7.

«Devi moderarti,» disse Nicodemus. «Non troppa roba. La vichyssoise, una fettina d’arrosto, metà delle patate. Devi renderti conto che il tuo apparato digerente è rimasto inattivo per centinaia d’anni. Ibernato, certamente, non soggetto al deterioramento: ma anche così, deve avere la possibilità di riacquistare tono. Tra pochi giorni potrai riprendere a mangiare normalmente.»

Horton guardò il cibo. «Dove hai preso questa roba?» chiese. «Certamente non è stata portata dalla Terra.»

«Dimenticavo,» disse Nicodemus. «Naturalmente non potevi saperlo. Abbiamo a bordo il modello più efficiente di convertitore di materia che fosse stato fabbricato al tempo della nostra partenza.»

«Vuoi dire che ti limiti a buttarci dentro un po’ di sabbia?»

«Be’, non esattamente. Non è tanto semplice. Ma è l’idea giusta.»

«Aspetta un momento,» disse Horton. «C’è qualcosa che non va. Io non ricordo nessun convertitore di materia. Ne parlavano, naturalmente, e sembrava ci fosse qualche speranza di realizzarli, ma a quanto rammento io…»

«Vi sono certe cose,» disse Nicodemus, un po’ precipitosamente, «che non conosci. Una è che, dopo che venisti ibernato, non partimmo immediatamente.»

«Vuoi dire che ci fu un ritardo?»

«Ecco, sì. Per la verità, un notevole ritardo.»

«Per l’amor del cielo, non fare tanto il misterioso. Quanto tempo?»

«Be’, cinquant’anni o giù di lì.»

«Cinquant’anni! Perché cinquant’anni? Perché metterci in ibernazione e poi attendere cinquant’anni?»

«Non c’era una vera urgenza,» disse Nicodemus. «Si stimava che il progetto avrebbe avuto una durata molto lunga, un paio di secoli, o forse un poco di più, prima che una nave ritornasse annunciando di aver scoperto pianeti abitabili, e un ritardo di cinquant’anni non sembrava eccessivo, se permetteva lo sviluppo di certi sistemi che avrebbero dato una maggiore speranza di successo.»

«Come un convertitore di materia, per esempio.»

«Sì, anche. Non era assolutamente indispensabile, certo, ma comodo: e aggiungeva un certo margine di sicurezza. E soprattutto c’erano certe caratteristiche tecnologiche della nave che, se fosse stato possibile realizzarle…»

«E vennero realizzate?»

«Molte sì,» disse Nicodemus.

«Non ci avevano mai detto che vi sarebbe stato un ritardo,» replicò Horton. «Né a noi né agli altri equipaggi che iniziarono l’addestramento a quel tempo. Se qualcuno degli altri equipaggi l’avesse saputo, ce l’avrebbe riferito.»

«Non c’era bisogno che lo sapeste,» disse Nicodemus. «Forse vi sarebbero state obiezioni illogiche da parte vostra, se ve lo avessero detto. Ed era importante che gli equipaggi umani fossero pronti, quando le navi fossero state in grado di partire. Vedi, eravate tutti persone eccezionali. Forse ricordi con quanta cura vi scelsero.»

«Dio sì. I computer ci analizzarono per calcolare i fattori di sopravvivenza. I nostri profili psicologici furono misurati non so mai quante volte. Ci fecero quasi consumare, con i loro test fisici. E ci impiantarono quel gingillo telepatico nel cervello perché potessimo parlare con Nave, e questa fu la cosa più fastidiosa. Mi sembra di ricordare che impiegammo mesi per imparare ad usarlo adeguatamente. Ma perché fare tutto questo, per poi metterci in ghiaccio? Avremmo potuto semplicemente aspettare.»

«Si poteva fare così,» disse Nicodemus, «mentre voi invecchiavate di anno in anno. Uno dei fattori che avevano determinato la selezione degli equipaggi non era stata esattamente la gioventù, ma un’età non troppo elevata. Non avrebbe avuto senso inviare nello spazio dei vecchi. Posti in ibernazione, non invecchiavate. Il tempo non era un fattore, per voi, perché non lo è nell’ibernazione. Così come venne fatto, gli equipaggi restavano pronti, con le facoltà e le capacità non offuscate dal tempo che occorreva per eliminare le pecche. Le navi sarebbero potute partire quando veniste ibernati, ma grazie a quei cinquant’anni di attesa, le probabilità favorevoli a voi ed alle navi crebbero considerevolmente. I sistemi di supporto per i cervelli vennero perfezionati ad un punto che sarebbe apparso impossibile cinquant’anni prima, il collegamento tra cervelli e nave furono resi più efficienti e sensibili, quasi infallibili. I sistemi ibernanti furono migliorati.»

«Non so che pensare,» disse Horton. «Comunque, credo che, personalmente, per me non abbia comportato la minima differenza. Se non puoi vivere la tua vita nel tuo tempo, immagino non abbia più importanza quando la concludi. Mi rammarico soltanto di essere rimasto solo. Tra me ed Helen c’era qualcosa, e avevo simpatia per gli altri due. Immagino, anche, di provare un certo senso di colpa perché loro sono morti ed io ho continuato a vivere. Tu dici di avermi salvato la vita perché ero nel cubicolo numero uno. Se non fossi stato lì, qualcun altro sarebbe vissuto, e ora io sarei morto.»

«Non devi sentirti colpevole,» gli disse Nicodemus. «Se c’è qualcuno che dovrebbe sentirsi in colpa sono io, ma non è così, perché la ragione mi dice che mi sono dimostrato efficiente, che ho agito al limite della tecnologia attuale. Ma tu… tu non c’entravi. Tu non hai fatto nulla: tu non hai avuto parte nella decisione.»

«Sì, lo so. Tuttavia, non posso fare a meno di pensare…»

«Mangia la minestra,» disse Nicodemus. «L’arrosto si fredda.»

Horton buttò giù una cucchiaiata di vichyssoise. «È buona,» disse.

«Certo che lo è. Ti ho detto che posso essere un abile chef.»

«Posso essere,» fece Horton. «È un modo strano di esprimersi. O sei uno chef, o non lo sei. Ma tu dici di poterlo essere. Lo hai detto un’altra volta: che puoi essere un ingegnere. Non che lo sei, ma che puoi esserlo. Mi sembra, amico mio, che tu possa essere troppe cose. Un momento fa hai lasciato capire di essere anche un buon tecnico dell’ibernazione.»

«Ma il modo in cui lo dico è esatto,» protestò Nicodemus. «Proprio così. Adesso sono uno chef, e posso essere un ingegnere o un matematico o un astronomo o un geologo…»

«Non c’è bisogno che tu sia un geologo. Il geologo di questa spedizione sono io. Helen era il biologo e il chimico.»

«Un giorno,» disse Nicodemus, «potrebbe esserci bisogno di due geologi.»

«È ridicolo,» disse Horton. «Nessuno, uomo o robot, può essere tutto quello che dici di essere o di poter essere. Occorrerebbero anni di studi, e nell’apprendere ogni nuova specializzazione o disciplina, perderesti parte dell’addestramento precedente. Inoltre, tu sei semplicemente un robot di servizio, non specializzato. Parliamoci chiaro, la capacità del tuo cervello è limitata, e il tuo sistema reattivo è relativamente insensibile… Nave ha detto che eri stato scelto apposta per la tua semplicità… perché c’era ben poco che poteva guastarsi, in te.»

«È abbastanza vero,» ammise Nicodemus. «Sono quel che dici tu. Un fattorino e un servitore, buono per poco di più. La capacità del mio cervello è limitata. Ma quando hai due cervelli o tre…»

Horton lasciò cadere il cucchiaio sul tavolo. «Sei pazzo!» esclamò. «Nessuno ha due cervelli.»

«Io sì,» rispose calmo Nicodemus. «In questo momento ho due cervelli: il vecchio, stupido cervello-tipo da robot e un cervello di chef, e se volessi, potrei aggiungerne un altro, sebbene non sappia quale specie di cervello potrebbe integrare quello di uno chef. Forse quello di un dietista, sebbene l’equipaggiamento non sia dotato di questo tipo di cervello.»

Horton si dominò con uno sforzo. «Ricominciamo daccapo,» disse, «partiamo dall’inizio e procediamo lentamente, in modo che questo mio stupido cervello umano possa seguire ciò che stai dicendo.»

«Sono stati quei cinquant’anni,» disse Nicodemus.

«Quali cinquant’anni, dannazione?»

«I cinquant’anni trascorsi dopo che veniste ibernati. In mezzo secolo si possono realizzare ricerche e sviluppi notevoli, se vi si impegnano molti umani. Avevate compiuto l’addestramento, no?, con un robot perfezionatissimo… il miglior esemplare di umanoide che fosse mai stato costruito.»

«Sì,» disse Horton. «Lo ricordo come fosse ieri.»

«Per te,» disse Nicodemus, «è stato ieri. I mille anni passati da allora per te non esistono.»

«Era una carogna,» disse Horton. «Un sergente di ferro. Ne sapeva tre volte più di noi, ed era dieci volte più abile. E ce lo faceva capire in quel suo modo soave, insinuante, carognesco. Così mellifluo che non riuscivi mai a inchiodarlo. Lo odiavamo tutti, quel piccolo figlio d’un cane.»

«Ecco, vedi,» disse trionfante Nicodemus, «non poteva continuare così. Era una situazione intollerabile. Se l’avessero mandato con voi, pensa a tutti gli attriti, gli scontri tra personalità. È per questo che hai me. Non potevano usare uno come lui. Dovevano adoperare uno stupido umile e semplice come me, il tipo di robot cui eri abituato a impartire ordini e che non si risentiva per questo. Così ebbero l’idea dei cervelli ausiliari, che potevano venire inseriti per integrare un cervello stupido come il mio.»

«Vorresti dire che hai una cassa di cervelli ausiliari, e puoi innestarli?»

«Non sono esattamente cervelli,» disse Nicodemus. «Si chiamano transmog, anche se non so bene perché. Una volta qualcuno mi disse che era un abbreviativo di transmogrificazione. Esiste, questa parola?»

«Non so,» disse Horton.

«Be’, comunque,» disse Nicodemus, «ho un transmog da chef ed uno da medico ed uno da biochimico… ecco, per darti un’idea. Un intero corso universitario racchiuso in codice in ognuno di essi. Una volta li ho contati tutti, ma adesso ho dimenticato quanti sono. Un paio di dozzine, direi.»

«Quindi, forse riuscirai davvero a riparare il tunnel di Carnivoro.»

«Io non ci farei conto,» rispose Nicodemus. «Non so cosa contenga il transmog da ingegnere. Ci sono tanti tipi diversi d’ingegneria… chimica, meccanica, elettronica.»

«Almeno avrai una conoscenza generica nel campo.»

«È vero. Ma il tunnel di cui ha parlato Carnivoro probabilmente non è stato costruito dagli umani. Gli umani non ne avrebbero avuto il tempo.»

«E invece potrebbe darsi. Gli umani hanno avuto a disposizione quasi mille anni, per fare parecchie cose. Ricorda cosa è stato possibile realizzare nei cinquant’anni di cui mi hai parlato tu.»

«Già. Lo so. Forse hai ragione. Forse non era sufficiente affidarsi alle navi. Se gli umani avessero contato esclusivamente sulle navi, non sarebbero arrivati tanto lontano e…»

«Ci sarebbero arrivati, se avessero realizzato il volo a velocità superiori a quella della luce. Forse, realizzato quello, non vi sono più limiti naturali. Forse, quando hai spezzato la barriera della luce, non c’è più un limite alla velocità.»

«Non saprei, ma non credo che ci siano riusciti,» disse Nicodemus. «Ne sentii parlare molto, durante il periodo successivo al mio arruolamento nel progetto. Sembrava che nessuno avesse un vero punto di partenza, una vera comprensione di ciò che entrava in gioco. Molto più probabilmente, gli umani sono atterrati su un pianeta molto meno lontano di quello su cui ci troviamo noi, hanno scoperto uno dei tunnel, e adesso usano quelli.»

«Ma non soltanto gli umani.»

«No, questo risulta chiaro dalla presenza di Carnivoro. Non possiamo immaginare quante altre razze li usino. E Carnivoro? Se non rimettiamo in funzione il tunnel, vorrà imbarcarsi con noi.»

«Dovrà passare sul mio cadavere.»

«Sai, anch’io la penso come te. È un personaggio piuttosto bizzarro, e potrebbe essere un vero problema ibernarlo. Prima di tentarlo, dovremmo conoscere la chimica del suo organismo.»

«Il che mi ricorda che non torneremo alla Terra. Che cosa ci si prepara? Dove ha intenzione di andare Nave?»

«Non saprei,» disse Nicodemus. «Ne abbiamo parlato di tanto in tanto, vedi. Nave, ne sono sicuro, non cercava di nascondermi niente. Ho l’impressione che non sappia neppure lei che cosa ha intenzione di fare. Andare e basta, immagino, e vedere cosa riesce a trovare. Ti rendi conto, ovviamente, che se vuole Nave può ascoltare tutto quel che diciamo.»

«Questo non mi preoccupa,» disse Horton. «Siamo tutti chiusi nello stesso barattolo di vermi. Tu per molto più tempo di quanto toccherà a me. Quale che sia la situazione, dovrò accettarla, perché non ho altre basi. Sono quasi a mille anni da casa, e mille anni più indietro della Terra, in questo momento. Nave, senza dubbio, ha ragione di affermare che se tornassi sarei uno spostato. Si può accettarlo intellettualmente, certo, ma mi dà una sensazione strana alla bocca dello stomaco. Se gli altri tre fossero qui, immagino, sarebbe diverso. Mi sento orribilmente solo.»

«Non sei solo,» disse Nicodemus. «Hai Nave e me.»

«Sì, credo di sì. A quanto pare, continuo a dimenticarlo.»

Si alzò da tavola. «È stata una cena splendida,» disse. «Vorrei che avessi potuto mangiare con me. Prima di andare a letto, pensi che mi rovinerei l’apparato digerente se prendessi un’altra fetta di quell’arrosto freddo?»

«Per colazione,» disse Nicodemus. «Se ne vuoi una fetta per colazione.»

«Sta bene, allora,» disse Horton. «C’è ancora una cosa che mi preoccupa. Con la vostra organizzazione, non avete bisogno di un umano, in questa spedizione. Quando incominciai l’addestramento, un equipaggio umano aveva un senso. Ora non l’ha più. Tu e Nave potreste svolgere la missione da soli. Data la situazione, perché non ci hanno semplicemente buttati nella spazzatura? Perché si sono presi la briga di caricarci a bordo?»

«Tu stai cercando di mortificare te stesso e la razza umana,» disse Nicodemus. «Non è altro che la reazione traumatica a quel che hai appena appreso. L’idea fondamentale era di mettere a bordo conoscenza e tecnologia, e l’unico modo possibile era metterle nelle persone degli esseri umani che le possedevano. Quando le navi partirono, però, un altro modo per fornire tecnologia e conoscenza era stato trovato nei transmog, che potevano trasformare un robot semplice come me in un multispecialista. Ma anche così, ci sarebbe mancato un fattore… la strana qualità dell’umanità, la condizione biologica umana che ancora non abbiamo e che finora nessun roboticista è riuscito a conferirci. Tu hai parlato del robot istruttore e del tuo odio per lui. È quanto succede quando si supera un certo limite, nel perfezionamento robotico. Si acquisiscono buone capacità, ma l’umanità che deve controbilanciarle è carente ed i robot, anziché diventare più umani, divengono arroganti e insopportabili. Forse sarà sempre così. L’umanità può essere un fattore irrealizzabile artificialmente. Una spedizione alle stelle, suppongo, potrebbe funzionare in modo efficiente se a bordo della nave vi fossero solo i robot e il loro equipaggiamento di transmog, ma non sarebbe una spedizione umana: e questa e le altre erano imperniate proprio su questo… cercare pianeti dove potesse vivere la gente della Terra. I robot, certamente, potrebbero effettuare osservazioni e prender decisioni, e nove volte su dieci le osservazioni sarebbero esatte e le decisioni giuste: ma la decima volta, le une e le altre potrebbero essere errate perché i robot guarderebbero il problema con occhi robotici e prenderebbero decisioni con cervelli robotici, privi del fattore importantissimo della qualità umana.»

«Le tue parole sono consolanti,» disse Horton. «Spero solo che abbia ragione tu.»

«Ho ragione, credimi.»

Nave disse: Horton, sarà meglio che vada a letto, adesso. Domattina verrà a trovarti Carnivoro, e dovresti dormire un po’.

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