XII

Lou provò come una scossa fisica. Guardò Donald Marcus, che gli sorrideva affabilmente.

— Io? Ma di che cosa state parlando?

— È molto semplice — spiegò Marcus. — I maggiori genetisti e biochimici del mondo sono stati mandati in esilio. Proprio in questo momento stanno viaggiando verso il satellite che sarà la loro prigione. Di tutto il gruppo di punta che lavorava all’ingegneria genetica siamo riusciti a salvare soltanto voi.

— Ma…

— Sì, certo, abbiamo portato qui anche alcuni personaggi di secondo piano e un paio di giovani brillanti, ma la loro laurea è ancora fresca d’inchiostro. Voi siete l’unico scienziato esperto che abbiamo qui.

— Ma io sono soltanto un tecnico dell’elaboratore. Marcus annuì. — Può darsi, ma il vostro lavoro è la chiave dell’intero progetto. Voi avete in mano il codice dell’elaboratore. Soltanto se affideremo al calcolatore le migliaia di varianti implicate nelle combinazioni dei geni, saremo in grado di fare qualcosa di utile. In caso contrario, sarebbe troppo pericoloso.

Lou era pienamente d’accordo. — Sì, è assolutamente necessario che l’elaboratore calcoli tutti i possibili effetti collaterali di ogni variazione effettuata. Altrimenti non ci è possibile sapere se il nuovo zigote sarà migliore o peggiore del primo.

— Esatto — disse Marcus. — E voi siete l’unico studioso che abbia lavorato a stretto contatto con i genetisti, al punto da sapere realmente quale deve essere il codice dell’elaboratore. Credetemi, abbiamo fatto un controllo in tutto il mondo. Nessuno era così vicino al successo come il vostro Istituto. E nessuno possedeva un elaboratore della complessità del vostro. Per questo, siete voi l’uomo chiave. Il destino dei vostri amici e il destino del mondo intero sono nelle vostre mani.

Sorridendo, senza pensarci, Lou disse: — A dire il vero, è nelle mani di Ramo. È Ramo che tiene tutto archiviato nella sua memoria.

Marcus s’irrigidì sulla sedia: — Tutto?

Lou annuì. — Sì, è sufficiente far passare tutti i singoli programmi e spulciarli uno per uno. Una volta fatto questo lavoro, saremo pronti per il primo esperimento. Ci vorranno poche settimane, al massimo.

— Questo fatto è estremamente importante per noi — disse Marcus. — Non voglio che facciate un lavoro affrettato. Desidero che sia svolto bene.

Leggermente irritato, Lou disse: — Ormai è quasi finito. Entro poche settimane saremo pronti.

— Sarete in grado di leggere la struttura genetica dello zigote, di scoprirne i difetti, di mettere a punto le correzioni e di predire i risultati?

— Con un’esattezza approssimata a venti decimali — disse Lou. — E lo sapremo in meno di un minuto del tempo dell’elaboratore.

— Se siete in grado di farlo…

— Quando saremo in grado di farlo — corresse Lou, — avremo la possibilità di eliminare i difetti genetici dallo zigote e di rendere ogni embrione geneticamente perfetto. Alla fine saremo in grado di produrre una razza priva di difetti fisici e con un quoziente di intelligenza superiore al genio.

— Sì — disse Marcus. — Alla fine.

Lou si sedette più comodamente, e Marcus sorrise amabilmente, sorseggiando la bibita. In quel momento, Lou avvertì oltre il cinguettio degli uccelli il rombo di un jet che volava altissimo. Anche Marcus lo sentì. Alzò gli occhi verso il punto argenteo che si lasciava dietro una sottile linea bianca.

Guardando l’orologio, Marcus disse: — L’apparecchio che porta i rifornimenti. A bordo ci dovrebbe essere la vostra amica programmatrice.

— Bonnie?

Marcus annuì. — Una ragazza simpatica. — Sorrise a Lou.

Lou si alzò di scatto. — Le vado incontro, all’aeroporto.

— Ma certo, andate pure. Il suo alloggio è nel vostro stesso edificio. Al secondo piano.

— Benissimo. — Lou si diresse verso il davanti della casa. Non aveva più voglia di parlare, né con Marcus né con altri. Desiderava soltanto rivedere Bonnie.

— Temo che la macchina sia già al porto — disse Marcus, seguendo Lou. — Sarete costretto ad andare a piedi.

— Non importa. Ci vediamo più tardi.

Lou lasciò Marcus davanti alla casa e si avviò lungo la strada polverosa, in direzione del porto. Adesso il rombo del reattore era più vicino e Lou lo vide compiere un largo giro sul mare, ancora altissimo.

Dietro di lui arrivava il sibilo di un turbocar. Voltandosi, vide Kori che sobbalzava sul sedile posteriore del veicolo che stava avanzando lentamente lungo la strada sconnessa, scendendo verso il porto. Lou fece segno con la mano, e Kori gridò all’autista di fermarsi. Si diressero assieme verso l’area di atterraggio.

— Vai ad aspettare l’aereo? — chiese Lou.

— Sì. Dovrebbe portarmi alcuni pezzi, oltre i nastri e i film dello Starfarer, arrivati poco prima che mi arrestassero.

— La sonda interstellare?

La strada adesso era in condizioni migliori, e la macchina accelerò. Luci e ombre si alternarono sulla faccia di Kori, mentre superavano un boschetto di palmizi.

— Sì. Se tutto è andato liscio, su quei nastri ci dovrebbero essere le riprese a distanza ravvicinata di Alpha Centauri.

— Dici sul serio? Non ne ho sentito parlare al telegiornale. Adesso la strada si snodava lungo il porto, e l’autista spinse la turbina al massimo. Non c’era altro traffico. Il vento schiaffeggiava Kori e Lou, seduti sul sedile posteriore.

— Il governo ha passato tutto sotto silenzio — gli gridò Kori, in risposta. — Ricordi cosa ha detto Kobryn laggiù, in Sicilia? Alpha Centauri è una minaccia all’equilibrio mondiale! — Kori rise amaramente.

L’auto, con una frenata rumorosa, bloccò davanti alla spianata d’atterraggio. Una nuvola di polvere avvolse per un momento i passeggeri. Tossendo e chiudendo gli occhi, Lou saltò a terra e uscì dal polverone che si dissipava lentamente. Kori lo seguì, camminando con quel suo passo, leggermente dinoccolato.

— Ti occuperai dei dati della sonda? Te lo ha chiesto Marcus?

Kori si strinse nelle spalle. — Mi ha detto di analizzare i dati. Ma in realtà vuole che gli prepari esplosivi nucleari.

— Esplosivi? Intendi dire bombe?

— No, non ordigni così grandi — rispose Kori, sorridendo. — Cariche da niente, veri e propri giocattoli. Come quelli che usano nell’edilizia. Quando ne viene fatta esplodere una in città, riesce a stento a far saltare un edificio.

L’aereo, adesso, stava girando a bassa quota, tra il rombo assordante dei reattori. Lou lo seguiva con gli occhi mentre le ali si stendevano per prepararsi all’atterraggio e i reattori si portavano in posizione verticale. Lentamente l’apparecchio scese al suolo tra una nube di gas roventi, spianando l’erba sotto di sé. Attraverso le ondate tremolanti di calore, Lou vide le ruote dell’aereo posarsi sul terreno e ricevere il peso del reattore. Finalmente il rombo della turbina si spense, e fu come se in quel preciso momento un demone soprannaturale fosse a un tratto sparito.

Lou si tolse le mani dalle orecchie, che gli fischiavano leggermente.

Lo sportello del reattore si spalancò e una scaletta di tre gradini fu calata a terra. Scese per primo un giovanotto aitante, che si voltò per aiutare il primo passeggero. Era Bonnie. La ragazza indossava pantaloncini corti e una camicetta senza maniche. Aveva i capelli raccolti in alto, come quando lavorava. La faccia era seria, molto seria, forse leggermente spaventata.

Lou sussultò e si lanciò in corsa verso di lei, chiamandola a voce alta.

Lei alzò gli occhi, lo vide e sorrise. Lou le corse incontro, superando il giovanotto che l’aveva aiutata a scendere. La prese tra le braccia, l’alzò di peso, facendole fare mezzo giro per aria.

— Come sono contento di vederti! Sei venuta! Sei proprio venuta!

Lei sembrava sorpresa, felice e preoccupata nello stesso tempo. — Lou… ma tu stai bene. Non ti hanno fatto niente…

— Sto bene, adesso che sei qui.

Senza staccarsi da lei, Lou prese l’unica valigia di Bonnie dalla mano della guardia cinese che stava scaricando il bagaglio e si diresse verso la macchina. Kori era in piedi, vicino alla macchina e Lou li presentò.

Kori disse: — Perché non prendete la macchina per andare subito all’alloggio? Sono sicuro, signorina Sterne, che avrete voglia di disfare il bagaglio e di sistemarvi in camera. Ci vorrà un po’, prima che scarichino la mia roba. Lou, basta che rimandi qui la macchina…

— Bene, bene, farò senz’altro così. — Lou sorrideva, felice, mentre aiutava Bonnie a salire sul sedile posteriore della vettura e si sistemava vicino a lei.

La ragazza, mentre in macchina lasciavano l’aeroporto e la baia, era estremamente silenziosa. Lou le diceva com’era bella l’isola, manifestando la sua felicità. Bonnie si limitava ogni tanto ad annuire. Quando Lou ebbe trasportato la valigia fino alla porta della camera di Bonnie, la gioia di essere con lei era già svanita, e fu costretto ad ammettere che qualcosa non andava.

Le porte dei vari alloggi non avevano serrature, ma solo saliscendi che si bloccavano dall’interno.

Lou aprì la porta della sua camera, facendo segno a Bonnie di entrare.

Bonnie entrò e si guardò attorno.

— Questa è la mia camera?

— Sì. Non è gran che, lo so, ma…

La ragazza andò alla finestra e guardò fuori. Voltandosi verso di lui, gli chiese: — La tua camera è nello stesso edificio?

— Di sotto.

— E quante donne ci sono, in questa casa?

Lou si strinse nelle spalle. — Il secondo piano è riservato alle donne, credo. Sull’isola abitano anche alcune coppie sposate. Hanno la loro casa.

— Già.

— Bonnie, non sarai mica arrabbiata per quello che ho detto quando i federali mi hanno arrestato? Ero stato preso alla sprovvista ed ero spaventato…

La faccia di lei si addolcì. — No, non è quello, Lou.

Andò verso di lei. — Che cosa c’è che non va? Perché sei venuta, se non…

— Perché sono venuta? — Per poco non gli rise in faccia. — Ma non avevo molta scelta. Due uomini mi hanno prelevata dall’ufficio dove ero appena stata assunta e mi hanno portata via. Proprio così. Niente domande, niente spiegazioni. Mi hanno dato appena il tempo di preparare la valigia. Tutto qui.

— Ma non ti hanno detto…

— Niente. In realtà non so ancora di che cosa si tratti.

Lou si lasciò cadere sulla sedia più vicina. — Ma Bernard ha…

Bonnie si inginocchiò accanto e mise le mani tra le sue. — Mi dispiace, Lou. Quando ti ho visto laggiù, vicino all’aereo, ho pensato tutt’a un tratto che fossi stato tu a farmi rapire.

— Ma non sei stata rapita!

— Non sono neanche stata invitata al ballo del principe.

Scoppiò a ridere con lei.

— Lou, ma cosa sta succedendo? Sono tutti impazziti?

Scuotendo la testa, lui tentò di spiegarle la situazione meglio che poté. L’esilio, l’offerta di aiuto da parte del Ministro Bernard, il lavoro che sarebbe stato mandato avanti sull’isola.

Finalmente lei capì. — Vuoi dire che dovremo rimanere qui… per sempre? Finché piace a loro? Che non possiamo andarcene?

Lou guardò quegli occhi grigio perla, e in quel momento non gliene importava niente di politica, di esilio di scienza né di nient’altro. Comunque si sforzò di rispondere. — Resteremo qui finché avremo finito il lavoro che era in corso all’Istituto. Una volta che avremo dimostrato al mondo che l’ingegneria genetica è possibile, non ci sarà più nessun motivo perché Kaufman e gli altri debbano restare in esilio.

— Ma ci vorranno anni — disse Bonnie.

— No, non occorrerà tanto.

Lei guardò verso la finestra, come un prigioniero che si rende improvvisamente conto che il mondo fuori gli è proibito, per sempre.

— Non avrei dovuto chiedere di portarti qui — disse Lou.

Lei non rispose.

— Bonnie, se tu l’avessi saputo… se ti avessero detto che dovevi vivere su quest’isola fino alla realizzazione del progetto… con me… saresti venuta?

Lei tornò a guardarlo, con gli occhi pieni di lacrime. — Non lo so, Lou. Proprio non lo so.

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