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Il giorno dopo, a metà del pomeriggio, una decina di uomini e le rispettive famiglie furono prelevati dalla villa da individui silenziosi, che indossavano una divisa anonima. I Kaufman e i Sutherland furono i primi a partire.

Prima i capi! Gli altri non faranno difficoltà, si disse Lou.

Lou si aggirava per la villa, senza scopo. Tutti sembravano in preda a shock. La gente si riuniva in gruppetti, in gran parte formati da familiari, e tutti parlavano a voce bassa, spaurita. Lou era solo, completamente isolato. Non aveva famiglia, neanche la sua ragazza.

Ripetutamente, un minibus lucido e nero risaliva il viale d’accesso e ne scendevano due uomini che entravano e percorrevano l’antica dimora finché trovavano la persona che cercavano. Pochi minuti di conversazione, e poi tutta la famiglia, attonita e sconvolta, seguiva gli uomini lungo il viale, si accalcava a bordo del minibus e partiva.

Lou, dal balcone che si affacciava sull’ingresso principale, stava a guardare uno degli autobus che percorreva il viale traballando, e svoltava nella strada, sollevando una nuvola di polvere. La sera prima c’era stato un acquazzone, ma la terra, nel pomeriggio, era di nuovo arida. Lou alzò gli occhi. Il cielo era luminoso, ma laggiù, sul mare, erano ricomparsi i nuvoloni neri.

Un minuscolo e agile turbocar percorreva la strada in direzione della villa, con la capote abbassata e due uomini sul sedile anteriore. Svoltò sollevando un grande polverone nel viale d’accesso e puntò verso l’ingresso. Seduto accanto al guidatore, c’era lo scandinavo. Alzò gli occhi al balcone e sorrise.

— Vedo che siete disposto a collaborare, dato che ci aspettate — si rivolse a Lou. — Vi dispiace venire con noi?

Suo malgrado, Lou si allarmò. Tocca a me.

— Signor Christopher — disse il nordico — non farete colpi di testa, spero.

Lou lo guardò, rabbioso. Senza una parola, rientrò e si diresse verso lo scalone che scendeva nell’atrio.

Il cielo ormai era carico di nuvole nere e la luce del tardo pomeriggio aveva preso un riflesso giallo elettrico, carico di minaccia, e nell’aria aleggiava l’odore umido del temporale imminente. Era fresco e eccitante stare sul sedile posteriore della macchina scoperta, con un vento teso e forte, che faceva svolazzare abiti e capelli e costringeva a chiudere gli occhi e a tenere strette le labbra, mentre l’auto filava rombando. Scesero a tutta velocità la polverosa strada costiera e s’immersero nella grande autostrada di plastacciaio. Per diversi chilometri, l’unico veicolo sulla strada fu la decapottabile, poi, a poco a poco, il traffico s’intensificò. Adesso Lou intravvedeva in lontananza, tra le colline, i grattacieli di una città, mentre pesanti autotreni li superavano fischiando, sui loro reattori a cuscino d’aria, filando verso la città.

Lou ormai sapeva che era inutile fare domande. D’altra parte, era quasi impossibile sostenere una conversazione dal sedile posteriore della macchina in corsa, anche ammettendo che gli altri due volessero o potessero rispondergli. Se ne rimase seduto tranquillamente, godendosi il vento e osservando i nuvoloni che velavano il sole, rendendo cupo e tenebroso il paesaggio circostante.

Guarda bene tutto, si disse. Forse è l’ultima volta che vedi queste cose.

Incontrarono un po’ di pioggia. La decapottabile s’infilò, sempre col tetto abbassato, in un labirinto di sopraelevate alla periferia della metropoli; poi, nel momento in cui i primi goccioloni cadevano sulle gambe nude di Lou, imboccò una galleria. Il tunnel, con ogni probabilità, era fornito di isolamento acustico, perché, sebbene l’auto non rallentasse, il rombo della turbina non riecheggiava con fragore assordante sotto la galleria, come sarebbe successo in un sottopassaggio normale. Entrarono in una rimessa sotterranea e si fermarono davanti a una porta, priva di indicazioni. Lo scandinavo scese e tenne lo sportello aperto per Lou. Appena i due ebbero messo piede a terra, il guidatore accelerò e partì immediatamente.

Lo scandinavo precedette Lou all’interno del palazzo, lungo un corridoio e successivamente fino a un ascensore che era in attesa, con le porte aperte. L’uomo non perdeva d’occhio Lou e, al momento di entrare nell’ascensore, si tenne leggermente discosto, in modo da essere fuori tiro. Dopodiché entrò a sua volta, posò il dito sull’ultimo pulsante del quadro di comando e le porte si chiusero.

Mentre l’ascensore scivolava silenziosamente verso l’alto, l’uomo si voltò verso Lou. — Ho sentito dire che vi spediscono su un satellite.

— Siamo stati condannati all’esilio — disse Lou, sentendosi ribollire di rabbia.

— Sì, l’ho sentito dire.

— A vita.

Lo scandinavo annuì.

— Famiglie intere. Diverse migliaia di persone.

— Lo so… mi dispiace.

— Ne eravate al corrente, quando mi avete prelevato in Messico?

L’altro scosse la testa.

— Sarebbe stato diverso per voi, se aveste saputo che cosa intendevano fare di noi?

Lo scandinavo diede un’occhiata a Lou. — Facevo il mio lavoro…

— Sarebbe stato diverso? — insistette Lou.

— Ecco… no, non credo.

— E allora non venite a dirmi che vi dispiace.

— Ma…

— Piantatela.

L’ascensore si fermò e le porte scorrevoli si aprirono. Lou si aspettava di uscire in un atrio o in un corridoio. Invece si trovò direttamente in una stanza, lussuosamente arredata. Tappeto rosso, folto, una lunga tavola da conferenze circondata da poltrone, tutto in legno autentico, scuro. Due delle pareti erano di un color sabbia chiaro, la terza era occupata da un affresco astratto. L’estremità della sala era in plastiglass, ma dalla vetrata non si vedeva che caligine e scrosci d’acqua. Vicino alla finestra c’era una scrivania massiccia e alcune sedie girevoli di cuoio nero, che, per il momento, non erano occupate. L’aria era fresca e profumata, e tutto l’ambiente dava la sensazione dell’autorità e del potere.

— Aspettate qui — disse lo scandinavo.

Lou si voltò e vide che il suo accompagnatore non era uscito dall’ascensore. Con un soffio leggero, le porte si riaccostarono.

Lou, molto sorpreso, attraversò la grande stanza e andò alle finestre. Il tappeto magnifico attutva il rumore dei passi. In quel momento pioveva così forte che la città s’intravvedeva appena, in un profilo grigio, incerto. Lou sentì una porta che si apriva. Si voltò e vide entrare un signore di mezz’età, sorridente. Era più piccolo di Lou, alquanto tarchiato, ma ancora in forma. I capelli erano folti e scuri, sebbene la fronte avesse già cominciato a stempiarsi. Indossava un abito leggero.

— Signor Christopher, lieto di conoscervi — disse, indicando una delle poltroncine, accanto alla scrivania.

Parlava con accento europeo, che Lou però non riuscì a identificare. Gli pareva anche di averlo già visto, forse al telegiornale.

— Sono Rolf Bernard — disse l’uomo, sedendosi dietro la scrivania. — Il mio nome, con ogni probabilità, non vi dirà niente, perché il Ministro delle Finanze sta spesso dietro le notizie importanti, ma raramente vi compare direttamente.

— Sì — disse Lou. — Il Ministro delle Finanze.

Bernard sorrise. — Sapevate il mio nome? Ne sono lusingato.

— Ecco…

— Sì. In questo momento vi state chiedendo perché siete qui. È molto semplice. Nel Consiglio dei Ministri, signor Christopher, non siamo tutti mostri. La decisione di mandare in esilio voi e i vostri colleghi, non è stata presa all’unanimità, ve l’assicuro.

Lou capiva sempre meno.

— Signor Christopher, vengo immediatamente al punto. Io non posso fare niente per salvare i vostri amici dall’esilio. Sebbene sia Ministro delle Finanze, non ho la possibilità di impedire questa azione crudele e vergognosa. — Esitò un secondo, poi aggiunse: — In questo momento, almeno.

Lou provò una stretta al cuore: — Che cosa intendete dire?

— Personalmente, sono assolutamente contrario alla decisione di mandare in esilio i genetisti — disse Bernard, con voce decisa. — Altri membri del Consiglio dei Ministri sono del mio stesso parere. Non abbiamo potere sufficiente per rovesciare la decisione del Consiglio, ma non abbiamo l’intenzione di stare a guardare con le mani in mano che questo avvenga, senza far qualcosa per cambiare la situazione.

— Non capisco.

— E come potete capire? In questo momento, non si può essere sicuri di niente. Tranne che di una cosa: so con certezza che alcuni Ministri miei colleghi uniranno i loro sforzi per liberare i vostri amici e rendere loro giustizia.

Lou annuì.

— Dunque, per passare a un’azione più concreta, sono disposto a offrirvi una possibilità di sottrarvi all’esilio.

— Di sottrarmi?

— Sì, con una dilazione, un rinvio sulla parola, come volete voi.

— Che cosa intendete dire?

Bernard fece un largo sorriso. — Non ho la possibilità di salvare i genetisti, e neppure i biochimici. Per lo meno, non in questo momento. Voi, però, non siete né un genetista né un biochimico. Ho la possibilità di… sì, di fare certi passi, in modo che il vostro nome sia cancellato dalla lista di coloro che sono destinati all’esilio.

— Cosa? Ma come?

Bernard lo fermò, alzando la mano. — Non pensate al come. Dovete credermi, quando vi dico che ho la possibilità di farlo. Non è necessario che siate esiliato sul satellite. E anche altri possono essere depennati dalla lista e salvati.

— E i genetisti?

Scosse la testa. — In questo momento, non possiamo fare niente per salvarli. State tranquillo, sul satellite si troveranno bene. Per lo meno fisicamente. E state anche certo che personaggi influenti, me compreso, si daranno da fare giorno e notte per liberarli e riportarli ai posti cui hanno diritto sulla Terra.

Lou si abbandonò sullo schienale della sedia. Aveva la testa che gli girava. Era successo tutto così in fretta.

— Ormai — proseguì Bernard, — sapete che il vostro Istituto è stato chiuso definitivamente, seguendo la sorte di tutti i principali laboratori di genetica del mondo. Ci sono ancora molti genetisti e biochimici e un sacco di laboratori in attività, ma gli studiosi migliori, i capi, sono stati tutti mandati in esilio. In questo modo, il governo spera di bloccare il progresso scientifico.

— In nome della stabilità — mormorò Lou.

— Sì. Vi rendete conto, immagino, che il governo non vi consentirà di riprendere il lavoro in uno dei laboratori di genetica rimasti in attività. Appena si venisse a sapere che state lavorando in questo campo, sareste ripreso e mandato in esilio. A meno che non vi facciano fuori.

— Ma…

Il largo sorriso ricomparve e Lou ebbe l’impressione che ci fosse in Bernard qualcosa di infido. — Ascoltatemi bene. Mi sono preso la libertà di impiantare, per conto mio, un piccolo laboratorio di genetica in un posto sicuro, lontano da occhi troppo curiosi. Voi e i pochi altri che riuscirò a sottrarre all’esilio, potrete lavorarci. Farò in modo che alcuni dei genetisti e dei biochimici migliori lavorino con voi. Ovviamente non saranno i capi, ma saranno tra i migliori di quanti sono sfuggiti all’esilio. Così il vostro lavoro continuerà mentre noi cercheremo di far tornare i vostri amici.

Lou stentava a credere alle proprie orecchie. — Dopo tutto quello che è successo nei giorni scorsi… ecco, trovare finalmente nel governo una persona che ragiona è davvero un colpo.

Bernard scoppiò a ridere. — Non è che io ragioni in maniera particolarmente diversa, ma almeno non ho paura. Gli altri membri del Consiglio sono spaventati dalla vostra scienza. Cercano la sicurezza, la stabilità, l’ordine. Io benedico i mutamenti. Benedico la vostra scienza. Senza il progresso, il mondo ricadrebbe nella barbarie.

Per la prima volta da quando era stato arrestato, Lou si rilassò. Sorrise al Ministro delle Finanze. — Non sapete quanto siano importanti le vostre parole, per me.

Bernard annuì, aggiungendo: — Mi sono anche preso la libertà di prelevare una parte degli apparecchi e degli animali da esperimento dai laboratori che sono stati chiusi e di portarli nella nuova sede. Ho scoperto che uno dei vostri animali, un gorilla, sa parlare! È assolutamente straordinario.

— Il Grande George — mormorò Lou. — È una bestia bravissima.

— Sì, è un bel gorilla robusto. — Bernard sembrava divertito. — Mi sembra che chiedesse di voi.

Lou annuì.

— Vi renderete conto, naturalmente — continuò Bernard protendendosi sulla scrivania, molto serio, — che il mio laboratorio è una faccenda privata, anzi segreta. Nessun altro ministro ne è a conoscenza. È situato su un’isola, e, una volta che vi sarete arrivato, non avrete più la possibilità di andarvene. Cioè, fino a quando l’intera questione dell’esilio non sarà sistemata.

— Ma perché tutto questo segreto? — chiese Lou. — Perché non informate il mondo intero dell’esilio degli scienziati? Perché tenete tutto nascosto? È proprio esattamente quello che vuole il governo?

— Mio caro e giovane amico, si tratta di una questione estremamente intricata, e la posta in gioco è altissima. Al minimo errore, perdiamo tutto. Dovete fidarvi di me. Al momento giusto, ve lo assicuro, il mondo saprà che cos’è successo.

— Va bene — disse Lou. — Penso che su questa faccenda ne sappiate molto più voi di me.

— D’accordo, allora! — Bernard era di nuovo raggiante. — Ora, vi occorre qualcosa per continuare il vostro lavoro? Abbiamo già smontato il vostro calcolatore e lo stiamo trasportando nel nuovo laboratorio.

Prima di rendersene conto, Lou disse: — C’è una programmatrice… si chiama Bonnie Sterne…

— Desiderate averla con voi, nel nostro laboratorio?

— Sì, ma non è tra gli esuli. È rimasta a Albuquerque. E forse non desidera venire…

Bernard scartò la sua obiezione. — Verrà. Conosco le donne un po’ meglio di voi. Se le diciamo che siete al sicuro e che volete averla con voi, lei verrà.

Lou al momento di lasciare lo studio di Bernard, aveva la testa come annebbiata. All’ascensore ritrovò lo scandinavo, che lo riaccompagnò alla macchina che aspettava fuori. Lou aveva l’impressione che il suo cervello girasse a vuoto. Erano capitate troppe cose. Troppe per assimilarle tutte.

Mentre sedeva sul sedile posteriore della macchina che correva sotto la pioggia sferzante, Lou tentava di convincersi di essere contento. Bernard, se non altro, stava dalla sua, dalla parte della ragione e della giustizia. Va bene, vivere su quell’isola sarà un po’ come un esilio. Ma per lo meno lavorerò, e ci sarà Bonnie con me. Che cosa posso desiderare di più?

Però c’era qualcosa che non andava. Lou si sentiva tutt’altro che soddisfatto, era vagamente a disagio, e diffidente. E allora si rese conto che non aveva la minima idea di dove lo stessero conducendo.

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