4.

Dalla piattaforma dell’altopiano su cui Nave si era posata, la superficie planetaria si estendeva verso i nitidi orizzonti lontani, una terra dai grandi ghiacciai azzurri d’idrogeno congelato che scivolavano lungo pendii di roccia nera e nuda. Il sole di quel pianeta era così lontano che pareva soltanto una stella un po’ più grande e luminosa… una stella così affievolita dalla distanza e dall’agonia che non aveva né un nome né un numero. Sulle carte stellari della Terra non vi era neppure un puntolino che ne indicasse la posizione. La sua luce fievole non era mai stata registrata su di una lastra fotografica d’un telescopio terrestre.

Nave, chiese Nicodemus, è tutto ciò che possiamo fare?

Non possiamo far altro, disse Nave.

Mi sembra una crudeltà lasciarli qui, in questo posto desolato.

Cercavamo un luogo solitario, per loro, disse Nave, un luogo di solitudine e di dignità, dove niente li troverà e li disturberà per studiarli o per metterli in mostra. Questo glielo dobbiamo, robot; ma è tutto ciò che possiamo dar loro.

Nicodemus stava eretto accanto alla triplice bara, cercando di fissare per sempre quel luogo nella sua mente, anche se, mentre scrutava il pianeta, si rendeva conto che c’era poco da fissare. Lì c’era una monotonia mortale: dovunque si guardasse, tutto pareva identico. Forse, pensò, è meglio così… potranno restare qui, anonimi, protetti dall’irreperibilità del luogo del loro ultimo riposo.


Non vi era cielo. Dove avrebbe dovuto essere il cielo, vi era soltanto la nera nudità dello spazio, illuminata da un denso sprazzo di stelle sconosciute. Quando lui e Nave se ne fossero andati, pensò, per millenni e millenni quelle stelle d’acciaio, prive di scintillii, avrebbero fissato i tre che giacevano nella bara; non per vegliare su di loro ma per spiarli, con lo sguardo gelido di vecchi, muffiti aristocratici che osservano con fredda disapprovazione gli intrusi insinuatisi nel loro ambiente. Ma la disapprovazione non avrebbe avuto importanza, pensò Nicodemus, perché ormai non c’era più nulla che potesse far loro del male. Niente poteva far loro del male, niente poteva aiutarli.

Avrebbe dovuto dire una preghiera per loro, sebbene non ne avesse mai recitata una e non avesse mai neppure pensato di pregare. Tuttavia temeva che una sua preghiera non sarebbe stata accettabile, né per gli umani che giacevano lì, né per qualunque divinità che potesse tendere l’orecchio per udirla. Ma era un gesto… una speranza lieve ed incerta che, chissà dove, esistesse ancora un’entità d’intercessione.

E se avesse pregato, che avrebbe potuto dire? Signore, noi ti affidiamo queste creature…

E quando avesse detto così? Quando avesse fatto una buona partenza?

Potresti spiegargli, disse Nave. Potresti fargli capire l’importanza delle creature per cui ti preoccupi. Oppure potresti supplicare e discutere a nome loro, che sono ormai al di là di ogni supplica e di ogni discussione.

Ti burli di me, disse Nicodemus.

Noi non ci burliamo di te, disse Nave. Noi siamo al di là di ogni ironia.

Dovrei dire qualche parola, continuò Nicodemus. Loro se l’aspetterebbero, da me. La Terra se lo aspetterebbe. Un tempo eravate umani. Direi che in un’occasione come questa dovrebbe esservi un po’ d’umanità in voi.

Siamo addolorati, disse Nave. Piangiamo. Proviamo un senso di tristezza. Ma ci rattrista la morte, non l’idea di lasciare i morti in questo luogo. A loro non importa dove li lasciamo.

Bisogna dire qualcosa, insistette tra sé Nicodemus. Qualcosa di solenne, di ufficiale, un rituale studiato, recitato decorosamente, perché resteranno qui, per sempre, polvere della Terra trapiantata. Sebbene sia stato logico cercare per loro un luogo solitario, non dovremmo abbandonarli qui. Avremmo dovuto cercare un pianeta verde e piacevole.

Non vi sono, disse Nave, pianeti verdi e piacevoli.

Poiché non trovo parole adeguate da pronunciare, disse il robot a Nave, ti dispiace se mi trattengo un poco? Dovremmo avere almeno, nei loro confronti, il riguardo di non scappare via in fretta.

Resta, disse Nave. Abbiamo tutta l’eternità.

«E sai,» disse Nicodemus a Horton, «non sono riuscito a dir nulla.»

Nave parlò. Abbiamo un visitatore. È uscito dalle colline e attende vicino alla rampa. Dovresti uscire, andargli incontro. Ma sii cauto, e prendi le armi. Si direbbe un brutto cliente.

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