27.

Mentre giravano intorno allo Stagno, Elayne disse: «Il robot non è venuto con noi.»

«È rimasto con Carnivoro,» disse Horton. «Per l’ultima veglia. È il suo modo di fare le cose. Una specie di veglia all’irlandese. Ma tu non puoi conoscere le veglie all’irlandese.»

«No. Cos’è una veglia all’irlandese?»

«Tenere compagnia al morto. Vegliarlo. Nicodemus lo ha fatto con gli altri umani che erano sulla Nave insieme a me. Su un pianeta solitario di un sole sconosciuto. Voleva pregare per loro; tentò di pregare e non ci riuscì. Pensava che non fosse giusto che un robot cercasse di pregare. Perciò fece un’altra cosa. Restò un po’ con loro. Non si affrettò ad andarsene.»

«È molto bello. Meglio di una preghiera.»

«Lo penso anch’io,» disse Horton. «Sei sicura di sapere dov’è caduto il drago? Non si vede.»

«L’ho visto cadere,» disse lei. «Credo di conoscere il posto. È proprio là.»

«Ricordi che ci siamo chiesti perché il drago era racchiuso nel tempo?» disse Horton. «Se pure era davvero chiuso nel tempo. Abbiamo scritto il nostro copione per nascondere il fatto che non sappiamo nulla. Abbiamo creato la nostra piccola favola umana per conferire un significato e una spiegazione ad un evento che sfuggiva alla nostra comprensione.»

«Per me,» disse Elayne, «è evidente, adesso, la ragione per cui era stato lasciato lì. Era stato lasciato ad attendere che il mostro uscisse dal guscio, per ucciderlo. Non so come, la nascita del mostro avrebbe fatto scattare la trappola nel tempo per liberare il drago… e l’ha liberato, per quel che è servito.»

Horton disse: «Loro… quali che siano, avevano incatenato il drago nel tempo, in attesa del giorno in cui il mostro sarebbe uscito dal guscio. Dovevano sapere che l’uovo era stato deposto: ma se lo sapevano, perché non hanno cercato e distrutto l’uovo, se lo era o qualunque cosa fosse? Perché tutta questa messa in scena drammatica?»

«Forse sapevano soltanto che l’uovo era stato deposto, ma ignoravano dove.»

«Ma il drago era a meno di un miglio…»

«Forse conoscevano solo l’ubicazione generica. Cercare l’uovo sarebbe stato come setacciare ettari di spiaggia sabbiosa, alla ricerca di un oggetto che forse era difficile da distinguere anche se veniva scoperto… camuffato in modo che, anche guardandolo, non l’avresti riconosciuto. E forse non avevano avuto il tempo di cercare. Dovettero andarsene di qui, per qualche ragione, forse piuttosto in fretta, perciò chiusero il drago nella cripta e, quando lasciarono il pianeta, bloccarono il tunnel, in modo che, se fosse accaduto qualcosa e il drago non fosse riuscito ad uccidere il mostro, questo non avrebbe potuto comunque abbandonare il pianeta.

«E la schiusa. Noi diciamo che il mostro è uscito dal guscio, ma non credo che sia il termine esatto. Qualunque cosa abbia posto in essere il mostro deve avere impiegato molto tempo. Il mostro deve aver attraversato un lungo periodo di sviluppo, prima di erompere dalla collina. Come la vecchia locusta dei diciassette anni, sulla Terra, di cui parla la vecchia storia. Ma il mostro ha impiegato ben più di diciassette anni.»

«Quello che non capisco,» disse Horton, «è perché mai chi aveva preparato la trappola chiudendo il drago nel tempo, temesse il mostro al punto di prendere tante precauzioni. Era grosso, sicuro, ed orribile, ma Carnivoro gli ha squarciato la gola con un sol colpo, e lo ha finito.»

Elayne rabbrividì. «Era maligno. Si sentiva il male che se ne irradiava. Tu l’hai sentito, vero?»

«L’ho sentito,» disse Horton.

«Non il male nel senso in cui tanti esseri viventi contengono un po’ di male. C’era in lui un abisso di male che non poteva venire misurato. Era l’assoluta negazione di tutto ciò che vi è di bene. Carnivoro l’ha colto di sorpresa, prima che avesse la possibilità di mettere a fuoco tutta la sua malvagità. Era appena uscito dal guscio, appena consapevole, quando Carnivoro gli è piombato addosso. E questa è la sola ragione, ne sono sicuro, che gli ha permesso di fare quel che ha fatto.»

Avevano superato la curva dello Stagno, sotto il dorsale su cui sorgevano le case in rovina.

«Credo che sia lassù,» disse Elayne, «su per la collina.»

Cominciò a inerpicarsi. Horton si voltò indietro e vide Nicodemus, che in distanza appariva piccolo come un giocattolo, ritto sulla riva di fronte. Solo a fatica riuscì a distinguere il corpo di Carnivoro, che pareva confondersi con il gradino di roccia nuda su cui giaceva.

Elayne era arrivata sulla cresta dell’altura e si era fermata. Quando Horton la raggiunse, tese il braccio. «Là,» gli disse. «Eccolo là.»

Un milione di gemme brillava nel sottobosco. Il drago non si vedeva, nascosto dalla vegetazione, ma i riflessi d’arcobaleno irradiati dal suo corpo mostravano dov’era caduto.

«È morto,» disse Elayne. «Non si muove.»

«Non è detto,» fece Horton. «Potrebbe essere ferito, ma vivo.»

Scesero tra gli arbusti, e quando superarono un albero enorme dai rami bassi, videro il drago.

Era di una bellezza che toglieva il respiro. Ognuna delle minuscole scaglie che rivestivano il corpo era un punto di luce gemmea, piccole pietre preziose dai colori squisiti che scintillavano nel sole. Quando Horton avanzò di un passo, tutto il corpo parve incendiarsi: l’angolazione delle scaglie agiva come un riflettore che gli buttava in viso lo splendore del giorno. Ma quando mosse un altro passo, cambiando l’angolo delle scaglie in rapporto a se stesso, il bagliore si spense, e ritornò lo scintillio, come se fosse un albero di Natale interamente coperto e celato da lampadine intermittenti, molto più colorate di quelle che mai avessero ornato un albero di Natale. Azzurri carichi e rossi rubino, verdi che andavano dal pallore di un cielo serotino di primavera all’intensità cupa di un mare infuriato, giallo vivo, il brillio del topazio illuminato dal sole, il rosa dei fiori del melo, il luccichio autunnale delle zucche… e tutti i colori erano coperti da quello scintillio che si può vedere in un gelido mattino d’inverno, quando tutto è indiamantato.

Elayne trattenne il respiro. «Com’è bello!» mormorò. «Più bello di quanto immaginassimo quando l’abbiamo visto nella cripta del tempo.»

Era più piccolo di quanto fosse sembrato in volo, e giaceva immobile. Un’ala di mussolina si stendeva dal corpo snello, ripiegata ad appoggiarsi al suolo. L’altra era gualcita, afflosciata. Il lungo collo era contorto, e la testa era posata con una guancia sul terreno. Vista da vicino, sembrava ancora coperta da un elmo: sulla testa, le scaglie che rivestivano il resto nel corpo mancavano. L’elmo era foggiato di strutture solide che parevano lamine di metallo levigato. Anche il becco massiccio, sporgente dalla maschera dell’elmo, pareva metallico.

E mentre giaceva in silenzio, immobile, l’occhio sul lato in alto della testa si schiuse… un occhio azzurro, un occhio mite, chiaro e limpido e sereno.

«È vivo!» gridò Elayne, e fece per avvicinarsi. Con un grido, Horton tese la mano per fermarla; ma lei lo schivò, cadde in ginocchio accanto alla testa crudele, la prese tra le braccia, e sollevandola se la strinse al petto.

Horton era impietrito, e non osava muoversi, non osava parlare. Una creatura ferita, sofferente… un affondo, un colpo di quel becco adunco…

Ma non accadde nulla. Il drago non si mosse. Teneramente, Elayne posò di nuovo la testa al suolo, tese la mano per accarezzare il collo gemmeo. Il drago batté lentamente le palpebre, fissandola.

«Sa che siamo amici,» disse lei. «Sa che non gli faremo del male.»

Il drago riabbassò le palpebre, e questa volta l’occhio restò chiuso. Elayne continuò ad accarezzargli il collo, rivolgendogli mormorii sommessi. Horton rimase dov’era, ad ascoltare quel bisbiglio, l’unico suono (a malapena un suono) in un silenzio terribile che era sceso sulla cresta della collina. Sotto di lui, dall’altra parte dello Stagno, il gingillo che era Nicodemus era ancora ritto sulla riva, accanto alla chiazza che era Carnivoro. Più in alto, riusciva a distinguere la chiazza più grande che era la collina sventrata da cui era emerso il mostro. Del mostro non c’era più traccia.

Aveva saputo del mostro, pensò… o avrebbe dovuto saperlo. Solo ieri si era arrampicato sulla collina, procedendo sulle mani e sulle ginocchia perché era troppo ripida. Poco prima di arrivare in vetta s’era fermato a riposare, disteso sul ventre, ed aveva captato una vibrazione nel suolo, come il battito di un cuore. Ma aveva detto a se stesso, lo ricordava, che era soltanto il suo cuore a battere, martellando per la stanchezza della scalata, e non ci aveva più pensato.

Guardò di nuovo il drago, e percepì qualcosa di strano: ma gli occorse qualche tempo per capire.

«Elayne,» disse sottovoce. «Elayne.»

Lei alzò la testa e lo guardò.

«Il drago è morto,» le disse. «I colori stanno svanendo.»

Sotto i loro occhi, i colori continuarono a dileguarsi. Le minuscole scaglie persero lo scintillio, la bellezza sparì. Non era più un prodigio, era una grande bestia grigia: e non c’era dubbio che fosse morto.

Lentamente Elayne si alzò in piedi, si asciugò con i pugni il viso madido di pianto.

«Ma perché?» chiese, rabbiosamente. «Perché? Se era racchiuso nel tempo, se il tempo s’era fermato, per lui, doveva essere fresco e forte come nel momento in cui vi era stato imprigionato. Il tempo non sarebbe esistito, per lui. Non vi sarebbero stati cambiamenti.»

«Non sappiamo nulla del tempo,» disse Horton. «Forse coloro che vi racchiusero il drago non ne sapevano quanto credevano di sapere. Forse il tempo non poteva venire controllato facilmente e attendibilmente come pensavano. Potevano esservi ancora pecche in quella che consideravano, magari, una tecnica perfetta.»

«Vuoi dire che qualcosa non ha funzionato, nella cripta del tempo? Che potrebbe esserci stata un’infiltrazione…»

«Non possiamo saperlo,» disse Horton. «Il tempo, per noi, è ancora il grande mistero. La cripta potrebbe avere avuto effetti insospettati sui tessuti viventi o sui processi mentali. L’energia vitale può essere defluita, possono essersi accumulati i veleni del metabolismo. Forse l’attesa è stata più lunga di quanto avessero calcolato coloro che chiusero nel tempo il drago. Qualche fattore potrebbe aver ritardato la nascita del mostro oltre il periodo solitamente necessario per la schiusa.»

«È strano,» disse Elayne, «come si sono svolti gli eventi. Se Carnivoro non fosse rimasto intrappolato su questo pianeta, forse il mostro si sarebbe scatenato.»

«E Stagno,» disse Horton. «Se Stagno non ci avesse dato l’allarme, non avesse lanciato il suo grido d’avvertimento…»

«Ecco. Ecco come l’hai saputo. Perché Stagno aveva paura?»

«Probabilmente percepiva la malvagità del mostro. Forse Stagno non è immune al male.»

Elayne sali il breve pendio e si fermò accanto a Horton. «La sua bellezza è sparita,» disse. «È terribile. C’è così poca bellezza nell’universo: non possiamo rinunciare a quella che c’è. Forse per questo la morte è tanto orribile: toglie la bellezza.»

«Il crepuscolo degli dei,» disse Horton.

«Il crepuscolo…»

«Un’altra vecchia leggenda della Terra,» disse lui. «Il mostro, il drago e Carnivoro. Tutti morti. Una grande resa dei conti finale.»

Elayne rabbrividì nel tepore del sole sfolgorante.

«Torniamo indietro,» disse.

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