’anni!

È una sensazione impossibile a definirsi, dal momento che è soggettiva, ma mentre ricordavo benissimo quanto era accaduto ieri, le mie sensazioni e i miei sentimenti al riguardo erano pacati, distaccati come quelli relativi ad eventi lontani. Non avevo rinunciato all’idea di ritrovare Miles e Belle e farne polpette, ma c’era tempo… ora desideravo di più vedere com’era il mondo nell’anno 2000.

Ma a proposito di polpette, che gli piacevano tanto, dov’era Pete? Mi stavo decidendo a chiamare qualcuno per chiedere di lui, quando mi ricordai d’improvviso che i miei progetti nei suoi riguardi erano andati in fumo a causa dell’intervento di Belle. Perciò tolsi la pratica Miles-Belle dal cestino delle in sospeso per metterla in quello delle urgentissime. Quei due furfanti avevano fatto peggio che uccidere il povero Pete, l’avevano reso pazzo di dolore e di spavento abbandonandolo poi a se stesso… Nel frattempo sarebbe morto lo stesso, erano passati trent’anni e Pete ne aveva già nove nel 1970, ma chissà com’erano stati desolati e amari i suoi ultimi giorni, solo, affamato, derelitto! Quei due me l’avrebbero pagata cara!

Mi riscossi. Ero in piedi accanto al letto, col solo pigiama addosso, aggrappato alla spalliera per reggermi meglio.

Mi guardai intorno e potei constatare che le camere di ospedale non erano molto cambiate, negli ultimi trent’anni. Non c’erano finestre, né riuscivo a vedere la sorgente della luce che inondava la stanza, il letto era alto e stretto, come sempre negli ospedali, in più era snodato e aveva incorporato un tavolino e alcuni aggeggi a uso dei medici. Su un lato del tavolino c’erano alcuni pulsanti, ne premetti uno, e sul tavolino comparve una scritta luminosa: Un momento, prego.

Dopo pochi istanti la porta scivolò lentamente nella parete per lasciare entrare un’infermiera. A parte i capelli rosa viola, nemmeno le infermiere erano cambiate molto dal 1970. Questa aveva la solita aria linda a precisa delle infermiere di tutto il mondo, e se anche l’uniforme era di un taglio per me insolito, chiunque, in qualunque epoca, avrebbe capito chi era.

— Tornate immediatamente a letto — ordinò in tono perentorio.

— Vorrei sapere dove sono i miei vestiti.

— Vi ho detto di rimettervi subito a letto! — ribatté l’infermiera.

— Sentite, infermiera — le dissi, cercando di essere ragionevole — sono un libero cittadino, maggiorenne e incensurato. Non potete obbligarmi a tornare in quel letto se non ne ho l’intenzione. E adesso volete dirmi dove sono i miei vestiti, o devo mettermi a cercarli io?

Lei mi guardò fisso, poi si voltò di scatto e varcò la soglia. La porta scivolò lentamente al posto di prima.

Stavo pensando di scoprire in qualche modo il congegno che ne comandava l’apertura e la chiusura, quando la parete si aprì nuovamente per lasciar entrare un uomo.

— Buongiorno — disse il nuovo venuto. — Sono il dottor Albrecht.

Indossava un vestito che io avrei giudicato chiassoso anche a carnevale, ma i suoi modi sicuri e gli occhi stanchi mi convinsero che non mentiva. — Buongiorno, dottore — gli risposi. — Vorrei i miei vestiti.

Prima di rispondere, il medico varcò la soglia in modo che la porta si chiudesse dietro di lui, poi cercò in tasca le sigarette, e solo dopo averne accesa una e avermene offerta un’altra, che rifiutai, cominciò: — Sono specialista in ipnologia, resurrezione, e cose del genere. Mi trovo qui da sei anni, ma ho lavorato anche in altri ricoveri, e in complesso ho aiutato ottomilasettantatré pazienti a tornare dall’ipotermia alla vita normale: voi siete il numero ottomilasettantaquattro. Li ho visti fare le cose più strane al risveglio, strane per un profano, naturalmente, non per un medico. Li ho visti piangere e gridare che volevano continuare a dormire, li ho visti perfino tentare di uccidersi per la disperazione di non poter tornare indietro, e ne ho visti anche chiedere per prima cosa gli abiti per poter uscire alla svelta, come voi.

— Cosa c’è di strano? Non sarò prigioniero, spero.

— No, e vi daremo gli abiti. Li troverete di taglio antiquato, penso, ma questo è affar vostro. Ma mentre ve li mando a prendere, non potreste dirmi il motivo di tanta urgenza… dopo aver aspettato trent’anni?

Stavo per ribattere che avevo una premura infernale, ma capii che ci facevo la figura dello sciocco. Perciò balbettai: — No, forse non è tanto urgente.

— E allora fatemi il favore di tornare un momento a letto in modo che possa farvi una bella visita, poi farete colazione. E dopo magari scambieremo quattro chiacchiere, prima che vi precipitiate fuori. Chissà, forse potrei dirvi anche qualcosa d’interessante!

— Eh, già… sì, scusate, dottore. Mi spiace di essere stato tanto insistente — e così dicendo tornai ad arrampicarmi sul letto. Una volta coricato notai che stavo molto meglio.

— Non spaventatevi! — disse il medico notando la mia espressione preoccupata. — Dovreste vedere in che condizioni si svegliano certi. — Mi spianò le coperte attorno alle spalle, poi si chinò sul tavolino girevole e, dopo aver premuto un pulsante, disse: — Qui il dottor Albrecht, stanza diciassette. Portate una colazione tipo quattro.

Quindi si rivolse a me con un sorriso: — In attesa della colazione potrei darvi un’occhiata. Toglietevi la giacca del pigiama.

Quando ebbi obbedito, si chinò su di me a picchiettarmi e auscultarmi. Non usava stetoscopio, perciò pensai che avesse un apparecchio simile inserito nell’orecchio. Dopo avermi esaminato a lungo, si rialzò per dire: — Dimenticavo che la signora Schultz ha cercato già un paio di volte di mettersi in comunicazione con voi.

— Chi?

— La signora Schultz. Non la conoscete? Ha detto di essere una vostra vecchia amica.

Io ci pensai a lungo, poi scossi la testa. — L’unica signora Schultz che riesco a ricordare è la mia vecchia maestra di quarta elementare. Ma non credo che sia ancora viva.

— Non si può mai sapere — obiettò il medico. — Potrebbe essersi sottoposta anche lei al Lungo Sonno. Comunque, quando vorrete, potrete mettervi in comunicazione con lei. Appena avrete mangiato vi firmerò il permesso di uscita. Tuttavia, se avete buonsenso, resterete qui ancora qualche giorno per orientarvi… Ma ecco la colazione. Ci vedremo fra poco.

Stavo per protestare e trattenere il medico, quando l’inserviente, entrato con la colazione, attirò la mia attenzione facendomi momentaneamente dimenticare tutto il resto.

Avanzò dritto e sicuro, sistemò il tavolino davanti a me, dispose i piatti, poi mi chiese: — Devo versarvi io il caffè?

— Sì — risposi, e non tanto perché ci tenessi a risparmiarmi la fatica di versare il caffè, quanto perché così potevo avere modo di esaminarlo ancora per un poco, perché l’inserviente che mi stava davanti era il mio Servizievole Sergio!

No, non si trattava dell’ingombrante e mostruoso prototipo che Miles e Belle mi avevano rubato. Sotto questo punto di vista l’inserviente automatico somigliava a Sergio come una turbospider somiglia alle prime automobili, ma un padre riconosce le proprie creature, e nonostante le migliorie e la necessaria evoluzione avevo la certezza che quello che mi stava davanti era un nipote del mio Sergio.

— Desiderate altro?

— Aspetta un momento.

Evidentemente avevo detto una cosa cui esso non era preparato a rispondere perché frugò in un piccolo scomparto che aveva sul petto e trattone un biglietto di plastica legato a una catenella, me lo porse.

Lo guardai e vidi che recava stampate le seguente istruzioni:


Codice verbale: Pronto-agli-ordini-Modello XVII-a.

Importante: Questo automa-servitore non capisce il linguaggio umano, in quanto, essendo puramente una macchina, non ha intelligenza. Ma, per comodità delle persone cui è al servizio, è stato costruito in maniera da poter rispondere a una serie di ordini espressi a voce. Ignora pertanto qualsiasi altra cosa possa essere detta in sua presenza, e se gli vengono espresse direttamente delle richieste cui non è in grado di rispondere vi mostrerà il presente foglio di istruzioni, che vi preghiamo di leggere con la massima attenzione. Grazie.

Soc. Aladino per la Fabbricazione di Apparecchiature Automatiche. Creatrice di Pronto-agli-Ordini — Dino Disegnatore, Pollice Verde e Berta Bambina. Ai vostri ordini.


Il motto che dava il nome all’automa era scritto sopra il marchio di fabbrica che rappresentava Aladino intento a strofinare la lampada da cui usciva il Genio.

Sotto, c’era l’elenco degli ordini: Fermati-Vai-Vieni-Sì-No-Più adagio-Più in fretta-Chiama un’infermiera, ecc, cui ne seguivano altri, di tenore sanitario quali l’ordine di massaggiare la schiena o di sprimacciare il guanciale.

Il mio vecchio Sergio non rispondeva a ordini espressi verbalmente, ma solo in seguito alla pressione di determinati pulsanti, e non perché non avessi pensato al primo e più comodo sistema, ma perché l’analizzatore e il centralino telefonico occorrenti sarebbero venuti a pesare e a costare troppo. Evidentemente, nei trent’anni in cui avevo dormito, la meccanica aveva fatto progressi notevoli, perché questo automa non era né mostruoso, né ingombrante. Avrei avuto molte cose da imparare, appena fossi uscito, ma non nutrivo rimpianti. Ogni cosa a suo tempo! era il motto del mio vecchio professore di meccanica applicata. Quando il tempo è maturo per la ferrovia, allora si inventano le locomotive, non prima, altrimenti si finisce come il povero professore Langley che morì di crepacuore perché nessuno prese sul serio la sua macchina volante, creata qualche anno prima che i tempi fossero maturi per il volo, o come il grande Leonardo da Vinci, che anticipò talmente i tempi che quasi tutte le sue brillantissime concezioni risultarono irrealizzabili. Sì, mi sarei divertito nel 2000!

Restituii all’automa il biglietto, e poi scesi dal letto per andare a leggere la piastrina che aveva sulla schiena. M’aspettavo, quasi quasi, di leggere Soc. Domestica Perfetta, e pensai che forse la Aladino doveva essere una sua discendente… e chissà che non fosse affiliata alla Mannix! I dati incisi mi rivelarono il numero della serie e del modello, e l’elenco dei brevetti da cui la Società era protetta. Erano molti, una quarantina circa, e io corsi ai più vecchi, interessatissimo a vedere se il primo portava la data del 1970. Afferrai matita e taccuino che erano sul tavolo e mi affrettai a trascrivere i numeri dei brevetti, spinto tuttavia da un interesse fine a se stesso, in quanto anche se il primo dei brevetti fosse risultato del 1970 e rubato a me, ormai non sarebbe stato più di mia proprietà dal 1987, a meno che nel frattempo non fossero mutate le leggi in proposito.

Una luce si accese sull’automa che annunciò: — Mi chiamano. Posso andare?

— Eh? Certo. Vai!

— Grazie, arrivederci.

— Grazie a te.

— Non c’è di che.

Chiunque avesse inciso la risposta aveva una bella voce baritonale.

Tornai a letto e feci colazione, senza badare tuttavia a quello che mangiavo perché avevo notato che insieme al cibo mi avevano mandato anche un giornale. Era una copia del Times della grande Los Angeles, in data 13 dicembre 2000.

I giornali non erano mutati molto, almeno nel formato, però la carta era patinata e le illustrazioni tutte a colori, e alcune anche a tre dimensioni, perfette anche senza l’uso di occhiali colorati o lenti speciali come bisognava usare per le immagini tridimensionali ai tempi della mia gioventù.

Pronto-agli-Ordini aveva sistemato il giornale su un leggio dove pareva fissato da invisibili chiodi. Quando ebbi guardato la prima pagina, feci distrattamente per voltare i fogli, senza però riuscirci. Pareva che le pagine fossero tutte incollate insieme. Solo quando, a furia di provare, tastai per caso il lembo inferiore destro del foglio questo parve accartocciarsi, sbiadire e svanire, per non so qual fenomeno. Così accadde per tutte le altre pagine. Più della metà degli articoli mi erano noti. L’oroscopo del giorno. Il sindaco inaugura una nuova opera pubblica. La libertà di stampa minacciata. Il caldo fuori stagione minaccia gli sport invernali. Il Pakistan ammonisce l’India a non… E così via, fino alla noia. Altre notizie, diverse da quelle che avrei potuto trovare con poche varianti nei giornali di trenta anni prima, si spiegavano da sole nei titoli: Il razzo lunare sospeso fino a nuovo ordine — La Stazione Spaziale 24 ore ha avuto due forature: non si lamentano vittime — Le madri adottive si organizzano esigendo un aumento dei salari — Le richieste delle dilettanti verranno ritenute illegali — Un piantatore del Mississippi accusato in base alla legge anti-zombie, ma l’accusato si difende dicendo: I ragazzi non sono stati drogati, sono idioti per natura.

Capivo benissimo, per esperienza, il significato di queste notizie. Ma ce n’erano altre il cui senso mi sfuggiva del tutto. Per esempio: cos’erano i wogglies che si estendevano in altre città francesi? Un’epidemia, un partito politico? E chi lo sa! Certo è che le città sarebbero state polverizzate per ordine del re… Il re di Francia! Mah! Con la politica francese non bisognava mai stupirsi.

Stavo per chiudere, o meglio per smettere di leggere il giornale, quando notai alcune rubriche che mi riportarono indietro negli anni, tanto erano identiche a quelle che si pubblicavano nel ’70. Si trattava dei necrologi, delle partecipazioni di nascita, di matrimonio, di fidanzamento, di divorzio… e anche, come vidi, di resurrezione, ciascuna raggruppata per Ricovero. Guardai nell’elenco del Ricovero Satwell e trovai anche il mio nome. Ma quello che m’interessò più di tutto fu una inserzione pubblicitaria grazie alla quale potei scoprire che la Domestica Perfetta esisteva ancora, col marchio di fabbrica, una donnina munita di scopa, che io stesso avevo disegnato più di trent’anni prima. Mi consolai pensando alle azioni della Società. Se quella sera del 1970 le avessi avute con me quei due mascalzoni se ne sarebbero impossessati, così invece erano finite in mano a Ricky, e se Ricky adesso era ricca, io ne ero felice. Presi mentalmente nota di cercarla al più presto, dato che era l’unica persona cara che mi fosse rimasta al mondo. Cara Ricky! Se allora avesse avuto dieci anni di più, io non mi sarei nemmeno sognato di guardare Belle, e non mi sarei scottato a quel modo!

Quanti anni avrebbe avuto, adesso? Vediamo un po’… quaranta. No, quarantuno. Non riuscivo a immaginarmi Ricky quarantunenne, anche se coi progressi che aveva certamente fatto la medicina negli ultimi trent’anni ormai fra una ventenne e una quarantenne sarebbe stato difficile scoprire quale fosse la più vecchia.

Se era ricca, mi avrebbe offerto da bere, e avremmo brindato alla memoria del nostro amato Pete. E se invece, per un motivo qualsiasi, fosse stata povera… ebbene l’avrei sposata! Sissignori, l’avrei proprio fatto. Che importa se aveva quasi undici anni più di me? Dopo trent’anni di sonno io avrei certo avuto bisogno della guida di una persona più matura ed esperta di me. E della serietà di Ricky non potevo dubitare, ricordando con quanto impegno avesse diretto le cose di Miles, a soli dieci anni. Il ricordo di Ricky mi riempì il cuore di calore, e non mi sentii più tanto solo e sperduto.

Ma subito dopo una voce mi disse, nel profondo del cuore: Ehi, stupido, credi che una ragazza gentile e carina come Ricky stia aspettando proprio te? Sarà già sposata da vent’anni almeno, e avrà quattro o cinque figli… e certo un marito al quale non è detto che vada a genio il vecchio zio Dan redivivo. Con questo pensiero amaro mi appisolai, e sognai che Ricky mi teneva fra le braccia e mi diceva: Va tutto bene, Dan, ho trovato Pete e staremo sempre insieme noi tre. Vero, Pete?.

Miao!

Durante la giornata mi feci portare dei sommari di storia, per aggiornarmi con gli avvenimenti degli ultimi trent’anni. Seppi così che l’Asia era riunita sotto il nome di Grande Repubblica Asiatica, e tentava di soffiarci le esportazioni in Sudamerica. Non fui sorpreso nell’apprendere che l’India era più balcanizzata che mai, mentre restai per un momento a bocca aperta scoprendo che l’Inghilterra era diventata una provincia del Canada. Fui lieto di non aver vissuto le giornate del Grande Panico per il crollo dei titoli in borsa dell’87, e mi interessò sapere che l’oro non era più il metallo base per gli scambi fra i popoli (anche se, a causa di questo mutamento, molti avevano perso anche la camicia), e che veniva usato con successo in molti campi della meccanica. A questo proposito, smisi per un po’ di leggere e fantasticai sui magnifici lavoretti che si potevano effettivamente fare con l’oro grazie alla sua alta densità, e all’estrema duttilità; adesso che costava poco… Ma smisi subito di pensare quando mi resi conto che, prima di tutto, dovevo aggiornarmi con la letteratura tecnica. Certamente, Pronto-agli-Ordini doveva avere la testa farcita d’oro.

Al Ricovero Satwell non c’era una biblioteca fornita di trattati di meccanica, così feci sapere al dottor Albrecht che avevo intenzione di uscire al più presto. Lui venne da me per dirmi, con un’alzata di spalle, che potevo, sì, uscire subito, ma che se lo facevo ero un idiota… Acconsentissi almeno ad aspettare il giorno dopo. Lo accontentai, se non altro perché mi sentivo stanco e frastornato.

La mattina seguente, subito dopo colazione, mi portarono degli abiti di taglio moderno… e dovetti farmi aiutare a vestirmi! Non ero tanto disgustato dai pantaloni color ciliegia tagliati a campana, quanto impacciato dai nuovi sistemi di chiusura. Certo mio nonno ai suoi tempi si sarebbe trovato nelle mie stesse condizioni davanti a una cerniera lampo, se non gli avessero spiegato come funzionava. Così io dovetti farmi aiutare, come un bambino piccolo, prima di capire che le chiusure a cucitura Sticktite erano assialmente polarizzate e funzionavano a pressione.

Quando finalmente fui pronto, il dottor Albrecht mi chiese: — Potreste dirmi che cosa avete intenzione di fare?

— Io? Prima di tutto voglio procurarmi una carta della città, poi voglio trovare un posto dove poter dormire, e infine, per un bel po’, non voglio far altro che leggere per aggiornarmi in campo meccanico. Dottore, sono un ingegnere, e la tecnica che io conosco è sorpassata.

— Capisco. Allora buona fortuna, e venite da me se avete bisogno di qualche cosa.

— Grazie, dottore — risposi tendendogli la mano — siete stato molto gentile, e non mi dimenticherò di voi.

Lui ricambiò la stretta, poi disse: — Arrivederci, e sappiate che se fuori vi sentirete troppo spaesato, nel vostro contratto sono compresi quattro giorni interi detti di ricupero e di orientamento, senza aggiunte extra. Potete quindi tornare qui quando volete.

— Grazie ancora — dissi, sorridendo — ma potete scommettere che non usufruirò di questa facilitazione.

Prima di uscire passai dalla direzione, dove la segretaria mi porse una busta e mi disse che la signora Schultz aveva telefonato di nuovo per cercare di me. Io non l’avevo ancora chiamata perché non sapevo chi fosse, e la direzione del Ricovero non permetteva visite e telefonate per i clienti risorti, a meno che non lo desiderassero espressamente. Misi la busta in tasca, mentre la segretaria mi diceva che avrei dovuto passare dal tesoriere che aveva bisogno di parlarmi. Dal momento che anch’io avrei scambiato volentieri qualche parola con lui sull’argomento quattrini, ci andai subito, chiedendomi quanto possedessi e dicendomi quanto buon senso avevo dimostrato nel cambiare il mio contante in azioni, piuttosto che metterlo su un libretto, perché così, se anche nel crollo dell’87 le azioni erano scese di parecchio, ora avevano certo fatto in tempo a riprendersi, dato che avevo scelto titoli industriali sicuri. La lettura della rubrica finanziaria del Times mi autorizzava, del resto, ad avere fiducia.

Il tesoriere, un uomo asciutto e dall’aria capace, mi strinse frettolosamente la mano, dicendo: — Piacere di conoscervi, signor Davis. Io mi chiamo Doughty. Sedetevi, prego.

— Non voglio rubarvi troppo tempo, signor Doughty — dissi io, mettendomi a sedere. — Ditemi solo una cosa: la mia Compagnia di Assicurazioni ha trattato attraverso i vostri uffici gli affari che mi riguardano, o devo andare da loro?

— Abbiate un momento di pazienza, perché devo spiegarvi alcune cose.

Il suo assistente, un altro esemplare aggiornato del mio vecchio Sergio, gli porse un fascio di carte, e Doughty spiegò: — Questo è l’originale del vostro contratto. Volete dargli un’occhiata?

Afferrai avidamente i fogli, desideroso di esaminarli a fondo, nel timore che Belle mi avesse giocato qualche brutto scherzo. Perciò tirai un sospiro di sollievo nel constatare che tutto era come ricordavo, salvo, naturalmente, il pacchetto azionario della Domestica Perfetta, di cui avevo disposto dopo gli accordi con la Società Assicuratrice, il contratto con la Società Assicuratrice e il contratto per il Lungo Sonno di Pete. Esaminai con la massima attenzione i punti in cui quella deliziosa donnina aveva alterato la scritta Compagnia Mutua Assicurazioni in Compagnia Madre Assicurazioni, e dovetti ammettere che, nel suo campo, Belle era stata una vera artista. Certo un esperto di criminologia scientifica, munito di microscopio e di reagenti chimici, avrebbe potuto scoprire che tutti quei documenti erano stati alterati, ma un profano non ci sarebbe riuscito certamente.

In quel mentre, sentii che il signor Doughty si schiariva la voce, e alzai gli occhi su di lui. — Avete qui il mio deposito? — gli chiesi.

— Sì.

— Allora ditemi senza preamboli a quanto ammonta.

— Ecco, signor Davis, prima di addentrarci nell’argomento che vi interessa vorrei attirare la vostra attenzione su un documento aggiunto e su una specifica circostanza. Questo è il contratto stipulato fra il Ricovero e la Compagnia Madre di Assicurazioni per la vostra ipotermia, custodia e revivificazione, e potete constatare che la retta è stata interamente pagata in anticipo, ma quanto all’amministrazione del vostro patrimonio, è tutta un’altra cosa. Il contratto di custodia con cui la Società Assicuratrice ci affida i suoi clienti non ha niente a che fare con l’amministrazione dei loro beni, cui provvede la Società stessa, che poi passa a noi i documenti e i certificati, al risveglio del cliente.

— Insomma, signor Doughty, non capisco… Dove volete arrivare?

— Avete altri beni, oltre quelli affidati alla Compagnia Madre?

Ci pensai: una volta avevo un’automobile, ma Dio solo sapeva cosa ne era stato. Quanto al resto, qualche abito, parecchi libri, un paio di regoli e un tavolo da disegno, erano stati tutto il mio patrimonio.

— Niente, signor Doughty — dichiarai alla fine.

— E allora mi duole dirvi che non disponete di un soldo.

Dovetti afferrarmi al tavolo per reggermi. — Cosa volete dire? — balbettai. — Avevo incaricato, com’è scritto nel contratto, di cambiare il mio denaro liquido in titoli industriali di cui ho potuto constatare la validità nel listino di borsa del giornale di ieri!

— Mi spiace, signor Davis — ribatté lui — ma sta di fatto che l’Assicurazione Madre è fallita.

Fui contento che mi avesse invitato a sedere perché altrimenti le gambe non mi avrebbero retto.

— Cos’è successo? — domandai. — Il Grande Panico?

— No, no, il suo fallimento è stato una conseguenza di quello del Gruppo Mannix… ma naturalmente voi non potete essere al corrente dell’accaduto. L’Assicuratrice era più che altro una Società prestanome, e serviva a coprire alcune transazioni clandestine della Mannix. Quando si scoprì tutto questo era troppo tardi, altrimenti si sarebbe forse potuto salvare qualcosa. Se questo può esservi di consolazione, sappiate che, con le nuove leggi, una cosa simile non avrebbe potuto succedere.

No, non era affatto una consolazione. E inoltre non ci credevo. Mio padre sosteneva sempre che più una legge è complicata più gli imbroglioni riescono a violarla.

— Sentite — chiesi per curiosità — volete dirmi se la Compagnia Mutua Assicurazioni si è salvata?

— La Mutua? Certo. È una ditta seria e solida. Non dico che abbia passato dei bei momenti durante il Grande Panico, ma se l’è cavata. Avete forse qualche polizza con loro?

— No — mi limitai a rispondere. Mi sembrava inutile ogni spiegazione. Il contratto con la Mutua non era mai stato valido, perché non mi ero mai potuto recare dal medico, quel famoso giorno. Belle se ne era servita per falsificarlo e intestare i fogli all’Assicurazione Madre, e ormai non avrei potuto più far altro che tentare di perseguire per via legale Belle e Miles, posto che fossero ancora vivi. Ma che cosa ci avrei guadagnato? E poi, come già una volta trent’anni prima, non avevo prove.

D’un tratto mi ricordai che, appunto quando mi avevano defenestrato, Miles e Belle avevano ventilato il progetto di fare della Domestica Perfetta una affiliata della Mannix, perciò chiesi: — Scusate, signor Doughty, voi mi avete detto che la Mannix è fallita, e così pure le sue affiliate. Siete sicurp che la Domestica Perfetta non si sia salvata?

— La Domestica Perfetta? Quell’azienda che produce elettrodomestici automatici specializzati?

— Sì.

— Mi pare impossibile quello che dite, perché l’impero Mannix non esiste più da anni. Evidentemente sbagliate, credendo che la Domestica Perfetta sia stata un’emanazione del gruppo Mannix, a meno che qualcuno non abbia rilevato, in seguito, la ragione sociale.

Lasciai cadere l’argomento. Se Miles e Belle erano stati trovolti nel fallimento del gruppo Mannix tanto meglio, ma questo significava anche la rovina di Ricky, e mi dispiaceva enormemente.

— Vi ringrazio — dissi, alzandomi. — Vedrò di arrangiarmi come posso, signor Doughty.

— Credete pure, signor Davis, che noi del Ricovero ci sentiamo responsabili nei riguardi delle persone che ci sono affidate, e poiché il vostro è il primo caso in cui un cliente viene a trovarsi in condizioni… spiacevoli, ebbene vi rendo noto che la Direzione ha stanziato una piccola somma da mettervi a disposizione per…

— Vi ringrazio, signor Doughty — tagliai corto — ma non accetto la carità di nessuno.

— Non si tratta di carità, ma di un prestito, se preferite, e noi saremo molto più tranquilli se non ve ne andate di qui con le tasche vuote.

Ci pensai su. Non avevo in tasca neanche quel tanto che occorreva per tagliarmi i capelli, d’altra parte accettare un prestito è come cercare di nuotare con un mattone in ciascuna mano… ed è più difficile restituire una piccola somma che un milione. — Signor Doughty — dissi dopo una lunga meditazione — il dottor Albrecht mi ha detto che avrei diritto ad altri quattro giorni di permanenza gratis qui.

— Sì, credo che si tratti di quattro giorni, sebbene il periodo vari a secondo dei contratti.

— Ora ditemi, qual è la retta giornaliera qui al Ricovero per una stanza come quella che occupavo io?

— Non posso dirvelo esattamente. Questo non è un ospedale con retta quotidiana, ma teniamo delle camere a disposizione dei clienti, dopo il risveglio. Comunque credo che cento dollari al giorno siano la cifra esatta.

— E siccome io ho diritto a quei quattro giorni, potreste prestarmi quattrocento dollari?

Senza rispondermi, il signor Doughty parlò in codice al suo assistente automatico, e poco dopo mi porse otto biglietti da cinquanta.

— Grazie — gli dissi di tutto cuore, mentre intascavo la somma. — Ve li restituirò appena posso, con l’interesse. Va bene il sei per cento?

Lui scosse la testa. — Non è un prestito, signor Davis, dal momento che avete chiesto questa somma in cambio dei giorni di degenza che vi spettavano.

— Ma no, non voglio…

— Vi prego di non insistere. Volete che sprechiamo tempo e denaro per le pratiche relative a un prestito così esiguo? Ero disposto a darvi molto di più.

— Allora non insisto, ma ditemi piuttosto qual è il valore d’acquisto del denaro, oggi.

— Mah, non saprei con precisione. Però a occhio e croce direi che con dieci dollari si può fare un ottimo pasto, se non andate in un locale di gran lusso.

Lo ringraziai di nuovo calorosamente, e me ne andai.

Fuori dal Ricovero, che si trovava sul Wilshire Way, c’erano delle panchine al sole. Dopo aver fatto pochi passi, mi sedetti, e aperto il Times che avevo portato con me, mi misi a leggere gli avvisi economici, alla colonna offerte di lavoro. Vinsi la tentazione di leggere l’elenco delle richieste di tecnici esperti, e cercai quelle per lavoratori inesperti al primo impiego.

Era una lista maledettamente breve, tanto breve che per poco non mi sfuggì.

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