— Comandante? — fece Noelle. — Sono io, Noelle.
Il comandante alzò lo sguardo sorpreso. Non si aspettava quella visita. Era tardo pomeriggio, il pomeriggio dell’ultimo giorno del quinto mese di viaggio. Stava lavorando da solo nella sala di controllo, intento a esaminare una spessa pila di documenti che Zed Hesper gli aveva portato: un nuovo insieme di analisi formali su tre o quattro pianeti appena scoperti, redatte con un’abbondanza di dettagli mai vista prima e con tanto di prospettive di atterraggio.
Per la prima volta sentiva di dover prestare seria attenzione agli studi di Hesper. Entro sei mesi sarebbe scaduto il suo mandato, e lui cominciava a pensare oltre quel lungo anno, al momento in cui sarebbe tornato alla sua vera qualifica di xenobiologo. Tuttavia era impossibile applicare le sue cognizioni a bordo della Wotan. Aveva bisogno di un pianeta alieno, un pianeta su cui si era sviluppata la vita. Già conosceva i pianeti del sistema solare, non solo i pianeti più vicini alla Terra, ma anche le pallide, ostili lune dei pianeti oltre l’orbita di Marte: Titano, Giapeto, Callisto, Ganimede, Io. L’aver trovato tracce di vita su quei freddi, proibitivi pianetoidi, microorganismi extraterrestri resistenti oltre ogni immaginazione, rappresentò il momento culminante della sua carriera e l’esultanza che accompagnò la scoperta riempì di gioia il suo intero essere. Tutto cominciò nel paesaggio sulfureo di Io, e poi di nuovo su Titano, quando si chinò e raccolse quei campioni di ghiaccio macchiati d’arancio che spiccavano stranamente nella tormenta di neve d’ammoniaca e metano. Ecco perché si era dichiarato immediatamente pronto a far parte della squadra che per prima avrebbe esplorato i pianeti abitabili eventualmente scoperti. Sentiva che le sue capacità intuitive si sarebbero rivelate preziose su un pianeta ricco di forme di vita aliene e forse pericolose, e comunque dalle caratteristiche biochimiche sconosciute e imprevedibili. Tuttavia sarebbe dovuto restare a bordo per sei mesi ancora, in ogni caso, mentre altri meno esperti di lui avrebbero dovuto farsi carico di rischiose esplorazioni. Questo era l’onere del comando.
Era tempo, dunque, di cominciare a esaminare ogni pianeta da vicino per scegliere il luogo del primo atterraggio e dirigervi l’astronave nel periodo relativamente breve che mancava al termine del primo anno. In questo modo, il dado era tratto: lui avrebbe effettuato la scelta, e l’arrivo sul primo pianeta da studiare sarebbe avvenuto con perfetto tempismo, in modo da consentirgli di passare lo scettro del comando al suo successore, e partecipare direttamente all’esplorazione.
Ma, silenziosa come un fantasma, ecco spuntare Noelle nella cabina in cui stava lavorando. Sembrava più provata e decisamente meno raggiante di come l’avesse mai vista, stanca e tirata al punto da apparirgli quasi malata. Per un attimo esitò a chiederle cos’era accaduto, per paura di vederla scoppiare in lacrime.
— Io… io ho ricevuto il messaggio di ritorno di Yvonne — disse. C’era un che di timoroso, di spaventato nella sua voce. Lui si chiese se qualcosa di terribile era accaduto sulla Terra. In tal caso doveva trattarsi di un fenomeno naturale: che altro poteva accadere su quel mondo tanto sonnolento?
Lei gli porse il piccolo, trasparente cubo di memoria su cui aveva registrato l’ultimo contatto con sua sorella sulla Terra. Naturalmente il cubo non registrava le onde cerebrali: a mano a mano che Yvonne parlava nella mente di Noelle, lei ripeteva ad alta voce il messaggio in un sensore e il cubo registrava la sua voce.
Lui guardò il cubo nella sua mano aperta e le chiese: — Si sente bene, Noelle? Ha un’aria molto stanca.
Una fievole alzata di spalle: — Ecco, c’è un piccolo problema.
Lui attese. Sembrava che Noelle avesse qualche remora ad articolare i suoi pensieri.
— Che tipo di problema? — le chiese infine.
— Un problema con la trasmissione. Ho avuto molte difficoltà a riceverla. O meglio… era disturbata. Stranamente disturbata.
— Disturbata — ripeté il comandante con voce piatta.
— Distorta, ecco. Non del tutto, no, ma c’era una specie di scarica statica che copriva in parte la voce di Yvonne.
— Una scarica statica — ripeté lui di nuovo, cercando di guadagnare tempo, di capire, anche se non aveva idea di come riuscire a comprendere, limitandosi a ripetere ciò che gli diceva lei. Tuttavia che altro poteva fare? — Una scarica statica mentale — concluse infine, guardandola con un sorriso.
— Non capisco come sia potuto accadere. Non era mai successo prima. Io…
Noelle aveva sempre detto che la voce di Yvonne risuonava nella sua mente con incredibile chiarezza, pura, cristallina. Evidentemente non le era mai accaduto niente del genere prima di allora, e la cosa la preoccupava e la spaventava molto.
— Secondo me è solo stanchezza — suggerì lui con il massimo tatto. — Lei non mi sembrava stanca prima; forse era stanca Yvonne.
Noelle sorrise. Ma ormai lui la conosceva abbastanza da sapere che quel sorriso esorcizzava solo la preoccupazione esteriore. Dentro di lei, in realtà, Noelle era agitata più che mai.
Il comandante inserì il cubo nel lettore e la voce di Noelle riempì la stanza. Ma non si trattava della sua solita voce: era la strana voce piena di tensione che aveva anche un attimo prima. Spesso indugiava su certe parole, e talvolta chiedeva apertamente a Yvonne di ripetere questa o quella frase. Il messaggio dal loro pianeta, il quotidiano contatto con ciò che era loro familiare, consisteva delle solite chiacchiere e non presentava mai alcuna sorpresa. Quella faccenda delle scariche statiche lo disturbava parecchio. Possibile che da lì a pochi giorni il legame con la Terra cessasse all’improvviso? Era l’inizio di un inesplicabile degrado del contatto mentale tra Noelle e Yvonne che avrebbe condotto al totale isolamento dell’astronave in un regno di totale silenzio?
E se era così? E se il legame telepatico fosse caduto all’improvviso? Il contatto tra Noelle e Yvonne era di tipo non-relativistico. Le loro parole attraversavano istantaneamente lo spazio, superando di gran lunga la velocità della luce e la stessa velocità non-relativistica della Wotan, lanciata a sua volta nelle pieghe topologiche del non-spazio a velocità immensa ma calcolabile. Senza il ponte telepatico sarebbero dovuti tornare alle normali trasmissioni radio per mantenere il contatto con la Terra: a quella distanza, i loro messaggi avrebbero impiegato circa vent’anni per arrivare a destinazione, più vent’anni a tornare.
Poi il comandante si chiese perché quella prospettiva lo turbava tanto. L’astronave era autosufficiente; non aveva bisogno del contatto con la Terra per funzionare a dovere, né il suo equipaggio otteneva particolari benefici dalle quotidiane informazioni su ciò che avveniva sul pianeta madre, un pianeta che dopotutto aveva scelto di abbandonare. E quindi perché gli importava tanto se scendeva il silenzio? Perché non accettare semplicemente il fatto che, nella peggiore delle ipotesi, non erano più legati alla Terra in alcun modo, che stavano diventando virtualmente una nuova specie mentre procedevano a velocità maggiore di quella della luce verso una nuova vita tra le stelle? Lui non era un uomo sentimentale, come del resto non lo era quasi nessuno a bordo. Per lui, per loro, la Terra assomigliava tanto a un vecchio baule. Un ammasso di storia ammuffita, un ricordo evanescente di re e imperi arcaici, di religioni estinte, di filosofie fuori moda. La Terra rappresentava il passato; la Terra era semplice archeologia; la Terra era essenzialmente inesistente. E quindi, se l’ultimo legame si spezzava, perché dolersene?
Perché a lui importava. Non della Terra, ma dell’ultimo legame. Doveva avere a che fare con la funzione simbolica di quel viaggio per la gente della Terra, si disse, con il fatto che loro costituivano il punto focale di tante aspirazioni, di tante aspettative. Se il contatto andava perduto, il successo o l’insuccesso del tentativo di creare una nuova Terra su un distante pianeta non avrebbe avuto senso per coloro che avevano lasciato.
E riguardava anche ciò che provava per il viaggio in sé, per l’intenso, pulsante grigiore del non-spazio in cui avanzavano: quell’interscambio di energia, quel crescente senso di legame universale. Non ne aveva parlato con nessuno, ma era certo di non essere il solo a provare quelle sensazioni. Lui e, senza dubbio, qualche suo compagno di viaggio compivano nuove scoperte ogni giorno, non astronomiche ma spirituali, e il comandante pensò con rammarico alla grande perdita che comportava l’impossibilità di trasmettere tutto ciò all’umanità. No, il collegamento doveva restare aperto.
— Secondo me — ripeté — è solo stanchezza. Forse lei e Yvonne dovete riposare qualche giorno prima di riprovare.
Una celebrazione: la conclusione del sesto mese dal giorno in cui la Wotan si era tuffata nello spazio profondo, abbandonando l’orbita terrestre. L’intero equipaggio dell’astronave si ritrovò nella sala comune, occupando anche parte del corridoio. Vi furono grandi risate, parecchie bevute, molti flirt e grandi, stonatissimi cori. Tutti si divertirono, anche se nessuno sapeva perché stavano festeggiando una cosa tanto banale.
— È perché non siamo ancora abbastanza lontani — suggerì Leon. — Abbiamo un piede nello spazio e uno sulla Terra, così usiamo ancora il vecchio calendario e ci attacchiamo a questa o a quella data. Ma anche questo cambierà, un giorno.
— Sta già cambiando — osservò Chang. — Quand’è stata l’ultima volta che avete usato qualcosa di diverso dal calendario dell’astronave per i vostri calcoli?
— Ah, non importa il calendario che uso — replicò Leon. Era il responsabile medico di bordo, un uomo di bassa statura dal torace robusto e la voce che ricordava una colata di ghiaia e cemento. — Io uso il calendario dell’astronave, certo, ma tutti noi facciamo ancora riferimento alle date terrestri. Il fatto è che non vogliamo scordarle. Tutti noi usiamo una sorta di doppio calendario. E io credo che continueremo a farlo fino a quando…
— Felice sesto mese! — urlò Paco proprio in quel momento. Era accaldato, e i suoi occhi scuri e infossati rilucevano per il ridere e il bere. — Sei mesi ammassati in tre misere sezioni di questo orrore tecnologico e ancora riusciamo a parlarci: evviva! È un miracolo, un autentico miracolo! — gridava, stringendo in ciascuna mano un bicchiere di vino rosso. Per la festa, il comandante aveva autorizzato l’equipaggio a dar fondo alla riserva di vino. Da quel momento in poi avrebbero bevuto solo vino sintetico, prodotto a bordo dell’astronave. Non sarebbe stata più la stessa cosa: tutti lo sapevano.
Paco non era ubriaco come sembrava, ma lo era abbastanza da volersi far notare a tutti i costi. Fendeva la folla urlando ai quattro venti i suoi proclami. — Bevete! Divertitevi! — Alla fine urtò in pieno Marcus, il planetografo, che barcollò e quasi cadde a terra. Tuttavia fu proprio Marcus a scusarsi: lui era fatto così. Un attimo più tardi Sieglinde passò accanto a Paco, che non si lasciò scappare l’occasione per porgerle il bicchiere di vino in più che teneva in mano e quindi per passarle il braccio appena liberato attorno alla vita. — Tanz mit mir, liebchen - disse. Le vecchie lingue venivano ancora parlate, anche se non da tutti. — Mostrami come si balla il valzer, Sieglinde! — Lei rispose con un’occhiata gelidamente teutonica, ma si trattenne. Si trovava a un party, dopotutto. I due facevano una coppia semplicemente assurda: lei più alta di lui di almeno due spanne, compassata e decisamente brutta, lui bello e fin troppo sciolto. Tuttavia, apparire assurdo era proprio ciò che voleva Paco. I due volteggiarono tra la folla in un goffo roteare soltanto simile al valzer, mentre lui la teneva a distanza, appoggiando un braccio rigido sulla sua vita e brindando al contempo a destra e a manca con il bicchiere che teneva nella mano libera.
Il comandante, unitosi tardi alla festa e in quel momento solo e tranquillo sul lato della sala comune dove si trovano le scacchiere di Go, vide Noelle dalla parte opposta, anch’essa sola. Si preoccupò subito per lei, cieca e indifesa in un ambiente pieno di gente ubriaca. Ma Noelle sembrava divertirsi e sorrise, perché proprio in quel momento Julia e Michael le si avvicinarono dicendole qualcosa. Noelle annuì. Le avevano chiesto se voleva qualcosa da bere, si disse il comandante, perché subito dopo Michael riempì un bicchiere di vino.
L’ultima festa era stata sei mesi prima, alla vigilia della partenza. Non molto era cambiato, nel frattempo: alcuni erano sempre timidi e riservati, altri spavaldi e fracassoni. Tutti si conoscevano molto superficialmente, nonostante le sedute di approfondimento: nomi, capacità professionali… e poco di più. Nessuna profondità, nessun vero contatto. Ma andava ancora bene, dopotutto: avevano tempo, un sacco di tempo. Alcune coppie si erano formate già prima del lancio: Paco e Julia, Huw e Giovanna, Michael e Innelda. Nessuna di queste relazioni era durata a lungo, ma anche questo andava bene. L’equipaggio dell’astronave consisteva di venticinque maschi e venticinque femmine, tutti giovani: la speranza era che tutti si sarebbero uniti formando delle coppie stabili per poi procreare sul nuovo mondo, ma molto probabilmente solo la metà dei cinquanta nuovi coloni lo avrebbe fatto. Gli altri erano destinati a restare soli per tutta la vita, o a passare da una complicata relazione all’altra senza fermarsi né riprodursi, proprio come accadeva sulla Terra. Tuttavia, ciò non avrebbe comportato una grande differenza: trasportavano abbastanza embrioni da garantire la crescita della popolazione per molti secoli a venire, e sposarsi non era mai stata una condizione indispensabile per mettere al mondo un figlio.
Le feste non facevano parte del modo di vivere del comandante. Introverso e alquanto solitario per natura, segnato nello spirito dal ventoso ritiro nel monastero artico di Lofoten, affrontava quel genere di eventi come aveva affrontato la necessità di impersonare altri caratteri durante la sua breve carriera di attore. Ma, dopotutto, divertirsi un po’ non faceva male, e così bevve con gli altri alla festa dei sei mesi, tutta la notte fino a crollare.
Partecipare alla festa di sei mesi prima aveva invece richiesto tutte le sue capacità drammatiche. Il comandante, appena eletto, si era aggirato per la sala comune ridendo, distribuendo pacche sulla schiena e scambiando battute con tutti. Era l’attrazione della serata, dopotutto.
E poi venne il giorno del lancio. Anche quello aveva richiesto tutto il suo impegno. L’evento più teatrale del secolo, altro non era, concepito per ottenere il massimo impatto psicologico su chi restava a casa. Il mondo intero osservava mentre i cinquanta fortunati prescelti, vestiti per l’occasione in sgargianti, assurdi abiti da cerimonia, emergevano dal loro dormitorio e marciavano solennemente verso la navetta, come una processione di eroi omerici in procinto di salire sul vascello che li avrebbe portati a Troia.
Come odiava tutta quella pompa, tutta quella finzione. Ma naturalmente la partenza della prima spedizione interstellare della storia non era un evento secondario. Andava messa in risalto con una coreografia appropriata. E quindi loro dovettero avanzare con ostentata superiorità verso il grande portello aperto: il comandante per primo, Noelle accanto a lui e quindi Huw, Heinz, Giovanna, Julia, Sieglinde, Innelda, Elliot, Chang, Roy. E via via fino a Michael, Marcus, David, Zena, cinquanta persone in un gruppo stranamente assortito, bassi e alti, grassi e magri: gli emissari della razza umana in partenza verso l’immenso universo.
Su nella navetta fino alla Wotan, che li attendeva in un’orbita bassa di parcheggio. E poi, nuove celebrazioni. Le stelle del momento, attori, sportivi, politici, fecero a gara per stringere loro la mano e augurare buon viaggio. All’improvviso, tutti si eclissarono, e loro restarono soli a bordo. Qualche ora per ambientarsi, per ritirarsi nelle cabine… per cosa? Preghiere, meditazione, sesso, contemplazione dell’assurdità delle umane pretese?… prima del momento della partenza.
Si tenne la riunione generale nella sala comune, e ci fu il primo discorso formale del comandante al suo equipaggio
— Voglio ringraziarvi tutti per il dubbio onore che mi avete concesso. Spero di non darvi mai motivo di pentirvi della vostra scelta. Tuttavia, se ve ne pentirete, ricordate che un anno dura solo dodici mesi.
La folla sorrise a malapena. Le battute non erano mai state il suo forte.
Qualche parola ancora e fu tempo di tornare nelle cabine. Uscendo dalla sala comune a gruppetti di tre o quattro, la gente si fermò davanti alle grandi vetrate del corridoio per dare un’ultima occhiata alla Terra, grande, azzurra e pulsante di vita al centro del cristallo. In qualche punto invisibile sul lato opposto dell’astronave c’erano la Luna e il Sole: tutto ciò che uno dà per scontato, stabile e permanente.
Pian piano si faceva strada tra di loro la consapevolezza che la Wotan avrebbe costituito tutto il loro mondo da quel giorno in poi, e che avrebbero dovuto vivere gomito a gomito là dentro per chissà quanto tempo.
Gli altoparlanti dell’astronave diffondevano musica. Beethoven, probabilmente. Comunque qualcosa dal suono titanico scelto apposta per la sua sublime, trascendentale energia. Insomma, Beethoven. — Prepararsi per il lancio — annunciò il comandante sovrapponendosi alla musica. — Meno dieci. Nove. Otto… — Tutta quella sceneggiata, quella teatrale e inutile riproposizione dei drammatici conti alla rovescia dei primi lanci spaziali. Ma il mondo intero li stava guardando. La felice, protetta popolazione della Terra stava dicendo addio agli ultimi avventurieri: un grande momento, l’inizio di una grande speranza. La speranza che quei cinquanta giovani sani e tormentati riuscissero a riportare in luce l’antico vigore della specie umana, su qualche pianeta selvaggio sufficientemente lontano. — Sei. Cinque. Quattro.
Il conto alla rovescia non serviva a nulla, naturalmente. Tutto il lavoro veniva svolto dai marchingegni nascosti in un’altra sezione dell’astronave. Ma il comandante conosceva il suo ruolo nella commedia, e controllò gli schermi con aria marziale, inserendo qualche dato.
— Partenza — disse infine.
La sua voce suonò drammatica, ma mai a sufficienza per l’importanza dell’evento. Non vi fu alcuna vibrazione quando i propulsori interstellari si attivarono, nessuna oscillazione, niente di avvertibile. Il sistema solare sparì dalla vista sostituito da uno strano, perlaceo grigiore. La Wotan penetrò lentamente nel tunnel privo di materia del non-spazio, per iniziare il suo lungo viaggio verso una destinazione ignota.
Anniversario del sesto mese dalla partenza. Qualcuno accanto a lui lo strappò improvvisamente ai suoi ricordi. Elizabeth, ecco chi era. Un sorriso e si ritrovò un bicchiere di vino in mano.
— L’ultima bottiglia di vero vino, comandante. Non vorrà perdere l’ultimo assaggio — disse lei. Elizabeth aveva chiaramente già avuto la sua parte, ma non sembrava intenzionata a fermarsi. — “Bevi! Poiché non sai da dove sei venuto, né perché; bevi! Poiché non sai perché devi andare, né dove.”
Stava di nuovo citando qualcosa, capì il comandante. Certo che la mente di quella ragazza era un magazzino di vecchi poemi. — Shakespeare? — le chiese.
— Il Rubaiyat - dichiarò lei. — Lo conosce? “Vieni, riempi la tazza e nel fuoco della primavera getta la veste dell’invernale pentimento.” — Elizabeth sembrava molto ubriaca. E proprio mentre il comandante si portava il bicchiere di vino alla bocca, lei mosse un passo avanti sfregandoglisi contro, portando avanti la testa; ma lui si mantenne in equilibrio e non una goccia di vino venne versata. — L’uccello del tempo — gridò lei — ha ben poco da volare! Ed ecco… l’uccello è già volato!
Di nuovo barcollante, Elizabeth quasi cadde a terra. Il comandante la sorresse immediatamente con un braccio, rimettendola in piedi; ma lei gli si schiacciò contro avidamente, avvicinandosi al suo orecchio e sussurrando non già poemi, ma oscenità esplicite. Sorpreso e vagamente divertito, il comandante guardò la letterata, poco voluttuosa Elizabeth: distinguere le sue parole biascicate era difficile nell’assordante rumore della festa, ma bastava afferrarne una ogni tanto per capire che lo stava invitando a seguirla nella sua cabina.
— Venga — le disse, mentre lei barcollava a destra e a manca completamente stordita, cercando in qualche modo di baciarlo. Lui la prese saldamente per un braccio, mosse qualche passo attraverso la sala comune e la consegnò a Heinz, che stava travasando nel suo un mezzo bicchiere di vino abbandonato, con la totale concentrazione dell’alchimista che cerca la pietra filosofale. — Credo che Elizabeth abbia bevuto un po’ troppo — disse il comandante, prima di consegnargli gentilmente la ragazza.
Proprio dietro di lui c’era Noelle, tranquilla e solitaria, un’isola di serenità nel tumulto. Il comandante si chiese se per caso stesse raccontando a sua sorella della festa.
Con sua grande sorpresa, Noelle si accorse che qualcuno le si stava avvicinando. Prima che aprisse bocca per parlarle, si voltò verso di lui.
— Come va? — le chiese. — Le piace la festa?
— Ma certo. È una festa bellissima. Lei non trova, comandante?
— Bellissima, già — replicò lui non molto convinto, guardandola intensamente senza alcun disagio. Sembrava aver superato la crisi del giorno prima, e appariva nuovamente splendida. Ma la sua bellezza, pensò il comandante, ricordava la perfetta bellezza di una statua greca conservata in un museo. Uno l’ammira, ma non necessariamente prova l’impulso di stringerla a sé. — È difficile credere che sei mesi siano passati così in fretta, vero? — riprese lui, desideroso di parlarle ma incapace di offrire qualcosa di meno banale.
Noelle si limitò a lanciargli un sorriso di circostanza, come se fosse già tornata a quella silenziosa conversazione con sua sorella che, con tutta probabilità, lui aveva interrotto. Quella ragazza rappresentava un vero mistero per lui. Studiò ancora per un attimo quel volto tanto dolce quanto impenetrabile, per poi allontanarsi senza aggiungere altro. Noelle avrebbe saputo, in qualche modo, che lui non si trovava più al suo fianco.
Il giorno dopo si registrarono altri disturbi alla trasmissione. Quando Noelle stabilì di nuovo il contatto, Yvonne le disse di sentirla lontana e indistinta. Tuttavia, Noelle riferì la cosa al comandante senza darle il drammatico peso di due giorni prima. Evidentemente si era convinta che le interferenze erano dovute a qualche fenomeno locale, legato a quel particolare settore di non-spazio, una sorta di “effetto macchie solari”, che sarebbe scomparso non appena si fossero allontanati dalla fonte del disturbo.
Forse era così. Tuttavia il comandante non era fiducioso come dava a vedere, anche se Noelle ne sapeva certamente più di lui sul modo in cui avveniva il contatto con Yvonne. In ogni caso, gli faceva piacere vederla nuovamente felice e serena.
Di che coraggio aveva dato mostra Noelle, accettando di partire con loro!
Il comandante ci pensava spesso, calandosi nei panni di quella ragazza. Considera attentamente la tua situazione, si diceva allora. Hai ventisei anni, sei una donna e sei cieca. Non ti sei mai sposata, e neppure hai mai avuto una relazione significativa con un uomo. Quello con Yvonne, che come te è cieca e sola, è l’unico contatto umano davvero profondo della tua vita. La sua mente è completamente aperta alle tue percezioni; la tua è completamente aperta alle sue. Quindi, tu e lei siete due metà di una sola anima, inesplicabilmente condannata a vivere in due corpi. Con lei, solo con lei, ti senti completa. E adesso hai accettato di partire per un viaggio senza ritorno tra le stelle, ben sapendo che questa decisione ti allontanerà per sempre dall’altra tua metà, perlomeno in senso fisico.
Ti è stato chiaramente detto che, se avessi accettato di partire, non l’avresti rivista mai più. E nessuno ha saputo garantirti che il contatto mentale tra te e lei sarebbe continuato anche a distanza di anni-luce.
Ti è stato anche spiegato che la tua presenza era fondamentale per il successo della missione, perché senza il ponte telepatico ci vogliono anni per qualunque tipo di trasmissione tra la Wotan e la Terra. Invece, con te a bordo, dando per scontato che la distanza non avrebbe avuto alcun effetto sul vostro contatto, le trasmissioni sarebbero state comunque istantanee, anche se l’astronave si fosse trovata dall’altra parte della galassia.
Anche gli altri membri dell’equipaggio hanno abbandonato le persone e le cose a loro care, lo sai. Fin dall’inizio era chiaro che accettare di unirsi alla missione comportava degli immensi sacrifici. Lasciarsi indietro il padre, la madre, i fratelli e le sorelle, gli amici, il compagno o la compagna: tutti a bordo avevano reciso per sempre dei legami importantissimi. Ma il tuo è un caso speciale, vero Noelle? Per metterla in modo più chiaro, il tuo caso è unico. Tua sorella è una parte di te, e sulla Terra tu hai lasciato una metà di te stessa.
Cosa dovevi fare, Noelle?
Pensaci. Pensaci.
E tu ci hai pensato, decidendo alla fine di partire. Avevano bisogno di te: come potevi rifiutare? E per quanto riguarda tua sorella, naturalmente non potrai mai più stringerti a lei, parlarle con la voce, provare conforto per il semplice fatto di averla vicino: questo lo hai perso per sempre. Ma è poi così importante? Ti hanno detto che non l’avresti potuta più vedere, ma non era affatto vero. Non è questione di vedere. Perché tu puoi vedere Yvonne esattamente come prima, e non importa se lei si trova a milioni di chilometri di distanza e non nella stanza accanto. Non importa la distanza ma il contatto, e se il contatto tra voi può essere mantenuto da qualsiasi punto della Terra, come in effetti accadeva, allora lo stesso contatto può essere mantenuto da qualsiasi punto dell’universo. Ne sei certa. Hai un disperato bisogno di esserne certa.
Chiedilo a Yvonne. Lei ti dice sempre ciò che speri di sentire.
“Vai, tesoro. Questo è un qualcosa che va assolutamente fatto. Tutto andrà alla perfezione.”
Sì, sì, tutto andrà alla perfezione. Entrambe erano d’accordo su questo punto. E quindi Noelle, dopo un momento di esitazione, si dichiarò pronta a partire.
Non c’era modo, alcun modo di sapere in antìcipo se il contatto poteva essere mantenuto. La sola cosa che le importava, il contatto con sua sorella, era in pericolo. Come aveva potuto accettare una simile scommessa?
Però lei lo aveva fatto. E fino a quel momento aveva avuto ragione. Solo fino a quel momento. E adesso cosa stava succedendo?, si chiese il comandante. Il legame telepatico si stava interrompendo? Come avrebbe reagito Noelle alla perdita di ogni contatto con la sua gemella?