31.

Nicodemus stava aspettando accanto al fuoco ormai spento, quando Horton ritornò dallo Stagno. Il robot aveva preparato gli zaini, e il volume di Shakespeare stava in cima al mucchio. Horton posò delicatamente la fiasca, appoggiandola agli zaini.

«C’è nient’altro che vuoi portar via?» chiese Nicodemus.

Horton scosse il capo. «Il libro e la fiasca,» disse. «Credo sia tutto. Le ceramiche che Shakespeare aveva raccolto non valgono nulla. Sono soltanto souvenirs. Un giorno verrà qualcun altro, umano o no, che effettuerà uno studio della città. Umano, molto probabilmente. Sembra che qualche volta la nostra specie provi un fascino quasi fatale nei confronti del passato.»

«Io posso portare i due pacchi,» disse Nicodemus. «E anche il libro. Dato che porti la fiasca, è meglio che tu non abbia altri ingombri.»

Horton sorrise. «Ho una paura tremenda che qualcosa, lungo il percorso, mi faccia inciampare. Non posso permetterlo. Ho Stagno in custodia, e non posso lasciare che gli succeda niente.»

Nicodemus sbirciò la fiasca. «Non ne hai molto, di lui, lì dentro.»

«Quanto basta,» disse Horton. «Anche una boccetta o una tazza, probabilmente, sarebbero sufficienti.»

«Non capisco proprio,» disse Nicodemus, «cosa sia questa faccenda.»

«Neppure io lo capisco,» disse Horton. «Ma ho l’impressione di portare un amico, e nella desolazione ululante dello spazio, un uomo non può chiedere di più.»

Nicodemus si alzò dal mucchio di legna su cui si era seduto. «Prendi la fiasca,» disse. «E io mi caricherò il resto sulle spalle. Non c’è più niente che ci trattenga.»

Horton non accennò a prendere la fiasca. Rimase dov’era, guardandosi intorno lentamente. «Provo una certa riluttanza,» disse. «Come se ci fosse ancora qualcosa da fare.»

«Ti manca Elayne,» disse Nicodemus. «Sarebbe stato bello averla con noi.»

«Già,» disse Horton. «Sì, mi manca. È stato doloroso vederla entrare nel tunnel. E poi c’è anche lui.» Indicò il teschio appeso sopra la porta.

«Non possiamo portarlo con noi,» disse Nicodemus. «Quel cranio si sgretolerebbe a toccarlo. È rimasto lassù molto tempo. Un giorno, un colpo di vento…»

«Non è questo che intendevo,» disse Horton. «È rimasto qui solo per tanto tempo. E adesso lo lasceremo solo di nuovo.»

«Carnivoro è ancora qui,» disse Nicodemus.

Horton disse, con un senso di sollievo. «È vero. Non ci avevo pensato.»

Si chinò e raccolse la fiasca, reggendola delicatamente tra le braccia. Nicodemus si caricò gli zaini sul dorso e si infilò il libro sotto un braccio. Si voltò e cominciò a scendere per il sentiero, seguito da Horton.

Alla svolta, Horton si girò a guardare la casa greca. Stringendo saldamente la fiasca con una mano, levò l’altro braccio in un gesto d’addio.

Addio, disse mentalmente, senza parole. Addio, vecchio albatross delle tempeste… pazzo, coraggioso uomo perduto.

Forse era uno scherzo della luce. Forse era qualcosa d’altro.

Ma comunque, di lassù, sopra la porta, Shakespeare gli strizzò l’occhio.


FINE
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