III

Lou, con rabbia crescente, fece una grande quantità di domande allo sceriffo, mentre lasciavano l’Istituto e salivano su un turbocar privo di targa. Lo sceriffo non rispose a nessuna domanda, limitandosi a dire: — Ho l’ordine di portarvi con me. Tra poco scoprirete voi stesso di cosa si tratta.

Si diressero verso un piccolo aeroporto privato, mentre il sole rosso, enorme, calava verso l’orizzonte deserto. Un jet sottile, a due reattori, era in attesa.

— Un momento! — gridò Lou, mentre la macchina si fermava accanto all’aereo. — Conosco i miei diritti. Non potete…

Lo sceriffo non gli badò. Scese dall’auto e, con un gesto d’impazienza, indicò l’aviogetto. Lou scese a sua volta e si guardò attorno. Nelle ombre lunghe del tardo pomeriggio, l’aeroporto sembrava deserto. Ci sarà pure qualcuno, nella torre di controllo. Ma non vide nessuno, né nei capannoni, né intorno ai piccoli aerei allineati in perfetto ordine al limite della pista.

— Ma è insensato! — disse.

Lo sceriffo tornò a indicare col pollice il reattore. Lou, con una scrollata di spalle, si diresse verso il portello aperto e salì. A bordo non c’era nessuno. I quattro comodi sedili del compartimento erano vuoti. La cabina di pilotaggio era chiusa. Appena lo sceriffo ebbe chiuso il portello e si furono legati ai loro posti, i motori del jet si avviarono e l’apparecchio decollò.

Volarono altissimi, lasciandosi alle spalle il sole, nel cielo pomeridiano. Lou vide le ali del jet ritrarsi al momento di entrare nella fase di volo supersonico; dopo di che l’apparecchio sfrecciò in direzione est, mentre il sole al tramonto proiettava lunghe ombre sulla terra, lontanissima. Lo sceriffo pareva essersi assopito, e a Lou non restava che guardare il paesaggio che sfilava sotto di loro. Sorvolavano le Montagne Rocciose, talmente lontane che sembravano piccole increspature del terreno. Il Mississippi aveva l’aspetto di un serpente grigio, tormentato, che si snodava da un orizzonte all’altro. L’apparecchio continuava nella sua corsa, in gara con le ombre del tramonto.

Il sole era ancora leggermente al di sopra dell’orizzonte quando il reattore prese terra all’aeroporto JFK. Lou, che c’era già stato una volta, lo riconobbe dall’alto. Il loro jet, comunque, atterrò all’estremità della pista, e si fermò di fronte a un elicottero in attesa.

Lo sceriffo, nel frattempo, si era svegliato e aveva ripreso a dare ordini. Lou lo guardò furibondo, però seguì le istruzioni che l’altro gli dava. Scesero dal reattore, attraversarono pochi metri di cemento invasi dall’erba e dalle crepe, e finalmente salirono nella sfera di plastica dell’elicottero. Lou prese posto nel sedile posteriore, alle spalle del seggiolino del pilota, vuoto. Lo sceriffo si arrampicò pesantemente a bordo e si sedette accanto a lui, ansando leggermente.

Superando il ronzio dei rotori in movimento e il rombo nasale del motore elettronico, Lou gridò:

— Ma dove mi portate? Di che si tratta? Che cos’è tutta questa faccenda?

Lo sceriffo scosse la testa, abbassò il portello e si protese tra i due seggiolini anteriori per raggiungere il pulsante del quadro di comando. Il ronzio del motore aumentò e l’elicottero si alzò da terra.

Lou, quando l’elicottero sorvolò il cielo di Manhattan, era furibondo.

— Ma perché non volete dirmi niente? — gridò allo sceriffo, seduto accanto a lui, sul sedile posteriore. L’uomo era appoggiato all’indietro, con le grosse braccia incrociate sul petto e gli occhi socchiusi.

— Sentite, amico, mi hanno svegliato al telefono, stamani alle quattro. Ho dovuto precipitarmi all’aeroporto e partire per Albuquerque. Ho passato mezza giornata a casa vostra, e non vi siete fatto vedere. Finalmente sono passato al laboratorio. Sapete che cosa stanno facendo in questo momento mia moglie e i miei figli? Sono a casa, e si chiedono se sono vivo o morto, e perché non siamo partiti per il picnic che avevamo in progetto. Quanti picnic credete che ci si possa permettere, con uno stipendio da sceriffo? È da un anno che avevamo stabilito di andarci, da mesi avevamo prenotato un posto nel parco del Nord. E adesso va tutto all’aria, mentre io sono qui a scaldarmi le suole dietro di voi, attraverso tutto il paese. Perciò, niente domande, intesi?

Poi aggiunse: — Tra l’altro, non so assolutamente di che cosa si tratti. Ho avuto l’ordine di venire a prelevarvi, tutto qui.

Lou, con voce più calma, disse: — Mi dispiace per il vostro picnic. Non lo sapevo. Non mi era mai capitato, finora, di avere alle calcagna uno sceriffo federale. Ma perché non posso avvertire nessuno? I miei amici saranno preoccupati. E la mia ragazza…

— Ve l’ho detto, niente domande. — Lo sceriffo richiuse gli occhi.

Lou si accigliò. Stava per chiedere dove erano diretti, ma poi cambiò idea. L’elicottero in quel momento girava al di sopra dell’East River, nei pressi dell’antico palazzo delle Nazioni Unite, e iniziava la discesa verso uno spiazzo d’atterraggio vicino a una delle torri altissime ed eleganti, in marmo e cristallo. Lou, nell’ultimo riflesso sanguigno del sole, ebbe modo di vedere che gli edifici erano incrostati da un sudiciume vecchio di un secolo. Le vetrate erano coperte di polvere, il marmo, un tempo lucido e bello, adesso era screpolato e macchiato.

Due uomini erano in attesa sullo spiazzo, spostati su un lato, lontani dal risucchio dei rotori. Appena le ruote dell’elicottero toccarono l’asfalto nero, il portello della cabina si spalancò.

— Scendete! — disse lo sceriffo.

Lou saltò a terra agilmente. Lo sceriffo si allungò e, prima che Lou avesse il tempo di voltarsi, sbatté lo sportello. Il motore dell’elicottero ronzò, sollevando tutt’attorno schizzi di polvere e di ghiaia. Lou chinò la testa, tenendo gli occhi chiusi. Quando li riaprì l’elicottero accelerava, scendendo il corso del fiume.

Il sole ormai è tramontato, pensò Lou. Non ce la farà ad arrivare in tempo per il suo picnic.

I due uomini si diressero a passi rapidi verso Lou, con un fruscio di suole sul manto nero della pista. Uno dei due era piccolo e magro, di aspetto latino. Un portoricano, con ogni probabilità. La brezza che saliva dal fiume gli scompigliava i capelli neri. L’altro sembrava uno straniero. Non era vestito in modo stravagante, ma aveva qualcosa di insolito. Era grasso, biondo, dall’aspetto nordico.

— Per favore, venite con noi — disse il nordico. Com’era prevedibile, aveva l’accento molle degli scandinavi. — Ho il dovere di informarvi che siamo entrambi armati e che ogni tentativo di fuga è impossibile.

— Fuga da che cosa? — Lou si sentiva riprendere dall’esasperazione.

— Vi prego — disse il portoricano, piano. — Sta facendosi buio. Non possiamo rimanere fuori più a lungo. Da questa parte, prego.

Se non altro, sono abbastanza educati…

L’edificio dell’ONU, all’interno, appariva in condizioni migliori. Il corridoio lungo cui si avviarono era pulito. Il tappeto, però, era logoro e scolorito, dopo un secolo di servizio. Salirono su un grande ascensore, con le pareti rivestite di legno ridotto in cattive condizioni, e salirono una decina di piani. Imboccarono un altro corridoio e finalmente entrarono in una stanzetta.

— Dottor Kirby!

Seduto sul sofà, al lato opposto della stanza, c’era il dottor John Kirby, della Columbia-Brookhaven University. Era un uomo sui cinquantacinque anni, con i capelli bianchi, la faccia asciutta, nervosa e sottile, e un naso adunco che gli aveva procurato il soprannome di Falco.

— Mi spiace — disse Kirby. — Non mi sembra di ricordare.

— Louis Christopher — disse Lou, mentre i due chiudevano la porta, lasciandolo solo con il dottor Kirby. — Ci siamo visti la primavera scorsa, al congresso del Colorado, ricordate?

Kirby fece un gesto vago con la mano. — C’è sempre tanta gente, ai congressi.

Lou si sedette accanto a lui, sul divano.— Avevo presentato una relazione sui risultati di una ricerca computerizzata in previsione di modificazioni genetiche. Dalla sala, mi avete rivolto una domanda sull’accuratezza dei dati. Più tardi, siamo andati a pranzo assieme.

— Ah, sì. L’esperto dell’elaboratore. Non siete un genetista.

Non sembrava, dall’espressione, che Kirby avesse riconosciuto Lou.

— Avete un’idea di che cosa stia succedendo? — chiese Lou.

Kirby scosse la testa. Sembrava intontito, indifferente a tutto. Lou si guardò attorno. La stanza era abbastanza confortevole, c’erano un sofà, due seggiole comode, una libreria piena di bobine e, alla parete, uno schermo. Niente finestre, però.

Lou si alzò, si avvicinò alla porta. Era chiusa.

Si accorse, voltandosi verso Kirby, che si teneva la faccia tra le mani. L’avevano drogato, per caso?

— State bene? — chiese Lou.

— Come? Ah, sì… sto bene. Soltanto che… ecco, francamente, ho paura.

— Di che cosa?

Kirby rifece il gesto vago di prima. — Non… non lo so. Non so perché siamo qui e neppure che cosa vogliono fare di noi. È questo che mi spaventa. Non mi hanno permesso di chiamare mia moglie e neanche di parlare con un avvocato.

Lou attraversò la stanza. — Sono stato fermato all’Istituto. Non ho potuto parlare con nessuno, neanch’io. Nessuno sa che sono qui. — Ritornò vicino alla porta. — Ma perché fanno così? Che cosa abbiamo fatto? Di che cosa si tratta?

Improvvisamente la porta si aprì. Nel corridoio c’erano i due uomini di prima. — Venite con noi, prego.

Kirby cominciò a alzarsi, Lou invece disse: — No, non vengo se non ci dite di che si tratta. Non potete arrestarci e portarci via in questo modo. Voglio parlare a…

Lo scandinavo estrasse da sotto la giubba una pistola ad ago. L’arma era talmente piccola che stava tutta nella mano, fatta eccezione per la canna filiforme. Comunque, a Lou sembrava che la bocca fosse come quella di un cannone, dato che l’arma era puntata contro di lui.

— Prego, signor Christopher. Non abbiamo intenzione di servirci della forza. Formalmente non siete in arresto, e di conseguenza non avete bisogno di ricorrere a un avvocato. Comunque, siete atteso per rispondere ad alcune domande alla sede del governo, a Messina. Sarà meglio per voi, se collaborate.

— A Messina? In Sicilia? Il biondo annuì.

— Ma la mia famiglia… — disse Kirby, scosso.

— È stata informata — disse il portoricano. — Non vi capiterà niente, se collaborate.

Lou, stringendosi nelle spalle, si avviò verso il corridoio. Il nordico ripose l’arma sotto la giubba. I quattro si diressero lentamente verso l’ascensore, mentre i loro passi risuonavano sul pavimento di plastica. Una volta arrivati davanti all’ascensore, il portoricano premette il pulsante DISCESA e le porte si aprirono all’istante.

Il palazzo è deserto, a eccezione di noi!, pensò Lou.

Salì in ascensore, poi si girò di scatto, afferrò il portoricano e lo scaraventò addosso allo scandinavo. I due, gridando, finirono a terra in un groviglio di braccia e di gambe. Lou premette il pulsante CHIUSURA gridando a Kirby: — Salite!

Kirby, mentre le porte si richiudevano, rimase immobile, a bocca aperta. Lo scandinavo era ancora a terra, ma si era liberato dal portoricano e cercava di estrarre l’arma. Le porte si chiusero. Lou premette il pulsante P. TERRENO e l’ascensore iniziò la discesa. Al piano di sopra, stavano picchiando contro le porte metalliche.

Arrivato in fondo, Lou tentò di ritrovare il corridoio che portava allo spiazzo d’atterraggio. Si smarrì nell’intrico di anditi, poi finalmente avvistò la scritta USCITA e si precipitò fuori. All’esterno, era notte fonda, buia e umida, e il tanfo greve e penetrante del fiume inquinato diede una scossa violenta ai sensi di Lou. La metropoli era quasi interamente immersa nell’oscurità; s’intravedevano soltanto poche luci sparse, la maggior parte in cima ai grattacieli, dove gli abitanti avevano il generatore di corrente e dove si barricavano per la notte.

Lou sentì un rumore di passi e si appiattì nell’ombra fitta, lungo la parete.

— Accendiamo le luci? — Era la voce del nordico.

— Per attirarci addosso tutte le bande di malviventi dell’East Side? — disse il portoricano. — Tu non conosci ancora bene questa città. Non ce la farà a passare la notte da solo. Se non torna tra un’ora a bussare alle nostre porte, vuol dire che l’hanno fatto fuori. È impossibile portare in salvo la pelle, da soli, per queste strade.

— Ho l’ordine di portarlo a Messina incolume — disse lo scandinavo.

— Vuoi metterti a cercarlo laggiù? Faranno la pelle anche a te.

Non dissero altro. Lou intuiva che lo scandinavo era poco convinto, ma che non intendeva rischiare la vita nelle strade della città. Sentì lo scatto della porta che si chiudeva. Allora scivolò guardingo lungo il muro finché trovò la porta da cui era uscito.

Era chiusa dall’interno.

Si voltò e guardò le luci, con animo diverso. Era solo, nella città.

E la notte era appena iniziata.

Загрузка...