XIX

I medici ordinarono a Lou di rimanere a letto per una settimana, in modo che la pelle lacerata si cicatrizzasse e lui riacquistasse le forze. Adesso vedeva Bonnie e Kori quasi tutti i giorni. Buona parte del tempo, però, la passava a letto, a riflettere. Erano successe tante cose e in così breve tempo. Ora aveva modo di ripensare all’accaduto, cercando di collegare i vari frammenti, in modo da avere un quadro coerente di quello che da un momento all’altro era stato della sua vita.

Perché? pensava amaramente. Perché il Grande George? Ci siamo opposti a Marcus soprattutto per salvare George che è stato l’unico a non uscire vivo dall’avventura. Lou pensava all’esplosione della bomba e a come doveva essersi spaventato il gorilla. Le ultime ore della vita erano state probabilmente un inferno per una creatura così pacifica e gentile. Non ci siamo comportati bene con te, Georgy, disse Lou tra sé. Mi dispiace.

Quando pensava al futuro, Lou si sentiva depresso. Lo avrebbero mandato in esilio, ne era sicuro. Da parte sua, Kori era più ottimista.

— Dopo tutto quello che abbiamo fatto per il governo? — disse il fisico un pomeriggio al capezzale di Lou. — Dopo avere rischiato la pelle per sventare il colpo di stato di Bernard? No, non ci manderanno in esilio, anzi, ci daranno una medaglia. Tu, comunque, una ricompensa te la meriti: se non altro, per avere stabilito un nuovo record internazionale di schegge.

Lou sorrise. Dentro di sé, però, sapeva che il governo non li avrebbe lasciati liberi. Loro avrebbero fatto conoscere al mondo intero l’esilio degli scienziati, e questo il governo non lo avrebbe mai permesso.

Bonnie era cambiata. Dal suo atteggiamento sembrava che volesse tenergli nascosto qualcosa. Un pomeriggio, mentre gironzolavano per i corridoi affollati dell’ospedale, Lou le chiese: — Che cosa ti preoccupa?

Lei sembrò sorpresa. — Si vede?

Lou annuì.

— Devo prendere una decisione — disse Bonnie. Gli occhi grigi erano turbati, tristi.

— A proposito di Kori e di me?

— In un certo senso, sì. Vedi, Lou, ufficialmente io non sono nella lista degli esuli, Volendo, posso ritornare ad Albuquerque. A meno che non venga anch’io con voi sul satellite.

— E ci rimanga per il resto della vita.

— Sì.

Lou sospirò profondamente.

Se tu mi sposassi, disse tra sé dovresti spartire il mio esilio. Ma non posso chiedertelo. Non posso neanche parlartene.

Lei lo osservava, sforzandosi di leggere nella sua fisionomia, cercando qualcosa che non trovava.

— Bonnie — disse Lou alla fine, — forse non sarai costretta a prendere questa decisione. Ormai sei molto legata a noi e forse il governo deciderà di mandarti in esilio con Kori e con me.

Bonnie si fermò, in mezzo al corridoio. — Non possono farlo… no, non lo faranno.

— Possono farlo — disse Lou. — E in tal caso, la colpa sarà mia.

— Eccovi, finalmente! Vi ho cercato dappertutto! — Kori arrivava di corsa lungo il corridoio, infilandosi tra infermiere accigliate e pazienti che protestavano. Ansando, disse a Lou e a Bonnie: — Il Presidente Generale vuole vederci, per parlarci. Domani mattina. Il Presidente Generale!

Lou si voltò verso Bonnie. Per la prima volta nutrì una speranza. Se non per sé, almeno per lei.

Nonostante la rabbia, nonostante il rancore per quello che gli era stato fatto, Lou era impacciato come uno scolaretto quando furono introdotti tutti e tre nello studio del Presidente Generale. Si accorse però che anche Bonnie e Kori erano silenziosi e sbalorditi.

Lo studio era imponente. Occupava tutto l’ultimo piano della torre più alta di Messina, e andava dalle porte dell’ascensore dove loro tre si trovavano in quel momento, fino all’immensa vetrata inondata di sole, dove c’era il grande tavolo antico, tutto intarsiato, del Presidente.

— Avanti, avanti — disse l’ometto dietro a quell’immensa scrivania, con una voce resa flebile dall’età.

Avanzarono in silenzio sul tappeto folto, passando accanto a un globo terrestre a colori e in rilievo, con la rete completa dei satelliti in miniatura che ruotavano attorno alla Terra. Il globo era sospeso magneticamente a mezz’ aria. Lo studio era in varie tonalità di verde, con prevalenza di verdi cupi della giungla. I mobili erano di legno naturale lucido. Nell’aria c’era un profumo di orchidee e di altri fiori tropicali. L’aria condizionata della stanza era calda, umida, quasi appiccicosa.

— Scusate se non mi alzo — disse il Presidente. — Ho avuto recentemente un leggero attacco, e i medici mi hanno raccomandato di non fare sforzi. — La voce era calda, gentile, amichevole, con un forte accento brasiliano. Il Presidente era minuto, sottile; la faccia magra era incorniciata da ciuffi bianchi e le mani erano fragili. Era molto vecchio. La pelle bianca, come incipriata, era coperta da una rete di rughe finissime.

— Comunque — continuò il Presidente, — desideravo vivamente incontrarvi. Accomodatevi, prego… Volete bere qualcosa? O preferite mangiare?

Lou scosse la testa, mentre prendeva una poltrona ricoperta di cuoio. Si sedette tra Bonnie e Kori, e tutt’e tre erano di fronte al Presidente.

Prima che il silenzio diventasse imbarazzante, il Presidente disse: — Desidero esprimervi il mio ringraziamento per le azioni coraggiose compiute sull’isola. Avete prevenuto una rivolta che forse sarebbe costata molte vittime.

— Abbiamo fatto il nostro dovere — disse Lou.

Il Presidente annuì. — E indubbiamente è stata una forte tentazione, per voi, quella di unirvi alla gente di Bernard per sottrarvi all’esilio.

Lou, stringendosi nelle spalle, rispose: — Per quanto mi riguarda, su quell’isola eravamo in esilio. Non c’era differenza fra come ci ha trattati il governo e come ci trattavano gli uomini di Bernard. Il governo, forse, era più cortese.

— E inoltre — aggiunse Kori, — eravamo convinti che quelli dell’isola sarebbero stati peggiori di questo governo, una volta impadronitisi del potere.

Il Presidente sorrise chinando leggermente la testa. — Grazie. È confortante sapere che non siamo proprio in fondo alla lista.

Kori rispose con un sorriso.

Quei sorrisi irritarono Lou. — Da quanto avete detto, sembrerebbe che l’esilio sia sempre valido e che tra non molto ci spedirete sul satellite.

La faccia del Presidente si accigliò. — Sì, mi spiace dirlo. Se non altro, il tentativo del Ministro Bernard di impadronirsi del potere è servito a dimostrare la saggezza della nostra decisione. Il vostro lavoro d’ingegneria genetica è troppo importante per farne un uso politico.

— Dunque passeremo il resto della nostra vita in una prigione di berillio!

— Che altro possiamo fare? — Il Presidente fece un gesto d’impazienza con la fragile mano. — Non siamo mostri. Non vogliamo farvi soffrire. Sul satellite, avrete tutto quello che potete desiderare. Tutto…

— Tranne, signor Presidente, la cosa più importante: la libertà — sbottò Lou.

— È così, purtroppo — disse il Presidente. Ma nella voce cortese c’era una nota dura. — Se devo scegliere tra il benessere di venti miliardi di uomini e quello di duemila, scelgo i venti miliardi. La semplice notizia che tra breve sarete in grado di controllare la genetica umana ha già scatenato un tentativo di rivolta. Non intendo vedere il mondo distrutto. Abbiamo lavorato a lungo, duramente, per salvare il mondo dai disastri della guerra e dalla carestia. E ora non consentirò che la distruzione sia provocata da una provetta o da un elaboratore. Almeno finché sono in grado di impedirlo.

— E Kori? Il lavoro degli scienziati missilistici non costituisce una minaccia per il mondo.

— Forse no — riconobbe il Presidente. — Non ero al corrente, devo ammetterlo, che oltre a quelli che si occupano di ingegneria genetica, fossero stati condannati all’esilio anche altri scienziati. Evidentemente nella burocrazia c’è chi considera gli scienziati addetti alle astronavi una minaccia per la stabilità mondiale. Scoprirò perché. E se non riescono a convincermi che voi, dottor Kori, rappresentate effettivamente una minaccia, allora sarete libero di riprendere la vita normale. Voi e gli altri vostri colleghi che sono stati mandati in esilio.

Prima che Kori potesse dire qualcosa, Lou chiese: — E Bonnie… che ne sarà di lei?

La ragazza mormorò: — Lou, non dovresti…

— No, voglio scoprire che cosa hanno deciso. Bonnie non è mai stata condannata all’esilio. Era stata fermata insieme con noi, poi rilasciata. È venuta sull’isola, e lì ha scoperto che cosa si stava preparando. E adesso, che ne sarà di lei? Verrà spedita sul satellite insieme con noi o sarà lasciata libera?

Il Presidente, anche se era irritato dalle domande insistenti di Lou, non lo lasciò trapelare. — La signorina Sterne non è una scienziata e nemmeno un tecnico. Non c’è assolutamente ragione che vada in esilio. A meno che non desideri accompagnarvi, e questo per motivi suoi personali.

— Ci vuole una bella faccia per dire questo! — gridò Lou. — Come fate a starvene tranquillamente seduto a prometterle la libertà quando sapete che non è vero?

— Lou, ma che cosa stai dicendo? — Bonnie lo prese per un braccio.

Gli occhi del Presidente diventarono due fessure. — Spiegatevi, signor Christopher. Perché mi date del bugiardo?

Lou, tremando di rabbia, disse: — Se lasciate libera Bonnie, se lasciate libero Kori, che cosa li tratterrà dal raccontare tutto ai giornalisti e al mondo intero? Li costringerete a firmare un impegno al silenzio, o interverrete con il lavaggio del cervello? Sappiamo perfettamente che non potete correre il rischio che loro due comunichino al mondo quello che avete fatto agli scienziati.

— Perché no? — chiese il Presidente, calmo.

— Perché? Perché? Ma perché gli abitanti della Terra vi chiederanno di rilasciarci. Vorranno l’ingegneria genetica… ci vorranno liberi. Non potete cacciare in prigione duemila tra i più grandi scienziati del mondo e…

Il Presidente alzò la mano. — Mio caro e impetuoso giovanotto, vi sbagliate completamente su una quantità di cose. In primo luogo, io non mento. Quando offro la libertà alla signorina Sterne e la possibilità di essere libero al signor Kori, non mento. Perché dovrei? Vi prego di farmi l’onore di riconoscermi almeno delle motivazioni oneste. In secondo luogo, la popolazione mondiale è già al corrente del vostro esilio. Non l’abbiamo tenuto segreto. Del resto, non sarebbe stato possibile, anche volendo. È impossibile rimuovere dai loro posti tante personalità eminenti, senza che lo si venga a sapere.

— Lo sanno?

— Certo che lo sanno. E non gliene importa niente. Ma credete sul serio che quel formicaio che popola la Terra si preoccupi per un gruppetto di scienziati e di tecnici? — Il Presidente scosse la testa. — No, si preoccupano del mangiare, del lavoro, dello spazio vitale, del tempo libero, di fare all’amore.

— Ma l’ingegneria genetica. Credevo… — Lou aveva l’impressione di essere un aliante che girasse a vuoto, privo di controllo.

— Ah, sì, il vostro lavoro — disse il Presidente. — Se voi foste sulla Terra e mostraste al mondo, punto per punto, che la cosa è possibile, si avrebbe in breve, lo riconosco, una enorme richiesta. Una reazione catastrofica. Tutti vorrebbero che il loro bambino fosse perfetto. Oggi però, siete solo in grado di prevedere che la cosa in futuro sarà possibile. Ci vorrà una settimana, forse, o un anno, o un secolo. Vi dico francamente che i nostri esperti in propaganda hanno cercato di presentare la cosa come possibile nel giro di un secolo e non di una settimana. E, non essendo voi presenti, l’impresa è stata molto più semplice.

— E nessuno se ne è preoccupato?

Il Presidente appariva sinceramente addolorato. — La gente è abituata a parlare dei miracoli della scienza. È raro che li veda diventare realtà.

— Ma il cibo che consumano, il controllo meteorologico, le medicine, le spedizioni spaziali…

— Fanno tutte parte della vita normale di tutti i giorni — disse il Presidente. — Appena un miracolo diventa realtà, subito si trasforma in un avvenimento normale. Ed è difficile che la gente colleghi gli avvenimenti normali di oggi con i vostri discorsi sui miracoli di domani. Per questo le vostre promesse riguardo l’ingegneria genetica suscitano l’interesse di pochi. Di politici ambiziosi, sì; di lavoratori e contadini affamati, no, ve lo assicuro.

— E così, è finita… completamente finita. Nessuna via d’uscita. — Lou ricadde a sedere sulla sedia, accigliato.

— Temo di sì. È più di un anno, ormai, che vivo con questo problema, che cerco di trovare un’alternativa all’esilio. Non c’è. Mi dispiace. In un certo senso è un fallimento per noi. Fabbrichiamo splendide tecnologie, e poi siamo come tanti demoni. — Il Presidente scosse la testa. — Ho vergogna, per me, per il governo, per l’intera società. Stiamo commettendo un’ingiustizia tremenda.

— Ma continuate a commetterla — mormorò Lou.

— Sì! — scattò il Presidente. — E questa è la parte più tremenda. La detesto. Ma la compirò ugualmente. Lo so che non l’accetterete mai, né capirete mai. E mi dispiace.

Seguì un silenzio penoso.

Finalmente il Presidente disse: — Comunque, esaminerò personalmente la faccenda degli scienziati missilistici. Dottor Kori, non posso promettervi la libertà, ma vi prometto di tentare.

Kori annuì, sforzandosi di apparire grato, ma non troppo soddisfatto, mentre, con la coda dell’occhio, osservava Lou.

— Signorina Sterne — continuò il Presidente, — siete libera di andare dove vi pare. Il governo provvederà al viaggio ad Albuquerque o dove preferite. S’intende che sarete indennizzata per tutti i guai che avete avuto.

Bonnie disse: — Potrei andare sul satellite? In via temporanea?

Lou la guardò.

— Quasi tutti i miei amici sono lassù — disse Bonnie, guardando dritto il Presidente ed evitando gli occhi di Lou. — Forse preferirei vivere lassù piuttosto che altrove. Ma non posso dirlo con certezza, finché non avrò provato.

Il Presidente congiunse le mani sul petto magro e osservò pensosamente Bonnie. Dava l’impressione di sapere che nella richiesta di lei c’era molto di più di quanto avesse voluto dire.

— Ma gli altri, che cosa diranno, sapendo che voi potete fare ritorno sulla Terra quando volete?

Bonnie arrossì lievemente. — Mi fermerei… mi fermerei soltanto poche settimane. Poi prenderò una decisione definitiva.

— Poche settimane — ripeté il Presidente. — Poi prenderete una decisione irrevocabile, per il resto della vostra vita?

Lei annuì.

Un leggero sorriso illuminò la faccia rugosa del Presidente.

— Immagino la reazione di Kobryn. Procedura irregolare! Ma sì, restate pure qualche settimana a bordo del satellite. Non di più, però.

— Grazie! — disse Bonnie. Poi si voltò sorridendo verso Lou.

Загрузка...