48 Fuga attraverso la valle

La mattina dopo, Saphira prese il volo sia con Arya che con Eragon. Quest’ultimo aveva voglia di stare lontano da Murtagh per un po’. Rabbrividì e si strinse addosso il mantello. C’era aria di neve, Saphira colse pigramente una corrente ascensionale e chiese: A cosa pensi?

Eragon contemplò i Monti Beor, che torreggiavano sopra di loro malgrado Saphira volasse a una certa altitudine. Ieri è stato commesso un omicidio. Non ci sono altre parole per dirlo. Saphira s’inclinò a sinistra. È stato un gesto affrettato e impulsivo, ma Murtagh ha cercato di fare la cosa giusta. Gli uomini che comprano e vendono altri esseri umani meritano qualunque sciagura capiti loro. Se non fossimo impegnati ad aiutare Arya, andrei io stessa a dare la caccia agli schiavisti per farli a pezzi!

Sì, disse Eragon in tono mesto, ma Torkenbrand era indifeso. Non aveva armi e non poteva fuggire.

Ancora un attimo e probabilmente si sarebbe arreso. Murtagh doveva dargli una possibilità. Se almeno Torkenbrand fosse stato in grado di combattere, non sarebbe stato così orribile.

Eragon, se anche Torkenbrand avesse combattuto, il risultato sarebbe stato lo stesso. Sai bene quanto me che pochi sono in grado di uguagliare te o Murtagh con la spada. Torkenbrand sarebbe morto comunque, anche se pare che a te sembri più onorevole o giusto morire in un duello impari.

Non so che cosa è giusto! ammise Eragon, turbato. Non ci sono risposte sensate.

A volte, disse Saphira con dolcezza, non ci sono risposte. Impara ciò che puoi su Murtagh e poi perdonalo. Se non puoi perdonarlo, almeno dimentica, perché a te non voleva fare alcun male, per quanto il suo gesto sia stato deprecabile. Hai ancora la testa sul collo, no?

Accigliato, Eragon si spostò sulla sella, agitandosi come un cavallo che caccia le mosche, e controllò la posizione di Murtagh sbirciando da sopra la spalla di Saphira. Una macchia di colore molto distante sulla rotta che avevano percorso attirò la sua attenzione.

Accampati vicino al letto asciutto di un torrente che avevano attraversato nella tarda serata del giorno prima c’erano gli Urgali. I battiti del suo cuore accelerarono. Come avevano fatto gli Urgali, che viaggiavano a piedi, a guadagnare così tanto terreno? Anche Saphira vide i mostri; torse le ali e le avvicinò al corpo per lanciarsi in una profonda picchiata che squarciò l’aria. Non credo che ci abbiano visti, disse lei.

Eragon sperò che fosse così. Socchiuse gli occhi per proteggersi dalla forte corrente d’aria provocata dalla brusca discesa della dragonessa. Il loro capo li sta guidando a rotta di collo, disse.

Già;,.. magari muoiono tutti di stanchezza.

Quando atterrarono, Murtagh domandò brusco: «Che cosa c’è?»

«Gli Urgali ci stanno raggiungendo» disse Eragon, indicando l’accampamento della colonna.

«Quanto ancora?» domandò Murtagh, tendendo le mani contro il cielo per calcolare le ore che mancavano al tramonto.

«Normalmente?... Immagino altri cinque giorni. Alla velocità che stiamo tenendo, direi soltanto tre. Ma a meno che non arriviamo domani,. gli Urgali probabilmente ci prenderanno, e Arya morirà.»

«Potrebbe resistere un altro giorno.»

«Non possiamo contarci» obiettò Eragon. «L’unico modo per arrivare dai Varden in tempo è non fermarci per nessuna ragione, nemmeno per dormire, È la nostra unica speranza.»

Murtagh proruppe in una risata amara. «Come pensi di farcela? Sono giorni che non facciamo un sonno come si deve. A meno che i Cavalieri non siano fatti di una materia diversa dal resto di noi mortali, tu sei stanco come me. Per non parlare dei cavalli. Nel caso tu non l’abbia notato, stanno per crollare. Un altro giorno con questo ritmo potrebbe ucciderci tutti.»

Eragon si strinse nelle spalle. «E allora sia. Non abbiamo scelta.»

Murtagh guardò le montagne. «Possiamo separarci, e tu puoi andare avanti con Saphira... Questo costringerebbe gli Urgali a dividere le forze e ti offrirebbe un’occasione migliore per raggiungere i Varden.»

«Sarebbe un suicidio» disse Eragon, incrociando le braccia. «In qualche modo questi Urgali sono più veloci a piedi che noi a cavallo. Ti braccherebbero come un cervo. L’unico modo per sfuggire loro è trovare asilo dai Varden.» Nonostante quelle parole, Eragon non era più sicuro di volere che Murtagh restasse. Mi piacerebbe, si disse, ma non sono più convinto che sia la cosa giusta.

«Fuggirò più tardi» disse Murtagh all’improvviso. «Quando arriveremo dai Varden, sparirò in una valle laterale e troverò la strada per il Surda, dove potrò nascondermi senza attirare troppa attenzione.»

«Quindi resti?»

«Sonno o non sonno, ti accompagnerò dai Varden» promise Murtagh.

Con rinnovata determinazione, si sforzarono di distanziare gli Urgali, eppure i loro inseguitori continuavano a guadagnare terreno. Al calar della sera, i mostri erano di un terzo più vicini di quella mattina. La stanchezza erodeva le forze di Eragon e Murtagh, che dormirono a turno in sella, mentre chi restava sveglio guidava gli animali nella giusta direzione.

Eragon ripescò i ricordi di Arya per orientarsi, ma data la natura remota della sua mente, qualche volta gli accadde di sbagliare strada, errori che costarono del tempo prezioso. Via via deviarono verso le colline ai piedi dei monti, lungo il braccio orientale della tenaglia, cercando la valle che li avrebbe condotti dai Varden. La mezzanotte arrivò e passò senza traccia di loro.

Quando il sole annunciò il nuovo giorno, furono lieti di constatare che gli Urgali erano rimasti indietro. «Questo è l’ultimo giorno» disse Eragon con un gran sbadiglio. «Se non siamo ragionevolmente vicini ai Varden per mezzogiorno, allora volerò avanti con Arya. Tu sarai libero di andare dove vuoi, ma dovrai portare cori te Fiammabianca. Non potrò tornare indietro a prenderlo.»

«Forse non sarà necessario; potremmo arrivare in tempo» disse Murtagh. Accarezzò il pomello della sua spada.

Eragon si strinse nelle spalle. «Potremmo.» Si avvicinò ad Arya e le posò una mano sulla fronte. Era madida di sudore e scottava. I suoi occhi si muovevano a scatti sotto le palpebre, come se stesse vivendo un incubo. Eragon le tamponò la fronte con un panno bagnato, desideroso di poter fare di più.

Nella tarda mattinata, dopo aver aggirato una montagna particolarmente vasta, Eragon scorse una stretta valle incuneata nel suo versante più lontano. La valle era così piccola che poteva facilmente passare inosservata. Da essa scorreva il fiume Zannadorso, che Arya aveva menzionato; poi proseguiva serpeggiando per il territorio. Eragon sorrise di sollievo; era proprio come l’aveva descritto l’elfa.

Si guardò indietro ed ebbe un sussulto: la distanza fra loro e gli Urgali si era ridotta a poco più di una lega. Indicò la valle a Murtagh. «Se riusciamo a infilarci lì senza essere visti, potremmo confonderli.»

Murtagh parve scettico. «Vale la pena di tentare. Ma finora ci hanno seguito senza difficoltà.»

Mentre si avvicinavano alla valle, passarono sotto i rami contorti della foresta dei Beor. Gli alberi erano alti, con la corteccia rugosa quasi nera, aghi dello stesso colore, e radici nodose che spuntavano dal terreno come ginocchia nude. Il terreno era disseminato di pigne, ciascuna delle dimensioni di una testa di cavallo. Scoiattoli neri chiacchieravano dalle cime degli alberi, e occhi scintillavano dai buchi nei tronchi. Grandi barbe verdi di luparia pendevano dai rami ritorti. La foresta diede a Eragon una sensazione di disagio; i capelli gli si rizzarono sulla nuca. C’era qualcosa di ostile nell’aria, come se gli alberi provassero rancore per la loro intrusione. Sono molto antichi disse Saphira, sfiorando un tronco con il naso.

Sì, disse Eragon, ma non cordiali La foresta si infittiva via via che si addentravano. La mancanza di spazio costrinse Saphira ad alzarsi in volo con Arya. Senza un sentiero da seguire, il folto sottobosco rallentò Eragon e Murtagh. Lo Zannadorso scorreva lì vicino, riempiendo l’aria con il suono dell’acqua che gorgoglia. Una vetta vicina oscurava il sole e li sprofondava in un crepuscolo anticipato.

All’ingresso della valle, Eragon si accorse che sebbene avesse l’aspetto di una sottile fenditura fra i picchi, era molto, molto più ampia di quelle della Grande Dorsale.

Erano soltanto le gigantesche proporzioni delle montagne aguzze e ombrose che la facevano apparire così angusta. Le sue pareti a strapiombo erano interrotte da molte cascate. Il cielo era ridotto a una striscia che si dipanava in alto, perlopiù nascosto da nubi grigie. Dal terreno umido si levava una nebbia densa, che raffreddava l’aria al punto che i loro respiri divennero visibili. Fragole selvatiche facevano capolino fra tappeti di muschio e felci, lottando per un raggio di sole. Su cataste di legno marcio spuntavano funghi velenosi gialli e rossi.

Tutto era ovattato e silenzioso, i suoni soffocati dall’aria pesante. Saphira atterrò vicino a loro in una radura paludosa, il fruscio delle sue ali stranamente attutito. Si guardò intorno. Ho appena superato uno stormo di uccelli neri e verdi con macchie rosse sulle ali. Non ho mai visto uccelli del genere prima d’ora.

Fra queste montagne tutto sembra insolito, rispose Eragon. Ti dispiace se ti cavalco per un po’?

Voglio tenere d’occhio gli Urgali

Fa’pure.

Eragon si rivolse a Murtagh. «I Varden sono nascosti alla fine di questa valle. Se ci affrettiamo, potremo arrivare prima di notte.»

Con le mani sui fianchi, Murtagh borbottò: «Come faccio a uscire di qui? Non vedo valli secondarie, e gli Urgali ci saranno addosso fra breve. Mi serve una via di fuga.»

«Non temere» disse Eragon, impaziente. «Questa valle è molto lunga; sono sicuro che più avanti ci sarà un’uscita.» Liberò Arya da Saphira e la depose sul dorso di Fiammabianca. «Sorveglia l’elfa. Io volo con Saphira. Ci incontriamo più avanti.» Si arrampicò sul dorso della dragonessa e si legò sulla sella.

«Sta’ attento» disse Murtagh, un solco profondo fra le sopracciglia; poi incitò i cavalli e tornò nella foresta.

Mentre Saphira balzava verso il cielo, Eragon disse: Credi di poter volare oltre una di quelle vette?

Magari riusciamo a individuare la nostra destinazione, e anche un passaggio per Murtagh. Non voglio sentirlo lamentarsi per tutta la valle.

Possiamo provarci, disse Saphira, ma farà molto più freddo.

Sono ben coperto.

Tieniti, allora! Saphira puntò vertiginosamente verso l’alto, schiacciandolo contro la sella. Le sue ali si agitavano potenti, portandoli sempre più in alto. La valle rimpicciolì sotto di loro fino a diventare un sottile nastro verde. Il fiume Zannadorso scintillava come un gallone d’argento là dove cadevano i raggi di sole.

Salirono fino alle nubi: l’aria era satura di umidità gelata. Un’informe coltre grigia li avvolse, limitando la visione a un braccio di distanza, Eragon sperò che non andassero a urtare da qualche parte, in quella massa nebulosa. Provò a tendere una mano e la tese nell’aria. L’acqua si condensò e gli colò lungo il braccio, inzuppandogli la manica.

Una sagoma grigia gli passò accanto alla testa, e lui scorse una colomba, le ali che si agitavano frenetiche. Aveva una fascia bianca intorno a una zampa, Saphira puntò verso il pennuto, la lingua penzoloni, le fauci spalancate. La colomba stridette mentre i denti affilati di Saphira si richiudevano con uno schiocco a un soffio dalle sue penne. La colomba schizzò via e scomparve nella nebbia, il frenetico battito d’ali che calava, via via inghiottito dal silenzio.

Quando emersero dalla sommità delle nuvole, Saphira era coperta da migliaia di goccioline iridescenti, che scintillavano insieme all’azzurro delle sue squame, Eragon si scrollò, spruzzando acqua dai vestiti, e rabbrividì. Non riusciva più a vedere il suolo, soltanto colline di nuvole che serpeggiavano fra le montagne.

Gli alberi avevano lasciato il posto a vasti ghiacciai, azzurri e bianchi sotto il sole. Il riverbero della neve costrinse Eragon a chiudere gli occhi. Provò ad aprirli dopo un minuto, ma la luce lo accecò. Irritato, abbassò lo sguardo. Come fai a sopportarlo? chiese a Saphira.

I miei occhi sono più resistenti dei tuoi, rispose lei.

Faceva freddissimo. L’acqua sui capelli di Eragon gelò, trasformandosi in una sorta di elmo lucente. La camicia e i pantaloni erano gusci durissimi contro la sua pelle. Le squame di Saphira erano scivolose di ghiaccio; merletti di brina le orlavano le ali. Non avevano mai volato così in alto prima, eppure le cime delle montagne erano ancora miglia sopra di loro.

Il ritmo con cui Saphira batteva le ali rallentò piano, e il suo respiro divenne difficoltoso. Eragon ansimava e boccheggiava; gli sembrava che non ci fosse abbastanza aria.

Lottando contro il panico, si aggrappò alle punte del collo di Saphira per sostenersi.

Dobbiamo... scendere, disse. Davanti agli occhi gli danzavano miriadi di puntini rossi. Non riesco a... respirare. Saphira parve non udirlo, e così ripete il messaggio, più forte, questa volta. Ancora nessuna risposta. Non mi può sentire, comprese. Annaspò, sforzandosi di pensare, poi le batte sul fianco e gridò: «Portaci giù!»

Lo sforzo gli fece girare la testa. La vista gli si annebbiò e cadde in un vortice di tenebra. Riprese i sensi mentre uscivano dal fondo dello strato di nubi. La testa gli martellava. Che cosa è successo? domandò, drizzando la schiena e guardandosi intorno.

Sei svenuto, rispose Saphira.

Eragon fece per passarsi una mano fra i capelli, ma si bloccò quando sentì i ghiaccioli. Sì, lo so, ma perché non mi hai risposto?

Avevo la mente confusa. Le tue parole non avevano senso. Quando hai perso conoscenza, ho capito che c’era qualcosa che non andava e sono scesa. Non ho dovuto abbassarmi molto prima di capire che cos’era accaduto.

Meno male che non sei svenuta anche tu, commentò Eragon con una risatina nervosa. Saphira si limitò ad agitare la coda. Lui guardò con struggimento il punto in cui le vette erano nascoste dalle nubi. Che peccato, non siamo riusciti a . sorvolare una di quelle cime... Be’, adesso sappiamo:

possiamo volar via da questa valle solo passando da dove siamo entrati. Perché siamo rimasti a corto d’aria? Com’è possibile che quaggiù ci sia, e invece lassù no?

Non lo so, ma non oserò mai più volare così vicina al sole.Dovremmo fare tesoro di questa esperienza. La conoscenza potrà tornarci utile se dovessimo mai combattere contro un altro Cavaliere.

Spero che non accada mai, disse Eragon. Restiamo a questa altezza, per adesso. Per oggi ne ho avuto abbastanza.

Fluttuarono sulle dolci correnti aeree, rasentando le pareti delle montagne, finché Eragon non vide che la colonna degli Urgali aveva raggiunto l’ingresso della valle. Ma che cosa li fa andare così veloci, e come fanno a sopportare questo ritmo?

Ora che siamo più vicini, disse Saphira, vedo che questi Urgali sono più grossi di quelli che abbiamo incontrato prima. Potrebbero superare di diverse spanne un uomo alto. Non so da quale terra provengano, ma dev’essere un luogo terribile per produrre simili mostri.

Eragon scrutò il territorio sotto di loro: non riusciva a vedere i particolari come lei. Se mantengono quest’andatura, prenderanno Murtagh prima che troviamo i Varden.

Non perdere la speranza. La foresta potrebbe rallentare i loro progressi... Sarebbe possibile fermarli con la magia?

Eragon scosse il capo. Fermarli?... No. Sono in troppi.

Pensò al sottile strato di nebbia nella valle e sorrise. Ma forse potrei farli ritardare un po’. Chiuse gli occhi, scelse le parole che gli servivano, fissò la nebbia e ordinò: «Gath un reisa du rakr!»

Sotto di loro, il panorama prese a cambiare. Dall’alto sembrava che il terreno stesse scorrendo come un grande fiume pigro. Una plumbea fascia di nebbia si addensò davanti agli Urgali e si ispessì fino a diventare un muro minaccioso, scuro come una nube temporalesca. Gli Urgali esitarono, poi continuarono come un inarrestabile ariete. La barriera vorticò intorno a loro, nascondendo la colonna alla vista.

Le forze abbandonarono Eragon in modo improvviso e devastante, facendogli battere il cuore a scatti, come quello di un uccellino morente. Cercò di respirare e strabuzzò gli occhi. Si sforzò di recidere il vincolo che lo teneva legato alla magia, di colmare il varco attravèrso cui fluiva la sua vita; con un ultimo ringhio selvaggio, si ritrasse e interruppe il contatto. Tentacoli di magia si dibatterono nella sua mente come serpenti decapitati, poi, riluttanti, si allontanarono dalla sua coscienza, portando con sé i suoi ultimi residui di forza. Il muro di nebbia crollò a terra come una torre di fango. Gli Urgali non erano stati fermati.

Eragon giaceva inerte su Saphira, ansante. Solo allora ricordò le parole di Brom: “La magia viene influenzata dalla distanza, proprio come una freccia o una lancia. Se cerchi di sollevare o spostare qualcosa a un miglio di distanza, ti ci vorrà più energia che se fosse vicino.” Non lo dimenticherò più, pensò, prostrato.

Non avresti dovuto dimenticarlo mai, intervenne Saphira. Prima con la terra a Gìl’ead, e, ora questo. Perché non presti attenzione a quello che ti ha detto Brom? Ti ucciderai, se continui di questo passo.

Ho prestato attenzione, ribattè lui, massaggiandosi il mento. È passato parecchio tempo, e non ho avuto l’occasione di ripensarci. Non ho mai usato la magia a distanza, perciò come facevo a sapere che sarebbe stato così difficile?

La dragonessa grugnì. La prossima volta cercherai di riportare in vita i morti. Non dimenticare che cosa ti ha detto Brom in proposito.

Non lo farò, disse lui, spazientito. Saphira si tuffò verso il suolo, in cerca di Murtagh e dei cavalli. Eragon l’avrebbe aiutata, ma riusciva a fatica a stare seduto.

Saphira atterrò in un piccolo campo con un sobbalzo, ed Eragon rimase sorpreso nel vedere i cavalli fermi, e Murtagh inginocchiato a esaminare il terreno. Quando Eragon non smontò da Saphira, Murtagh gli corse incontro. «Qualcosa non va?» domandò, arrabbiato, preoccupato e stanco al tempo stesso.

«... Ho fatto un errore» disse Eragon sincero. «Gli Urgali sono entrati nella valle. Ho cercato di confonderli, ma ho dimenticato una delle regole della magia, e mi è costato caro.»

Accigliato, Murtagh puntò il pollice alle proprie spalle. «Ho appena trovato tracce di lupo, ma sono grandi quanto le mie due mani messe assieme, e profonde un pollice. Da queste parti si aggirano animali che potrebbero essere pericolosi anche per te, Saphira.» Si rivolse a lei. «So che non puoi entrare nella foresta, ma potresti volare in circolo sopra me e i cavalli? Questo dovrebbe tenere lontane le bestie. Altrimenti di me non resterà che un mucchietto di ossa spolpate.»

«Sei in vena di battute?» disse Eragon con un sorriso debole. I suoi muscoli tremavano e faticava a concentrarsi.

«Umorismo nero.» Murtagh si strofinò gli occhi. «Non posso credere che siano gli stessi Urgali che ci inseguono da tanti giorni. Avrebbero dovuto essere uccelli, per raggiungerci.»

«Saphira ha detto che sono più grossi del solito» gli disse Eragon.

Murtagh imprecò, stringendo il pomello della spada. «Questo spiega tutto! Saphira, se hai ragione, allora devono essere Kull, il meglio degli Urgali. Avrei dovuto capirlo dal capoclan che li guida. Non vanno a cavallo perché gli animali non ne sopporterebbero il peso... nessuno di loro è alto meno di otto piedi.,. e possono correre per giorni senza dormire ed essere ancora pronti per la battaglia. Ci vogliono cinque uomini per ucciderne uno. I Kull non lasciano mai le loro caverne tranne che per muovere guerra, perciò è prevedibile un massacro su vasta scala, se sono usciti così a frotte.»

«Possiamo mantenere il vantaggio?»

«E chi lo sa?» disse Murtagh. «Sono forti, determinati e numerosi. È possibile che alla fine ci ritroveremo ad affrontarli. Se questo accade, spero solo che i Varden abbiano uomini appostati, pronti ad aiutarci. Malgrado le nostre capacità e Saphira, non possiamo sconfiggere i Kull.»

Eragon vacillò. «Mi daresti un po’ di pane? Ho bisogno di mangiare.» Murtagh si affrettò a porgergli un pezzo di pagnotta. Era vecchia e dura, ma Eragon la masticò con avidità. Murtagh scrutò le pareti della valle, gli occhi colmi di apprensione, Eragon sapeva che stava cercando una via d’uscita. «Ce ne sarà una più avanti.»

«Ne sono convinto» disse Murtagh con forzato ottimismo, poi si diede una pacca su una gamba.

«Dobbiamo andare.»

«Come sta Arya?» chiese Eragon.

Murtagh scrollò le spalle. «La febbre sì è alzata e lei si agita molto. Che cosa ti aspettavi? Le forze la stanno abbandonando. Dovresti portarla in volo dai Varden prima che il veleno compia la sua opera.»

«Non ti lascio indietro» insistette Eragon, riacquistando vigore a ogni boccone. «Non con gli Urgali così vicini.»

Murtagh si strinse di nuovo nelle spalle. «Come vuoi. Ma ti avverto; lei non vivrà se tu rimani con me.»

«Non dirlo» protestò Eragon, raddrizzando la schiena in sella a Saphira. «Aiutami a salvarla. Possiamo ancora farcela. Considerala una vita per una vita... una riparazione per la morte di Torkebrand.»

Il volto di Murtagh si oscurò all’istante. «Non devo niente a nessuno. Tu...» Si interruppe quando un corno risuonò nella foresta. «Dovrò dirti una cosa, dopo» tagliò corto, e andò in fretta verso i cavalli. Afferrò le redini e si allontanò di corsa, scoccando un’occhiata furente a Eragon. Eragon chiuse gli occhi quando Saphira spiccò il volo. Quanto avrebbe voluto sdraiarsi su un letto soffice e dimenticare tutti i suoi affanni. Saphira, disse alla fine, proteggendosi le orecchie con le mani per riscaldarle, e se portassimo Arya dai Varden? Una volta messa lei al sicuro, potremmo volare indietro da Murtagh per aiutarlo a fuggire.

I Varden non ti lascerebbero andare, disse Saphira. Per quanto ne sanno, tu potresti tornare indietro per informare gli Urgali del loro nascondiglio. Non ci presentiamo certo nelle migliori circostanze per conquistare la loro fiducia. Vorranno sapere perché abbiamo guidato un’intera compagnia di Kull fino ai loro cancelli.

Diremo loro la verità, e speriamo che ci credano, disse Eragon.

E che cosa faremo se i Kull attaccano Murtagh?

Li combatteremo, ovvio! Non permetterò che lui e Arya siano catturati o uccisi, disse Eragon, indignato.

Nelle parole della dragonessa comparve una punta di sarcasmo. Che nobiltà d’animo. Oh, potremmo abbattere molti Urgali,.. tu con magia e spada, io con denti e artigli... ma alla fine sarebbe tutto inutile. Sono in troppi... Non possiamo sconfìggerli, solo essere sconfitti.

E allora? disse lui. Non lascerò Murtagh e Arya alla loro mercé.

Saphira agitò la coda; la punta frustò l’aria con un sibilo. Non ti sto chiedendo di farlo. Ma se attaccassimo per primi, avremmo il vantaggio della sorpresa.

Sei impazzita? Loro ci... La sua voce si smorzò mentre rifletteva. Non potrebbero fare niente, concluse, stupito.

Esatto, disse Saphira. Possiamo infliggere loro molte perdite, pur restando a distanza di sicurezza.

Scagliamo contro di loro delle pietrel propose Eragon. Questo dovrebbe confonderli.

Se i loro crani non sono abbastanza duri da proteggerli. Saphira s’inclinò sulla destra e scese verso il fiume Zannadorso. Afferrò un macigno di media grandezza con gli artigli, mentre Eragon raccoglieva una manciata di pietre grosse quanto un pugno. Carica di munizioni, Saphira scivolò con ali silenziose fino a disporsi sopra l’orda degli Urgali. Ora! esclamò, lasciando cadere il macigno. Si udirono una serie di schiocchi soffocati quando i missili piombarono sulla foresta, schiantando i rami degli alberi. Un attimo dopo, terribili ululati echeggiarono per tutta la valle. Eragon sorrise nel sentire gli Urgali che si affannavano a cercare riparo. Andiamo a prendere altre munizioni, suggerì, chinandosi sul collo di Saphira. Lei emise un ringhio di approvazione e tornò al fiume.

Fu un lavoro duro, ma riuscirono a ostacolare i progressi degli Urgali, anche se era impossibile fermarli del tutto. Gli Urgali riguadagnavano terreno ogni volta che Saphira si allontanava per prendere altre pietre. Malgrado ciò, i loro sforzi permisero a Murtagh di restare davanti alla colonna.

La valle si oscurò mentre le ore passavano. Senza il sole a dare il suo tepore, l’aria cadde preda della morsa pungente del gelo e la nebbia di terra gelò sugli alberi, ricoprendoli di candida brina. Gli animali notturni presero a sgusciare dalle loro tane per osservare nel buio gli stranieri che attraversavano il loro territorio.

Eragon continuò a tenere d’occhio le pendici dei monti, cercando la cascata che avrebbe indicato la fine del loro viaggio, Era dolorosamente consapevole che ogni minuto che passava portava Arya più vicina alla morte. “Più veloce, più veloce” mormorò fra sé, guardando Murtagh sotto di loro. Prima che Saphira virasse per andare a raccogliere altre pietre, disse:

Facciamo una tregua per controllare Arya. Il giorno volge al termine, e temo che la sua vita si possa misurare in ore, se non in minuti.

La vita di Arya è nelle mani del Fato, ormai Tu hai fatto la tua scelta di restare con Murtagh; e troppo tardi per cambiare idea, perciò smettila di tormentarti... Mi fai prudere le squame. La cosa migliore che possiamo fare è continuare a bombardare gli Urgali. Eragon sapeva che Saphira aveva ragione, eppure quelle parole non servirono a placare la sua ansia. I suoi occhi scrutavano incessanti il paesaggio, ma qualunque cosa ci fosse davanti a loro, era nascosta da una cresta massiccia.

Il buio, quello vero, cominciò a invadere la valle, posandosi su alberi e montagne come un velo d’inchiostro. Anche con il suo udito fine e il fiuto delicato, Saphira non riusciva più a individuare gli Urgali nella fitta foresta. Non c’era nemmeno la luna ad aiutarli; sarebbero passate ancora ore prima che sorgesse dietro le montagne.

Saphira compì una lenta, delicata virata a sinistra, e scivolò oltre la cresta. Eragon la avvertì vagamente sotto di loro, poi strizzò gli occhi quando scorse una debole linea bianca davanti. Sarà la cascata? si chiese.

Guardò il cielo, ancora rischiarato dagli ultimi vaghi bagliori del tramonto. I profili scuri dei monti curvavano verso il centro a formare una specie di anfiteatro che chiudeva la valle. La fine non dev’essere lontana! esclamò, indicando davanti a sé. Credi che ì Varden sappiano del nostro arrivo? Forse manderanno degli uomini ad aiutarci.

Dubito che ci presteranno soccorso finché non sapranno se siamo amici o nemici, disse Saphira mentre si abbassava di botto. Torniamo da Murtagh, È il momento di stare con lui adesso. Visto che non riesco a trovare gli Urgali, potrebbero assalirlo senza che noi lo sappiamo.

Eragon sciolse i legacci del fodero di Zar’roc, chiedendosi se era abbastanza forte da combattere. Saphira atterrò alla sinistra dello Zannadorso, poi si accovacciò, in attesa. La cascata rumoreggiava in lontananza. Arriva, disse. Eragon aguzzò la vista e colse con l’udito uno scalpitio di zoccoli. Murtagh uscì di corsa dalla foresta, guidando i cavalli. Li vide, ma non rallentò.

Eragon balzò giù da Saphira, inciampando nel tentativo di tenere il passo di Murtagh. Dietro di loro, Saphira andò al fiume, per poterli seguire senza essere ostacolata dagli alberi. Prima che Eragon potesse raccontargli le novità, Murtagh disse: «Ti ho visto lanciare pietre con Saphira... ambizioso. I

Kull si sono fermati o sono tornati indietro?»

«Ce li abbiamo ancora alle calcagna, ma ormai siamo quasi arrivati. Come sta Arya?»

«Non è morta» replicò Murtagh asciutto. Il suo respiro era breve, affannoso. Le parole che seguirono erano pervase da una calma ingannevole, come quelle di un uomo che cela una passione travolgente. «C’è una valle o una gola più avanti da cui io possa andarmene?»

Con ansia, Eragon cercò di ricordare se aveva visto qualche breccia nelle montagne intorno a loro; per un po’ non aveva pensato al problema di Murtagh. «È buio» disse, evasivo, abbassando la testa per schivare un ramo basso. «è facile che mi sia sfuggito qualcosa, ma... no.»

Murtagh lanciò un’imprecazione sonora e si fermò di colpo, tirando le redini dei cavalli finché anche quelli non si fermarono. «Stai dicendo che l’unico posto dove posso andare è dai Varden?»

«Sì, ma continua a correre. Gli Urgali ci sono addosso!»

«No!» fu la risposta furente. Puntò un dito contro Eragon. «Ti avevo avvertito che non sarei mai venuto dai Varden, ma tu hai insistito e ora mi hai messo fra l’incudine e il martello! Tu sei quello che legge i ricordi dell’elfa. Perché non mi hai detto che era un vicolo cieco?»

Eragon s’indispettì per l’accusa e ribattè; «Sapevo soltanto dove dovevamo andare, non che cosa c’era in mezzo. Non dare la colpa a me per la scelta che hai fatto.»

Murtagh sibilò fra i denti e si voltò di scatto. Tutto ciò che Eragon vedeva di lui era una figura immobile, a capo chino. Anche lui aveva le spalle tese, e una vena gli pulsava sul lato del collo. Si mise le mani sui fianchi, sentendo montare l’impazienza.

Perché vi siete fermati? domandò Saphira, allarmata.

Non mi distrarre. «Qual è il tuo problema con i Varden? Non può essere così terribile da costringerti a nasconderti anche adesso. Preferiresti combattere contro i Kull piuttosto che rivelarmelo? Quante volte dovremo ancora litigare prima che tu riesca a fidarti di me?»

Ci fu un lungo silenzio.

Gli Urgali! rammentò Saphira, frettolosa.

Lo so, disse Eragon, tenendo a bada la collera. Ma dobbiamo risolvere la questione.

Svelti, svelti.

«Murtagh» disse Eragon, con tutto se stesso. «a meno che tu non voglia morire, dobbiamo andare dai Varden. Non voglio finire nelle loro mani senza sapere come reagiranno di fronte a te. Già è una situazione pericolosa senza bisogno di altre brutte sorprese.»

Finalmente Murtagh si volse verso Eragon. Respirava a fatica, come un lupo in trappola. Tacque ancora un istante, poi con voce angosciata disse: «Hai il diritto di sapere. Io... io sono il figlio di Morzan, primo e ultimo dei Rinnegati.»

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