4

Non persi completamente coscienza nemmeno per un momento. Non appena la droga mi penetrò nel sangue, provai un senso di vertigine e di capogiro, e fu tutto. Miles gridò qualcosa a Belle mentre mi afferrava per le spalle impedendomi di cadere. Il tempo di venire adagiato su una sedia, e anche il capogiro passò. Sapevo cosa mi aveva iniettato Belle: era la droga zombie, cioè il corrispondente americano del lavaggio cerebrale. Per quello che ne sapevo, la droga non era mai stata usata sui prigionieri di guerra, ma gli agenti addetti ai Servizi Segreti ne avevano fatto un uso che, se non era legale, era però stato molto efficace. La stessa droga viene usata oggi, in casi speciali e dietro permesso del tribunale competente, per psicanalizzare certi soggetti.

Dio solo sa dove Belle fosse riuscita a procurarsene una dose, e solo Dio anche sapeva quali altre corde quell’angelo avesse al suo arco. Ma momentaneamente non pensavo a questo, per il semplice fatto che non pensavo a niente. Me ne stavo seduto là sulla sedia, passivo come un vegetale, e anche se sentivo e vedevo quanto succedeva intorno a me, sarebbe potuta passare Lady Godiva che non avrei girato la testa… a meno che me l’avessero ordinato.

Pete saltò fuori dalla borsa, venne a sedersi davanti a me e mi chiese che cosa fosse successo. Siccome non gli rispondevo, cominciò a strofinarsi avanti e indietro contro le mie caviglie, ripetendo di continuo la domanda.

Dato che continuavo a non rispondere, mi balzò sulle ginocchia, mi posò le zampe anteriori sul petto e guardandomi in faccia espresse la domanda in modo perentorio. Visto che persistevo nel mio atteggiamento passivo, cominciò a gemere.

Furono i suoi gemiti ad attirare su di lui l’attenzione di Miles e di Belle.

Miles, dopo avermi deposto sulla sedia, si era rivolto a Belle e le aveva detto con asprezza: — Sei riuscita a farlo, eh? Sei impazzita?

— Non perdere la testa, Ciccino. Così potremo disfarci di lui una volta per tutte.

— Cosa? Se credi che sia disposto ad aiutarti a commettere un omicidio…

— Piantala! Per quanto non ci sia niente di meglio di un omicidio, ci rinuncio perché tu manchi del fegato necessario. Per fortuna è pieno di droga.

— Cosa vuoi dire?

— Che è completamente nelle nostre mani. Farà quello che gli diremo e non ci potrà dare fastidi di alcun genere.

— Ma, Belle… Santo cielo, non puoi mantenerlo per sempre in quelle condizioni. Appena tornerà normale…

— Smettila di parlare come un avvocato. So benissimo come agisce la droga, mentre tu non te ne intendi. Quando si riavrà, farà tutto quello che io gli avrò detto di fare. Se gli dico adesso di non perseguitarci più, non ci perseguiterà più per tutta la sua vita, in nessun modo. Se gli dico di non mettere più il naso nei nostri affari, ci lascerà in pace per sempre. Se gli dirò di andare a Timbuctu, ebbene, ci andrà.

Io seguivo il dialogo, impassibile e indifferente.

— Non ti credo — disse Miles.

— No? — Lei gli diede una strana occhiata. — Devi crederci.

— Come sarebbe a dire?

— Niente, niente… Ti assicuro che la droga funziona, Ciccino. Ma prima dobbiamo…

Fu allora che Pete cominciò a mandare i suoi lamenti. È difficile sentire un gatto gemere, difficilissimo, direi. Non gemono quando lottano fra loro, per quanto male possano farsi, ma riservano i loro gemiti e i loro lamenti solo per le occasioni più disperate, quando le circostanze sono tali per cui non riescono a trovare altra soluzione che quella.

È un suono straziante, che lacera i nervi, che confonde le idee e non può essere sopportato a lungo.

— Ammazzalo — disse Belle.

— Cosa? Tu sei sempre troppo drastica, Belle. Sai bene che Dan è capace di fare più chiasso per questa bestia che non vale un soldo che per tutto l’oro del mondo. Dunque… — e prese la borsa di Pete.

— Lo ammazzerò io — dichiarò Belle con impeto selvaggio. — Sono mesi che ho voglia di farlo — e guardandosi intorno alla ricerca di un’arma, si decise per l’attizzatoio appeso vicino al caminetto.

Mentre lei andava a prenderlo, Miles aveva sollevato Pete e cercava di infilarlo nella borsa. Cercava è la parola. Pete non ama molto essere preso da qualcuno che non sia io o Ricky. E soprattutto in quel caso ci sarebbero volute prudenza e attenzione: un gatto emotivamente turbato è pericoloso quanto il fulminato di mercurio. Ma anche se non fosse stato così sconvolto, Pete certamente non avrebbe mai permesso che lo si pigliasse per la collottola senza protestare.

Per tutte queste ragioni, appena Miles l’ebbe sollevato, Pete si rivoltò e gli piantò gli artigli nel braccio e i denti nella mano. Con un urlo Miles si affrettò a lasciarlo andare.

— Fatti in là, Ciccino! — gli gridò Belle, agitando l’attizzatoio. Le intenzioni di Belle erano chiare, e lei sarebbe riuscita nel suo intento se fosse stata esperta nella manovra della sua arma quanto lo era Pete delle proprie. Sfuggendo ai colpi, lui riuscì ad aggirarla, e le piantò gli artigli nelle gambe. Due volte per gamba. Belle strillò e lasciò cadere l’attizzatoio.

Non potei assistere al resto della scena, in quanto nessuno mi ordinò di voltarmi a guardare. Infatti, dal punto in cui ero seduto, vedevo una buona parte del soggiorno, ma nient’altro. Seguii quindi il resto della movimentata scena dai rumori, salvo due volte, quando mi passarono davanti prima due persone che inseguivano un gatto, e poi un gatto che inseguiva due persone. Per il resto, dovetti limitarmi agli schianti, agli urli, alle imprecazioni, agli strilli. Con tutto questo, sono convinto che non riuscirono mai nemmeno a sfiorarlo. Il più triste di tutto, per me, fu che mi trovavo in quelle condizioni nell’ora della gloria di Pete, quando ero impossibilitato ad apprezzare nel giusto valore ogni particolare del suo comportamento.

Finalmente tutto quel pandemonio ebbe termine, e Miles tornò nel soggiorno, seguito da Belle.

— Chi ha lasciato aperta quella maledetta porta schermata? — chiese Belle ansimando.

— Sei stata tu. E adesso smettila, perché ormai è scappato. — Miles aveva la faccia e le mani sporche di sangue. A un certo punto dell’inseguimento doveva anche essere caduto, perché aveva gli abiti sporchi di terriccio.

— Non è vero un accidente che l’ho aperta io! — protestò Belle. — Hai una pistola o un fucile in casa?

— Per far che cosa?

— Voglio sparare a quel maledetto gatto. — Belle era ridotta ancora peggio di Miles, perché aveva più zone di epidermide scoperta sulla quale Pete si era potuto sfogare. Non avrebbe portato abiti scollati per un bel pezzo, e se non si curava bene le sarebbero rimaste cicatrici qua e là. Pareva un’arpia dopo un litigio con le sue sorelle.

— Siediti — le disse Miles.

Lei fece cenno di no, poi ripeté: — Voglio ammazzare quel maledetto gatto.

— E allora non sederti. Ma va’ almeno a lavarti. Ti medicherò con la tintura di iodio, e poi tu medicherai me. E non pensare più al gatto. Ormai ce ne siamo liberati.

Belle borbottò qualcosa d’inintelligibile, che tuttavia Miles dovette capire perché disse: — Senti, se avessi un fucile, e con questo non voglio dire che ce l’abbia, e mi mettessi a sparare avremmo la polizia in casa entro dieci minuti. Ti piacerebbe, con lui qui? — Così dicendo agitò il pollice verso di me. — Del resto, se usciamo stanotte disarmati, quella bestia è capace di ucciderci. Ci dovrebbe essere una legge che proibisce di tenere simili animali. Costituiscono un pericolo. Sentilo!

Tutti potevamo benissimo sentire Pete che faceva la ronda intorno alla casa, non più lamentandosi ma emettendo alti miagolii che si sarebbero potuti definire alte grida di guerra invitanti coloro che erano in casa ad armarsi e uscire per affrontarlo.

Belle stette ad ascoltare, rabbrividendo. — Non preoccuparti, non può entrare — la consolò Miles. — Non solo ho chiuso la porta schermata che tu avevi lasciato aperta, ma ho chiuso la porta a chiave.

— Non ero stata io a lasciarla aperta, ti ho detto.

— E va bene! — concesse Miles avviandosi a controllare che tutte le finestre fossero ben chiuse. Poi tutt’e due si allontanarono, e poco dopo Pete smise di gridare. Non so quanti minuti passassero poiché non avevo la sensazione del passare del tempo.

La prima a tornare fu Belle, truccata e pettinata a puntino, con una vestaglia chiusa al collo e le maniche lunghe, e un altro paio di calze al posto di quelle che Pete aveva ridotto a brandelli. Solo i cerotti, che le ornavano qua e là la faccia e le mani, testimoniavano l’avvenuta battaglia.

Venne direttamente a piantarsi davanti a me e mi ordinò di alzarmi.

Io ubbidii, e lei mi perquisì con gesti esperti esaminando tutte le carte che riuscì a trovare. D’un tratto mi chiese: — Cosa sono queste carte, Dan? Hai contratto una polizza di assicurazione?

— No. — Avrei voluto dirle di più, ma potevo solo rispondere all’ultima domanda. Belle rimase soprappensiero un momento, poi andò a frugare nella borsa di Pete. Si ricordò dell’esistenza di una tasca laterale perché l’apri subito. Non appena ebbe trovato la quadruplice copia del contratto per il Lungo Sonno che io avevo firmato con la Mutua Assicurazioni, si lasciò cadere su una poltrona e lesse attentamente. Io rimasi dove mi aveva lasciato, come un manichino che il sarto si è dimenticato di rimettere a posto.

Poco dopo sopraggiunse Miles, in vestaglia e pantofole, e con bende e cerotti da tutte le parti. Pareva un peso medio di quart’ordine che le avesse prese di santa ragione. Belle alzò gli occhi un momento, gli fece segno di non disturbarla, e riprese la lettura. Incuriosito, Miles andò a mettersi alle sue spalle, e lesse con lei.

Quando ebbero terminato, Belle ripiegò i fogli, e dichiarò: — Questo mette le cose sotto una luce diversa.

— Guarda — le ricordò Miles — che il contratto parla di quattro dicembre, cioè domani. Se non si fa vedere lo cercheranno, e pieno di droga com’è…

— Miles, tu perdi sempre la testa, e non capisci che questo contratto ci offre la soluzione migliore che potessimo sperare.

— E cioè?

— La droga zombie ha un effetto breve, ma se tu droghi qualcuno e gli ordini di fare questo e quest’altro, ubbidirà anche dopo. Te ne intendi di ipnosi?

— Non molto.

— Ti intendi di qualcosa che non siano i cavilli legali, Ciccino? Che uomo noioso! Un ordine quale potrei dare adesso io a Dan, un ordine da eseguire dopo che l’effetto della droga è cessato, si chiama ordine postipnotico, e potrebbe trovarsi in contrasto con la volontà del soggetto. In questo caso entra in ballo lo psicanalista il quale, se è uno che sa il fatto suo, risale all’origine delle cose e libera il soggetto dalla fissazione, chiamiamola così. Poni che domani Dan si svegli, non abbia più voglia di sottoporsi al Lungo Sonno, ma in seguito a un mio ordine si senta spinto a farlo. Poni anche che vada da uno psicanalista come dicevo poco prima. Che cosa otterremmo? — E rivolgendosi a me: — Dan, hai ancora intenzione di sottoporti al Lungo Sonno?

— No.

— Lo vedi? Ho indovinato. Quindi ci conviene tenerlo sotto l’effetto della droga finché non saremo sicuri di esserci liberati di lui. — Tornò a rivolgersi a me, per ordinarmi: — Dan, voglio sapere tutto su questa storia del Lungo Sonno. Dimmi con chi hai parlato, perché ti è venuta l’idea di farlo, perché poi hai cambiato parere. Dimmi tutto.

Naturalmente obbedii. La domanda era stata esplicita, e ripetei per filo e per segno tutti gli avvenimenti della giornata, a cominciare dalla sosta nel bar. Stavo per dirle che mi ero fermato nella tabaccheria a spedire la lettera per Ricky, quando lei m’interruppe, evidentemente convinta di saperne abbastanza. — Dunque — disse — dopo aver seguito il consiglio del medico ed esserti snebbiato la mente, hai mutato parere, e hai deciso invece di venire a seccare noi due. Ebbene, Dan, ascoltami. Non è vero che non vuoi più sottoporti al Lungo Sonno. Hai capito? Tu vuoi sottoporti al Lungo Sonno. Ripeti.

— Io voglio sottopormi al Lungo Sonno. Io voglio… — mentre parlavo mi mancarono le ginocchia. Ero in piedi da quasi un’ora, immobile perché nessuno m’aveva ordinato di fare il minimo movimento, e ora i miei muscoli cominciavano a non poterne più.

— Siediti! — mi ordinò allora bruscamente Belle, e io mi lasciai cadere sulla sedia.

— Così va bene — rispose Belle rivolgendosi a Miles. — Glielo continuerò a ripetere finché sarò sicura che non se ne possa dimenticare.

Miles guardò l’ora. — Ha detto che deve andare dal medico a mezzogiorno — disse.

— C’è tutto il tempo. Ma sarà meglio che lo accompagniamo là noi, per essere sicuri che… No, maledizione!

— Cosa c’è ancora?

— C’è troppo poco tempo. Gli ho iniettato una dose da cavallo, perché volevo metterlo fuori combattimento prima che fosse lui a colpire me. Per mezzogiorno sarà tornato abbastanza in sé da ingannare chiunque… ma non un medico.

— Credo che si tratti soltanto di una visita pro forma. Non ha detto che l’hanno già sottoposto a tutti gli esami?

— Hai sentito anche tu quello che gli ha detto il medico. Controlleranno che non abbia bevuto ancora, e con un tal genere di controlli non riusciremo a cavarcela, caro mio.

— E se telefonassimo per dire che non sta bene e rimanda la visita a dopodomani?

— Taci e lasciami pensare!

Riprese il fascio delle carte che avevo portato con me, e dopo un poco uscì dalla stanza, per tornare subito con una lente da orologiaio incastrata nell’orbita. Si rimise ad esaminare le carte con la massima attenzione, attraverso la lente, e quando Miles le chiese che cosa diavolo stesse facendo, gli intimò di lasciarla in pace. Alla fine, si tolse la lente dall’orbita e dichiarò: — Grazie al cielo si debbono servire tutti delle medesime formule legali. Ciccino, dammi l’elenco telefonico per categorie.

— Cosa ti serve?

— Prendilo, su! Voglio controllare l’esatta ragione sociale di una Società.

Miles obbedì borbottando. Lei sfogliò l’elenco e quando trovò quello che cercava, disse: — Ecco: Compagnia Madre Assicurazioni di California. Ciccino, devi accompagnarmi subito in stabilimento.

— Cosa?

— Ubbidisci. Mi serve una macchina per scrivere elettrica, anzi, vammela a prendere tu, io devo fare alcune telefonate.

— Comincio a capire il tuo piano — disse Miles, ancora perplesso — ma è pazzesco, Belle, pazzesco e pericoloso.

Lei rise. — Lo dici tu… Non ti ricordi che ancora prima di unirmi a voi ti avevo detto che avevo delle conoscenze nelle alte sfere? Credi che l’affare con la Mannix saresti stato capace di condurlo in porto tu da solo?

— Ma… non so.

— Lo so io! E forse non sai neppure che la Compagnia Madre è un’affiliata della Mannix.

— Non lo sapevo, ma non capisco che cosa importi.

— Significa che le mie relazioni sono ancora utili. Vedi, Ciccino, la ditta per cui lavoravo prima di venire da voi, è stata utile più di una volta alla Mannix riguardo a dichiarazioni del reddito… finché il mio principale non fu costretto a lasciare il paese. Come puoi ben immaginare non mi sono lasciata sfuggire l’occasione, e so sulla Mannix più di quanto tu non pensi… Adesso vai, e stai attento a quel maledetto gatto.

Miles si avviò borbottando. Aveva appena aperto la porta che si voltò per dire: — Belle, Dan non aveva parcheggiato l’auto davanti a casa nostra?

— Sì, perché?

— Non c’è più.

— Allora ci saremo sbagliati. L’avrà lasciata dietro l’angolo… Non perdere tempo per cose che non hanno importanza, e spicciati a portarmi la macchina.

Dopo che Miles fu uscito, Belle mi lasciò solo. Non so quanto tempo fosse passato, ma cominciava ad albeggiare quando Miles fu di ritorno sudando sotto il carico della nostra pesante macchina per scrivere elettrica. Poi venni lasciato di nuovo solo.

Una volta, Belle venne da me per chiedermi: — Dan, leggo in questo foglio che la Compagnia di Assicurazioni amministrerà le tue azioni della Domestica Perfetta nel corso del Lungo Sonno. Invece tu vuoi che te le amministri io, vero?

Avrei potuto dirle che, dopo aver mutato idea circa il Lungo Sonno, avevo spedito le carte a Ricky, ma lei non mi aveva fatto una domanda diretta in proposito.

Perciò continuai a guardarla tacendo, finché lei, spazientita senza motivo, disse: — Ripeti: voglio dare le azioni a Belle!

— Voglio dare le azioni a Belle!

— Così va bene. E adesso dammele sul serio. Sono nella tua macchina?

— No.

— E allora dove sono, se addosso non te le ho trovate?

— Le ho spedite.

— Cosa? — strillò lei. — Quando le hai spedite? A chi? Che cosa ti è saltato in mente?

Se mi avesse posto per ultima la seconda domanda, le avrei risposto, ma ero in condizioni di rispondere solo a una domanda per volta, e solo all’ultima che mi ponevano.

— Volevo essere sicuro — balbettai — e le ho cedute.

In quella entrò Miles.

— Dove le ha cacciate? — disse, agitato.

— Dice che le ha spedite… perché voleva essere sicuro! Sarà meglio che tu frughi bene nella sua macchina, per accertarci che le abbia spedite davvero. Figurati che mi ha detto di averle cedute! — E a me: — A chi le hai cedute?

— Alla Banca d’America. — Non mi chiese perché, altrimenti le avrei detto «perché le conservi fino al giorno in cui Ricky diventerà maggiorenne».

Invece si limitò ad alzare le spalle e a sospirare: — Possiamo dare un addio alle azioni, Ciccinò! — esclamò. — Portarle via a una Banca è impossibile. Ma vai a perquisire la sua macchina, caso mai non le abbia ancora impostate.

Miles ubbidì, per tornare dopo una decina di minuti, dichiarando: — Ho girato in lungo e in largo, ma qui attorno la sua macchina non c’è. Si vede che è venuto in tassi.

— Non dire sciocchezze. L’abbiamo visto arrivare, no?

— Già… però la sua macchina non c’è lo stesso. Chiedigli quando e dove ha impostato il plico.

Belle eseguì, e io le spiegai: — Prima di venire qui, l’ho impostato in una cassetta all’angolo tra Sepulveda e Ventura Boulevard.

— Credi che menta?

— Non potrebbe nemmeno se volesse — disse Belle — e poi ha dato particolari troppo precisi. Meglio non pensarci più, Miles. Vedremo in seguito di sistemare le cose in modo che figuri di averle cedute a noi in data anteriore a oggi, così la cessione alla Banca non ha valore… Qualche sua firma su alcuni fogli in bianco ci sarà utile.

Mi mise in mano una penna e mi invitò a firmare alcuni fogli, ma nelle condizioni in cui ero la scrittura mi riusciva alterata, e Belle non fu soddisfatta della mia prestazione: — Sei un buono a nulla! — mi gridò, esasperata, strappandomi di mano l’ultimo foglio. — La tua firma sono capace di farla meglio io!

Dopo di che mi lasciarono in pace per un bel po’. Quando tornò ad avvicinarsi a me, Belle disse: — Adesso, caro Dan, ti farò un’altra piccola puntura che ti farà sentire subito meglio. Potrai alzarti e muoverti come hai sempre fatto, e non serberai rancore a nessuno, specialmente a Miles e a me, perché noi siamo i tuoi migliori amici, vero? Chi sono i tuoi migliori amici?

— Tu e Miles.

— Bene. Adesso usciremo insieme e dopo una bella gita in macchina tu farai un sonno lungo lungo. Sei stato malato, ma quando ti sveglierai sarai del tutto guarito. Capito?

— Sì.

— Ripeti.

— Sono stato malato, ma mi sveglierò guarito.

— Bravo. Adesso tira su la manica.

Non sentii entrare l’ago, ma provai un senso di bruciore quando lo tolse.

— Gesù, Belle, come brucia! Che roba era?

— Qualcosa che ti farà stare meglio. Sei stato malato.

— Già, sono stato malato. Dov’è Miles?

— Sarà qui fra poco. E adesso tira su anche l’altra manica.

— Perché? — chiesi, ma ubbidii, e lei mi praticò un’altra endovenosa.

— Non ti ho fatto molto male, vero?

— Eh? No, no… ma questa a cosa serve?

— A farti dormire durante il tragitto. Ti sveglierai quando saremo arrivati.

— Sì, sì, mi piace dormire. Voglio dormire molto a lungo… — Poi, dopo un momento, aggiunsi, guardandomi in giro: — Ma dov’è Pete?

— Pete? — fece lei con un sorriso pieno di candore. — Non ti ricordi che l’hai affidato a Ricky quando ti sei ammalato?

— Ah, già! — risposi, con un sospiro di sollievo. Mi pareva proprio di ricordare di aver spedito Pete a Ricky.

Mi portarono al Ricovero Riunito di Satwell, uno dei tanti ricoveri di cui si servivano le Compagnie di Assicurazioni secondarie che non ne avevano uno proprio, e mi svegliarono appena la macchina ci si fermò davanti. Fino a quel momento, come aveva predetto Belle, avevo dormito. Miles rimase a bordo della macchina, e fu Belle a occuparsi delle formalità.

— È qui il rappresentante dell’Assicuratrice Madre di California? — chiese alla segretaria di turno nell’atrio. — Questo è il signor Davis, e io sono sua sorella.

— Davis? — ripeté la ragazza dando un’occhiata a un mucchio di fogli accatastati davanti a lei. — Sì… va bene. Troverete il rappresentante dell’Assicuratrice Madre nella stanza nove. Cos’ha? È malato? — chiese poi indicandomi.

— Sì, poverino — rispose Belle tutta compunta. — Soffre molto e dobbiamo fargli delle iniezioni calmanti. Anche adesso è sotto l’effetto di un oppiaceo.

Nella stanza n. 9 c’erano un tale vestito normalmente, un altro in tuta e una donna con l’uniforme da infermiera. Mi aiutarono a spogliarmi trattandomi come se fossi un bambino idiota, mentre Belle spiegava anche a loro la storia della mia presunta malattia.

Dopo che mi ebbero steso sul tavolo io mi tirai su di scatto, chiedendo: — E Pete? Dov’è Pete?

Chinandosi amorevolmente su di me, Belle mi spinse giù con fermezza, dicendo: — Calmati, fratellino, non ricordi che Pete è da Ricky? Pete deve stare con Ricky. — E agli altri: — Parla di nostro fratello Pete, che non ha potuto venire perché deve stare con la sua bambina malata.

Io non parlai più. Poco dopo mi sentii sopraffare da una gran sensazione di freddo, ma non fui capace di allungare le mani alla ricerca di qualcosa con cui coprirmi. Poi non ricordo altro.

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