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Il viaggio di ritorno ad Airlee durò quasi tre giorni, anche perché Alvin, per ragioni personali, non aveva alcuna fretta di ritornarvi. L’esplorazione di Lys era passata in secondo piano di fronte alla nuova, eccitante impresa: mettersi lentamente in contatto con l’intelligenza strana della macchina che era diventata la sua indivisibile compagna.

Sospettava che il robot volesse servirsi di lui per suoi scopi particolari, cosa che sarebbe risultata una specie di giustizia poetica. Quali potessero essere questi motivi non riusciva a immaginarlo, dato che il robot si rifiutava di parlare. Il Maestro, per qualche suo particolare motivo, forse per tema che i suoi segreti venissero rivelati, doveva aver bloccato i circuiti vocali della macchina, e i tentativi di Alvin per sbloccarli non approdarono a nulla. Nemmeno con tranelli del tipo: «Se non rispondi penserò che sei d’accordo» si riusciva a prenderlo in trappola; il robot era troppo intelligente per lasciarsi ingannare da trucchi del genere.

Per tutto il resto, comunque, eseguiva qualsiasi ordine. Dopo un po’ Alvin imparò a comandarlo col solo pensiero, come faceva con le macchine di Diaspar. Era un gran passo in avanti, e un po’ alla volta la macchina, sebbene sembrasse quasi impossibile considerarla tale, si fece socievole, al punto di permettere al nuovo padrone di vedere per mezzo dei suoi tre occhi.

Al contrario, ignorava completamente l’esistenza di Hilvar; non rispondeva agli ordini e teneva la mente chiusa a ogni suo sondaggio. Dapprima, Alvin si dispiacque del fatto, poiché contava sui grandi poteri mentali di Hilvar per forzare la volontà di tacere del robot; ben presto, però, si rallegrò del vantaggio di possedere un servo che ubbidisse solo a lui.

Il membro della spedizione energicamente contrario al robot era Krif.

Forse temeva in lui un rivale, o forse diffidava, per principio, di tutto ciò che poteva volare senz’ali. Diverse volte, quando nessuno lo stava osservando, aveva assalito il robot, ma si era infuriato maggiormente perché la macchina non gli aveva minimamente badato. Finalmente Hilvar era riuscito a calmarlo, e durante il viaggio sul veicolo terrestre, Krif parve rassegnato alla situazione. Robot e insetto scortarono il mezzo di locomozione che scivolava silenziosamente attraverso foreste e campi, ciascuno tenendosi dalla parte del suo padrone e ignorando completamente il rivale.

Seranis sapeva già del loro arrivo quando la vettura giunse ad Airlee.

Impossibile, pensava Alvin, cogliere questa gente di sorpresa. La possibilità di comunicare mentalmente li teneva informati su tutto ciò che avveniva nel loro territorio. Alvin era curioso di sapere come avessero reagito alla notizia dell’avventura di Shalmirane, poiché di certo tutti ne erano già al corrente.

Seranis sembrava preoccupata e incerta, più di quando l’aveva lasciata, e Alvin ricordò la scelta che avrebbe dovuto fare. Negli avvenimenti degli ultimi giorni se n’era completamente dimenticato, e tra l’altro non avrebbe sprecato energie per pensare a problemi non immediati. Ma adesso era arrivato il momento di decidere in quale dei due mondi vivere.

Seranis cominciò a parlare un po’ a disagio, e Alvin ebbe la netta impressione che, nei piani fatti a Lys sul suo conto, qualcosa fosse andato di traverso. Cos’era accaduto durante la sua assenza? Forse degli emissari si erano recati a Diaspar per alterare i ricordi di Khedron ed erano falliti nel loro intento?

«Alvin» cominciò Seranis «ci sono molte cose che non vi ho ancora detto, ma bisogna che lo sappiate per comprendere il nostro modo di agire.

Voi conoscete una delle ragioni per cui le nostre due razze si sono chiuse nell’isolamento. Il terrore degli Invasori, questo cupo fantasma che si cela in ogni mente umana, ha fatto sì che il vostro popolo si mettesse contro il resto del mondo per rinchiudersi nei propri sogni. Qui a Lys sentiamo meno questo terrore, anche se abbiamo dovuto sopportare tutto il peso dell’attacco finale. Le nostre azioni hanno un motivo, e ciò che facciamo viene compiuto a occhi aperti.

«Tanto e tanto tempo fa, Alvin, il vostro popolo ha cercato l’immortalità e l’ha ottenuta, dimenticando che per bandire la morte, bisogna bandire anche la nascita. La possibilità di estendere la propria vita all’infinito può contentare il singolo, ma impedisce l’evoluzione della specie. Noi abbiamo preferito sacrificare la nostra immortalità, Diaspar invece non ha voluto rinunciare ai suoi falsi sogni. Ecco perché ci siamo divisi, ed ecco perchénon dobbiamo mai più incontrarci."


Per quanto si aspettasse quelle parole, l’effetto che produssero su di lui fu violento. Tuttavia Alvin si rifiutava di ammettere il fallimento di tutti i suoi piani, anche se formati appena a metà, e da quel momento solo una parte della sua mente continuò ad ascoltare ciò che Seranis stava dicendo.

Capiva e annotava ogni parola, ma la parte più attiva del suo cervello stava percorrendo la strada che portava a Diaspar, cercando di immaginare quali ostacoli avevano potuto mettere lungo il percorso.

Seranis era chiaramente triste. Aveva una voce supplicante, e non parlava solo per lui, ma anche per Hilvar. Alvin lo capiva benissimo. La donna era conscia della comprensione e dell’affetto che si era stabilito tra i due giovani in quei giorni passati insieme. Hilvar fissava la madre mentre questa parlava, e nei suoi occhi c’era uno sguardo di disapprovazione.

«Non vogliamo far nulla contro la vostra volontà, ma certo voi vi rendete conto di ciò che questo incontro significherebbe per il nostro popolo.

Tra la nostra cultura e la vostra c’è un abisso grande quanto quello che separava la Terra dalle sue colonie. Pensate solo a questo, Alvin: voi e Hilvar avete circa la stessa età. Eppure sia lui sia io saremo morti da secoli quando voi sarete appena alle soglie dell’età matura. E la vostra è solo la prima di una serie infinita di esistenze.»

La stanza era silenziosa, tanto silenziosa che vi giungevano perfino i più leggeri rumori dall’esterno.

«Cosa volete che faccia?» mormorò Alvin a voce bassissima.

«Desideravamo offrirvi l’alternativa fra restare e tornare a Diaspar, ma ora è impossibile. Sono accadute troppe cose. Nel breve tempo che siete rimasto con noi avete prodotto molti scombussolamenti. Non vi rimprovero: so che non l’avete fatto apposta. Sarebbe stato meglio, però, lasciare le creature incontrate a Shalmirane al loro destino.

«Quanto a Diaspar…» Seranis ebbe un gesto di disappunto. «Troppa gente sa dove siete andato. Non abbiamo agito in tempo e, quel che è peggio, l’uomo che vi ha aiutato a scoprire Lys è scomparso. Né il vostro Consiglio né i nostri agenti sanno scoprire dove sia, e quell’uomo costituisce un pericolo per la nostra sicurezza. Forse vi sorprenderà che io vi dica tutto questo, ma so di poterlo fare senza timore. Purtroppo una sola cosa è possibile: rimandarvi a Diaspar con ricordi falsi. Abbiamo studiato accuratamente questi ricordi. Quando sarete a casa non saprete più nulla di noi e crederete di aver avuto strane avventure in misteriose caverne sotterranee che crollavano di continuo alle vostre spalle, e che siete rimasto in vita cibandovi di muschio dal sapore sgradevole e bevendo l’acqua che sgorgava dalla roccia. Per tutto il resto della vostra vita crederete che sia questa la verità. Tutti presteranno fede ai vostri racconti. Così più nessuno, a Diaspar, si lascerà prendere dalla voglia di uscire all’esterno, poiché saranno convinti che quei po’ che si poteva esplorare è già stato conosciuto.»

Seranis fece una pausa e fissò Alvin con occhi ansiosi.

«Ci spiace che questo si renda necessario, e vi chiediamo perdono adesso, che ancora possiamo. Forse non approvate il nostro verdetto, ma noi conosciamo molte cose che voi ignorate. Se non altro, però, non avrete rimpianti, perché sarete convinto di avere scoperto tutto ciò che c’era da scoprire.»

Alvin si domandò se poteva essere vero. Dubitava di potersi riabituare alla monotona vita di Diaspar, anche se riuscivano a convincerlo che oltre le mura della città non esisteva niente d’interessante. Comunque, non aveva nessuna intenzione di fare l’esperimento.

«Quando dovrei sottopormi a questo trattamento?» chiese.

«Subito. Noi siamo pronti. Aprite la vostra mente, come avete fatto l’altra volta, e non saprete più nulla finché non vi ritroverete a Diaspar.»

Alvin restò un poco in silenzio. «Vorrei congedarmi da Hilvar» disse, calmissimo.

Seranis annuì.

«Capisco. Vi lascerò soli e tornerò appena sarete pronti.» Si avviò verso le scale che conducevano al piano terreno, e li lasciò soli sul terrazzo.

Alvin tacque a lungo prima di parlare all’amico. Si sentiva infinitamente triste e tuttavia ben deciso a non abbandonare le speranze.

Contemplò ancora una volta il villaggio in cui aveva conosciuto una nuova vita, il villaggio che forse non avrebbe mai più rivisto se coloro che si schieravano dalla parte di Seranis fossero riusciti nel loro intento. La vettura era ancora ferma sotto un albero, col paziente robot che fluttuava poco sopra. Alcuni bambini guardavano incuriositi quello strano personaggio, ma gli adulti non vi badavano nemmeno.

«Hilvar» fece Alvin bruscamente. «Sono molto addolorato.»

«Anch’io» rispose Hilvar, con voce alterata dall’emozione. «Speravo che tu potessi rimanere con noi.»

«Ti sembra giusto ciò che vuol fare Seranis?»

«Non biasimare mia madre. Fa soltanto quello che le chiedono di fare.»

La risposta era evasiva, ma Alvin non ebbe il coraggio di insistere.

«Dimmi, allora. Se cercherò di partire con tutti i miei ricordi intatti, come potrà fermarmi la tua gente?»


«Sarà presto fatto. Se cercherai di scappare, guadagneremo il controllo della tua mente e ti costringeremo a tornare indietro.»

Alvin se l’aspettava, e non si scoraggiò. Avrebbe voluto confidarsi con Hilvar, che era sinceramente sconvolto per l’imminente separazione, ma non osava mettere a repentaglio il suo piano.

Lentamente, con la massima precisione, tracciò mentalmente l’unica strada che avrebbe potuto riportarlo a Diaspar nei termini che voleva. C’era un solo rischio da affrontare, contro il quale non poteva prendere alcuna precauzione: se Seranis avesse rotto il patto e gli avesse letto nel pensiero, tutto il suo stratagemma sarebbe andato in fumo.

Tese la mano a Hilvar, che la strinse, incapace di dir parola.

«Scendiamo a raggiungere Seranis» disse Alvin. «Vorrei anche salutare qualche persona del villaggio, prima di andarmene.»

Hilvar lo seguì silenzioso, nella tranquilla frescura dell’interno, poi attraverso l’atrio e fuori sul prato che circondava la casa. Seranis li stava aspettando con aria calma e risoluta. Capiva che Alvin le nascondeva qualcosa e, come chi tende i muscoli prima di uno sforzo fisico, chiamò a raccolta tutta la sua forza mentale.

«Siete pronto, Alvin?»

«Prontissimo.» C’era una nota nella voce del giovane che la fece trasalire.

«Allora distendete i nervi e non pensate a nulla. Tra poco vi ritroverete a Diaspar.»

Alvin si avviò verso Hilvar e mormorò, in modo che Seranis non potesse udire: «Arrivederci, Hilvar. Non preoccuparti…Tornerò!». Poi fissò di nuovo Seranis.

«Non vi biasimo per quel che state cercando di fare» disse. «Voi siete certa di agire per il meglio, ma io non sono d’accordo. Diaspar e Lys non devono restare separate per sempre. Un giorno potrebbero avere un disperato bisogno l’una dell’altra. Così me ne tornerò a casa con tutto ciò che ho appreso,e voi non potrete fermarmi."

Non indugiò oltre, e fece appena in tempo. Seranis era rimasta immobile, ma lui sentiva che stava perdendo il controllo dei propri movimenti. La forza che stava tentando di annientare la volontà era più forte di quel che avrebbe immaginato. Capì che molte altre menti stavano correndo in aiuto a Seranis. Disperato, si sforzò di rientrare nella casa, e per un istante interminabile temette di doversi dare per vinto.

Poi ci fu un luccicare di acciaio e di cristalli, e due braccia di metallo si chiusero rapidamente attorno a lui. Il terreno cominciò ad allontanarsi sotto di lui. Colse la visione di Hilvar, immobile per la sorpresa e con un’espressione attonita.

Il robot lo stava trasportando, a parecchi metri dal suolo, a una velocità maggiore di quella di un uomo in corsa. Seranis comprese immediatamente quali fossero le intenzioni di Alvin, e nello stesso istante Alvin sentì cessare la pressione esercitata sulla sua mente. Ma Seranis non era ancora vinta. Alvin sentì accadere ciò che aveva temuto, e fece del suo meglio per resistere.

In lotta nel suo cervello c’erano ora due separate entità, e una delle due stava supplicando il robot di rimetterlo a terra. Alvin aspettò, senza fiato, cercando di resistere contro quelle forze che sapeva di non poter vincere.

Aveva corso il rischio; non aveva la certezza che il robot avrebbe ubbidito ai complessi ordini che gli aveva dato. Per nessun motivo, così aveva detto Alvin al robot, avrebbe dovuto obbedire a nuovi suoi ordini prima di giungere a Diaspar.

Senza esitare, la macchina correva al di sopra del sentiero che Alvin le aveva accuratamente indicato. Una parte della mente di Alvin stava ancora supplicando di essere deposto a terra, ma l’altra metà si rallegrava di essere salvo. E anche Seranis dovette comprendere che era inutile lottare, perché Alvin si sentì liberare definitivamente il cervello da ogni pressione. Ritrovò la pace, come l’antico navigatore nell’attimo in cui, legato all’albero della nave, aveva sentito il canto delle sirene morire in lontananza.

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