15

La notte portò un vento insistente. Le nuvole si spaccarono in masse frastagliate, mentre Morgana, una sfera gibbosa sospesa nel mezzo, ne sfumava la tinta blu scura. Poche stelle splendevano appena, apparendo e scomparendo alla vista. La risacca sciabordava nell’oscurità al di là della pioggia, mentre gli alberi rumoreggiavano, anch’essi immersi nel buio della riva. Il freddo pungente aveva costretto gli umani a vestirsi pesantemente.

Rochefort e Tabitha passeggiavano lungo le dune. «Dove sarà lei?». La voce dell’uomo era spenta.

«Per conto suo», rispose la ragazza.

«Con questo tempo? E con la prospettiva che peggiori? Senti, se Holm è andato a cercarla, almeno noi…».

«Sanno entrambi badare a se stessi». Tabitha si strinse addosso il mantello. «Io non credo che Chris si aspetti davvero di trovarla, a meno che sia lei a volersi far trovare, il che è dubbio. Semplicemente deve fare qualcosa. E deve star lontano da noi per un poco. Il suo dolore fa male anche a lui. È tipico degli Ythrani trascorrere da soli il primo lutto».

«Santi numi! Ho combinato davvero un bel disastro, vero?».

Accanto a lei, Philippe era un’ombra alta e snella. Lei infilò la mano attraverso la fenditura della manica, vi annaspò dentro ed incontrò la realtà della sua mano. «Te lo ripeto, non potevi saperlo», gli disse. «Comunque, è meglio che l’abbia appreso così, invece di tirare avanti ancora per settimane o mesi, senza mai la certezza che lui non fosse morto in qualche modo orrendo. Adesso sa che se ne è andato in modo pulito, troppo rapidamente per accorgersene, subito dopo aver battuto un nemico coraggioso». Esitò. «E poi, non sei stato tu ad ucciderlo. È stato il nostro attacco. Potresti dire che è stata la guerra, come una valanga o un colpo di fulmine».

«Questa sporca guerra», disse lui con voce stridente. «Non ne abbiamo avuto ancora abbastanza?».

La rabbia avvampò in lei. La ragazza si staccò. «Il tuo prezioso Impero può finirla quando vuole, lo sai».

«È finita, tranne che per Avalon. Che senso ha continuare ancora? Li costringerete a bombardarvi, per farvi capitolare».

«Mostrando così al resto dello spazio conosciuto che razza di cosa è l’Impero. A lungo termine, un’infamia del genere costerebbe loro molto cara». La rabbia di Tabitha andava defluendo. O Phil, solo mio! «Lo sai, puntiamo tutto sul fatto che loro non sono dei mostri; e che hanno un certo interesse a salvare la faccia. Non ne parliamo più».

«Io devo. Tabby, tu ed Holm… È il vecchio Holm, accidenti. Lui, e pochi altri vecchi e Ythrani, ai quali non importa nulla di quanti giovani muoiono, pur di non ammettere quanto sono stupidi, senili e ostinati…».

«Basta, ti prego».

«Non posso. State tramando qualche nuovo, folle piano con cui pensate di tenere in scacco tutte quelle stelle. Anche ammettendo che funzioni, io ti dico che sarà un disastro. Perché può prolungare la guerra, renderla più aspra… No, non posso star qui a far niente, lasciando che tu faccia questo a te stessa».

Lei si fermò, e così anche lui. Si guardarono l’un l’altra attraverso l’inquieto alone di luce. «Non preoccuparti», disse lei. «Noi sappiamo quel che facciamo».

«Davvero? E qual è il vostro piano?».

«Non posso riferitelo, tesoro».

«No», replicò lui amaramente, «ma puoi lasciarmi trascorrere notti insonni, avvelenare i miei giorni, con la paura per te. Senti, io ne so un bel po’, sulla guerra. E sulla psicologia dell’alto comando dell’Impero. Potrei dirti con una certa precisione come reagirebbero a qualunque vostro tentativo».

Tabitha scosse la testa. Sperò che lui non la vedesse mordersi le labbra.

«Dimmelo», insistette lui. «Che male posso fare? E i miei consigli… Forse non state progettando nulla di avventato. Se potessi esserne sicuro…».

Lei riuscì appena a dire: «Ti prego. Ti prego».

Lui le posò le mani sulle spalle. La luce della luna si riversava nei suoi occhi, trasformandoli in stagni vuoti. «Se mi ami, me lo dirai», le disse.

Tabitha rimase lì, preda del vento. Non posso mentirgli. O sì? Ma non posso nemmeno rompere il giuramento. O sì?

Ciò che Arinnian voleva che gli dicessi…

Ma non ti sto mettendo alla prova, Phil, Phil. Io… sto scegliendo il male minore. Perché tu non vorresti che la tua donna rompesse il suo giuramento, vero? Ti sto dando quel po’ di felicità che posso darti, con una menzogna che non farà alcuna differenza per te. E poi, quando avrai capito, mi inginocchierò per chiederti perdono.

Si spaventò, nel sentirsi dire: «Abbiamo la tua parola?».

«Di non usare l’informazione contro di voi?». La sua voce ebbe un attimo di esitazione. Dietro di lui le onde sibilavano. «Sì».

«Oh, no!». Lei allungò una mano per toccarlo. «Non volevo dire…».

«Beh, hai la mia parola, tesoro».

In tal caso… pensò lei. Ma no, non potrei dirgli la verità prima di aver consultato Arinnian, e lui direbbe certamente di no. E comunque Phil ne soffrirebbe moltissimo, e sarebbe spaventato per me e, sì, per i suoi amici della marina che, per tener fede al suo onore, non potrebbe avvisare.

Strinse i pugni sotto il mantello svolazzante, e disse concitatamente: «Beh, in effetti non è niente d’importante. Tu conosci Equatoria, il continente disabitato. Là non c’è nulla se non qualche postazione sparpagliata ed una guardia ridotta all’osso. Per lo più se ne stanno nelle baracche, perché sono talmente pochi che non avrebbe senso pattugliare un territorio così vasto. Chris è preoccupato di questo».

«Hmm, sì, l’ho sentito che te ne parlava».

«È riuscito a convincere il padre che le difese sono inadeguate. In particolare, facendo uno studio accurato, hanno scoperto che l’altopiano di Scorpeluna è del tutto esposto. Lo isolano le catene circostanti di montagne, la turbolenza dell’aria e così via. Un nemico che concentrasse la sua azione per infrangere la resistenza delle fortezze orbitali e che piombasse giù sufficientemente veloce… appena al di sotto dei cinquanta chilometri, sarebbe al riparo da quei pochi raggi che potremmo lanciargli addosso, e riuscirebbe certo ad eliminare senza difficoltà i pochi missili e mezzi aerei che potremmo spedire in tempo. Una volta al suolo, basta trincerarsi… capisci? Una testa di ponte. Noi vogliamo rinforzare quell’area. Tutto qui».

Si fermò, presa da una specie di stordimento. Ho parlato senza mai prendere il fiato?

«Capisco», rispose lui dopo un po’. «Grazie, cara».

Lei gli si fece incontro e lo baciò, con dolcezza per non fargli male sulla bocca ferita.


In seguito, quella notte, il vento scemò, le nuvole si raccolsero, e cadde la pioggia, lenta come lacrime. All’alba aveva smesso. Laura sorse accecante dalle grandi acque, immergendosi nel blu assoluto del cielo, ed ogni foglia e lamina dell’isola ne fu ingioiellata.

Eyath lasciò la faglia su cui era rimasta appollaiata nelle ultime ore, quando non era stata più in grado di fronteggiare le intemperie. Aveva freddo, era bagnata, irrigidita, ma poi l’aria soffiò pungente nelle narici e nelle fessure subalari, il sangue si ridestò, e ben presto i muscoli tornarono a palpitare.

In alto, in alto, pensò, e si sollevò in grandi spirali ascendenti. Il mare rideva, ma l’isola sognava ancora, ed il solo rumore era l’impeto che le faceva rabbrividire i remiganti.

Alla tua morte, Vodan, anche tu eri un sole.

La disperazione se n’era andata, bruciata dallo sforzo delle sue ali, schiaffeggiata dai venti e sciacquata dalla pioggia, così come avrebbe certamente voluto lui. Eyath sapeva che il dolore sarebbe guarito meno rapidamente; non era nulla che lei non sapesse dominare, però. Già sotto di esso sentiva la tristezza, come il calore di un focolare al quale scaldarsi le mani. Che ne rimanesse una traccia, finché lei fosse vissuta; che Vodan dimorasse in lei anche quando fosse riuscita a innamorarsi di nuovo, e avesse donato a quell’ultimo amore l’altezza d’animo di lui.

Si librò nel cielo, quasi dondolando. Da quell’altezza poteva vedere più di un’isola, allungata per tutta la curva di mercurio del mondo. Ancora non voglio ritornare. Arinnian può aspettarmi fino al… tramonto? La fame le ribolliva dentro. Aveva consumato una gran quantità di energia. Benedette le fitte, benedetto questo bisogno di cacciare… benedetta l’occasione, ah!

Molto più in basso, delle macchioline, una mandria di pteropleuronti che lasciavano le loro scogliere e si sparpagliavano alla ricerca di pesci vicino alla superficie dell’acqua. Eyath scelse la sua preda, la puntò e si lanciò. Quando calò le membrane sugli occhi per proteggerli, il mondo divenne indistinto e in qualche modo si oscurò; ma lei era sempre più consapevole di un cielo spaccato in due che scorreva e sibilava intorno; gli artigli stretti intorno alla curva di ciascuna ala rispondevano brillantemente ad ogni cambiamento di angolazione, di velocità e di potenza.

Il suo corpo sapeva quando riavvolgere quelle ali e cadere — quando dispiegarle di nuovo, frenare in un rombo, e schizzare verso l’alto — e sapeva quando e come le sue mani dovevano colpirle. Non aveva bisogno della spada. Il collo del rettiloide si spezzò di schianto per la pura violenza dello scontro.

Vodan, ti sarebbe piaciuto!

Il suo fardello la ostacolò non poco; pur non essendo pesante, ci vollero tuttavia delle foglie molto ampie per sollevarlo. Si sistemò sopra una roccia che si protendeva dalla costa, macellò la carne e la mangiò. Cruda, aveva un sapore dolce, appena avvertibile. Il mare rumoreggiava e spumeggiava intorno a lei.

Poi volò per l’isola, stavolta con lentezza. Sarebbe andata in cerca delle piantagioni più alte per riposare tra gli alberi ed i fiori, all’ombra maculata dal sole; quindi sarebbe tornata in alto; e per tutto il tempo avrebbe ricordato Vodan. Poiché essi non si erano sposati, lei non poteva guidare la danza funebre; perciò oggi gli avrebbe regalato la sua, la loro.

Sfiorò bassa le cime di un frutteto. L’acqua, evaporando tra le foglie ed il terreno, creava nebbioline bianche che si stagliavano contro il verde, sotto il sole. Le correnti ascensionali le diedero una spinta verso l’alto. Si inebriò dei forti odori della terra viva attraverso le fessure subalari ed i polmoni, finché non si sentì la testa che si alleggeriva ed il sangue che cantava. Vodan, sognò, se tu fossi accanto a me, ce ne andremmo via in volo, solo noi due. E troveremmo un posto dove potresti avvolgermi nelle tue ali.

Era come se lui fosse lì. Il battito d’ali che premeva da dietro e da sopra, l’aria d’improvviso piena del profumo di maschio. La sua mente vorticava. Sto per svenire? Farei meglio ad abbassarmi. Scese irregolarmente ed atterrò con difficoltà.

Intorno a lei alberi di arancio, non alti né troppo ravvicinati, e lanterne dorate che brillavano misteriosamente nelle profondità del fogliame. Il suolo era stato coltivato e seminato di fresco, ed era nudo contro il cielo. La sua morbidezza bruna le abbracciava i piedi, umidi e riscaldati dal sole che l’abbagliava. La luce veniva giù a torrenti, il muschio e la dolcezza del suolo trasudavano dal basso, e tutto rombava intorno a lei.

Per un attimo Laura fu nascosto da un remigante, mentre l’altro scendeva. Riconobbe Draun.

La sua cresta era rigida. Ogni penna intorno alla bocca sorridente diceva: Speravo di trovarti in questo stato, dopo quello che è successo.

«No», disse lei con un filo di voce, ed allargò le ali per volare.

Draun avanzò rigidamente sul terreno, con le braccia aperte e le dita ripiegate ad uncino. «Bellissima, bellissima», le bisbigliò con voce soffocata. «Khr-r-r».

Le ali di Eyath sbatterono. L’afflusso d’aria le diede forza, ma non la sua forza. Era un’energia differente, quella che la scosse come lei avrebbe potuto scuotere una preda.

«Vodan!», gridò, ed in qualche modo riuscì a sollevarsi svolazzando dalla terra che turbinava. L’ascesa fu lenta e sgraziata. Draun allungò un braccio, afferrando con gli artigli uno dei suoi alettoni; caddero entrambi a terra.

Lei gli graffiò la faccia e allungò la mano per prendere il pugnale. Lui le strinse entrambi i polsi e la tirò verso di sé. «Non lo desideri, femmina?». Il suo respiro le ronzava nelle orecchie. «E adesso?». La abbracciò, portandosi le braccia di lei intorno al collo. Allargate, le sue ali nascosero di nuovo il sole, prima che le piume le coprissero gli occhi.

Lei lo strinse a sé, con le ali avvolte sotto le sue. Poi strinse le labbra così forte che l’oscurità fu piena di informi luci danzanti. Vodan, il pensiero le attraversò la mente superando a fatica lo stordimento, farò finta che sia tu.

Ma Vodan non l’avrebbe lasciata, dopo, abbandonandola lì piena di graffi, morsi e lividi in attesa che la trovasse Arinnian.


Tabby era ancora addormentata, Holm era ancora in cerca della sua povera amica, Draun se ne era andato da poco con il pretesto di dare un aiuto anche lui, i servitori ed i pescatori erano impegnati nei vari compiti. L’insediamento era tranquillo, alle prime luci del mattino.

Rochefort tornò senza far rumore nella stanza da letto. Lei era una delle poche donne che aveva conosciuto che a quell’ora avessero un bell’aspetto. Il corpo alto, la pelle abbronzata erano troppo robusti per cedere o gonfiarsi; i corti riccioli biondi erano aggrovigliati in modo da far venire voglia di giocarci con le dita. Respirava profondamente, regolarmente, senza russare, benché le labbra fossero appena separate a rivelare il bianco dei denti. Quando si chinò su di lei, attraverso le strisce di luce e l’ombra gettata dalla tendina, non sentì profumo di amarezza, ma solo di fanciullezza. Notò il segno delle lacrime che si erano asciugate sul volto.

Rochefort piegò la bocca, e il labbro ferito gli dolse meno di quanto non succedesse al suo cuore. Tabitha aveva pianto per lui, a causa sua, dopo che erano tornati a casa. «Ma certo che non puoi stanotte, tesoro», gli aveva mormorato, appoggiandosi su un gomito e girandosi verso di lui, mentre con l’altra mano gli accarezzava la guancia, il petto ed i fianchi. «Con tutta quest’agitazione, e quello che hai passato, e tutto il resto. Saresti proprio insensibile se ci riuscissi, non credi? Non piangere. Non è colpa tua, te la prendi troppo con te stesso. Aspetta fino a domani, o alla notte prossima, Phil, caro. Abbiamo tutta la vita».

Gran parte dell’inferno che mi straziava l’anima era proprio il fatto di non poterti dire perché me la prendevo tanto, egli pensò.

Se ti baciassi… ma tu potresti svegliarti e… O tutti voi Santi, e tu, Santa Giovanna, che ti sei lasciata bruciare per la sua gente, aiutami!

Si rese conto che se avesse indugiato troppo, lei si sarebbe senza dubbio svegliata. Contò lentamente fino a cento prima di scivolare vìa di nuovo dalla stanza.

I tetti delle case, il picco che li sovrastava, si stagliavano con incredibile chiarezza contro un cielo che solo un paio d’ali distanti dividevano col sole. Il verde e le ombre brillavano non meno del rosso più luminoso. L’aria era pregna delle fragranze della vegetazione e del mare che rumoreggiava al di là del frangiflutti. No. Tutta questa bellezza è insopportabile. Rochefort si allontanò rapidamente dalla zona, percorrendo un sentiero in mezzo ai frutteti. Ben presto avrebbe raggiunto la strada principale che portava al campo d’atterraggio.

Non posso farcela. Ci sarà qualcuno di guardia; oppure non riuscirò ad entrare; o magari succederà qualcosa ed io me ne sarò andato semplicemente a fare una passeggiata. Non c’è niente di male a guardare, no?

Solo un’occhiata, e poi tornare per la colazione. Niente di male, tranne lasciare che gli avaloniani siano uccisi, forse a milioni, forse lei compresa - e, sì, anche i miei amici marinai, senza una ragione, senza un motivo al mondo se non l’orgoglio. Ma può darsi che io possa salvarli. E forse lei capirà che ho fatto quel che ho fatto per porre fine alla guerra, e permetterle di sopravvivere.

La campagna taceva. In quel tempo dell’anno non c’era nessuno, al lavoro nelle piantagioni.

Il campo d’atterraggio era deserto. Per lo scarso traffico di St. Li, il controllo automatico a terra era più che sufficiente.

Il «flitter» era chiuso. Rochefort represse a stento il sollievo, quando si ricordò: Probabilmente è per proteggerlo dalle intemperie. Qui non si preoccupano dei ladri.

E per i bambini curiosi?

Se viene qualcuno e mi vede, posso sempre dire che ero preoccupato per questo. Tabby mi crederà.

Spinse una rampa portatile, usata per scaricare le navi mercantili, fino allo scafo rilucente. Nel salire, i suoi stivali facevano tump… tump… tump. L’ingresso era simile ai modelli che conosceva e trovò subito una piastra che doveva coprire un quadro di controllo manuale esterno. Non era bloccata, e scivolò di fianco senza difficoltà, rivelando solo un pulsante, senza nessun particolare congegno collegato ad un segnale. Lo premette. Il portello esterno si aprì ronzando ed una passerella si protese simile ad una lingua che volesse leccarlo.

Padre, mostrami la Tua volontà. Rochefort percorse la passerella ed entrò.

Il vascello Ythrano era molto simile ai corrispettivi terrestri. Non c’era da sorprendersene, considerando che la razza degli spaziali aveva appreso il volo dall’uomo, e che su Avalon i mezzi aerei avevano spesso passeggeri umani. Nella cabina di pilotaggio, i sedili ed i comandi erano adattabili ad entrambe le razze. Le istruzioni erano in Planha, ma Rochefort andò ad intuito. Dopo cinque minuti seppe che era in grado di far sollevare e navigare quel velivolo.

Si batté il pugno nel palmo della mano, una volta sola. Poi si mise al lavoro.

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