La scoperta di Noelle su quello che c’era al di fuori dell’astronave suscitò grande eccitazione e molto sconcerto a bordo, ma i giorni passavano e Noelle non compì alcun nuovo tentativo di contattare gli angeli. Non si sentiva ancora pronta, diceva. Prima doveva trovare il modo di proteggersi dalla tremenda potenza delle creature che voleva incontrare.
E così l’equipaggio attese, e discusse, e speculò, e s’interrogò. Che altro potevano fare?
Nel frattempo l’astronave continuò a dirigersi verso il pianeta C, ed Hesper continuava a produrre nuovi ottimistici dati sul pianeta di destinazione. Si trattava, secondo i suoi calcoli, del sesto pianeta di un grande e impressionante sole giallo-rosso. Possedeva tutti i giusti requisiti riguardo all’atmosfera, alla forza di gravità, alla temperatura e alla crosta planetaria, e lui era completamente sicuro che vi avrebbero trovato riserve abbondanti di ogni elemento utile conosciuto nell’universo. Secondo Hesper, il pianeta C aveva degli oceani, dei laghi e dei fiumi, e una luna poco più grande della luna terrestre, oltre a una grande quantità di altre notevoli caratteristiche che avrebbero garantito molte comodità e piaceri ai solitari vagabondi provenienti dalla Terra.
Nella mente di Hesper, evidentemente, l’astronave aveva già raggiunto il pianeta C e la successiva missione esplorativa era già stata effettuata con successo. Per Hesper, tutti erano già stati traghettati sulla ricca e accogliente superficie dell pianeta, ed erano ormai già intenti nella costruzione dei primi edifici spogli, ma accoglienti, che avrebbero ospitato i coloni in quella fase di sviluppo. Nessuno comunque prestava eccessiva attenzione alle sue previsioni sognanti. L’attenzione di tutti andava quasi interamente ai misteriosi angeli che vivevano là fuori, nelle volute del misterioso vuoto che avvolgeva l’astronave. Tutti continuavano a chiamarli “angeli”, in mancanza di un termine migliore.
In ogni caso, non sarebbe stato compiuto alcun passo avanti nella conoscenza degli angeli fino a quando Noelle non avesse provato di nuovo a contattarli. Ma Noelle non era ancora pronta. Restava da sola la maggior parte del tempo, emergendo dalla sua cabina solo per i pasti e parlando poco con tutti.
E così tutti aspettavano. Cos’altro potevano fare, continuavano a ripetersi. Giocavano a Go e andavano alle terme, leggevano libri, suonavano musica presa dall’immenso archivio di bordo e indulgevano, come sempre, nei loro rapporti a due o a tre, o in altri intrattenimenti sessuali. E il tempo passava.
Noelle prese a staccarsi anche dal comandante, che ne soffrì terribilmente. Proprio quando lui era riuscito a rompere il suo voto ascetico, nel momento in cui non gli interessava più vivere una vita ritirata. Continuava a desiderarla con la stessa intensità di sempre, un’intensità mai provata prima per qualcuno o per qualcosa. Ma Noelle si era ritirata in se stessa, obbligandolo a fare lo stesso. Julia gli fece sapere di essere ancora disponibile, e lui la ringraziò caldamente, ma sentiva di non potersi più concedere il piacere del sesso fine a se stesso. E il tempo passava. Come tutti gli altri, anche il comandante aspettava Noelle.
Alla fine, Noelle annunciò, dando mostra di una ritrovata fiducia, di esser pronta a provare di nuovo.
Volle restare da sola nella sua cabina, come sempre. Chiuse gli occhi e lasciò che il suo pensiero salisse verso l’alto, più in alto, sempre più lontano.
Il grigiore.
Era nel tunnel. Nel vuoto infinito del non-spazio. Protese il suo pensiero attraverso quel vuoto fino a quando non poté più distinguerne la fine o l’inizio. Lei stessa iniziava a sentirsi infinita, un essere infinito in un universo infinito. Un filamento di pura luce che si allungava, si allungava…
“Angeli? Angeli, ci siete?”
Sì. Quasi immediatamente ne sentì uno; ne percepì la sua immensità, la sua potenza. Muoveva verso di lui. Allargò le braccia, alzò il volto per sentire meglio il calore. Eccolo. Quella calda, immensa fornace, quel frastuono, i sibili, il rombare, lo sfrigolare.
In quel momento pensò, sperò, di essersi isolata a sufficienza contro la forza distruttrice della creatura, di aver trovato il modo di incanalare l’eccesso di energia in modo da farla scorrere accanto a lei, e vederla dissiparsi senza nuocerle. Pensava così, lo sperava.
Aveva molta paura.
Tuttavia andava fatto. E poi sapeva di trovarsi sul ciglio di un mondo meraviglioso.
Adesso. Adesso. La sua mente protese un ultimo filamento di pensiero.
Contatto.
Quasi contatto. C’era ancora una barriera, e lei aveva paura ad attraversarla. Decise quindi di attendere guardando avanti, “osservando” un angelo, “osservandolo”, non sentendolo. La sua massa di pura energia riempiva il cosmo. Era come un oceano di fuoco. Il volto dell’angelo era un ribollire di uragani di potenza inconcepibile. Alte lingue scoppiettanti di fiamma si alzavano da lui. Il suo grande volto appariva velato in certi punti, ma laddove i veli si aprivano lei vedeva immensi getti di potenza salire lungo le turbolenze. Venivano dalle profondità dell’angelo, cellule bollenti di pura energia grandi come pianeti che emergevano dal nucleo della creatura per poi tornare lentamente indietro. Sulla sua superficie eruzioni continue e frenetiche scagliavano pura energia in tutto il firmamento, come frustate di luce che sferzavano la struttura stessa del cosmo.
Ma dentro il nucleo, oltre la turbolenta superficie, sembrava esservi una zona di calma assoluta, come se un muro separasse le forze fiammeggianti del volto dell’angelo dal nucleo tranquillo e imperturbabile dell’essere gigantesco. Noelle desiderò ardentemente di riuscire a raggiungere quella zona di calma assoluta. Ma come? Come? Il fragore mostruoso sembrava stordire la sua stessa anima. Non riusciva neppure a pensare, in tutto quel tumulto.
“Angelo? Angelo, mi senti? Sono io, Noelle.”
Sibili, scoppi, scoppiettii, fragore.
“Angelo, toccami. Toccami, ma fai piano, toccami con delicatezza. Devi far piano, perché io sono così piccola e tu sei un tale gigante.”
Silenzio. Calma. Poi, abbacinanti filamenti di fiamma si protesero verso di lei come per carezzarla.
Oh. “Oh!”
Attorno a lei l’intero universo s’incendiò. Il fuoco, il fuoco, un oceano che bruciava, avide braccia di fiamma…
Noelle si ritirò, spaventata. Terrorizzata. Era troppo per lei, poteva esserne distrutta. Si voltò. Fuggì.
Cerca un posto sicuro, da qualche parte. Fermati. Respira profondamente.
Apri gli occhi.
Si ritrovò immersa in un mondo buio, come sempre. Non vi erano fiamme in alcun luogo vicino a lei. Tutto era perfettamente immobile. L’angelo non c’era più. Si trovava nella sua cabina a bordo della Wotan, sola e tremante. Aveva fallito di nuovo.
— Ci proverò ancora una volta — disse al comandante.
— È un rischio troppo grande, Noelle!
— Non ne sono più tanto certa.
— Ma tu hai detto…
— L’ho detto. Sì, è vero. Ma forse sbagliavo. Ci proverò ancora una volta, poi deciderò.
Lui restò in silenzio per diversi minuti.
— Tu non vuoi che io ci provi — disse infine Noelle con voce neutra, senza alcun rimprovero.
— Lo voglio e non lo voglio — rispose il comandante. — Sono uno di quelli che ti ha spronato a farlo. Ti spronavo con una mano e ti frenavo con l’altra. Ho paura di perderti, Noelle. Dobbiamo saperne di più su queste creature, è vero, ma io ho paura di perderti — confessò, e dopo un’altra pausa interminabile: — Perché tu sai che ti amo, Noelle.
— Sì, lo so.
— E se ti dovesse accadere qualcosa…
— Non mi accadrà nulla — replicò lei. — Nulla di male, almeno.
Quella volta, quando entrò nel grigio Intermundium, si fermò prima di iniziare a cercare l’angelo, inviando un messaggio attraverso anni-luce verso la Terra, verso Yvonne.
Da quasi un anno, ormai, non aveva con sua sorella il contatto che un tempo tanto amava, lo scambio di messaggi e di sensazioni di gioia e di amore. Tuttavia, sapeva che Yvonne era là e che cercava di raggiungerla ogni giorno. In qualche modo indefinibile, il ponte telepatico esisteva ancora, solo che era saturo di potenti interferenze causate dalla prossimità degli angeli. Era quel legame che Noelle cercava di ampliare e di rafforzare.
“Yvonne, mi senti?”
Vi fu un vago accenno di risposta affermativa. Solo l’accenno di un accenno, ma era meglio di niente.
“Vieni con me, Yvonne. Quando ti cercherò per unire la mia forza alla tua, cerca di farti trovare. Lascia che usi anche i tuoi poteri. Avrò bisogno di te molto presto.”
Yvonne aveva sentito? Aveva capito?
“Ti voglio bene, Yvonne. Tu sei me, io sono te. Noi siamo qui insieme.”
Noelle pensò di sentire la risposta affermativa di Yvonne. Sentiva la sua presenza. O almeno così sperava.
E a quel punto… a quel punto prese ad avanzare nuovamente nel nulla che avvolgeva l’astronave. Percepì la forza dell’angelo, dell’immensa, divina creatura. La stava aspettando là fuori.
“Angelo. Angelo, ascoltami. Sono io, Noelle.”
L’angelo ascoltava. L’angelo la stava aspettando.
“Sono Noelle. Vengo a te con amore, pronta a donarti me stessa.”
Quella volta niente la trattenne. Si liberò completamente, permettendosi di non provare paura. Yvonne era con lei. Yvonne era al suo fianco, mettendole a disposizione la sua forza.
“Io ti appartengo” disse Noelle all’angelo.
Contatto.
Chiasma ottico Talamo
Scissura del Silvio Ipotalamo
Midollo allungato Sistema limbico
Ponte di Varolio Sistema reticolare
Corpo calloso Solco del cingolo
Cuneo Circonvoluzione orbitale
Circonvoluzione del cingolo Nucleo caudato
Cervello
Claustro Opercolo
Putamen Fornice
Giorno carotideo Fascio di Reil
Mesencefalo
Dura madre
Seno durale
Aracnoide
Granulazioni di Pacchioni
Spazio subaracnoideo
Pia madre
Cervelletto
Cervelletto
Cervelletto
Il cosmo si apri. L’intero universo s’incendiò. Esplosioni di luce argentea s’infransero contro la lucente cupola metallica del firmamento. Enormi barriere si disciolsero e presero fuoco. I pianeti divennero cenere. Il contatto vi fu, sì; un’esplosione sensoriale, una danzante vampata d’intensità solare, un torrente di fuoco liquido, una cascata di luce radiante irresistibile, insopportabile che scorreva dentro di lei, spazzandola, riempiendola, divorandola. Luce, luce dappertutto. Fuoco. Un’immensa vampata nel firmamento.
“Semele.”
L’angelo le sorrise mentre lei veniva scossa da inarrestabili sussulti. “Apriti a me, Noelle” le disse una voce dalla grandiosa risonanza. Lei si aprì e le forze entrarono completamente in lei, prendendo possesso di ogni nicchia, di ogni parte del suo cervello, spazzando irresistibilmente ogni residua resistenza.
E lei e l’angelo furono una cosa sola. Finalmente aveva accesso alla zona di grande calma, dove riguadagnò le forze attimo dopo attimo, mentre una calda luce la riempiva.
Dopo un po’ si sentì abbastanza forte da alzare la testa e muoversi dentro l’angelo. Scoprì con immenso piacere di poter vagare a piacimento, libera di raggiungere qualsiasi parte dell’immensa creatura. Provò a risalire verso la zona delle turbolenze esterne, verso le enormi cellule energetiche che fluivano continuamente dal nucleo dell’angelo verso l’universo, ma poi preferì tornare nella tranquillità del nucleo, nel fresco luogo al riparo dal fuoco dove risiedeva la più grande saggezza. Là rimase per molto tempo, provando la pace da sempre cercata, fino a quando non comprese che se non si fosse mossa sarebbe rimasta là per sempre. E così provò nuovamente a risalire in superficie, penetrando nel regno delle fiere turbolenze che costituiva la parte più esterna dell’angelo. Ma il fuoco non poteva più farle alcun male: lei faceva parte dell’angelo ormai, poiché l’angelo era dentro di lei.
“Vieni. Lascia che ti mostri delle cose.”
Vagarono insieme nelle profondità del cosmo. Angeli, angeli dappertutto, un’immensa schiera di angeli si presentava a lei ovunque guardasse. Angeli immensi, angeli piccoli, angeli che brillavano con la luce di mille stelle e angeli dalla pallida luce persi in lontananza; angeli ammassati in gruppi, angeli solitari. Il loro canto riempiva l’universo.
Lei e la sua guida si fermarono infine in un luogo di grande tenebra. Là, Noelle contemplò un angelo appena venuto alla luce, a malapena radiante. Prendeva consistenza con grande rapidità appena fuori da un’enorme nube di polvere cosmica che collassò in lui, divenendo via via una sfera sempre più compatta. E mentre la sua massa si concentrava a vista d’occhio, una forma sferica, l’angelo cominciò a ruotare, dapprima lentamente, poi più veloce, sempre più veloce fino a quando non cominciò a pulsare di luce, inizialmente debole e poi sempre più forte, fino a brillare di luce rossa, poi di luce bianca. L’energia irradiata nello spazio crebbe di conseguenza, e presto proiettò segmenti di se stesso in ogni direzione, in quello che parve un improvviso scoppio d’ira: una prodigiosa e prodiga emissione di luce e di calore, furiosa ma in qualche modo comica.
Un bambino che giocava. Un angelo infante che emetteva i suoi primi vagiti. Lei e l’angelo osservarono ancora un poco, poi se ne andarono lasciando l’angelo bambino ai suoi divertimenti.
“Vieni, andiamo avanti.”
Avanti, sì. Il cielo era molto chiaro lì, pieno di angeli che cantavano come gli angeli dovrebbero cantare, un meraviglioso coro celestiale la cui armonia riempiva il vuoto. Il chiarore era ovunque, un oceano di luce.
Lì Noelle vide un angelo gigantesco che emetteva una tale, fiera energia da spingerla a chiedersi come mai non avesse ancora esaurito la propria sostanza. Brillava nel firmamento come un immenso e irato occhio azzurro, lanciando instancabilmente le sue vampate a grande distanza. Pareva più un dio che un angelo, quel gigante, un dio irato che sfogava la sua rabbia inesplicabile sulla struttura dell’universo.
E poi, in un altro punto molto più lontano, in uno dei luoghi più reconditi, gli angeli si raggruppavano in un unico ammasso, angeli vecchi, angeli antichi, migliaia, forse milioni, tutti addossati l’uno all’altro in modo tale da formare un unico immenso e sfavillante amalgama, un’unica massa brillante. L’angelo di Noelle le fece vedere che erano molti e non uno, consentendole di raggiungerli per rendersi conto della loro grande età, della loro disordinata saggezza. Quanti anni avevano? Milioni? Miliardi?
“Noi eravamo vecchi quando i cieli erano ancora giovani” le disse uno di loro.
E un altro le raccontò: “Noi siamo nati da ciò che tutto comprendeva e un giorno torneremo a lui; tuttavia noi eravamo qui prima di ciò che era e saremo qui quando tutto non sarà più”.
E un terzo aggiunse: “Noi precediamo e noi seguiamo, noi esistevamo quando nulla esisteva, noi siamo l’amore quando l’amore è celato, noi siamo te, tu sei noi.”
Noelle comprese perfettamente, o perlomeno così le parve; e quando gli angeli le diedero la loro benedizione, lei diede loro la sua. Poi dovette andare, poiché la sua guida aveva altre cose da mostrarle.
“Ecco, questo è un angelo molto vecchio, un angelo morente.”
Ciò la sorprese. Replicò, quindi, che non pensava che anche gli angeli potessero morire, e la sua guida rispose che non solo potevano morire, ma che era necessario. Se gli angeli potevano nascere, gli angeli dovevano anche morire. Tutto muore, persino gli angeli; e tutto nasceva nuovamente. La sola cosa che non nasceva e non moriva era l’universo stesso, che esisteva già prima dell’inizio e avrebbe continuato a esistere anche dopo la fine.
“Guarda. Ecco.”
I due raggiunsero l’angelo morente, in una regione molto distante dalle altre. Emetteva una pallida luce e ben poco calore, il calore del sole in un giorno d’inverno; non c’era più energia in quell’angelo. Il suo volto appariva scuro e spento, come se fosse coperto da uno spesso strato di fango, o forse da lava solidificata; il suo colore era rosso sporco, quasi viola, chiazzato qua e là da ampie regioni scarlatte e viola chiaro. Sulla fredda superficie dell’angelo morente si intravedeva ancora qualche segno di tenue attività, il lento movimento di grandi masse laviche che avanzavano nel fango ribollente, alcune grigie, altre accese di un rosso cupo come lingotti metallici versati dalla forgia e non ancora raffreddati.
Non udiva alcun frastuono lì, niente rombare, niente sibili, nessuno scoppiettio. Vi era solo il profondo, attutito rumore di forze titaniche in lento arresto, di energie colossali prossime alla fine. Anche mentre lei guardava, il penoso movimento delle masse laviche sembrò rallentare, e le zone più chiare, le zone rosse e le zone viola, persero molta della loro luce, spegnendosi nel buio. Ogni attività sarebbe presto cessata, lasciando posto a un mare di ceneri e di lava. Ma quando Noelle alzò lo sguardo, vide in lontananza una nuova nube di polvere in rapida formazione; al suo centro brillava già un tenue chiarore. Un angelo stava morendo, sì, ma un altro angelo era pronto a prendere il suo posto. E così andava, comprese Noelle, fin dall’inizio dei tempi e forse anche prima.
“Ti mostrerò un’ultima cosa” le disse l’angelo.
E di nuovo si rimisero in viaggio, fino a quando non giunsero nei pressi di un angelo dorato, un piccolo angelo in una regione popolata da pochi angeli. Non prestò attenzione ai loro richiami e continuò a ruotare vorticosamente sul proprio asse, emettendo grandi vampate di calda energia. Sembrava un bambino in un parco giochi. Noelle comprese che si trattava di un angelo giovane, non un angelo appena nato e neppure un angelo maturo: un adolescente, se così si poteva definire. Gli restarono vicini per qualche tempo, osservandone le mille bizzarrie. C’era qualcosa di molto piacevole nel restare vicini a quell’angelo fresco e giovane. Osservandolo, Noelle si sentì quasi tornare all’infanzia. Yvonne era vicina, più vicina di quanto fosse mai stata da lungo tempo. Erano di nuovo ragazze, e ridevano, correvano, inciampavano insieme, e di nuovo ridevano mentre rotolavano sui prati.
Molte altre cose meritavano di essere viste. C’era così tanto da vedere che Noelle non riusciva più a raccapezzarsi tra le meraviglie di quell’universo di angeli, in quell’infinità di creature divine, esseri già vecchi quando tutto era giovane ed esseri che avevano visto ciò che era quando nulla esisteva e che avrebbero visto ciò che doveva avvenire quando tutto fosse scomparso. Ma lei era solo la piccola Noelle, e non riusciva più ad assimilare nulla. La sua guida sembrava saperlo. Il loro viaggio giunse quindi alla fine, e Noelle tornò dentro l’angelo e scivolò piano piano verso il nucleo, verso la zona di completa serenità che si trovava sotto le potenti vampate di energia, e là si riposò, là dormì.
Dormì. Dormì.
— Da quanto tempo è in coma, ormai? — chiese il comandante. — È già una settimana?
— Questo è l’ottavo giorno — replicò Leon.
— L’ottavo giorno. Crede che si sveglierà mai?
Leon si strinse nelle spalle. — Come posso saperlo? Bisognerebbe scoprire perché è andata in coma. Ma sono forse un esperto di contatti con gli angeli, io? C’è qualcuno che lo sia?
— Ha ragione — rispose il comandante.
Noelle era precipitata in uno stato di delirio prima di perdere del tutto i sensi. Preoccupato e spaventato, il comandante aveva vegliato a lungo accanto a lei, perdendo la cognizione del tempo e dei giorni che volavano via, ma la sua condizione non migliorava.
Qualche volta sembrava quasi che Noelle stesse per riacquistare i sensi. Qualche parola comprensibile, persino intere frasi, uscivano allora dalle sue labbra. La sognante Noelle parlava di luce, di un candido chiarore quasi insopportabile, di archi di energia, di intense eruzioni solari. “Una stella mi tiene nel suo grembo” aveva mormorato, per poi aggiungere che le stava parlando.
Che poetico, pensò amaramente il comandante. Che stupenda metafora. Una stella le stava parlando.
Una metafora per “cosa”, comunque? Dove si trovava la mente di Noelle, cosa le stava accadendo? Stava parlando con gli angeli, veri e propri angeli, o con una stella? Oppure aveva semplicemente gettato al vento la sua salute mentale avventurandosi nel grigio nulla che avvolgeva l’astronave? Sembrava persa in un regno sconosciuto e inconoscibile. Il suo viso era acceso; i suoi occhi si muovevano ovunque rapidamente, come pesci guizzanti in una rete.
Di tanto in tanto, Noelle riprese a parlare. Dapprima emise una parola, poi un’altra, poi intere frasi. “Contatto tra le menti”, disse “la stella e io.” Contatto tra le menti, pensò il comandante. E, pochi attimi più tardi, Noelle prese a emettere un suono, una sorta di “uhuummmm” prolungato e molto insolito, un suono alto che sembrava tendere verso frequenze inaudibili per l’uomo. La cosa lo sorprese e lo spaventò: aveva la forza di pesanti irradiazioni espresse sotto forma di suono.
Non aveva mai sentito nulla di simile prima di allora. Era stanco, non aveva praticamente mai dormito dal giorno in cui Huw si recò a visitare Noelle, trovandola sul letto in preda a un coma profondo.
Il suono sembrò continuare all’infinito. Era un suono terribile. Il comandante strinse le mascelle, chiuse le mani a pugno e si sforzò in ogni modo di sopportarlo. E finalmente il suono cessò.
Mentre il corpo di Noelle si irrigidiva, il suo bacino si spinse verso l’alto. Convulsioni di qualche tipo? No. Noelle si stava semplicemente stirando, si stava svegliando. Finalmente! Veloci contrazioni le attraversarono ogni muscolo, ricordandogli stranamente l’esperimento della rana di Galvani. Le palpebre tremarono, le labbra emisero un vago gemito. E finalmente gli occhi si aprirono.
E subito si fermarono su di lui.
Il comandante la guardò negli occhi. Avevano qualcosa di diverso rispetto a prima, qualcosa di nuovo. Qualcosa di sorprendente.
Gentilmente, lui le disse: — Hai aperto gli occhi, Noelle: riesci a vedermi? — E al contempo mosse una mano avanti e indietro davanti al volto di Noelle. Le sue pupille seguirono il movimento.
— Io… io ti vedo! Io ti vedo!
La sua voce era fioca, debole, strana: quasi una voce aliena. Ma poi tornò la solita voce di sempre quando lei gli chiese: — Quanto tempo sono stata via?
— Otto giorni. Eravamo molto preoccupati.
— Il tuo viso è esattamente come pensavo — disse Noelle. — Hai dei lineamenti sottili e duri, ma non è un volto ostile, non è un volto duro. Mi piace la tua espressione, comandante.
— Vuoi raccontarmi di dove sei stata, Noelle?
Lei sorrise e annuì. — Sono stata… ho contattato un angelo.
— Un angelo? Un “vero” angelo?
— Non un vero angelo. Quella è solo una parola. Non era certo un angelo come quelli che la gente adorava un tempo. Non aveva un corpo fisico, e neppure un qualche tipo di intelligenza organica. Era… era…
Lui attese, guardandola con amore e meraviglia. La bellezza dei suoi occhi, finalmente vivi e rivolti su di lui, lo colpiva.
— Era più o meno come le creature di pura energia di cui parlava Heinz. Incorporeo, ecco ciò che intendo. Ed era grande come mai avevo immaginato, persino più grande di un intero pianeta. Non saprei dire cosa fosse, ma so che era immenso.
— Nel delirio dicevi di parlare con una stella.
— Con una stella! — esclamò lei, come se il concetto le risultasse del tutto nuovo.
— Nel delirio dicevi così. “Una stella mi tiene nel suo grembo, e mi sta parlando.”
I suoi occhi si accesero di grande eccitazione. — Ma certo! Una stella, sì! Ecco cos’era. Stavo parlando con una stella!
Il comandante provò un profondo sconforto. Quell’esperienza l’aveva portata alla pazzia, pensò.
Tuttavia riuscì a mantenere calma la voce. — Ma com’è possibile parlare con una stella? Cosa significa secondo te, Noelle?
Lei rise. — Significa parlare con una stella, comandante. Niente di più, niente di meno. Un’immensa sfera di gas in combustione, solo dotata di mente e di coscienza. Era così, era una stella: ne sono più che certa.
— Ma come può una stella…
La luce svanì bruscamente dagli occhi di Noelle. Non apparivano più consapevoli. Era ricaduta nel coma? Apparentemente sì. In ogni caso, stava viaggiando di nuovo; ora non era più con lui.
Lui decise di attendere accanto al suo letto. Un’ora, due ore. Si alzò, passeggiò avanti e indietro, sedette, attese. Dove si trovava Noelle in quel momento? In quale bizzarro regno stava viaggiando? Il suo respiro era un ronzio sommesso e distante. Si trovava molto distante da lui, molto lontana da qualsiasi posto che lui potesse comprendere.
E, finalmente, le sue palpebre si mossero di nuovo, e Noelle aprì gli occhi.
Lo cercò subito con lo sguardo. I suoi occhi erano vivi, esattamente come prima, ma il suo volto appariva trasfigurato: sembrava in estasi. Al comandante parve che lei si trovasse almeno in parte ancora in quell’altro mondo oltre l’astronave. — Sì — disse Noelle. — Non era un angelo, comandante, ma una stella. Una stella vivente, dotata di intelligenza.
I suoi occhi sembravano irradiare luce. — Una stella, un sole — mormorò. Le parole suonavano folli, ma non la voce. — Io sono entrata in contatto con la coscienza di un sole. E poi di molti soli. Mi credi, amore mio? Riesci a credermi? Io ho trovato una moltitudine di stelle che vivono, che pensano, che hanno una mente e un’anima e che comunicano tra loro. L’intero universo è vivo.
— Una stella — ripeté lui con voce spenta. — Hai parlato con una stella. Le stelle hanno una mente.
— Sì.
— Tutte? Anche il nostro sole?
— Tutte. Splendono là fuori e comunicano tra loro. Noi ci muoviamo tra di loro, nel nostro viaggio nella galassia, e le loro conversazioni attenuano il mio legame con Yvonne. Ecco cos’era l’interferenza. Erano le stelle che si parlavano tra loro saturando la mia lunghezza d’onda telepatica, privandomi di ogni spazio per contattare Yvonne.
Quella conversazione stava assumendo le caratteristiche di un sogno. Con molta calma le chiese: — Ma perché il nostro sole non ha mai interferito nel contatto tra te e Yvonne?
Lei si strinse nelle spalle. — Non è abbastanza vecchio. Io l’ho visto, sai? L’angelo che mi guidava me l’ha mostrato. È come un bambino, un piccolo bambino perso nei suoi giochi. Ci vogliono molti milioni di anni perché maturino: solo le stelle mature riescono a comunicare tra loro con regolarità. Il nostro sole è troppo giovane. Nessuna delle stelle vicine alla Terra è abbastanza vecchia. Ma qui, nelle profondità dello spazio…
— Sei ancora in contatto con la stella che ti guidava?
— Sì. Con lei e con molte altre. E con Yvonne.
Follia. Pura follia.
— Anche con Yvonne? — chiese.
— È tornata in collegamento con me. Anche lei ha una frequenza nel circuito. — Noelle lo guardò dritto negli occhi. — Posso inserire anche altri nel circuito. Potrei inserire te, comandante.
— Me?
— Sì. Vorresti entrare in contatto con la coscienza di una stella?
— Cosa mi accadrebbe? Potrà farmi del male?
— Ti sembra forse che mi abbia fatto del male?
— Ma resterò me stesso? Oppure cambierò?
— Ti sembra forse che io non sia me stessa?
Lui restò in silenzio per lungo tempo.
Poi con voce strana e spenta, le disse: — Non voglio, Noelle. Ho paura.
— Perché? Tu non hai mai avuto paura di niente.
— Be’, ho paura adesso. Ho paura di tutto questo.
— No, no.
— Sì, invece.
— Apriti a me. Conosci le meraviglie dell’universo.
— E se non dovesse piacermi?
— Ti piacerà, vedrai. Fidati. Devi aver fede. Hai avuto fede quanto ti sei unito a questa missione: non è forse vero? Devi solo fidarti. Ora dimmi: credi davvero a ciò che ti ho raccontato?
Lui esitò.
— Allora?
— Sì — rispose lui, mentendo.
— E allora devi aver fede in me. Tocca una stella, comandante.
Lui strinse la mano tesa di Noelle. — Andiamo! — E la sua mente si addentrò nell’universo.
Più tardi, mentre nello specchio della sua mente si riverberava ancora la luce delle stelle, e scintille bianco-azzurre affollavano le sue sinapsi, lui chiese a Noelle: — E gli altri?
— Mostrerò anche a loro ciò che hai visto.
Nonostante il profondo significato delle meraviglie appena contemplate, il comandante non poté fare a meno di provare un impulso di pura, terrena gelosia. Non voleva affatto condividere con gli altri le meravigliose capacità di Noelle. Lei gli apparteneva; lui apparteneva a lei. Ma nel momento stesso in cui quell’impulso raggiunse la sua mente si rese conto della sua palese assurdità. Yvonne era là con loro, e lui poteva sentirla. L’altra metà di Noelle. La sorella sulla Terra e la sorella tra le stelle, ancora una volta insieme. E lui era con loro. Anche gli altri li avrebbero raggiunti. Sì. Sì. “Lascia che provino tutti.”
— Prendimi per mano — gli disse Noelle.
Insieme, abbandonarono i loro corpi. Le loro menti si mossero attraverso l’astronave e, a uno a uno, cercarono e misero in contatto tutti i loro compagni. Sieglinde fu la prima persona che incontrarono, la dura, recalcitrante Sieglinde; e Sieglinde sembrò capire subito, e si aprì a loro. Poi fu la volta di Zena, di Leila, di Elizabeth, che li accolse con un grido di gioia, di Heinz, che si tuffò senza esitazioni. Paco, invece, tergiversò per un momento e poi si arrese con grande gioia. E quindi Leon, Roy e così via per tutta l’astronave. Uno dopo l’altro, e più gente riuscivano a coinvolgere e più gli altri si aprivano facilmente. Il comandante sentì Noelle salire sempre più in alto insieme a lui, sentì Yvonne, sentì grandi, luminose, antiche presenze. Lui e tutti gli altri uniti nel cosmo. L’intera astronave divenne una cosa sola, mentre nella sua mente risuonavano maestosi i versi dell’antica, oscura saga norvegese del “Crepuscolo degli dei”: “Ora finalmente vedo la nuova Terra sollevarsi verdeggiante dalle onde… in meravigliosa bellezza i raggi dorati inonderanno nuovamente l’erba”.
Lui e Noelle uscirono in corridoio. L’intero equipaggio era là, ammutolito dalla meraviglia. Nessuno parlava. Ovunque gli sguardi rilucevano. Il comandante comprese di non poter comandare più nessuno: non c’era più bisogno di un comandante a bordo. Anche i giorni delle interminabili partite di Go erano finiti. Perché tutti loro erano diventati una cosa sola, erano al di là di qualunque gioco. Non era più possibile giocare a Go ormai: come si poteva competere con se stessi?
“…i campi incolti producono frutti maturi; tutti i malati guariscono e Baldur sta per tornare…”
— E adesso — sussurrò Noelle — adesso dobbiamo collegarci con la Terra. Riponiamo la nostra forza in Yvonne, e lei…
In quel momento, Yvonne inserì nel circuito le centinaia di milioni di anime della Terra in una volta sola. Tutti, tutti, e per l’uomo iniziò una nuova era.
La Wotan continuava il suo viaggio nel tunnel di non-spazio: presto sarebbero arrivati al pianeta C, e vi avrebbero fatto atterrare degli esploratori per vedere se quel mondo che avevano trovato era un dolce, mite pianeta dove i loro figli potevano crescere in pace e armonia. In tal caso, si sarebbero fermati. Altrimenti, avrebbero continuato verso il pianeta D, verso il pianeta E, verso i pianeti X e Y e Z. Erano sicuri di trovare, un giorno, un pianeta la cui aria fosse respirabile, l’acqua potabile, il suolo coltivabile, un pianeta dove potessero piantare i primi semi di una nuova civiltà umana. E, comunque, non sarebbe stato un problema se non avessero trovato quel pianeta. Tutto andava per il meglio, anche così. L’astronave e le sue centinaia di milioni di passeggeri potevano anche vagare nell’universo per sempre, riscaldati dalla luce delle stelle amiche.