13

“Che ne diresti di provarci oggi?” Già, perché no? Tanto prima o poi andava fatto. Non potevano più rimandare: lui lo sapeva, lei anche. Ogni giorno era buono ormai, ma quello era il momento.

Noelle, però, volle provarci nella sua cabina, tra le cose a lei familiari e completamente sola. Aveva dovuto insistere per quello. Prima si concesse diversi minuti di attesa, un po’ di autoindulgenza. Si aggirò nella cabina, prendendo in mano ora questo, ora quello, il guscio del riccio di mare, la lucida pietra di giada, le piccole statuette di bronzo, gli animali impagliati dal pelo morbido. Una volta quelle cose appartenevano sia a lei sia a Yvonne. Tra loro non poteva esistere il senso del possesso, mio o tuo non faceva alcuna differenza; poi Yvonne aveva insistito perché lei portasse comunque quegli oggetti con sé a bordo della Wotan, magici talismani di una vita condivisa. “Sono sempre stati nella tua stanza” le aveva detto. “Portali con te: io potrò sempre sentirli attraverso le tue dita.”

Vero. Ma non più, ormai.

Forse ciò che si accingeva a fare poteva far sì che Yvonne sentisse nuovamente quegli oggetti attraverso le sue dita. Quelle cose che una volta erano state loro e che ormai erano soltanto sue. Forse. Forse.

Si sdraiò. Un profondo respiro, poi un altro, poi chiuse gli occhi. Per qualche motivo, chiuderli sembrava aumentare i suoi poteri, come pensava spesso.

E, piano piano, un sottile filamento di pensiero si estese dalla sua mente, provando timidamente a espandersi, oltrepassando le pareti metalliche dell’astronave, avanzando nelle volute di energia del non-spazio, puntando verso l’alto, su, sempre più su verso… verso…

Angeli?

Chi poteva mai sapere cosa fossero? Ma lei era conscia della loro presenza ormai da tempo, fin dalle prime interferenze, nebbiose presenze, grandi, enormi masse di potere mentale che fluttuavano sopra di lei da qualche parte là fuori nel… come si chiamava? Nell’Intermundium. Sì, nell’Intermundium, il grande spazio grigio tra i mondi. Lei ne aveva percepito la presenza proprio là, non come entità individuali ma piuttosto come presenze, o forse una singola presenza suddivisa in molte parti.

E ora li stava cercando.

“Angeli? Angeli dove siete? Angeli?”

L’astronave ormai era lontana, e lei si allontanava sempre più, là fuori nel vuoto uniforme del tunnel di non-spazio, arrivando a quello che da sempre riteneva il massimo della sua portata, per poi scoprire di poter avanzare ancora un poco, ancora un poco. Si vedeva ormai come una linea luminosa protesa nel cosmo, una linea priva di inizio, priva di fine e di sostanza, un punto infinitamente esteso di energia radiante, una striscia immateriale di luce accecante, un raggio puro.

“Devo raggiungerli. Devo raggiungerli.”

“Angeli!”

Oh. Finalmente ne avvertiva la presenza. E così esistevano. Qualsiasi cosa fossero, esistevano davvero. Potevano anche non essere dei veri angeli, ma erano là e non erano lontani. “Esistevano”. Luce. Forza. Magnetismo. Sì. La consapevolezza di una massa di potenza inaudita, pura energia concentrata, penetrò piano piano in lei. Si trattava di una gigantesca massa in movimento, che esercitava uno sforzo terribile sulla struttura stessa dell’universo.

Che strano! L’angelo aveva un momento angolare. Ruotava poderosamente sul suo asse colossale. Chi avrebbe mai pensato che gli angeli fossero tanto grandi? Tuttavia si trattava di angeli, poiché potevano essere ciò che a loro più piaceva.

Noelle si sentì oppressa dal peso in movimento dell’angelo che effettuava la sua lenta, gravosa rotazione assiale. Tuttavia si sforzò di avvicinarsi.

Oh.

Era abbagliata dalla sua presenza.

Oh. Oh.

Ne avvertiva il rombare. Sembrava il rombare di un’immensa fornace. Era assordante. Udì uno scoppio, poi un lungo sfrigolio e un sibilo: i suoni dell’inimmaginabile energia libera e non filtrata.

“C’è troppa luce! C’è troppa energia!”

Si sentiva affascinata quanto spaventata. Doveva stare attenta. Lì si nascondeva un grande mostro. Noelle si ritirò un poco, e poi ancora di più, schiacciata dalla forza delle irradiazioni dell’angelo. Davanti a una tale energia si sentiva minuscola. Perdere anche solo per un attimo il controllo della mente e consentire a quell’energia di penetrarvi l’avrebbe distrutta. Doveva tornare indietro e creare una sorta di schermo, di trasformatore di energia mentale che proteggesse la sua piccola anima dalla piena furia di quella potenza radiante.

E quindi si ritirò rapidamente, giù, giù, sempre più giù, fino a quando non si ritrovò nell’astronave. Riposò un poco, poi studiò il problema. Ci voleva tempo e disciplina per fare ciò che doveva fare. Bisognava rimettersi in discussione, dominare nuove tecniche, scoprire capacità che non sapeva di possedere. E per questo ci voleva tempo e disciplina. Quanto? Giorni, settimane, mesi? Non lo sapeva. Avrebbe fatto ciò che era necessario, e lo avrebbe fatto con pazienza, con cautela.


E un giorno fu di nuovo pronta.

Sì.

Ormai poteva provare di nuovo. Piano, molto piano, modulato con la massima cura, il sottile filo del pensiero salì di nuovo.

Così. Così.

Si avvicinò all’angelo.

“Mi vedi? Io sono qui. Sono Noelle. Noelle. Vengo a te con amore e paura. Vuoi un contatto? Toccami.”

Un tocco leggero.

Un tocco.

Oh. Oh.

“Ti vedo. La luce… gli occhi di cristallo… le fontane di lava… oh, la luce, la tua luce… ti vedo. Ti vedo!

Oh! Come un dio!

Aveva cercato il mito di Semele negli archivi storici dell’astronave dopo il primo tentativo, giorni addietro. Era come l’aveva raccontata il comandante il giorno in cui si erano baciati per la prima volta, il giorno della nascita del loro amore.

“E Semele volle contemplare Zeus in tutta la sua gloria. Zeus cercò in ogni modo di evitarlo, ma Semele insistette, e Zeus, che invero l’amava, non poté più rifiutare. E così Zeus si rivelò a lei in tutta la sua potenza, e Semele ne venne consumata; sicché ne restarono solo le ceneri, ma il figlio che aveva concepito, il semidio Dioniso, poteva contemplare il padre e non ne fu distrutto. Zeus salvò Dioniso, celandolo nella sua coscia per crescerlo e donargli i poteri di un dio.”

“Dio mio, io sono come Semele!…”

Quel pensiero la terrorizzò. L’angelo era troppo, troppo potente per lei. Ne sarebbe stata consumata, incenerita. Travolta dal terrore, Noelle si ritirò velocemente, rientrando con un sospiro di sollievo nell’astronave, nel suo santuario. Doveva riposare, ricomporsi. Cercò di rigenerare i suoi poteri, ma erano stati brutalmente esauriti. Poteva solo riposare, allora, anche giorni e giorni, se era necessario. Tutto quello era molto difficile e pericoloso. Sapeva di non essere in grado di continuare, per il momento. Non poteva addentrarsi nell’Intermundium per una terza volta, quel giorno.

— Sono realmente là, davvero — disse. Appariva pallida, stanca, ancora fortemente sconvolta. Erano passate poco più di due ore dal suo ritorno da quella avventura. L’intero viaggio mentale era durato non più di due minuti, almeno a sentire gli altri. A lei erano sembrati anni, a lei e a chi l’aveva assistita durante lo stato di trance.

Un nutrito gruppo di persone si trovava in quel momento con lei nella cabina: Heinz, Huw, Leon, Elizabeth, Imogen, Julia e, naturalmente, il comandante. — Potrei percepirli mentre si librano da qualche parte fuori dall’astronave. Angeli.

— Angeli? — chiese Heinz sconcertato. Sembrava stranamente sotto tono. — Veri angeli?

— Intende dire esseri divini con forma umana, come gli angeli con le ali che popolano gli antichi dipinti? — fece Noelle.

— E nomi, e identità — aggiunse Elizabeth. — Gabriele, Michele, Raffaele, Azrael… i luogotenenti di Dio.

— Non so se sono angeli in quel senso — replicò Noelle. — Angeli è la parola con cui abbiamo cominciato a definirli, ricordate?

— E certamente saprete tutti che io ho usato quella parola con leggerezza — precisò Heinz. — Era solo un’ipotesi, allora, una sorta di gioco. Io per primo non credevo che vi fosse una qualsiasi specie di intelligenza là fuori. E adesso lei afferma di aver visto qualcosa.

Molti si accigliarono. Era strano chiedere a Noelle se aveva “visto” qualcosa. Tuttavia, chi poteva sapere come si svolgessero veramente le cose nel regno dei poteri mentali?

— Li ho sentiti — replicò Noelle. — Non visti.

— Insomma, erano angeli o no? — insistette Heinz.

Noelle sorrise lievemente, scuotendo la testa. — Come faccio a saperlo? Non credo, non mi sembra che la definizione classica di angeli si adatti a loro. Ve l’ho detto, non ho visto niente. Tuttavia li ho sentiti. Sono delle forze. Immensi ammassi di potenza in costante rotazione sul proprio asse. Se gli angeli fanno così, allora erano angeli.

— Forze — ripeté Elizabeth, soppesando la parola. — Mi chiedo se si tratti di una categoria di angeli — disse, contando sulle dita. — Cori, Troni, Dominazioni, Principati, Virtù, Poteri… Poteri! Questo sarebbe più o meno come Forze!

Il comandante si protese in avanti e disse teneramente a Noelle: — Sei in grado di descriverci in qualche modo ciò che hai provato?

— No.

— Quanto distavi dall’astronave quando hai cominciato a percepirli?

— Non sono in grado di dire neppure questo. Nulla ha senso là fuori, neppure la distanza. È come trovarsi in una nebbia infinita e insostanziale, più o meno come quella che compare al di là della grande vetrata, solo che non ha alcun inizio e alcuna fine.

— Ma sembravano vicini, perlomeno? — domandò lui.

Noelle allargò le braccia in un gesto di totale impotenza. — Non posso dirlo. Vicino o lontano sono definizioni senza senso. Tutto si trova alla stessa distanza là fuori. Non so neppure se mi trovavo nel tunnel di non-spazio o da qualche altra parte, quando li ho visti.

— Tuttavia sei riuscita a distinguere una dimensione relativa: hai detto che queste creature sono enormi.

— Erano molto più grandi di me, sì; molto più grandi. Immense. Questo l’ho avvertito subito. Ho percepito un potere immenso… era come trovarsi accanto a un’immensa fornace. Potevo sentirla rombare.

— Una fornace o molte fornaci? — chiese Huw.

— Non lo so. Non lo so proprio. Qualche volta mi sembrava una, altre mi sembravano molte. Certe volte credevo fossero migliaia attorno a me — spiegò Noelle con un pallido sorriso. Appariva esausta. — Voi cercate di ridurre in termini concreti ciò che io ho provato, ma non è possibile. Tutto ciò che posso dirvi è che io sono uscita là fuori, e dopo un po’ ho trovato qualcosa di enorme, qualcosa di immensamente potente e pieno di energia radiante. Se gli angeli sono così, allora ho incontrato un angelo. Non ho idea di cosa si provi quando si incontra un angelo, e neppure dell’importanza che può avere attribuirgli in qualche modo un nome. So solo che c’è qualcosa là fuori, e sono convinta che questo qualcosa mi impedisca di contattare Yvonne.

— Pensi di provare ancora a contattare questa creatura? — domandò gentilmente il comandante.

— Non adesso.

— Ho capito. Più tardi, forse?

— Certamente. Non intendo proprio fermarmi qui. Ci proverò ancora, ma solo quando… quando…

— Ora deve riposare — intervenne Leon.

Il comandante annuì. — Sì. Andiamo — ordinò agli altri, e tutti si avviarono verso la porta. — Vieni — disse a Noelle. — Ti porterò nella tua cabina.

In genere, Noelle rifiutava con forza le offerte di aiuto. Non quella volta, però. Si alzò faticosamente in piedi, lasciando che il comandante la sorreggesse con un braccio, e i due si avviarono piano piano lungo il corridoio.

Lui si fermò davanti alla porta della cabina. Non cercò di entrare perché lei non sembrò intenzionata a invitarlo.

Parlando piano, le chiese: — Ti ha spaventata molto?

— Mi ha spaventata e meravigliata nello stesso tempo. Ci riproverò di nuovo non appena mi sarò riposata abbastanza.

— Non voglio che tu corra dei rischi, Noelle.

— Non correrò alcun rischio, se potrò riposare abbastanza.

— E se un giorno riuscissi a stabilire un vero contatto con loro per poi scoprire di non riuscire a sopportarne la potenza?

— Semele?

— Semele. Già.

— Ho cercato il mito negli archivi, sai? La sezione mitologica del computer lo riporta per intero. È esattamente come tu mi hai raccontato, tranne la parte in cui Zeus nasconde il bambino nella coscia. Ma questo non è importante. Semele morì, certo. Ma, prima, fu l’amante di un dio e la madre di un altro dio. E poi vive per sempre nel mito.

— Questo riguarda Semele, non te. Non voglio che tu corra dei rischi non necessari.

— Questo è un rischio necessario. È una cosa che dev’essere fatta.

— Sì — ammise il comandante — dev’essere fatta. Hai ragione. Ora ti lascio riposare, Noelle.

Lei entrò. Lui chiuse la porta della sua cabina e si avviò lentamente lungo il corridoio per raggiungere la propria.

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