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Una campagna contro Ythri avrebbe richiesto una flotta enorme, radunata da ogni parte dell’Impero. Nulla di tutto ciò si era visto, né se ne era sentito parlare pubblicamente, malgrado corressero certe voci. Ma naturalmente le unità di controllo dei sistemi di frontiera erano state apertamente rinforzate con l’aggravarsi della crisi, mentre proseguivano a ritmo sostenuto le esercitazioni e le prove di manovra.

In orbita intorno a Pax alla distanza di dieci unità astronomiche, gli incrociatori tipo-pianeta Thor e Ansa saggiavano gli schermi di energia scambiandosi reciproci colpi a salve di granate e di siluri, bombardandoli con raggi laser che cercavano di colpire un singolo punto dello scafo per il tempo sufficiente alla raffica energetica a perforare l’armatura, facevano esplodere razzi al magnesio la cui brillantezza nascondeva radiazioni mortali, balzavano qua e là per evitare colpi gravitazionali, entravano ed uscivano dalla fase iperdrive, e si servivano di tutti i trucchi del manuale terrestre, nonché di qualcun altro che il comando sperava non fosse ancora compreso in quello Ythrano. Nel frattempo anche le lance tipo-cometa e tipometeora che da essi dipendevano erano impegnate in attività analoghe.

Per stimolare l’impegno era stato promosso un premio. Il vascello che i computer avessero giudicato vittorioso avrebbe fatto rotta verso Esperance insieme ai suoi ausiliari, e lì l’equipaggio avrebbe usufruito di una settimana di libertà.

Vinse Ansa, che trasmise un segnale di giubilo. Mezzo milione di chilometri più lontano, si accese il motore della Meteora che il suo capitano aveva chiamato Stella Sibilante.

«Finalmente risorti!», esultò il sottotenente di vascello Philippe Rochefort. «Ed in gloria».

«E senza merito». L’ufficiale di controllo del tiro, Wa Chaou di Cynthia, sogghignò. Il suo corpo piccolo e dal pelo bianco si accucciò sul tavolo che aveva pulito dopo il pasto; la coda a cespuglio vibrava come i mustacchi intorno al muso tinto di blu.

«Che diavolo vuoi dire con quel "senza merito"?», borbottò l’ingegnere addetto al computer, Abdullah Helu: un militare di carriera magro e di mezza età proveniente da Huy Braseal. «Fare i morti per tre giorni interminabili è più di quanto richieda il semplice dovere». La lancia era stata teoricamente distrutta nel corso di un duello aereo, ed era andata liberamente alla deriva, come avrebbe fatto un vero relitto, per complicare l’esistenza ai tecnici della rilevazione.

«Specialmente quando il poker ti ha ripulito e spremuto ben bene, eh?», lo beffò Wa Chaou.

«Non giocherò più con lei, signore», disse Helu al comandante-pilota. «Senza offesa. Lei ha un maledetto talento».

«È solo fortuna», replicò Rochefort. «Così come è stata solo la sfortuna a farci perdere. La lancia si è comportata bene, ed anche tu, dopo, con le fiches. Andrà meglio la prossima volta, per tutt’e due le cose».

Era il suo primo comando, nuovo di zecca — era stato recentemente promosso da guardiamarina per l’audacia dimostrata in un’operazione di soccorso — ed era ansioso di fare bella figura. Per quanto inevitabile, date le circostanze, la sconfitta gli bruciava.

Ma loro facevano parte della squadra di testa; ed avevano fatto fuori due lance nemiche, ed altre tre le avevano bloccate per un tempo che certamente doveva essere stato sfruttato con profitto da qualche altra parte; adesso sarebbero ritornati sull’Ansa e di lì su Esperance, dove lui conosceva così tante ragazze che un appuntamento era una certezza statistica.

La piccola cabina tremava e ronzava sotto l’energia motrice. Dai ventilatori entrava aria che sapeva di olio e di riciclati chimici. Una Meteora era progettata per sopportare un’alta accelerazione in condizioni sia relativistiche che di iperdrive; per l’accurato piazzamento di siluri a testata nucleare; ed era confortevole appena quel tanto che era necessario perché il personale fosse in continua efficienza.

Eppure al di là degli oblò si stendeva lo spazio nella sua gloria di stelle, scintillanti come gioielli, fisse e multicolori, che affollavano l’infinita chiarezza del buio, per poi fondersi nel ruscello argenteo della Via Lattea o nelle pallide e misteriose nuvolette che erano le altre galassie. Rochefort avrebbe voluto sedersi, guardare, lasciare che l’anima seguisse lo sguardo al di fuori, verso il divino tempio dell’universo. Ed avrebbe potuto anche farlo; la lancia procedeva in completa autoguida. Ma era meglio dimostrare agli altri che lui era un ufficiale coscienzioso e sicuro di sé. Fece scorrere all’indietro il videonastro che stava guardando quando era giunto il messaggio.

Quasi all’inizio, c’era una lezione registrata. Uno xenologo umano si stagliò nello schermo ed intonò:

«A sangue caldo, piumati, e capaci di volare, gli Ythrani non sono uccelli; mettono al mondo i loro piccoli come i vivipari dopo una gestazione di quattro mesi e mezzo; non hanno becco, ma labbra e denti. Non sono nemmeno mammiferi; non crescono loro peli né secernono latte; le labbra si sono sviluppate perché i genitori possano nutrire i piccoli mediante rigurgito. E mentre le feritoie subalari possono far venire in mente le branchie dei pesci, essi non sono adatti all’acqua ma al…».

«Oh, no!», esclamò Helu. «Signore, non può trovare più tardi il tempo di studiare?».

«La guerra può scoppiare da un minuto all’altro», disse Wa Chaou.

«Se sarà, e quando sarà, che importa quale aspetto ha il nemico o com’è la sua vita amorosa? Le sue navi sono più o meno come le nostre, e probabilmente questo è tutto ciò che riusciremo mai a vedere».

«Oh, sei in linea diretta con il futuro?», mormorò il Cinziano.

Rochefort fermò il nastro e scattò. «Abbasserò il volume, se volete, ma la conoscenza della natura del nemico può costituire quel nonnulla di differenza che può salvarci quando la cosa si verificherà sul serio. Suggerirei di guardare anche a voi».

«Ehm, penso che sia meglio controllare l’oscillatore numero tre, finché non viaggiamo ad una velocità iperluce», disse Helu, e scomparve in sala motori. Wa Chaou si sistemò vicino a Rochefort.

Il sottotenente sorrise. Si astenne dal dire al Cinziano: Sei un tipetto in gamba. Ti sei arruolato per sfuggire al dominio delle irascibili femmine del tuo pianeta?

Il suo pensiero proseguì: Il sistema riproduttivo - le caratteristiche sessuali, le esigenze dei giovani - sembra determinare gran parte degli elementi fondamentali di ogni specie intelligente. Come se fosse vera quella osservazione di un cinico secondo la quale un organismo è semplicemente il modo di una molecola DNA di creare altre molecole DNA. O qualunque altra cosa possano essere, in un determinato mondo, le eredità genetiche… ma no, un cattolico di Gerusalemme non può credere una cosa del genere. L’evoluzione biologica predispone, non costringe.

«Vediamo come funzionano gli Ythrani», disse poi ad alta voce, ed allungò una mano verso l’interruttore.

«Non lo sa già, signore?», domando Wa Chaou.

«Non proprio. Ci sono tante razze strane, in quel pezzetto di spazio che abbiamo più o meno esplorato. E poi ho avuto troppo da fare, dovevo prendere confidenza con i miei nuovi incarichi». Rochefort ridacchiò. «E, diciamolo pure, dovevo anche godermi tutte le licenze che sono riuscito ad ottenere».

Riattivò lo schermo. Mostrava un Ythrano che camminava sui piedi che gli spuntavano dalle ali; un’andatura relativamente lenta, saltellante, non adatta per le lunghe distanze. L’essere si fermò, abbassò le mani a terra e si poggiò su di esse. Poi sollevò le ali e tutto d’un tratto fu splendido.

In basso, su entrambi i lati, c’erano delle fessure una sopra all’altra. Mentre le ali si levavano, le falde piumate simili ad opercoli che le proteggevano furono retroflesse. Le fessure si allargarono finché, raggiunta la massima apertura, non assomigliarono a delle bocche color porpora. La ripresa passò a un primo piano. Si vedevano i tessuti di pelle sottile, intricati e raggrinziti, dietro una barriera di ciglia che probabilmente avevano lo scopo di espellere la polvere.

Quando le ali si abbassarono, le fessure si chiusero di nuovo, come mantici. La voce dell’esperto disse: «Ecco ciò che permette a un corpo così pesante di volare in condizioni di peso e densità di tipo terrestre. Gli Ythrani hanno una massa perfino doppia delle più grandi creature volanti su qualsiasi pianeta consimile. Le fessure subalari, pompate dai colpi d’ala, assorbono ossigeno sotto pressione e lo convogliano direttamente nella circolazione sanguigna. In tal modo esse integrano il lavoro dei polmoni, che in se stessi ricordano più o meno quelli dei normali animali terrestri. E l’Ythrano ottiene l’energia necessaria a sollevarsi e a volare con rapidità ed eleganza».

L’immagine tornò in campo normale. La creatura olografata sbatté energicamente le ali e schizzò verso l’alto.

«Naturalmente», continuò secca la voce, «quest’energia deve provenire da un metabolismo adeguatamente accelerato. A meno che non sia incapace di volare, l’Ythrano è un mangiatore voracissimo. A parte certi frutti dolci, è strettamente carnivoro; e il suo appetito ha indubbiamente rafforzato l’abituale tendenza dei carnivori a vivere in gruppi piccoli e ben distinti, ciascuno dei quali occupa un ampio territorio che difende per istinto contro qualsiasi invasore.

«In effetti si può comprendere meglio l’Ythrano nei termini di ciò che noi sappiamo o congetturiamo riguardo all’evoluzione della sua razza».

«Congetture, più che conoscenze, direi», commentò Rochefort, ma senza poter evitare di sentirsi affascinato.


«Noi crediamo che la vita omeotermica — in parole povere, a sangue caldo — su Ythri non sia derivata da una forma rettilesca, o rettiloide, ma direttamente da una anfibia, presumibilmente qualcosa di analogo a un dipnoo. In ogni caso ha conservato una parvenza di branchie. Le specie che si sono sviluppate sulla Terra alla fine hanno perso questa caratteristica, conservata invece dagli animali più primitivi. Tra questi ultimi si deve cercare quel piccolo essere, probabilmente palustre, che è poi divenuto l’antenato del sofonte. Vivendo sulle cime degli alberi, esso può aver sviluppato una membrana della quale servirsi per planare di ramo in ramo. Questa si è infine trasformata in un’ala. Nel frattempo le branchie si sono modificate in funzione dell’uso aereo, trasformandosi in compressori».

«Come al solito», osservò Wa Chaou, «gli insuccessi di uno stadio generano i successi di quello seguente».

«Naturalmente», proseguì lo speaker, «l’Ythrano può librarsi e perfino rimanere sospeso in aria, ma è l’enorme apertura alare che lo rende possibile, e sono le fessure subalari che rendono possibile il funzionamento di quelle ali.

«Per il resto, il pre-Ythrano deve aver avuto un aspetto abbastanza simile agli uccelli della Terra». Ed apparvero immagini di diverse ipotetiche creature estinte. «Probabilmente aveva sviluppato un analogo sistema per l’immagazzinamento idrico — niente minzione separata — che salvaguardava il peso e nello stesso tempo compensava le perdite di evaporazione dalle fessure subalari. Analogamente aveva sviluppato ossa leggere, malgrado queste fossero più complesse di quelle degli uccelli, composte di un materiale bifase straordinariamente resistente la cui base organica non è il collageno ma una sostanza che svolge le funzioni del midollo nei mammiferi terrestri. L’animale, comunque, non ha mai sviluppato un becco al posto dei denti. Molti ornitoidi Ythrani l’hanno fatto, per esempio l’uhoth, esteriormente simile ad un falco ma nella sostanza analogo al nostro cane. Ma il presofonte rimase un frequentatore non adattato delle umide giungle.

«Il fatto che i piccoli nascano minuscoli e indifesi — dal momento che la femmina non potrebbe percorrere lunghe distanze portando un feto troppo pesante — è probabilmente causa della ritenzione e l’elaborazione delle dita sulle ali. Il cucciolo può aggrapparsi a turno ad entrambi i genitori mentre questi volano in cerca di cibo; prima che fosse capace di volare poteva salvarsi dai nemici arrampicandosi su un albero. Nel frattempo i piedi acquistavano una sempre maggiore abilità nell’afferrare la preda e nel maneggiare gli oggetti.

«Tra parentesi, il breve periodo di gestazione non significa che l’Ythrano nasca con un sistema nervoso scarsamente sviluppato. Il rapido metabolismo del volo influisce sulla velocità di divisione delle cellule fetali. Questo processo si incentra sulla formazione di uno schema corporeo più che sull’aumento delle dimensioni. Nondimeno, un Ythrano neonato ha bisogno di più cure e di più cibo di un neonato terrestre. I genitori devono collaborare a far questo, così come a portarsi appresso il piccolo. Qui forse possiamo trovare la causa prima della quasi uguaglianza sessuale riscontrata in tutte le civiltà Ythrane.

«Analogamente, una rapida successione di figli non potrebbe sopravvivere in tali primitive condizioni. Questo può essere il motivo per cui la femmina ovula solo ad intervalli di un anno — l’anno di Ythri è circa la metà di quello terrestre — e non prima di due anni dopo aver partorito. La sessualità non si manifesta apertamente se non in questi periodi. Allora diventa quasi incontrollabile sia nel maschio che nella femmina. Questo può aver fornito all’istinto territoriale un sostegno culturale, con l’evolversi dell’intelligenza. I genitori preferiscono tenere le proprie figlie nubili isolate, quando sono in calore, per evitare fortuiti incontri con i maschi. Per lo più, marito e moglie non vogliono sprecare un’esperienza così ricca e rara con il primo che capita.

«Il ciclo sessuale non è del tutto rigido. In particolare, il dolore induce spesso il calore. Senza dubbio questo rappresenta un accorgimento della natura per rimpiazzare rapidamente le perdite. E sembra aver favorito una parziale fusione di Eros e Thanatos nella psiche Ythrana, il che rende gran parte della loro arte, e senza dubbio il pensiero, incomprensibili all’uomo. Qualche femmina può ovulare di sua volontà, ma questa è considerata un’anormalità; nei tempi antichi sarebbe stata uccisa, oggi è generalmente evitata, a causa della paura che incute la sua capacità. Uno dei più famosi "cattivi" della storia Ythrana è il maschio che, mediante ipnosi o altri mezzi, può indurre tale stato. Naturalmente la più importante manifestazione di un certo grado di flessibilità è il fatto che gli Ythrani sono riusciti con successo ad adattare il loro schema riproduttivo, come tutti gli altri, in una quantità di pianeti colonizzati».

«Per quanto mi riguarda, è più piacevole essere umano», commentò Rochefort.

«Non lo so, signore», replicò Wa Chaou. «In superficie il rapporto fra i due sessi sembra più semplice che nella sua razza o nella mia; o ti va di farlo, o non ti va, tutto lì. Mi domando tuttavia se esso non possa essere più sottile e complicato dei nostri, addirittura fondamentale nei riguardi dell’intera psicologia».

«Ma per tornare all’evoluzione», stava dicendo lo scienziato, «sembra che una gran parte di Ythri dovette sopportare qualcosa di simile alla grande siccità di Pliocene nella nostra Africa. Gli ornitoidi furono costretti ad uscire dalle foreste in via di estinzione e rifugiarsi nelle nascenti savane. Là si evolsero da mangiatori di carogne in cacciatori di selvaggina grossa, in maniera analoga ai proto-uomini. Quelli che in origine erano piedi divennero mani, che poi cominciarono a costruire attrezzi. Per sostenere il corpo e fornire locomozione sul terreno, quelli che prima erano artigli divennero piedi, mentre le ali che li sorreggevano si trasformarono in un sostituto convertibile delle gambe.

«Eppure l’Ythrano intelligente rimase un puro carnivoro, un essere che sul terreno si trovava a disagio. I primitivi cacciatori colpivano dall’alto, con lance, frecce, scuri. Ne bastavano pochi per abbattere gli animali più grossi. Non c’era necessità di scavare buche per catturare gli elefanti o di stare spalla a spalla per affrontare la carica di un leone. La società rimase divisa in famiglie o clan, che raramente si facevano guerra ma che, d’altro canto, avevano ben pochi contatti fra loro.

«La rivoluzione che pose fine all’Età della Pietra non coinvolse subito l’agricoltura, come nel caso dell’uomo. Essa nacque dal pascolo sistematico, e poi dall’addomesticamento, dei grandi animali di terra come il maukh, o di animali più piccoli come il mayaw dal pelo lungo. Ciò stimolò l’invenzione dei pattini, della ruota e di mezzi simili, per facilitare agli Ythrani il movimento sul terreno. L’agricoltura fu inventata come sussidiaria dell’allevamento, un sistema efficace per procurarsi il foraggio. Il cibo in avanzo agevolò i viaggi, il commercio e scambi culturali più ampi. Via via sempre più grandi, sorsero complesse unità sociali.

«Esse non possono essere definite civiltà in senso stretto, perché Ythri non ha mai conosciuto vere e proprie città. La mobilità fornita dalle ali escludeva ogni necessità di riunirsi insieme allo scopo di mantenere rapporti stretti. Certo, sorsero anche dei centri sedentari: per l’industria mineraria, metallurgica e così via; per il commercio e la religione; per la difesa nel caso in cui il gruppo fosse sconfitto da un altro in una battaglia aerea. Ma si è sempre trattato di insediamenti piuttosto piccoli e con popolazioni continuamente oscillanti. A parte i loro baroni con le relative guarnigioni, gli abitanti fissi furono dapprima, in gran parte, schiavi con le ali mozze, ed oggi sono macchine automatiche. Il mozzare le ali era il modo più semplice di rendere controllabile un individuo; ma poiché le penne tendevano a ricrescere, la pratica comune di promettere l’affrancamento dopo un certo periodo di diligente servizio rendeva il prigioniero alquanto docile. Da allora la schiavitù divenne talmente basilare nella società industriale pre-Ythrana che ancor oggi non è del tutto scomparsa».

Beh, lo stiamo rivivendo nell’Impero, pensò Rochefort. Nei termini ed alle condizioni consentite dalla legge; come punizione, allo scopo di ricavare dal criminale una qualche utilità sociale; nondimeno stiamo riprendendo un’abitudine che gli Ythrani stanno invece abbandonando. Siamo forse più morali noi? Abbiamo il diritto di farlo più di loro?

Si stiracchiò sulla poltrona. L’umanità è la mia razza.


Bionda e snella, vestita con l’antico gusto di Esperance per la semplicità, Eve Davisson contrastava gradevolmente con Philippe Rochefort, come si rendevano ben conto entrambi. Lui era un giovanotto alto e piuttosto magro, di portatura atletica, naso ampio, labbra piene e regolari, i capelli piegati in una nera crocchia splendente, la pelle di un bruno intenso. Per quanto riguardava l’uniforme, sfiorava il limite di tolleranza garantito agli ufficiali: un vistoso berretto messo di traverso su cui spiccavano i raggi solari dell’Impero, una tunica blu ornata di fregi dorati, una cintura ed un mantello scarlatti, pantaloni candidi infilati dentro i bassi stivaletti di autentico vitello terrestre.

Erano seduti in un ristorante intimo di Fleurville, accanto ad una finestra che dava sui giardini e sulle stelle. Un sonorista suonava dal vivo qualcosa di vecchio e sentimentale; vapori profumati e vagamente inebrianti fluttuavano nell’aria; stavano sbocconcellando gli antipasti, ma prestavano maggiore attenzione allo champagne. Ciò nonostante lei non sorrideva.

«Questo mondo è stato colonizzato da gente che credeva nella pace», disse la ragazza. Il suo tono era di tristezza più che di accusa. «Per generazioni non hanno avuto un esercito, ed hanno vissuto facendo affidamento sulla buona volontà di coloro che aiutavano».

«Quella buona volontà non è sopravvissuta ai Tumulti», obiettò Rochefort.

«Lo so, lo so. Non mi unirò ai dimostranti, qualunque cosa possano dire i miei amici quando verranno a sapere che sono uscita con un ufficiale imperiale. Ma Phil… la stella chiamata Pax, il pianeta chiamato Esperance si preparano alla guerra. È doloroso».

«Sarebbe più doloroso che noi fossimo attaccati. Avalon non è lontano e laggiù hanno sviluppato una potenza impressionante».

Le dita di lei si strinsero sullo stelo del bicchiere. «Un attacco da Avalon? Ma io ho conosciuto quella gente, entrambe le razze. Sono venuti qui per commercio o in escursione, o… ci sono andata anch’io, non molto tempo fa. Ci sono andata perché è pittoresco, ma sono stata trattata così squisitamente che non volevo più tornare via».

«Oserei dire che i modi Ythrani sono andati perduti nei loro colleghi umani». Rochefort mandò giù una sorsata, sperando che avrebbe mitigato la sua irritazione. Quella non avrebbe dovuto essere una serata di discussioni politiche. «Come è successo per caratteristiche meno piacevoli della personalità Ythrana».

Lei lo studiò attraverso la luce morbida, poi disse: «Ho l’impressione che tu disapprovi una colonia mista».

«Beh… in un certo senso, sì». Avrebbe potuto dissimulare, acconsentire facilmente a tutto ciò che lei affermava, e in tal modo aumentare le sue possibilità di portarsela a letto più tardi. Ma non si era mai comportato così; e non l’avrebbe fatto ora, perché era proprio la personalità di quella ragazza che a lui piaceva. «Io credo che bisogna essere ciò che si è e stare con i propri simili».

«Parli quasi come un razzista», disse lei, ma più dolcemente.

«Nella misura in cui l’uomo è la razza leader della civiltà tecnologica — perché fornisce la maggior parte dei suoi capi — sì, penso che tu possa definirmi un sostenitore della supremazia umana», ammise lui. «Non significa che noi siamo cronicamente peccatori o sciocchi, né significa che abbiamo alcun diritto di opprimere gli altri. Ecco, la gente come me è la migliore amica dello xenosofonte, solo che non ha nessuna intenzione di imitarlo».

«Credi che l’Impero terrestre sia una forza volta al bene?».

«Tutto sommato, sì. Commette del male, ma nessun mortale può evitarlo. Il nostro compito è di correggere gli errori… ed anche di riconoscere i valori che l’Impero in effetti preserva».

«Forse tu ne hai incontrato troppo poco, di male».

«Perché vengo dalla Terra?». Rochefort ridacchiò. «Mia cara, sei troppo in gamba per pensare che il sistema d’origine sia abitato solo da aristocratici. Mio padre è un funzionario di secondaria importanza nel Servizio Sociodinamico. Il suo lavoro ci ha fatto muovere un bel po’. Io sono nato a Selenopoli, che è uno spazioporto ed un centro industriale. Ho trascorso molti anni importanti su Venere, tra i crimini e le miserie di un pianeta la cui "terrestrizzazione" non è mai stata del tutto soddisfacente. Mi sono arruolato in marina come semplice marinaio — non per sciovinismo, ma solo per un infantile desiderio di vedere l’universo — e per due o tre anni non ho potuto frequentare la scuola piloti; intanto ho potuto vedere il lato negativo di più di un pianeta. Certo, c’è lo spazio di un intero cosmo per migliorare. Bene, allora miglioriamo, invece di farci a pezzi. E difendiamoci!».

Si interruppe. «Dannazione», disse francamente. «Speravo di toglierti di dosso la tua serietà, e ci sono caduto dentro io stesso».

Adesso la ragazza rise, e sollevò il bicchiere. «Allora aiutiamoci a venirne fuori», suggerì.

Lo fecero. La libertà di Rochefort divenne assai piacevole. E fu una fortuna, perché due settimane dopo fu richiamato a bordo, e l’Ansa ricevette l’ordine di dirigere verso lo spazio profondo. Ad anni luce di distanza da Pax, essa si unì alla flotta che si era servita dell’immensità come di una maschera per il suo schieramento; a centinaia, le navi si lanciarono verso il Dominio di Ythri.

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