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La vettura identificò la sua destinazione e cominciò ad abbassarsi. La sua quota iniziale era tale che il viaggiatore all’interno poteva cogliere la visione di una dozzina di macchioline di terreno che spuntavano in mezzo alle acque scintillanti. Ma quando si fu avvicinato, esse erano scomparse sotto l’orizzonte, e adesso vedeva soltanto il cono irregolare di St. Li.


Con un diametro all’equatore di appena 11.308 chilometri, Avalon ha un nucleo magmatico più piccolo, in proporzione a quello della Terra; una massa di 0,635 non può contenere altrettanto calore. Perciò le forze che spingono la terra verso l’alto sono deboli. Nello stesso tempo c’è una forte attività erosiva. La pressione atmosferica al livello del mare è simile a quella terrestre — e coll’aumentare dell’altitudine diminuisce più lentamente, a causa del gradiente gravitazionale — e la rotazione più veloce causa un’attività meteorologica piuttosto intensa. Di conseguenza, la superficie è generalmente piatta, e la vetta più alta della catena di Andromeda non raggiunge i quattromilacinquecento metri. Né la terra emersa si presenta in masse molto estese. Corona, che parte dal polo nord e giunge fin oltre il Tropico delle Spade, ha una superficie di appena otto milioni di chilometri quadrati, più o meno quella dell’Australia. Sull’emisfero opposto, Equatoria, New Africa e New Gaiila sono più delle grosse isole che dei veri e propri continenti minori. Tutto il resto consiste in isole ancora più piccole.

Eppure c’è qualcosa di gigantesco. Circa duemila chilometri ad est di Gray inizia quella catena sottomarina i cui picchi, che svettano nel cielo, sono conosciuti come Oronesia. Corre verso sud, attraversa il Tropico delle Lance e termina infine non lontana dal Circolo Antartico. In tal modo forma una vera barriera idrologica; la sua parte occidentale segna i limiti dell’Oceano di Mezzo, quella orientale delimita il Mare Esperide nell’emisfero settentrionale e l’Oceano del Sud al di là dell’equatore. Essa ospita un’ecologia ben distinta, incredibilmente ricca. Ed in conseguenza di ciò, dopo la colonizzazione, si è trasformata in un fenomeno sociologico. Qualunque eccentrico, umano o Ythrano, può recarsi laggiù, trasformare una o più isole e viverci un’esistenza indisturbata.

I gruppi del continente erano diversi sia come dimensioni sia come organizzazione e tradizione. Ma se pure in qualche modo si potevano considerare qualcosa di simile ai clan, alle tribù, alle baronie, alle comunità religiose, alle repubbliche e così via, i loro membri si contavano almeno nell’ordine delle migliaia. In Oronesia esistevano delle singole famiglie che si tramandavano il nome; una volta cresciuti e sposati, i figli cadetti dovevano trovarsi nuove società indipendenti.

Naturalmente si arrivava di rado a questi estremi. In particolare la gente di Highsky era piuttosto numerosa, controllando la pesca intorno ai 30° N di latitudine ed occupando una vasta estensione dell’arcipelago. Ed erano anche alquanto convenzionali, per quanto il termine, applicato agli Ythrani, abbia un signnificato abbastanza relativo.


L’aeromobile atterrò sulla spiaggia, al di sotto di un insediamento. L’uomo che ne scese era alto, con i capelli rosso-scuri, ed indossava dei sandali, un gonnellino e delle armi.

Tabitha Falkayn aveva visto il velivolo che scendeva e si era incamminata per andarlo a ricevere. «Salve, Christopher Holm», disse in Anglico.

«Vengo come Arinnian», le rispose lui in Planha. «Che la fortuna ti sia a fianco, Hrill».

Lei sorrise. «Scusami se non approfondisco il motivo». Poi, accortamente: «Mi hai fatto sapere di volermi vedere a proposito di una questione pubblica. Deve avere qualcosa a che fare con la crisi di frontiera. Probabilmente il tuo Khruath ha deciso che Corona occidentale e Oronesia settentrionale devono studiare un sistema per difendere il Mare Esperide».

Lui annuì goffamente, mentre i suoi occhi cercavano di sfuggire il divertimento di lei.

Enorme sulla sua testa, con il sole brillante in mezzo a banchi di cumuli, l’arco del cielo. Un navigante volava lontano, svolgendo mansioni di ricerca per la scuola di pesca; una mandria di shua Ythrani sbatteva le ali sotto il controllo di un pastore e dei suoi uhoth; un pteropleurone locale si muoveva pesantemente in mezzo ad una colonia di corvi di scogliera. Il mare color indaco rollava, arricciandosi in verdi frangenti trasparenti per poi esplodere in nubi di schiuma sul litorale sabbioso quasi bianco. A qualche chilometro di distanza si scorgevano dei motopescherecci a strascico. Verso terra il suolo saliva rapido. Sui punti più alti del declivio si distingueva ancora il pallido smeraldo dei campi di susin; e solo pochi tipi di arbusti riuscivano a crescere tra quel labirinto di radici. Ma più in là le colline erano state arate, e il grano a grappoli degli Ythrani frusciava e rosseggiava, a protezione del terreno e nutrimento degli shua, mentre boschi di palme da cocco, mango, aranci e piante di pane nero si ergevano più su per alimentare i membri umani dell’Highsky. Soffiava un venticello tiepido ma rinfrescante, che sapeva di sale e di iodio e di fragranze.

«Immagino si sia ritenuto che delle riunioni tra uccelli sarebbero state una buona idea», proseguì Tabitha. «Voi montanari avrete i vostri bei problemi per capire noi dell’oceano, e viceversa, senza contare l’handicap costituito dalla diversità della specie. Anche gli ornitoidi si incontreranno, eh?». La sua espressione divenne pensosa. «Tu devi essere un delegato, naturalmente. La tua zona ne ha pochi, come te. Ma perché venire di persona? Non che non sia il benvenuto, ma anche una telefonata…».

«Forse… sarà necessario che parliamo a lungo», rispose lui. «Per giorni e giorni, di tanto in tanto». Lui dava per scontato che avrebbe ricevuto ospitalità; un ospite era sacro per qualsiasi gruppo.

«Ma perché proprio io, poi? Sono una semplice locale».

«Sei una discendente di David Falkayn».

«Non ha molta importanza».

«Ne ha dove vivo io. Inoltre… beh, ci siamo già visti qualche altra volta, in occasione dei Khruath più importanti o nel corso di visite reciproche e… abbiamo una certa familiarità. Tra gente del tutto estranea non saprei da dove cominciare. Se non altro tu… tu puoi consigliarmi chi consultare, e presentarmi. No?».

«Certo». Tabitha gli prese le mani. «E poi sono contenta di vederti, Chris».

Il suo cuore ebbe un sussulto. Si sforzò di non mostrare imbarazzo. Perché divento così timido davanti a lei? Dio lo sapeva se lei era attraente. Qualche anno più di lui, robusta, di forte costituzione, seni pieni e gambe lunghe, faceva una gran bella figura nella sua tunica corta e senza maniche. Aveva il naso camuso, la bocca larga, gli occhi verdi e ben separati sotto le grosse sopracciglia; non si era mai preoccupata di eliminare la bianca cicatrice sulla guancia destra. I capelli, tagliati sotto le orecchie, erano ossigenati, e contrastavano violentemente con la carnagione abbronzata e leggermente lentigginosa.

Chris si domandò se lei andasse a letto con la stessa disinvoltura delle ragazze uccello di Corona — non con un maschio preso a caso, ma sempre col tipo del lavoratore sincero, vigoroso e non troppo intelligente — o se invece fosse vergine. Quest’ultima ipotesi non sembrava probabile. Quale umano, perpetuamente in calore, poteva eguagliare la purezza di una Eyath? Eppure Highsky non era Stormgate o The Tarns — lui non lo sapeva — Tabitha non aveva compagni della sua specie, qui dove viveva, e comunque lei viaggiava spesso e a lungo… lasciò perdere quei ragionamenti.

«Ehi, sei arrossito», rise lei. «Ho forse violato una delle tue preziose usanze?». Gli lasciò le mani. «Se è così, ti chiedo scusa. Ma tu prendi queste cose sempre troppo sul serio. Rilassati. Un rito sociale o una gaffe non sono una questione di orgoglio».

Per lei è facile, immagino, pensò lui. I suoi nonni sono stati ricevuti in questo gruppo. I suoi genitori ed i loro figli vi sono cresciuti. Ormai un quarto dei componeneti dev’essere umano. Ed essi hanno fatto sentire la loro influenza… come quest’affare della pesca che hanno messo su lei e Draun, un’impresa strettamente privata…

«Temo che non abbiamo molto tempo per l’allegria», se ne uscì lui. «Non ci aspetta niente di buono».

«Davvero?».

«L’Impero sta per espandersi a spese nostre».

«Vieni in casa». Tabitha lo prese per un braccio e lo portò verso l’insediamento. Le sue abitazioni di legno con tetti di paglia erano più basse della maggior parte delle case Ythrane, e più robuste di quanto sembrassero; perché lì c’era ben poco riparo contro gli uragani di Avalon. «Oh, sì», disse lei, «è dai tempi di Manuel Primo che l’Impero si espande con decisione. Ma io ho letto la sua storia. Come hanno fatto a tenere sotto controllo tanto territorio? Una parte per semplice associazione: i non umani civilizzati come i Cinziani l’hanno trovato vantaggioso. Una parte per acquisto o per scambio. Una parte per conquista, sì, ma sempre a danno dei primitivi, o quanto meno dei popoli la cui potenza spaziale era ridicola in confronto a quella della Terra. Ma noi siamo un osso più duro da rodere».

«Davvero? Mio padre dice…».

«Uh-huh. La sfera dell’influenza dell’Impero raggiunge quasi i quattrocento anni luce da un capo all’altro, la nostra è di circa ottanta. Di tutti i sistemi compresi nel suo raggio, l’Impero è in diretto contatto con parecchie migliaia, noi con appena duecentocinquanta. Ma non capisci, Chris, che noi conosciamo molto meglio i nostri pianeti? Siamo più compatti. Le nostre risorse complessive sono minori, ma ogni minima parte della nostra tecnologia è altrettanto buona. E poi, siamo distanti dalla Terra. Perché dovrebbero attaccarci? Noi non li minacciamo, ci limitiamo a reclamare i nostri diritti lungo la frontiera. Se vogliono più spazio, possono trovarsene quanto ne vogliono più vicino a casa; ci sono una quantità di soli che non hanno mai visitato, e che sono più facili da conquistare di quelli di un Dominio orgoglioso e bene armato».

«Mio padre dice che siamo deboli e impreparati».

«Pensi che perderemmo la guerra?».

Lui rimase silenzioso finché entrambi sentirono, al di sopra del mormorio più avanti, la sabbia che scricchiolava sotto i loro predi. Infine: «Beh, credo che nessuno vada in guerra aspettandosi di perderla».

«Non penso che combatteranno», disse Tabitha. «Penso che l’Impero sia dotato di maggior buon senso».

«Tuttavia, sarà meglio che prendiamo delle precauzioni. Bisogna difendere il nostro paese».

«Sì. Non sarà facile organizzarsi, in mezzo ad un centinaio o più di gruppi indipendenti».

«Ecco dove possiamo intervenire noi uccelli, forse», azzardò lui. «In particolare quelli di lunga tradizione, come la tua famiglia».

«Sarò onorata di aiutarti», rispose lei. «E in effetti non credo che i gruppi troveranno eccessive difficoltà a collaborare…». Scosse la testa con orgoglio: «… quando si tratta di far vedere all’Impero chi vola più alto!».


Eyath e Vodan volavano insieme. Formavano una bella coppia, entrambi con gli occhi e le braccia dorate, lui ocra scuro, lei bronzo intenso. Sotto di loro si stendevano le terre di Stormgate, valli nereggianti di foreste, creste e dirupi, picchi dove i campi di neve si alternavano alla roccia blu-grigia screziata, cascate come lame di spade e il remoto bagliore di un ghiacciaio. Una brezza musicale guidava le nuvole, che Laura tingeva d’oro, nell’aria altrimenti brillante; le loro ombre correvano e si increspavano per il mondo. Gli Ythrani si imbevevano del freddo del vento, nuotando nella sua turbinante, prepotente, avvolgente potenza. Colpiva le loro penne fino a far rabbrividire le punte dei grandi remiganti esterni.

Lui disse: «Se noi fossimo della razza di Arinnian, di certo ti sposerei subito, adesso, prima di imbarcarmi. Ma tu non sarai in amore prima di qualche mese, e per allora potrei essere morto. Non vorrei costringerti a un tal dolore per nulla».

«Pensi che soffrirei di meno solo perché non porterei il nome di vedova?», replicò lei. «Reclamerei il diritto di guidare la tua danza commemorativa, perché io so quali parti di questi cieli di piacciono di più».

«Eppure dovresti affrontare sgradevoli problemi, come gli obblighi verso il mio sangue e così via. No. Diminuirà forse la nostra amicizia solo perché, per un po’ ancora, non porterai il nome di moglie?».

«Amicizia…», mormorò lei. Poi, d’impulso: «Stanotte ho sognato che eravamo proprio come degli umani».

«Come, sempre in calore?».

«Sempre in amore».

«Kh’h’ng. lo non ho nulla contro Arinnian, ma a volte mi domando se tu non abbia trascorso troppo tempo insieme a lui, fin da quando eravate piccoli. Se Lythran non ti avesse portato con sé quando ha avuto da fare con Gray…». Vodan vide la cresta di lei rizzarsi, e si interruppe, aggiungendo in tutta fretta: «Sì, è il tuo compagno di vento. E quindi lo è anche per me. Io volevo solo avvisarti… non cercare, non desiderare di essere umana».

«No, no». Eyath sentì una corrente discensionale che le sfiorava il fianco. Si inclinò per afferrarla, un battito di ali e poi il lungo e sfrenato volo verso il basso, con i picchi che la sfioravano, e la rapida visione attraverso gli alberi di uno stagno luccicante dove un ferino stallone si abbeverava, il canto e l’impeto e la carezza dell’aria trafitta, e poi ancora il controllo di sé e di nuovo verso l’alto, contro il fiume d’aria, ogni muscolo che sprizza vitalità… ed ecco là una corrente calda ascendente, tradita dal lievo tremolare di una montagna scorta attraverso di essa, l’afferrarsi, le ali che si allargano mentre il cielo guida la danza e lei ride.

Vodan la raggiunse. «Potrei rinunciare a tutto questo?», lei gli gridò gioiosamente. «O a te?».


Ekrem Saracoglu, governatore imperiale del Settore di Pax, aveva fatto capire che avrebbe avuto piacere di incontrare la figlia dell’Ammiraglio di Flotta Juan de Jesùs Cajal y Palomares. Lei era venuta dal Nuevo Mexico in qualità di hostess ufficiale e di assistente del padre vedovo, dopo che lui aveva trasferito il suo quartier generale ad Esperance ed aveva preso in affitto una casa a Fleurville. Ma la data continuava ad essere rinviata. Non che l’ammiraglio avesse qualcosa contro il governatore — anzi, andavano piuttosto d’accordo — né che non si fidasse delle sue intenzioni, malgrado la fama di donnaiolo di quest’ultimo. Luisa era cresciuta tra gente che, se pur necessariamente parsimoniosa sul suo mondo arido, era ricca di onore e piena di orgoglio fino alla punta dei capelli. Era solo che entrambi avevano troppo da lavorare.

Finalmente riuscirono a liberarsi dei rispettivi impegni, e Cajal invitò Saracoglu a cena. Vi fu poi un ridicolo contrattempo dell’ultimo minuto. L’ammiraglio telefonò a casa che sarebbe stato trattenuto in ufficio per un paio d’ore. Il governatore era già per strada.

«E allora, Donna, tu sei stata incaricata di farmi compagnia a causa di un pasto rinviato», fece galante Saracoglu baciandole la mano. «Ti assicuro, sono tutt’altro che contrariato». Benché basso di statura, aveva una figura vivace ed un volto oscuramente piacevole. E si accorse subito che, malgrado la sua solennità, la ragazza sapeva ascoltare un uomo e, cosa ancor più rara, sapeva rivolgergli domande stimolanti.

Stavano passeggiando nel giardino. Quei cespugli di rose e quegli alberi di ciliegi avrebbero quasi potuto essere piante della Terra; Esperance era il gioiello dei pianeti colonizzati. Pax, il sole, era ancora alto sull’orizzonte, nel pieno dell’estate, e disponeva i suoi raggi caldi attraverso un vecchio muro di mattoni. L’aria era tiepida, e risuonava dei canti degli uccelli e profumava dei verdi odori che provenivano dalla campagna. Un paio di vetture volavano in alto, ma Fleurville non era abbastanza grande perché il rumore del traffico potesse giungere così lontano dal centro.

Saracoglu e Luisa passeggiavano lungo sentieri di ghiaia, conversando. Erano sorvegliati, ovvero discretamente accompagnati, ma non c’era alcuna dama di compagnia a seguirli qualche passo indietro. C’era invece un mercenario Gorzuniano, enorme e con quattro braccia, che si disinteressava completamente delle svenevolezze di un flirt.

Il problema è, pensò il governatore, che lei ha preso a conversare sul serio.

Dapprima era stato piuttosto piacevole. Lei lo aveva incoraggiato a parlare di se stesso. «… Sì, il Conte di Anatolia sono io. Onestamente, anche se il luogo è sulla Terra, è un grado di nobiltà piuttosto basso. Sono un burocrate di carriera. Forse sarebbe stato meglio se avessi fatto l’artista: io mi diletto con la creta e i colori ad olio. Ti piacerebbe vedere qualcosa? Ahimè, sai come vanno queste cose. Ci si aspetta che i nobili imperiali servano l’Impero, punto e basta. Magari fossi nato in un’era di decadenza! Sfortunatamente, l’Impero non è rimasto un minuto tranquillo, ma ha continuato ad espandersi in continuazione».


Dentro di sé, sorrideva per la sua messinscena. A cinquantatrè anni standard, tarchiato, tendente al grasso, totalmente calvo, due occhietti su un naso gigantesco e due costose amanti a palazzo… era lì a recitare la parte di un adolescente che imita un homme du monde! Be’, ogni tanto ci si divertiva, così come gli piacevano i vestiti sgargianti e i gioielli. Gli consentivano di sfuggire alla realtà, che non gli aveva mai permesso di migliorare il suo aspetto neppure grazie alla bioscultura.

Proprio a questo punto lei domandò: «Stiamo davvero per attaccare gli Ythrani?».

«Eh?». L’angoscia di quella domanda gli fece girare bruscamente la testa per fissarla in faccia. «Beh, i negoziati sono ad un punto morto, ma…».

«Chi è che li ha portati a un punto morto?». Lei teneva lo sguardo fisso davanti a sé, mentre il tono della voce era salito di un’ottava ed il leggero accento spagnolo si era intensificato.

«Chi ha dato inizio alla maggior parte dei casi di violenza?», ribatté lui. «Gli Ythrani. Non che siano dei mostri, intendiamoci. Ma sono predatori per natura. E non hanno una forte autorità — un governo vero e proprio, anzi — che controlli gli impulsi dei gruppi. Questo è stato uno degli ostacoli più grossi nel tentativo di trovare un accordo».

«Quanto è stato sincero il tentativo… da parte nostra?», domandò lei, ancora rifiutandosi di guardarlo in faccia. «Quanto tempo è che aspettate di gettarvi nella mischia? Mio padre non mi dirà nulla, ma è evidente, è stato evidente fin da quando si è trasferito qui — succede spesso che il quartier generale della marina e quello civile si trovino sullo stesso pianeta? — è evidente che si sta preparando qualcosa».

«Donna», disse Saracoglu con gravità, «quando una flotta spaziale può trasformare in tombe interi pianeti, c’è chi si prepara al peggio e chi dà un giro di vite ai regolamenti di sicurezza». Fece una pausa. «C’è anche chi scopre che non è saggio lasciare che le rispettive sfere di influenza si intersechino, come hanno scoperto l’Impero e il Dominio. Mi sembra che tu, relegata quaggiù in un sistema relativamente isolato… mi sembra che tu ti sia messa in testa che l’Impero stia provocando la guerra allo scopo di conquistare l’intero Dominio. Questo non è vero».

«Che cosa è vero?», replicò lei acidamente.

«Che ci sono stati degli scontri sanguinosi in merito a dispute di territorio ed a conflitti di interesse».

«Sì. I nostri commercianti stanno perdendo degli affari potenziali».

«Fosse solo quello. Le questioni commerciali si possono sempre negoziare. Ma le rivalità politiche e militari sono ben più dure. Per esempio, chi di noi assorbirà il complesso Antoranite-Kraokan intorno a Beta Centauri? Uno di noi dovrà farlo, e quelle risorse irrobustirebbero notevolmente la Terra. Gli Ythrani, impadronendosi di Dathyna, si sono già rafforzati più di quanto a noi piaccia, visto che sono una razza potenzialmente ostile. Inoltre, rettificando questa frontiera incerta, potremmo meglio difenderci contro un attacco di fianco dei Merseiani». Saracoglu sollevò una mano per prevenire la protesta di lei. «In effetti, Donna, il Roidhunato è ben lontano e non molto grande. Ma sta sviluppandosi ad una velocità allarmante, ed un’aggressiva attitudine alla conquista è insita nella sua ideologia. Il dovere di un impero è quello di provvedere ai suoi discendenti».

«Ma perché non possiamo semplicemente stipulare un trattato, dare un quid pro quo, dividere le cose in un modo giusto e ragionevole?», chiese Luisa.

Saracoglu sospirò. «Le popolazioni dei pianeti si ribellerebbero, perché trattate come oggetti inanimati. Nessun governo con una tendenza del genere potrebbe sopravvivere». Gesticolò. «E poi, l’universo ha troppe incognite. Abbiamo viaggiato per centinaia — nei primi tempi per migliaia — di anni luce verso stelle particolarmente interessanti. Ma a quante di esse siamo passati vicino? Cosa potrebbe succedere una volta che lo scoprissimo? Nessuna autorità responsabile, umana o Ythrana, lascerà ciecamente simili opportunità ad una razza aliena.

«No, Donna, questo non è un problema suscettibile di soluzione pulita e definitiva. Dobbiamo semplicemente fare del nostro meglio, sia pure goffamente. Il che non vuol dire soggiogare gli Ythrani. Io sono il primo a garantire il diritto di Ythri ad esistere, a percorrere la sua strada, e anche a procurarsi i suoi possedimenti planetari. Ma questa frontiera si deve stabilizzare».

«Situazioni simili esistono già con altre razze, ma non rappresentano un problema…».

«Naturalmente. Perché dovremmo combattere coloro che respirano idrogeno, per esempio? Sono così diversi che a stento riusciamo a comunicare con loro. Il fatto è che gli Ythrani sono troppo simili a noi. Come dice un vecchio proverbio, sullo stesso pianeta non c’è posto per due».

«Ma noi possiamo vivere insieme a loro! Ci sono degli umani che lo fanno! E da molte generazioni!».

«Vuoi dire Avalon?».

Lei annuì.

Saracoglu intuì l’occasione per ricondurre il discorso su argomenti più agevoli. «Beh, quello è indubbiamente un caso interessante», le disse sorridendo. «Cosa ne sai, a proposito?».

«Molto poco», ammise lei, sottomessa. «Qualche notizia qua e là, da quando sono venuta su Esperance. La galassia è così grande, anche solo questa minuscola parte che ne abbiamo esplorato…».

«Potresti andarci, su Avalon», disse lui. «Non è lontano, saranno dieci o dodici anni luce. Piacerebbe anche a me. Pare che quella società sia insolita, se non addirittura unica».

«Ma non capisce? Se umani e Ythrani possono convivere su un solo pianeta…».

«È diverso. Lascia che ti spieghi meglio. Neanch’io ci sono mai stato, ma mi sono documentato bene sull’argomento».

Saracoglu respirò profondamente. «Avalon fu scoperto cinquecento anni fa dalla stessa nave per Lunghe Missioni che giunse su Ythri», disse. «Fu indicato come colonia potenziale, ma era così lontano dalla Terra che allora non interessò nessuno; lo stesso nome gli fu assegnato solo molto più tardi. Ythri era quaranta anni luce più lontano, è vero, ma era molto più interessante: un. pianeta ricco, con una razza avviata verso un moderno sviluppo, e una quantità di beni commerciabili.

«Circa tre secoli e mezzo fa, una compagnia commerciale umana fece una proposta agli Ythrani. La Lega Polesotecnica non sarebbe crollata prima di altri cinquanta anni, ma chiunque avesse un cervello funzionante poteva già intravedere che si preparavano tempi difficili. Questi umani, un gruppo eterogeneo guidato da un vecchio pioniere e affarista, intendevano salvaguardare il futuro delle loro famiglie emigrando sull’appartato Avalon, sotto la guida e la protezione della civiltà Ythri, non ancora contaminata dalla tecnica. Gli Ythrani accettarono, e naturalmente alcuni di loro si unirono alla colonia.

«Beh, poi ci furono i Tumulti, e Ythri non ne fu risparmiato. Le conseguenze finali furono analoghe… la Terra riconquistò la pace grazie all’Impero, Ythri grazie al Dominio. Nel frattempo, vivendo insieme, gli Avaloniani erano diventati un tutt’uno. Ma niente di tutto questo potrebber ripetersi oggi».

Si erano fermati presso un graticcio ricoperto di vite. Lui ne staccò un grappolo e glielo offrì. Lei scosse la testa, ed egli lo mangiò. Il sapore era dolcemente, leggermente straniero; il sole di Esperance non era, dopo tutto, identico a quello di casa. E adesso era scomparso alla vista, e nel giardino era tutto un rincorrersi d’ombre, e nel cielo era spuntata una stella della sera.

«Immagino… che i vostri piani di "rettifica" presuppongano l’annessione di Avalon all’Impero», disse Luisa.

«Sì. Considera la sua posizione». Saracoglu scrollò le spalle. «E poi gli umani che vivono lì costituiscono una netta maggioranza. Direi piuttosto che essi saranno felici di unirsi a noi, e ad Ythri non importerà di liberarsene».

«Dovremo combattere?».

Saracoglu sorrise. «Non è mai troppo tardi per la pace». Le prese un braccio. «Vogliamo entrare? Immagino che tuo padre sarà qui a momenti. Sarà bene fargli trovare lo sherry versato nei bicchieri».

Non volle sciupare la serata, che era ancora recuperabile, rivelandole che già da diverse settimane era arrivato via corriere quanto lui stesso aveva chiesto: la dichiarazione di guerra all’Impero nei confronti di Ythri, che sarebbe stata resa pubblica non appena il governatore e l’ammiraglio fossero stati pronti ad agire.

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