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Due giorni dopo, venerdì 15 dicembre, trovai lavoro. Le mie mansioni consistevano nel fracassare automobili di lusso nuove di zecca in modo che potessero essere spedite a Pittsburgh come rottami. Si trattava di Cadillac, Chrysler, Eisenhowers, Lincoln, ecc. tutte enormi, bellissime, potenti turbomobili col contachilometri ancora a zero. Io dovevo spingerle fra le mascelle di un’enorme tenaglia che le stritolava, e da dove le ritirava in condizioni pietose.

Sulle prime mi piangeva il cuore a dover rovinare tutto quel ben di Dio, ma ero una talpa (così erano chiamati i reduci del Lungo Sonno), e dovevo imparare molte cose prima di reinserirmi nella vita normale.

Il mio capo-officina, un tipo gioviale e paterno che mi aveva preso subito in simpatia, mi spiegò: — Si tratta semplicemente di questioni economiche, figliolo. Queste vetture costituiscono un eccesso di produzione che il governo ha accettato come garanzia per evitare l’aumento dei prestiti statali. Queste macchine hanno due anni e ormai sono di un modello sorpassato e non si venderebbero più, così il governo le fa distruggere e le rimanda alle acciaierie. Il minerale grezzo ad alta percentuale è scarso, perciò i rottami sono più che mai ricercati, e le acciaierie hanno bisogno di queste macchine.

— Ma perché costruirle, se è noto in anticipo che non saranno vendute? Mi sembra uno spreco di tempo e di denaro.

— Appunto, sembra. Volete che aumenti la schiera dei disoccupati? Oppure volete che il tenore di vita si abbassi?

— Non si possono esportare? Mi pare che ricaverebbero di più vendendole all’estero che non come rottami.

— Già, per farci guardare storto dal Giappone, dalla Francia, dalla Germania, dalla Grande Asia, e così via, e per rovinare il mercato estero? Cosa vorreste fare, fornire il pretesto per una guerra? — Sospirò, e riprese paterno: — Nelle ore libere andate alla biblioteca pubblica a leggere qualche libro di economia politica. Vedrete che, dopo, le cose vi appariranno sotto un altro aspetto.

Chiusi la bocca, e non insistetti, né gli dissi che passavo già tutto il mio tempo libero ad aggiornarmi.

Continuai così a maciullare automobili di lusso, e a guardarmi intorno. Già dal primo giorno avevo scoperto che, con qualche sacrificio, potevo mangiare anche con meno di dieci dollari a pasto, specialmente se mi accontentavo di cibi sintetici. Trovare un alloggio non mi era stato facile, perché Los Angeles rigurgitava di profughi e sfollati, ma finalmente mi sistemai in una catapecchia dell’estrema periferia, non lontano dalla fabbrica dove lavoravo. Los Angeles si era ingrandita immensamente nei trent’anni in cui avevo dormito, e rimpiangevo i tempi in cui lo smog, che adesso erano riusciti a eliminare, teneva lontano da quella città un sacco di gente, e faceva desiderare, a chi ci abitava, di andarsene.

Una volta trovato alloggio e lavoro, mi restava ancora da ritrovare Ricky, Miles e Belle, e, se possibile, risalire ai brevetti originali di Pronto-agli-Ordini che, ne ero assolutamente certo, discendeva in linea diretta dal mio prototipo del Servizievole Sergio. E scoprire la storia della Società Domestica Perfetta. Il tutto mentre continuavo a leggere a a studiare in modo da poter pretendere, nel minor tempo possibile, un impiego all’altezza delle mie possibilità.

Le due cose che mi colpirono maggiormente fra le tante novità piccole e grandi che avevano impressionato il mio risveglio furono due: una importante, e una frivola.

La prima era, occorre dirlo?, la Null-Grav, cioè la grande scoperta fatta qualche anno prima, e grazie alla quale era stata vinta la legge di gravità. Nel 1970 sapevo che esisteva l’Istituto Babson, in cui si compivano ricerche sull’attrazione, ma non mi sarei mai aspettato che gli esperimenti avessero esito positivo. E a rigor di logica avevo ragione, in quanto fu l’Università di Edimburgo a scoprire la teoria fondamentale su cui è basata la Null-Grav. A scuola mi avevano insegnato che la forza di gravità è qualcosa contro cui non si può fare niente, in quanto inerente all’intima struttura dello spazio.

Infatti, per vincerla, avevano mutato la struttura dello spazio… Solo temporaneamente e localmente, certo, ma era tutto quanto occorreva per trasportare un oggetto pesante. Naturalmente, bisognava restare entro l’ambito terrestre, così la Null-Grav non poteva servire per i viaggi spaziali, almeno nell’anno 2000, perché per il futuro le cose sarebbero probabilmente cambiate. Comunque, imparai che se per sollevare un oggetto occorreva ancora consumare energia onde superare il potenziale di gravità, e viceversa per abbassare un oggetto bisognava avere una carica di energia in cui immagazzinare tutti quei chilogrammetri, per trasportare invece orizzontalmente lo stesso oggetto bastava sollevarlo, sì, e poi lasciarlo fluttuare, e lui arrivava, senza energia né spinta, da Los Angeles a San Francisco o viceversa, come un pattinatore che scivola sul ghiaccio. Magnifico!

Cercai di studiare la teoria, ma cominciava dove finisce il calcolo sensoriale, perciò rinunciai.

Quanto alla frivolezza che mi aveva colpito, eccola: gli abiti delle donne. Mio nonno, nato nel 1890, sarebbe probabilmente rimasto allibito di fronte alla moda del 1970 come rimasi allibito io nel veder quello che riuscivano a fare le donne nel 2000 con la Sticktite.

Comunque, nel complesso, me la cavavo, anche se qualche volta mi trovavo spaesato, e avrei gradito un po’ di compagnia. Rimpiangevo più che mai Pete e Ricky, e anche i bei giorni in cui l’amicizia con Miles non era ancora stata guastata dall’intrusione di Belle.

Nei primi del 2001, convinto ormai di essere al corrente con la meccanica moderna, mi sentii riprendere dall’estro dell’inventore mai sopito in me. Il mondo era pieno di nipoti e pronipoti del mio Servizievole Sergio, usati in tutti i campi e con le più svariate mansioni, ma c’era ancora qualche lacuna da colmare: per esempio una segretaria per ufficio, automatica. Sì, qualcuno aveva inventato una macchina da scrivere cui bastava dettare per veder uscire le parole sul foglio, ma si trattava di un numero limitato di parole che andavano pronunciate con la massima chiarezza per non generare confusione. Io invece pensavo che con le valvole mnemoniche perfezionate, e l’oro come materiale di lavorazione meccanica, avrei potuto racchiudere in poco spazio i suoni chiave di tutte le parole più importanti di uso comune in commercio e nell’industria. Infatti chi si sognerebbe di dettare a una segretaria parole come ordalia o obnubilato? La mia Daisy Dattilografa avrebbe fatto scintille! Ma bisognava che prima facessi io un po’ di pratica: le idee brillanti non bastavano. Perciò decisi di cercare un lavoro più qualificato di quello che svolgevo attualmente. Per esempio potevo fare il disegnatore, tanto per cominciare.

Sapevo che erano in uso tavoli da disegno semiautomatici: ne avevo visto il disegno e la descrizione, anche se non avevo ancora avuto occasione di vederne uno da vicino.

Ero certo che mi sarebbero bastati pochi minuti per impararne l’uso in quanto, in linea di massima, erano stati costruiti secondo il progetto che avevo avuto in mente anch’io una volta, anche se, nel caso specifico, non potevo dire che l’idea mi era stata rubata, come era avvenuto invece nel caso del Servizievole Sergio. Qualcuno aveva avuto la mia stessa idea, ecco tutto, solo che quel qualcuno aveva avuto tempo e modo per realizzarla prima di me.

Quelli della Aladino, la stessa ditta che produceva Pronto-agli-Ordini, fabbricavano anche uno dei migliori tipi di macchine da disegno: Dino Disegnatore. Diedi fondo ai miei risparmi per acquistare un abito nuovo e una cartella di seconda mano, riempii quest’ultima di giornali, e mi presentai al reparto vendita della Aladino, chiedendo che mi dessero una dimostrazione del funzionamento della macchina, poiché volevo acquistarne una.

Ma non appena mi trovai davanti a un modello di Dino Disegnatore provai una sensazione strana e sconvolgente. Gli psicologi la chiamano già visto. Quel maledetto tavolo infatti era identico in tutti i particolari al tipo che avevo progettato io mentalmente, senza avere avuto il tempo di realizzarlo per colpa del Lungo Sonno.

Non chiedetemi cosa provassi esattamente, né perché fossi così sicuro. Sta di fatto che uno conosce il proprio stile, e un bravo progettista firma la sua opera così come fanno un pittore o un musicista.

Dino Disegnatore aveva tutte le caratteristiche della mia tecnica, così evidenti, inoltre, da turbarmi profondamente e da costringermi a pensare se la telepatia non c’entrasse per qualche cosa.

Non mi dimenticai di guardare il numero del primo brevetto e non fui affatto sorpreso nel vedere che risaliva al 1970.

Decisi lì per lì di scoprire chi aveva inventato quella macchina, pensando che potesse trattarsi di qualche mio antico professore da cui avevo ereditato lo stile, o di qualche mio compagno, nel qual caso poteva darsi che fosse ancora vivo, e allora m’avrebbe fatto piacere parlare con lui.

La voce del commesso che continuava a illustrarmi le particolarità della macchina mi distolse da questi pensieri per riportarmi alla realtà immediata. Io e Dino Disegnatore eravamo fatti l’uno per l’altro, e dopo dieci minuti da che l’avevo visto sarei stato capace di farlo funzionare a occhi chiusi, non solo, ma di spiegare come era fatto. Dopo essermi fatto dare i volantini pubblicitari, le modalità di pagamento, ecc, me ne andai promettendo che ci avrei pensato su. Il commesso ci restò male e io mi vergognai un po’ di avergli giocato quel tiro, ma nelle condizioni in cui mi trovavo non avrei potuto fare altrimenti. Dal reparto vendita mi diressi all’ufficio personale per chiedere un posto.

Sapevo che Belle e Miles non avevano più niente a che fare con la Domestica Perfetta da chissà quanti anni. Dal giorno del mio risveglio non avevo fatto che cercarli, loro due e Ricky, appena il lavoro e lo studio me ne lasciavano il tempo. Avevo così potuto scoprire che non risiedevano a Los Angeles, né in alcun’altra località degli Stati Uniti. Avevo infatti incaricato un’agenzia privata d’investigazione di fare ricerche, promettendo di pagare quattro volte la tariffa se avessero scoperto Belle, che feci ricercare sia sotto il nome di Darkin sia sotto quello di Gentry. Le ricerche furono lunghe e complesse, ma non approdarono a niente. Mi rivolsi allora alla Banca d’America, alla quale Ricky avrebbe dovuto affidare il pacchetto delle azioni, secondo quanto le avevo raccomandato nella lettera, e venni a sapere che la Banca non aveva mai ricevuto un plico del genere, in nessuna agenzia. Dunque quelle due brave persone erano riuscite a imbrogliare anche Ricky, povera piccola! Di lei seppi solo che aveva frequentato la scuola fino all’inizio del 1971, secondo quanto risultava negli archivi del Sovrintendente all’istruzione del Deserto di Mojave, e nient’altro. Dopo di allora, pareva che fosse scomparsa. Rinunciai a ulteriori ricerche, perché negli Stati Uniti ci sono milioni di scuole e di collegi, e ci sarebbe voluto troppo tempo e troppo denaro per continuare le ricerche. In mezzo a un quarto di miliardo di persone, una ragazzina scompare con la facilità di un ago in un pagliaio.

Comunque, il fallimento delle mie ricerche mi consentì di cercare un impiego presso la Domestica Perfetta con la certezza di non ritrovarmi fra i piedi né Miles né Belle. Avrei potuto, è vero, cercare lavoro in qualcun’altra delle mille aziende che si dedicavano alla fabbricazione di apparecchi automatici, ma la Domestica Perfetta e l’Aladino erano le più rinomate.

Il 5 marzo 2001 mi recai quindi all’ufficio personale della Domestica Perfetta, riempii una dozzina di formulari, e l’impeccabile impiegato (non automatico) cui li consegnai arricciò il naso nel leggere la data del mio diploma di laurea.

— Risale a oltre trent’anni fa — disse — e non vale niente, se in tutto questo tempo non vi siete tenuto al corrente.

Io gli feci notare che ero una talpa.

— Questo, caso mai, peggiora la situazione. Comunque non assumiamo persone che abbiano superato il quarantanovesimo anno di età.

— Ma io ho solo trent’anni! — protestai.

— Mi spiace, ma qui vedo che siete nato nel 1940.

— E allora che cosa dovrei fare? Spararmi?

— Se fossi in voi farei domanda per avere la pensione.

Me ne andai prima di dirgli cosa avrei fatto io se fossi stato in lui, e dopo essermi calmato con una passeggiata rientrai alla sede della società dall’ingresso principale, chiedendo del Direttore Generale.

M’ero assicurato in precedenza che si chiamava Curtis.

Riuscii a superare le prime due guardie del corpo insistendo che avevo un affare urgente da discutere con lui (la Domestica Perfetta non usava i suoi automi come impiegati, ma gente in carne e ossa) e solo quando fui nell’anticamera del grand’uomo, un tipo inflessibile volle sapere a tutti i costi di che affare si trattava.

Allora mi venne un’ispirazione. Facendo una grinta feroce, e urlando con piglio deciso, dissi: — Voglio sapere direttamente da lui che cosa vuole da mia moglie!

Un minuto dopo ero nell’ufficio del signor Curtis. Ci vollero mezz’ora e un mucchio di vecchie carte ripescate in archivio per convincerlo che la storia della moglie era uno stratagemma e che io ero il fondatore della ditta che lui ora dirigeva.

— Credevamo che foste morto — dichiarò Curtis. — In effetti così risultava dai nostri atti.

— Si tratterà d’un caso di omonimia — risposi.

Galloway, il direttore alle vendite, che era presente, intervenne in quel momento per chiedermi: — E adesso che cosa fate, signor Davis?

— Niente di interessante… Sono nel ramo automobili, ma ho intenzione di lasciarlo presto. Perché?

— Perché? Ma è chiaro! — Rivolgendosi a un altro papavero presente, il direttore tecnico Mac Bee, Galloway disse: — Hai sentito, Mac? Voi tecnici siete tutti uguali. Non valete un soldo nel ramo commerciale… Il signor Davis mi chiede: perche? Ma non capite che pubblicità potete essere per noi, signor Davis? Il Fondatore Torna dalla Tomba per Rivedere le Sue Creature. L’inventore del Primo Automa Servitore Osserva i Frutti del Suo Genio, e via di questo passo.

— No, aspettate un momento — dissi io in fretta. — Non sono né un manichino pubblicitario né una stella del cinema. Tengo alla mia intimità e sono un uomo riservato. Non sono venuto per questo… sono venuto perché mi diate un lavoro da tecnico.

Il signor Mac Bee inarcò le sopracciglia ma non fece commenti.

Seguì qualche minuto di confusione, durante i quali tutti volevano parlare. Finalmente Curtis ebbe il sopravvento, e disse: — Sentite, signor Davis, non potete negare di essere in una posizione particolarissima. Si può dire che voi non avete fondato solo questa azienda ma tutta l’industria similare. Tuttavia, come il signor Mac Bee può dimostrarvi, questa industria ha fatto passi da gigante nel periodo in cui voi eravate immerso nel Lungo Sonno. Per accontentarvi, potremmo mettervi nel ruolino paga con l’incarico di… vediamo un po’… di tecnico emerito delle ricerche.

— Che razza di roba sarebbe? — chiesi, sospettoso.

— Sono parole a cui potete dare il significato che preferite. Ma se volete il mio parere, vi consiglierei di collaborare con il signor Galloway. Noi non ci limitiamo a fabbricare gli apparecchi, dobbiamo anche venderli.

— E potrei avere la possibilità di lavorare?

— Sì — rispose Curtis dopo una breve esitazione. — Se proprio volete potremmo mettervi a disposizione un laboratorio di ricerca.

— Dunque, siamo d’accordo — saltò su Galloway tutto arzillo. — Scusatemi un momento… torno subito. Non ve ne andate, signor Davis. Voglio farvi fotografare accanto al prototipo della Domestica Perfetta.


Per tutto marzo e tutto aprile mi divertii alla Domestica Perfetta. Avevo a disposizione un’officina bene attrezzata e tutti i volumi scientifici che mi occorrevano, un Dino Disegnatore (l’azienda non produceva macchine di questo tipo, ma si serviva delle migliori in commercio), e come graditissimo accompagnamento musicale discorsi a base di termini tecnici dalla mattina alla sera.

Mi affiatai in modo particolare con Chuck Freudenberg, vicedirettore del reparto montaggio. A mio giudizio, Chuck era il migliore tecnico della ditta, anzi l’unico, in quanto gli altri, compreso Mac Bee, erano dei meccanici riveduti e corretti, con tante arie e poco sale in zucca. Quando ci conoscemmo meglio, Chuck ammise di essere del mio stesso parere, e disse: — Mac è un retrogrado. Detesta tutto quello che è veramente nuovo.

Quando gli chiesi se conosceva le origini della Società così com’era attualmente, mi spiegò che l’azienda aveva una ventina d’anni ed era stata fondata, con lo stesso nome di quella che l’aveva preceduta, da qualcuno che possedeva azioni della vecchia Società, e che si era assicurato il godimento dei brevetti che in origine io stesso avevo chiesto a nome della Ditta. — Mac Bee è stato assunto allora, credo — concluse Chuck.

Io e lui eravamo soliti trascorrere le serate davanti a un boccale di birra a discutere di argomenti tecnici, a criticare il sistema di lavoro, a elaborare progetti e idee. Sotto la sua guida amichevole comincia i a sentirmi finalmente all’altezza dei tempi, ma quando, una sera d’aprile, gli rivelai la mia idea di costruire una segretaria d’ufficio automatica, lui si fece dubbioso.

— Prima di esporre le tue idee alla ditta, pensaci bene. Da cinque anni non si cerca più niente di originale ma ci si limita a produrre su licenza altrui. Mac non ti lascerebbe passare il progetto, e prima di arrivare a Curtis devi passare attraverso l’ufficio di Mac, lo sai bene — mi disse.

Seguii il suo consiglio, e pur continuando a far progetti e a studiarci sopra, non lasciai in giro una carta. Bruciavo tutto, dopo essermene servito. Non avevo rimorsi nel farlo: mi avevano assunto come attrazione, e mi lasciavano lavorare purché non dessi loro fastidio.

La pubblicità suscitata intorno al mio nome da Galloway fruttò parecchi articoli su quotidiani e riviste, e mi procurò parecchie lettere, alcune di plauso e molte che mi promettevano le pene eterne perché con le mie invenzioni avevo voluto mettermi alla pari con il Creatore.

Ma la cosa più interessante di tutte fu una telefonata che ricevetti giovedì 3 maggio 2001.

— La signora Schultz è in linea, signor Davis. Schultz?

Al momento non ricordai, poi mi tornò alla mente la sconosciuta che mi aveva cercato al ricovero e di cui mi ero dimenticato.

— Passatemela — risposi.

— Parlo con Danny Davis?

Il telefono del mio ufficio non aveva schermo, quindi la donna non poteva vedermi.

— Sono io. E voi siete la signora Schultz?

— Oh, Danny caro, che piacere risentire la tua voce.

Poiché non rispondevo, lei proseguì: — Non mi riconosci?

Se l’avevo riconosciuta? Era Belle Gentry!

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