Carnivoro arrivò un’ora prima del tramonto. Nicodemus aveva tagliato le bistecche e stava accosciato a farle rosolare. Indicò un enorme pezzo di carne che aveva deposto su uno strato di foglie strappate a un albero.
«È per te,» disse. «Ti ho scelto il taglio migliore.»
«Nutrimento,» disse Carnivoro, «è una cosa di cui ho gran bisogno. Ti ringrazio dal profondo delle viscere.»
Raccolse il pezzo di carne con tutte e due le mani e si acquattò davanti al mucchio di legna su cui sedevano gli altri due. Se lo portò alla bocca e l’addentò. Il sangue gli scorse sui baffi.
Masticando energicamente, alzò gli occhi verso i suoi due compagni.
«Non vi disturbo, spero,» disse, «con il mio mangiare indecoroso. Sono grandemente affamato. Forse dovevo aspettare?»
«Ma no,» disse Elayne. «Mangia pure. Le nostre bistecche saranno pronte fra poco.» Affascinata e nauseata, guardava il sangue che scendeva sui tentacoli di Carnivoro.
«Ti piace la buona carne rossa?» chiese lui.
«Mi ci abituerò,» disse lei.
«Non è necessario,» disse Horton. «Nicodemus può trovarti qualcosa d’altro.»
Elayne scosse il capo. «Quando si viaggia da un mondo all’altro, si incontrano molte strane usanze. Alcune possono addirittura apparire scandalose al tuo pregiudizio. Ma nel mio modo di vivere, il pregiudizio non può esistere. Bisogna avere una mentalità aperta e ricettiva… e bisogna conservarla.»
«Ed è per questo che mangi la carne insieme a noi?»
«Be’, all’inizio è stato così, e credo che lo sia ancora, in una certa misura. Ma penso che, senza troppo sforzo, potrei finire per prediligere la carne.» Poi, a Nicodemus: «Puoi cuocere bene la mia bistecca?»
«Già fatto,» disse Nicodemus. «La sua l’ho messa a cuocere prima di quella di Carter,»
«Mi è stato detto molte volte, dal mio vecchio amico Shakespeare,» disse Carnivoro, «che sono un cafone irrimediabile, che non conosco le buone maniere e ho abitudini schifose. Per dirvi la verità, sono devastato da tale valutazione, ma ormai sono troppo vecchio per cambiare modo di vivere, e in nessun caso voglio diventare un damerino affettato. Se sono un cafone, ci terrò a esserlo, perché la cafonaggine è una situazione piacevole.»
«Sei un cafone, sicuro,» disse Horton. «ma se ti rende felice, non badare a noi.»
«Ti sono riconoscente per la tua graziosità,» disse Carnivoro. «E felice di non dover cambiare. Mi è difficile cambiare.» E disse a Nicodemus: «Hai quasi finito con il tunnel?»
«Non solo non ho quasi finito,» disse Nicodemus, «ma ormai sono quasi sicuro che non si può far niente.»
«Vuoi dire che non puoi ripararlo?»
«È esattamente quello che voglio dire, a meno che qualcuno se ne venga fuori con un’idea geniale.»
«Oh, be’,» disse Carnivoro, «sebbene la speranza scaturisce sempre nelle mie viscere, non sono sorpreso. Oggi ho camminato a lungo, comunicando con me stesso, e mi dico, che non devo aspettarmi troppo. Mi dico che la vita non è dura con me e ho avuto molte felicità, e che dato questo non vomiterò di fronte ad eventi sbagliati. E poi cerco alternative nella mia mente. Mi è sembrato che potevo tentare con la magia. Tu mi hai detto, Carter Horton, che non ti fidi della magia e non la capisci. Tu e Shakespeare siete uguali. Lui si fa molte beffe della magia. Dice che non è buona a niente. Forse la nostra nuova compatriota non la pensa così.» E guardò Elayne con aria implorante.
Lei disse: «Hai provato la tua magia?»
«Sì,» rispose Carnivoro. «Ma contro la risata sprezzante di Shakespeare. Le risate, mi dico, la smussano, la riducono a niente.»
«Non so,» disse Elayne. «Ma sono sicura che bene non ne fanno.»
Carnivoro annuì con aria saggia. «Allora mi dico, se la magia fallisce, se il robot fallisce, se tutto il resto fallisce, io cosa faccio? Resto su questo pianeta? Sicuramente no, dico. Sicuramente i miei nuovi amici troveranno un posto per me quando da questo pianeta s’involano nello spazio.»
«Adesso fai conto su di noi,» disse Nicodemus. «Avanti, abbaia pure. Rotolati per terra e scalcia e strilla. Non ti servirà a niente. Non possiamo ibernarti e…»
«Almeno,» disse Carnivoro, «sono con amici. Fino a che muoio, sono con amici e lontano di qui. Occupo poco posto. Mi rannicchio in un angolo. Mangio molto poco. Non dò fastidio. Terrò la bocca chiusa.»
«Magari,» disse Nicodemus.
«Spetta a Nave decidere,» disse Horton. «Ne parlerò con Nave. Ma non ho molte speranze.»
«Voi comprendete,» disse Carnivoro, «che io sono un guerriero. Per un guerriero c’è un modo solo di morire, nella sanguinosità del combattimento. È così che voglio morire io. Ma forse non sarà così. Al fato m’inchino. Ma non voglio morire qui, senza nessuno che mi vede morire, che pensa, povero Carnivoro, se ne è andato; a trascinare i miei ultimi giorni nell’odiosa nullità di questo posto dimenticato dal tempo…»
«Ecco,» disse Elayne, all’improvviso. «Il tempo. Ecco cosa dovevo pensare, fin dal primo momento.»
Horton la fissò, sbalordito. «Il tempo? Cosa stai dicendo? Cosa c’entra il tempo?»
«Il cubo,» disse lei. «Il cubo che abbiamo trovato nella città. Con l’essere chiuso dentro. Quel cubo è tempo congelato.»
«Tempo congelato!» esclamò Nicodemus. «Il tempo non può essere congelato. Si congela la gente e i viveri e altre cose. Ma il tempo no.»
«Tempo arrestato,» disse Elayne. «Vi sono storie… leggende… dicono che è possibile. Il tempo fluisce. Si muove. Arrestane il flusso, il movimento. Niente passato, niente futuro. Solo il presente. Un presente eterno. Un presente esistente dal passato e incastonato nel futuro che ormai è divenuto presente.»
«Parli come lo Shakespeare,» borbottò Carnìvoro. «Sempre a sputare scemenze. Sempre bla, bla, bla. A dire cose senza senso. Solo per ascoltarsi parlare.»
«Non è affatto così,» insistette Elayne. «Vi sto dicendo la verità. Su molti pianeti, vi sono leggende che dicono che il tempo può venire manipolato, che esistono modi per riuscirvi. Nessuno sa dire chi lo fa…»
«Forse i costruttori dei tunnel.»
«Non c’è mai un nome. Le leggende dicono soltanto che è possibile.»
«Ma perché proprio qui? Perché quell’essere sarebbe congelato nel tempo?»
«Forse per attendere,» disse Elayne. «Forse perché sia qui quando se ne presenterà la necessità. Forse coloro che chiusero l’essere nel tempo non sapevano quando la necessità si sarebbe presentata…»
«E perciò ha atteso nei secoli,» disse Horton, «e dovrà attendere altri millenni…»
«Ma non capisci?» disse lei. «Secoli o millenni, è lo stesso. Congelato com’è, non ha esperienza del tempo. Esiste e continua ad esistere entro quel microsecondo…»
Scoccò l’ora di Dio.