20.

«Questo tuo Shakespeare,» disse Elayne, «mi sembra fosse un filosofo, ma abbastanza sconclusionato. Non aveva una buona base.»

«Era un uomo solo, ammalato e spaventato,» disse Horton. «Scriveva quello che gli passava per la testa, senza esaminarne la logica e la coerenza. Scriveva per se stesso. Non aveva mai pensato che qualcun altro avrebbe potuto leggere i suoi scarabocchi. Se lo avesse pensato, probabilmente sarebbe stato più circospetto.»

«Almeno era sincero,» disse lei. «Senti questo:


Il tempo ha un certo odore. Forse è solo un mio concetto, ma sono sicuro che ce l’ha. Il tempo vecchio deve essere acido e muffito, e il tempo nuovo, all’inizio della creazione, doveva essere dolce e inebriante ed esuberante. Mi chiedo se, via via che gli eventi procedono verso la fine inconoscibile, non verremo contaminati dall’odore acre del tempo vecchio, come la Terra del passato venne inquinata dai fumi delle ciminiere delle fabbriche e dai gas tossici. La morte dell’universo consisterà nell’inquinamento del tempo, nell’addensarsi dell’odore del tempo vecchio, fino a quando la vita non potrà più esistere sui corpi celesti che compongono il cosmo, e forse la materia stessa dell’universo si eroderà trasformandosi in una putredine immonda? E questa putredine ostacolerà i processi fisici in atto nell’universo al punto che cesseranno di operare, e ne risulterà il caos? E se così fosse, cosa porterà il caos? Non la fine dell’universo, necessariamente, poiché il caos in se stesso è una negazione della fisica e della chimica, e forse consentirebbe combinazioni nuove ed inimmaginabili che violerebbero tutte le concezioni precedenti, dando origine ad un disordine e ad una imprecisione che renderebbero possibili eventi attualmente impensabili per la nostra scienza.


«E continua:


Può darsi che fosse questa la situazione — stavo per dire ‘un tempo’, e sarebbe stata una contraddizione in termini — quando, prima che l’universo esistesse, non vi era né tempo né spazio né referenti per quella grande massa di qualcosa che attendeva di esplodere, perché il nostro universo potesse incominciare ad esistere. È impossibile per la mente umana, naturalmente, immaginare una situazione in cui il tempo e lo spazio non c’erano, se non in potenza nell’uovo cosmico, che già di per sé è un mistero impossibile da visualizzare. Eppure, intellettualmente, si sa che tale situazione è esistita, se il nostro pensiero scientifico è esatto. Eppure, si propone egualmente il dubbio… se non c’erano il tempo e lo spazio, in quale mezzo esisteva l’uovo cosmico?


«È provocatorio,» disse Nicodemus. «Tuttavia non ci fornisce informazioni, niente di fondamentale. Quest’uomo scrive come se noi vivessimo in un vuoto. Questa roba avrebbe potuto scriverla dovunque. Solo di tanto in tanto accenna a questo pianeta, con allusioni malevole al Carnivoro.»

«Cercava di dimenticare questo pianeta,» disse Horton. «Cercava di chiudersi in se stesso, per poterlo ignorare. In realtà, tentava di creare uno pseudo-mondo che gli desse qualcosa di diverso da questo pianeta.»

«Non so perché,» disse Elayne, «ma pensava molto all’inquinamento. Ecco un altro brano che aveva scritto in proposito:


L’emergere dell’intelligenza, ne sono convinto, tende a sbilanciare l’ecologia. In altre parole, l’intelligenza è la grande inquinatrice. Solo quando un essere comincia a modificare il suo ambiente, la natura viene gettata nel disordine. Fino a che questo non avviene, vi è un sistema di freni e di equilibri operante in modo logico e comprensibile. L’intelligenza distrugge e modifica i freni e gli equilibri, anche quando cerca, con molto impegno, di lasciarli come sono. Non esiste un’intelligenza capace di vivere in armonia con la biosfera. Può crederlo e vantarsene, ma la sua mentalità le dà un vantaggio, ed è sempre presente la pulsione ad impiegare tale vantaggio per suo beneficio egoistico. Quindi, sebbene l’intelligenza possa essere un importantissimo fattore di sopravvivenza, è un fattore a breve termine, e l’intelligenza finisce per rivelarsi invece come la grande distruttrice.


Elayne sfogliò le pagine, scrutando rapidamente le annotazioni. «È così piacevole leggere la vecchia lingua,» disse. «Non ero sicura che ci sarei riuscita.»

«Shakespeare non ci sapeva fare molto, con la penna,» disse Horton.

«Comunque è una lettura interessante,» disse lei, «quando riesci a trovare il bandolo. Ecco una cosa strana. Parla dell’ora di Dio. Che strana espressione.»

«Ma è vero,» disse Horton. «Almeno, qui è vero. Avrei dovuto parlartene. È qualcosa che si protende dallo spazio e ti afferra e ti squarcia. Ma Nicodemus fa eccezione. Nicodemus reagisce appena. Sembra che non abbia origine su questo pianeta. Carnivoro dice che, secondo Shakespeare, proveniva da un punto lontano nello spazio. Cosa scrive?»

«A quanto sembra, ha scritto dopo una lunga esperienza,» disse Elayne. «Ecco:


Sento di poter forse venire a patti con il fenomeno che ho chiamato, in mancanza di un termine migliore, l’ora di Dio. Carnivoro, poveraccio, ne ha ancora paura, e suppongo di temerla anch’io, benché ormai, dopo aver vissuto qui per tanti anni e dopo aver scoperto che non c’è modo di sottrarvisi o di isolarsi, sono giunto ad una sorta di accettazione, considerandola come qualcosa d’ineluttabile, ma anche come qualcosa che può, per un certo tempo, portare un uomo al di fuori di se stesso e metterlo in rapporto con l’universo, anche se, per dire la verità, nel caso esistesse una possibilità di scelta ci sarebbe da esitare ad esporsi così spesso a tale contatto.

Il guaio è, naturalmente, che si fa l’esperienza di troppe cose: molte, anzi no, tutte, non si comprendono, e dopo l’evento si rimane aggrappati ad esso, e ci si domanda inorriditi se la mentalità umana è capace di comprenderne più di una minima parte. Talvolta mi sono chiesto se si tratta di un voluto meccanismo d’apprendimento; ma se lo è, si tratta di un insegnamento eccessivo, di massicci testi eruditi scagliati addosso ad un allievo stupido che non ha ancora le basi rudimentali di ciò che gli viene insegnato, ed è quindi incapace di afferrare i principi necessari per una comprensione anche vaga.

Me lo sono chiesto, ho detto, ma non mi sono mai spinto oltre. Con il passare del tempo, mi sono convinto sempre di più che nell’ora di Dio io facevo l’esperienza di qualcosa non destinato a me, né agli umani… che l’ora di Dio, qualunque cosa sia, emani da una sorta di entità del tutto ignara della possibile esistenza degli umani, e pronta ad abbandonarsi ad una risata cosmica se apprendesse l’esistenza di una cosa quale io sono. Io mi trovo, ne sono convinto, semplicemente preso entro la rosa del colpo di fucile, bersagliato da pallini dispersi che erano destinati a capi di selvaggina molto più grossi.

Ma non appena me ne sono convinto, mi sono reso conto, acutamente, che la fonte dell’ora di Dio, almeno in modo marginale, si era accorta di me ed era riuscita a scavare profondamente nella mia memoria e nella mia psiche, perché talvolta, anziché venire spalancato al cosmo, venivo spalancato a me stesso, al passato, e per un periodo di durata ignota rivivevo, con certe distorsioni, eventi del passato che quasi invariabilmente erano di una sgradevolezza estrema, momenti strappati al limo della mia mente, in cui erano rimasti profondamente sepolti, e dove avrei voluto lasciarli nascosti, per la vergogna ed il rimorso, ma che ora venivano dissepolti e spiegati davanti a me, mentre io mi contorcevo per l’imbarazzo e l’umiliazione, costretto a rivivere certi episodi della mia vita che avevo nascosto, non soltanto agli altri, ma anche a me stesso. E peggio ancora, certe fantasie che nei momenti incauti avevo sognato nel segreto della mia anima, inorridendo quando avevo scoperto cosa stavo sognando. Anche queste fantasie vengono strappate urlanti al mio inconscio, vengono presentate davanti a me in una luce spietata. Non so cosa sia peggio, se aprirmi all’universo, o la rivelazione dei miei segreti.

Perciò ho capito che, inspiegabilmente, l’ora di Dio si era accorta di me… forse non proprio di me come persona, ma come un grumo di materia oscena e disgustosa: e mi aveva scostato, in un gesto d’irritazione per la mia presenza, senza perdere tempo a farmi del male, senza schiacciarmi come io schiaccerei un insetto, ma semplicemente spingendomi da parte, o cercando di farlo. E da questo, stranamente, io ho tratto un po’ di coraggio, perché se l’ora di Dio si è accorta di me, sia pure marginalmente, allora mi sono detto che non costituisce un pericolo. E se bada così poco a me, allora senza dubbio sta cercando una preda più grossa: e l’aspetto più terrificante della situazione è che, mi sembra, questa preda deve essere qui, su questo pianeta. E non solo su questo pianeta, ma su questo suo particolare segmento… deve essere molto vicina a noi.

Mi sono stillato il cervello nel tentativo d’immaginare cosa può essere, e se è ancora qui. L’ora di Dio era destinata alla popolazione che abitava la città ora deserta? E in tal caso, perché l’entità responsabile dell’ora di Dio non sa che se ne è andata? Più ci penso, e più mi convinco che il bersaglio non era la popolazione della città, che l’ora di Dio è diretta a qualcoa che è ancora qui. Cerco di scoprire cosa può essere, e non ne ho idea. Sono ossessionato dal pensiero di avere il bersaglio sotto gli occhi, tutti i giorni, eppure non lo riconosco. È una sensazione frustrante ed inquietante. Mi sento sbilanciato e stupido e, qualche volta, abbastanza spaventato. Se un uomo può essere tanto lontano dal contatto con la realtà, tanto cieco ad essa, tanto insensibile a ciò che lo circonda, allora in verità la razza umana è più incapace e debole di quanto abbiamo pensato.


Quando arrivò alla fine di ciò che aveva scritto Shakespeare, Elayne alzò la testa dal volume e guardò Horton. «Sei d’accordo?» chiese. «Hai avuto le stesse reazioni?»

«Ci sono passato solo due volte,» rispose Horton. «Finora, la somma totale delle mie reazioni è un immenso sgomento.»

«Shakespeare dice che è ineluttabile. Dice che non è possibile sottrarvisi.»

«Carnivoro si nasconde,» disse Nicodemus. «Si mette al coperto. Dice che non è così orrendo, quando si è al coperto.»

«Lo saprai tra qualche ora,» disse Horton. «Ho l’impressione che sia meno terribile, se non cerchi di opporre resistenza. È impossibile descriverla. Bisogna farne l’esperienza, per capire.»

Elayne rise, un po’ nervosamente. «Non vedo l’ora,» disse.

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