25.

Ed ecco che svanisce la tua teoria, disse lo scienziato al monaco, sulla mano di Dio che ci sfiora la fronte.

Non m’importa, disse la gran dama. Questo pianeta non mi piace. Lo giudico ancora sgradevole. Voi potete entusiasmarvi per un’altra forma di vita, un’altra intelligenza molto dissimile da noi, ma a me non piace più di quanto piaccia il pianeta.

Debbo confessare, disse il monaco, che non mi sorride troppo l’idea di portare a bordo anche qualche litro dello Stagno. Non capisco perché Carter abbia accettato di farlo.

Se ricordi quello che c’è stato tra Carter e lo Stagno, disse lo scienziato, ti renderai conto che Carter non ha fatto promesse. Tuttavia, credo che dovremmo portarlo. Se scopriamo di aver commesso un errore, c’è un rimedio semplicissimo. Quando vorremo, Nicodemus potrà gettare lo Stagno fuori bordo.

Ma perché dovremmo prenderci questo disturbo? chiese la gran dama. Quella che Carter chiama l’ora di Dio… per noi non è nulla. Ci ha sfiorati, ecco tutto. L’abbiamo percepita, come Nicodemus. Non ne abbiamo fatto l’esperienza allo stesso modo di Carter e di Shakespeare. Carnivoro… non sappiamo esattamente cosa sia successo a lui. Era molto spaventato.

Non ne abbiamo fatto l’esperienza, ne sono certo, disse lo scienziato, perché le nostre menti, che sono meglio preparate e disciplinate…

È così solo perché non abbiamo altro che le nostre menti, disse il monaco.

È vero, disse lo scienziato. Come stavo dicendo, con le menti meglio disciplinate, istintivamente abbiamo schivato l’ora di Dio. Non le abbiamo permesso di raggiungerci. Ma se le aprissimo le nostre menti, probabilmente ne riceveremmo molto più degli altri.

E anche se non fosse così, disse il monaco, avrò Horton a bordo. Lui ci riesce benissimo.

E la ragazza, disse la gran dama. Elayne… si chiama così? Sarà bello avere di nuovo due umani a bordo.

Non durerà a lungo, disse lo scienziato. Horton, o tutti e due, se verrà anche lei, dovranno ibernarsi molto presto. Non possiamo lasciare che i nostri passeggeri umani invecchino. Rappresentano una risorsa vitale che dobbiamo tenere nella massima considerazione.

Ma solo per qualche mese, insistette la gran dama. In qualche mese, riusciranno a captare molto dall’ora di Dio.

Non possiamo prenderci qualche mese, disse lo scienziato. Una vita umana è molto breve.

Tranne nel nostro caso, disse il monaco.

Non possiamo sapere quanto saranno lunghe le nostre vite, disse lo scienziato. Almeno per ora non possiamo. Tuttavia direi che, nel pieno significato del termine, forse non siamo più umani.

Certo che lo siamo, disse la gran dama. Siamo troppo umani. Ci aggrappiamo alle nostre identità, alle nostre individualità. Litighiamo tra di noi. Lasciamo trasparire i nostri pregiudizi. Siamo ancora meschini e criticabili. E non dovremmo esserlo. Le tre menti dovevano confluire, divenire una mente molto più grande ed efficiente. E non parlo solo di me, della mia meschinità, che sono pronta a riconoscere, ma di te, Scienziato, con il tuo punto di vista scientifico esagerato che tendi ad ostentare per provare la tua superiorità nei confronti di una donna frivola e incostante e di un monaco ingenuo…

Non mi degnerò di discutere con te, disse lo scienziato, ma debbo ricordarti che vi sono stati momenti…

Sì, momenti, disse il monaco. Quando negli abissi dello spazio interstellare non c’erano distrazioni, quando ci eravamo logorati con la nostra meschinità, quando ci annoiavamo a morte. Allora confluivano per pura stanchezza, e quelli erano gli unici momenti in cui ci avvicinavamo all’affinata mente comune che quelli sulla Terra si aspettavano che realizzassimo. Mi piacerebbe vedere che faccia farebbero tutti quei neurologi presuntuosi e quegli psicologi dal cervello di gallina che ci prepararono il copione, se potessero vedere come si sono concretati nella realtà tutti i loro calcoli. Naturalmente, ormai sono tutti morti…

Era il vuoto, disse la gran dama. Era quello ad unirci. Il vuoto e il nulla. Come tre bambini spaventati, rannicchiati insieme per difenderci dal vuoto. Tre menti che cercavano la protezione reciproca, ecco tutto.

Forse, disse lo scienziato, ti sei avvicinata alla verità della situazione. Nella tua amarezza, ti sei avvicinata alla verità.

Non sono amareggiata, disse la gran dama. Se mai vengo ricordata, lo sono come una persona altruista che ha dato parte di sé per tutta la vita, che ha dato più di quanto si poteva chiedere ad un essere umano. Penseranno a me come ad una che ha rinunciato al proprio corpo e alla consolazione della morte per il progresso della causa…

Quindi, disse il monaco, ancora una volta tutto si riduce alla vanità umana ed alle speranze umane mal orientate, anche se non sono d’accordo con te nel ritenere la morte una consolazione. Ma hai ragione, quando parli del vuoto.

Il vuoto, pensò lo scienziato. Sì, il vuoto. Ed era strano che lui, un uomo che avrebbe dovuto comprendere il vuoto, che avrebbe dovuto aspettarselo, non fosse riuscito a capirlo, ad accettarlo, e si fosse lasciato prendere dalla stessa reazione illogica degli altri due, finendo per averne vergognosamente paura. Il vuoto, aveva saputo, era solo relativo. Lo spazio non era vuoto, e lui aveva saputo che non lo era. Sebbene rarefatta e dispersa, c’era la materia, in gran poste composta di molecole piuttosto complesse. Lo aveva ripetuto a se stesso più e più volte… non è vuoto, non è vuoto, c’è la materia. Eppure non era riuscito a convincersi. Perché nell’apparente vuoto dello spazio c’erano un’indifferenza e una freddezza che spingevano a ripiegarsi su se stessi, a ritrarsi dalla freddezza e dall’indifferenza. La cosa peggiore del vuoto, pensava, era che faceva sentire così piccoli ed insignificanti, ed era quello il pensiero da combattere perché la vita, per quanto piccola, non poteva essere insignificante. La vita, in verità, era l’unica cosa, la sola cosa che avesse significato nell’intero universo.

Eppure, disse il monaco, c’erano momenti, ricordo, in cui superavamo la paura e non ci rannicchiavamo più, dimenticavamo la nave, e come un’entità appena nata, avanzavamo nel vuoto come se fosse perfettamente naturale, quasi camminassimo in un prato o in un giardino. Ho sempre pensato che quei momenti venissero solo quando giungevamo al punto in cui ci sembrava di non poter sopportare più, quando avevamo raggiunto e valicato le deboli capacità umane… quando veniva quell’istante cera una valvola di sicurezza, una situazione compensatrice, in cui accedevamo ad un nuovo piano dell’esistenza…

Lo ricordo anch’io, disse lo scienziato, e dal ricordo posso trarre qualche speranza. Come sembriamo confusi, capaci di convincerci di non avere speranza… e poi ricordiamo un piccolo particolare che ce la rende. È tutto così nuovo, per noi… questa è la difficoltà. Nonostante i millenni, è ancora troppo nuovo. Una situazione così unica, così estranea ai nostri concetti umani, che è un prodigio se non siamo ancora più confusi.

La gran dama disse: Ricordate che di tanto in tanto, su questo pianeta, abbiamo percepito un’altra intelligenza, una sorta d’emanazione di un’altra intelligenza, come se fossimo segugi in cerca di un’antica traccia. Ed ora che abbiamo sentito tutta la forza dell’intelligenza dello Stagno per quanto io sia riluttante a dirlo, dato che non voglio altra intelligenza non mi sembra che si tratti di quella che avevamo percepito prima. È possibile che vi sia un’altra grande intelligenza, su questo sciocco pianeta?

L’essere-nel-tempo, forse, suggerì il monaco. L’intelligenza che avevamo percepito era molto fioca, estremamente sottile. Come se cercasse di nascondersi per non farsi scoprire.

Non credo, disse lo scienziato. Una cosa racchiusa nel tempo, direi, dovrebbe essere impercettibile. Non riesco a pensare ad un isolamento più efficace di uno schermo di tempo bloccato. La cosa più. terribile, per quanto riguarda il tempo, è che non lo conosciamo affatto. Spazio, materia ed energia… sono fattori che possiamo fingere di riconoscere, o almeno possiamo accettarne teoricamente i valori teorici. Il tempo è il mistero assoluto. Non possiamo essere certi che sia attuale. Non ha un manico per cui possiamo afferrarlo per esaminarlo.

Quindi può esserci un’altra intelligenza… un’intelligenza sconosciuta?

Non m’importa, disse la gran dama. Non ho nessun desiderio di conoscerla. Spero che il bel rompicapo in cui siamo coinvolti finisca presto, e che possiamo andarcene di qui.

Non ci vorrà molto, disse il monaco. Ancora poche ore, forse. Il pianeta è chiuso, e non c’è altro da fare. Domattina, andranno a vedere il tunnel e si renderanno conto che non c’è niente da fare. Ma prima che questo avvenga, c’è una decisione da prendere. Carter non ce lo ha chiesto perché non osa. Ha paura della nostra risposta.

La risposta è no, disse lo scienziato. Ver quanto ci dispiaccia, deve essere no. Carter ci giudicherà duramente. Potrà dire che abbiamo perduto la nostra umanità insieme ai nostri corpi, che conserviamo solo la freddezza del nostro intelletto. Ma sarà la sua debolezza a parlare: dimenticherà che dobbiamo essere duri, che la debolezza non ha parte nel gioco, lontano dal condizionamento del nostro pianeta. E inoltre, non sarebbe un favore che renderemmo al Carnivoro. Trascinerebbe un esistenza squallida in questa gabbia metallica, con Nicodemus che lo detesta e che lui detesta e di cui forse ha paura… e questo getterebbe olio sul fuoco della sua vergogna: il pensiero che un guerriero famoso, uccisore di tanti mostri malvagi, si sia ridotto a temere un meccanismo fragile come Nicodemus.

Ed a ragione, disse il monaco, perché senza dubbio Nicodemus, con l’andar del tempo, lo ucciderebbe.

È così rozzo, disse la gran dama, con un brivido nel pensiero, così privo di sensibilità, senza delicatezza né premure…

Di chi parli? chiese il monaco. Carnivoro o Nicodemus?

Oh, non Nicodemus. Mi sembra così carino.

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