16 Therinsford

L’alba era grigia, spazzata da un vento tagliente. La foresta era silenziosa. Dopo una leggera colazione. Brom ed Eragon spensero il fuoco e si misero gli zaini in spalla, pronti a partire. Eragon legò l’arco e la faretra a un lato dello zaino per poterli raggiungere facilmente in caso di necessità. Saphira accettò la sella; l’avrebbe portata finché non avessero trovato i cavalli. Eragon fissò anche Zar’roc al dorso della dragonessa per poter viaggiare più leggero; per giunta, nelle sue mani, la magnifica spada non avrebbe avuto più valore di un bastone.

Si era sentito al sicuro nella radura tra i rovi, ma fuori di là ogni suo movimento era intriso di cautela, Saphira si alzò e prese a volare in cerchio. La vegetazione si assottigliava via via che si avvicinavano alla fattoria.

Rivedrò ancora questo posto, si disse Eragon davanti alle macerie della sua casa. Non può e non deve essere un esilio per sempre. Un giorno, quando sarà sicuro, tornerò... Drizzò le spalle e guardò a sud, verso le ignote terre barbariche.

Mentre camminavano, Saphira virò a ovest, verso le montagne, e scomparve alla vista, Eragon si sentì turbato vedendola andar via. Anche senza nessuno intorno, non potevano restare insieme. La dragonessa doveva nascondersi, nel caso che avessero incontrato qualche viaggiatore.

Le orme dei Ra’zac erano lievi sulla neve che si andava sciogliendo, ma Eragon non era preoccupato, Era improbabile che avessero abbandonato la strada maestra, la via più rapida per lasciare la valle, e si fossero inoltrati nei boschi. Tuttavia, una volta fuori dalla valle, la strada si diramava. Sarebbe stato difficile scoprire quale direzione avevano preso i Ra’zac.

Viaggiavano in silenzio, concentrati sull’andatura. Le gambe di Eragon continuavano a sanguinare dove le ferite si erano aperte. Per distogliere la mente dal dolore, disse: «Cosa sono in grado di fare esattamente i draghi? Hai detto che sai qualcosa delle loro capacità.»

Brom rise e fece un gesto in aria con la mano. Lo zaffiro dell’anello brillò. «Purtroppo si tratta di un ben misero qualcosa, in confronto a quello che mi piacerebbe sapere. Sono secoli che la gente tenta di dare una risposta alla tua domanda; perciò capisci bene che ciò che ti dirò sarà di necessità incompleto. I draghi sono sempre stati creature misteriose, anche se non per loro volontà.

«Prima di rispondere alla tua domanda, però, sarà bene che ti illustri qualche principio essenziale sui draghi. Cominciare dalla metà di un argomento così complesso, senza conoscere le basi su cui si fonda, servirebbe solo a confonderti. Quindi partirò dal ciclo vitale dei draghi, e se non ti stanchi potremo proseguire oltre.»

Brom gli spiegò come si accoppiano i draghi e il procedimento di schiusa delle uova. «Sai» disse.

«quando un drago depone l’uovo, il piccolo all’interno è già pronto a nascere. Ma aspetta, a volte per anni, che le circostanze siano favorevoli. Quando i draghi vivevano allo stato brado nella natura, tali circostanze venivano dettate di norma dalla disponibilità di cibo. Tuttavia, una volta stretta l’alleanza con gli elfi, ogni anno essi consegnavano un certo numero di uova, di solito non più di due, ai Cavalieri. I piccoli all’interno non decidevano di mostrarsi finché la persona destinata a essere il loro Cavaliere non si trovava alla loro presenza. Non si conosce il modo in cui lo avvertivano; di solito le persone si mettevano in fila e toccavano le uova, sperando di essere scelte.»

«Vuoi dire che Saphira avrebbe potuto anche non nascere davanti a me?» domandò Eragon.

«È possibile, se non le fossi piaciuto.»

Eragon si sentì onorato che fra tutti gli abitanti di Alagasëia la dragonessa avesse scelto lui. Si chiese per quanto tempo avesse aspettato, poi rabbrividì al pensiero di sentirsi chiuso in un uovo, immerso nel buio.

Brom continuò la sua lezione. Gli spiegò che cosa mangiano i draghi, e quando. Un drago adulto dedito a una vita sedentaria, disse, può trascorrere anche mesi senza nutrirsi, ma nella stagione degli amori deve mangiare ogni settimana. Alcune piante sono in grado di curare le loro malattie, spiegò, mentre altre li fanno ammalare, Essi hanno diversi modi di prendersi cura dei loro artigli e di pulire le squame.

Gli spiegò le tecniche da usare quando si attacca una sella a un drago e che cosa si deve fare se invece ci si trova a combattere contro uno di loro, a piedi, a cavallo o anche in groppa a un altro drago. Hanno il ventre corazzato, aggiunse, mentre le ascelle sono un punto debole. Eragon lo interrompeva di continuo per fare domande, e Brom sembrava lieto di rispondere. Le ore passarono senza che i due se ne accorgessero.

Quando arrivò la sera, erano giunti vicino a Therinsford. Mentre il cielo si oscurava e cercavano un luogo dove accamparsi, Eragon domandò: «Chi era il Cavaliere che possedeva Zar’roc?»

«Un guerriero potente» disse Brom. «che ai suoi tempi incuteva grande timore e rispetto.»

«Come si chiamava?»

«Questo non te lo dico» tagliò corto Brom. Eragon protestò, ma il vecchio non cedette. «Non voglio tenerti nell’ignoranza, ma ci sono informazioni che sono pericolose, e al momento servirebbero solo a distrarti. Non c’è ragione per cui io debba turbarti con certe cose finché non avrai il modo e la capacità di affrontarle. Il mio unico obiettivo è proteggerti da coloro che vorrebbero usarti per scopi malvagi.»

Eragon lo guardò, furente. «Sai una cosa? Credo che tu goda a parlare per enigmi. Ho una mezza idea di lasciarti qui, perché non li sopporto più, i tuoi giochetti. Se vuoi dirmi qualcosa, allora dimmela, invece di girarci intorno!»

«Calma. Tutto ti sarà svelato a tempo debito» disse Brom in tono gentile. Eragon mise il broncio, per nulla convinto,

Trovarono un posto adatto a trascorrere la notte e si accamparono. Saphira arrivò quando la cena era sul fuoco. Hai avuto tempo per procurarti del cibo? le domandò Eragon.

La dragonessa sbuffò divertita. Se voi due foste stati appena più lenti, avrei avuto il tempo di volare oltreoceano e di tornare.

Non c’è bisogno di offenderci. Sappi che andremo molto più spediti quando avremo i cavalli.

La dragonessa esalò una nuvoletta di fumo. Può darsi, ma basterà per raggiungere i Ra’zac?

Hanno un vantaggio di parecchi giorni e molte leghe, E temo che sospettino di essere seguiti. Per quale altro motivo avrebbero distrutto la fattoria in maniera così brutale, se non per indurii a dar loro la caccia?

Non lo so, rispose Eragon, turbato. Saphira si accucciò accanto a lui, e il ragazzo si abbandonò con piacere al suo ventre caldo. Brom si sedette dall’altro lato del falò a tagliuzzare due lunghi rametti. All’improvviso ne lanciò uno a Eragon, che lo afferrò con grande prontezza di riflessi quando quello volò sopra le fiamme crepitanti.

«In guardia!» esclamò Brom, alzandosi.

Eragon guardò il bastone che reggeva in mano e notò che era stato sagomato in modo da somigliare vagamente a una spada. Brom voleva combattere con lui? Che speranze aveva, quel vecchio? Se vuole che stia al suo gioco, d’accordo, ma se crede di potermi battere, avrà una grossa sorpresa.

Si alzò mentre Brom aggirava il falò. Si studiarono per un momento, poi Brom si avventò contro di lui, roteando il bastone. Eragon tentò di bloccare l’assalto, ma fu troppo lento. Guai quando Brom lo colpì alle costole, e barcollò all’indietro.

Senza riflettere, si scagliò in avanti, ma Brom parò facilmente il colpo. Allora mirò alla testa del vecchio, ma all’ultimo momento deviò la traiettoria del bastone, con l’intenzione di colpirlo al fianco. Il sonoro schianto di legno contro legno riecheggiò nel campo. «Improvvisazione... bravo!» esclamò Brom con occhi scintillanti. Il suo braccio si mosse fulmineo, ed Eragon avvertì un’esplosione di dolore alla testa. Crollò come un sacco vuoto, stordito.

Un getto d’acqua fredda lo fece rinvenire; si alzò a sedere sputacchiando. Gli ronzava la testa; sentì una fitta al viso, e toccandosi scoprì un grumo di sangue rappreso. Brom torreggiava su di lui con una pentola di neve scipita. «Non dovevi farlo» disse Eragon infuriato, alzandosi. Gli girava la testa e si sentiva instabile.

Brom inarcò un sopracciglio. «Dici? Un vero nemico non ti tratterebbe con i guanti, e nemmeno io. Dovrei forse assecondare la tua... incompetenza per farti sentire meglio? Non credo proprio.»

Raccolse il bastone che Eragon aveva lasciato cadere e glielo porse. «Di nuovo, in guardia!»

Eragon fissò con aria stolida il pezzo di legno, poi scosse il capo. «Lascia perdere, ne ho avuto abbastanza.» Si volse per allontanarsi quando sulla sua schiena si abbattè un colpo violento. Si girò di scatto, ringhiando.

«Non voltare mai le spalle al nemico!» disse Brom. Gli lanciò il bastone e ripartì all’attacco. Eragon indietreggiò danzando intorno al fuoco, sotto l’impeto dell’assalto. «Non agitare le braccia. Piega le ginocchia» gridava Brom. Continuò a dargli istruzioni; poi si fermò per mostrare al ragazzo come effettuare una mossa particolare. «Rifalla, ma questa volta più adagiol» Ripassarono la figura, esagerando i movimenti, poi ripresero il furioso duello. Eragon imparava in fretta, ma per quanto si sforzasse, non riusciva a parare più di un paio di colpi di Brom alla volta.

Quando ebbero finito, Eragon si accasciò sulle coperte con un gemito. Gli faceva male dappertutto:

Brom non c’era certo andato leggero, con quel bastone. Saphira emise un lungo grugnito ratico e arricciò le labbra tanto da mostrare la sua formidabile dentatura.

Che cosa ti prende? domandò Eragon irritato.

Niente, rispose lei. Solo che è buffo vedere un giovane come te battuto da un vecchio. Ripetè lo stesso suono, ed Eragon avvampò quando si rese conto che quella era una risata. Nel tentativo di difendere l’orgoglio ferito, si voltò su un fianco, e di lì a poco si addormentò.

Il giorno dopo si sentiva anche peggio. Aveva le braccia coperte di lividi, ed era troppo indolenzito per muoversi. Brom alzò lo sguardo dalla pappa d’avena che stava preparando per colazione e sogghignò. «Come ti senti?» Eragon rispose con un grugnito e divorò la sua razione.

Si misero di nuovo in marcia, camminando svelti per arrivare a Therinsford prima di mezzogiorno. Dopo una lega, la strada si allargò e videro del fumo in lontananza. «Faresti meglio a dire a Saphira di volare avanti e di aspettarci dall’altra parte di Therinsford» disse Brom. «Deve essere molto cauta, altrimenti qualcuno la noterà.»

«Perché non glielo dici tu?» lo sfidò Eragon.

«È considerato disdicevole comunicare con il drago di qualcun altro.»

«Non mi pare che ti sia fatto scrupoli a Carvahall.»

Brom abbozzò un sorriso. «Ho fatto quello che dovevo.»

Eragon lo guardò torvo, poi riferì a Saphira le istruzioni. Sta’attenta, disse lei, i servi dell’Impero possono nascondersi ovuncque.

Via via che i solchi nella strada si facevano più profondi, Eragon notò nuove orme. Le fattorie più vicine dicevano che anche Therinsford non era lontano. Eccolo, infatti. Il villaggio era più grande di Carvahall, ma era stato costruito in modo improvvisato, le case allineate senza ordine preciso.

«Che confusione» disse Eragon. Non riusciva a vedere il mulino di .Dempton. Baldor e Albriech avranno già mandato i loro messaggi a Roran. Comunque, Eragon non aveva alcuna voglia di affrontare il cugino.

«Se non altro, è bruttissimo» commentò.

L’Anora scorreva fra loro è il villaggio, attraversato da un solido ponte. Mentre si avvicinavano, da dietro un cespuglio sbucò un grassone, che sbarrò loro la strada. . Aveva la camicia troppo corta e una cintura di spago da cui strabordava un ventre sporco e flaccido. Dietro le labbra screpolateci denti radi sembravano lapidi diroccate. «Non potete passare. Questo ponte è mio. Fuori i soldi.»

«Quanto?» domandò Brom in tono rassegnato. Estrasse un borsellino, e il gabelliere s’illuminò.

«Cinque corone» disse con un ghigno. Eragon s’infuriò per quel prezzo esorbitante e fece per protestare, ma Brom lo zittì con un’occhiata eloquente. H pagamento fu compiuto in silenzio. L’uomo s’infilò le monete in una bisaccia che portava alla cintura. «Grazie tante» disse in tono beffardo, e si fece da parte.

Brom s’incamminò, ma dopo appena un passo inciampò e si appoggiò pesantemente al braccio del grassone. «Occhio a dove metti i piedi» ringhiò l’uomo, liberandosi con uno strattone.

«Mi dispiace» disse Brom, e proseguì sul ponte con Eragon.

«Perché non hai tirato sul prezzo? Ti sei fatto spennare!» esclamò Eragon quando furono lontani.

«Probabilmente non è nemmeno suo, quel ponte. Potevamo passare lo stesso.»

«Probabilmente» assentì Brom.

«E allora perché l’hai pagato?»

«Perché non si può attaccar briga con tutti i pazzi del mondo. È più facile assecondarli, per poi ingannarli quando si sentono sicuri.» Brom aprì la mano, e un mucchietto di monete scintillò alla luce del sole.

«Gli hai tagliato la borsa!» esclamò Eragon incredulo.

Brom s’infilò il denaro in tasca e strizzò l’occhio al ragazzo. «E conteneva un bel gruzzolo. Avrebbe dovuto evitare di tenere tutto questo denaro in un posto solo.» All’improvviso udirono un ululato di angoscia dall’altro lato del fiume. «Direi che il nostro amico ha scoperto la sua perdita. Se vedi qualche sentinella, avvertimi.» Afferrò per la spalla un ragazzino di passaggio e gli chiese: «Sai dove possiamo comprare dei cavalli?» Il bambino li guardò con aria solenne, poi indicò una grande costruzione ai margini di Therinsford. «Grazie» disse Brom, lanciandogli una piccola moneta. Le doppie porte della stalla erano aperte e rivelavano due lunghe file di alloggi per i cavalli. La parete in fondo era coperta di selle, finimenti e altri utensili. Un uomo dalle braccia muscolose stava strigliando uno stallone bianco. Alzò una mano e fece loro cenno di entrare.

«Che bell’animale» disse Brom.

«Già. Si chiama Fiammabianca. Io invece Haberth.» Haberth tese una mano ruvida e scambiò una vigorosa stretta con Brom ed Eragon. Attese compito che i due rivelassero i propri nomi, ma quando non ebbe risposta, domandò: «Posso esservi utile?»

Brom annuì. «Ci servono due cavalli e un equipaggiamento completo per entrambi. I cavalli devono essere veloci e resistenti; dobbiamo viaggiare parecchio.»

Haberth riflette un istante. «Non possiedo molti animali del genere, e quelli che ho costano parecchio.» Lo stallone si agitò irrequieto; l’uomo lo tranquillizzò con qualche carezza.

«Il prezzo non è importante. Voglio i migliori» disse Brom. Haberth annuì e in silenzio legò lo stallone a un palo. Andò alla parete in fondo e staccò due selle e altri attrezzi che accumulò in due pile identiche. Poi si avvicinò alle nicchie che ospitavano i cavalli e ne fece uscire due. Uno era un baio chiaro, l’altro un roano. Il baio si ribellò alla cavezza.

«È alquanto vivace, ma se hai mano ferma non dovresti avere problemi» disse Haberth, porgendo la corda del baio a Brom.

Brom lasciò che il cavallo gli annusasse la mano; l’animale si lasciò accarezzare il collo. «Lo prendiamo» disse, poi adocchiò il roano. «Questo invece... non saprei.»

«Ha buone zampe, ti assicuro.»

«Mmm... Quanto chiedi per Fiammabianca?»

Haberth guardò lo stallone con orgoglio. «Preferirei non venderlo. È il miglior cavallo che abbia mai allevato... volevo farlo riprodurre per ricavarne una razza pura.»

«Ma se decidessi di venderlo, quanto costerebbe?» insistette Brom.

Eragon provò a posare una mano sul baio come aveva fatto Brom, ma il cavallo si ritrasse. Provò allora a raggiungerlo con la mente per rassicurarlo, e si sorprese di riuscire a sfiorare la coscienza del cavallo. Il contatto non era chiaro e preciso come con Saphira, ma poteva comunicare con il baio, entro un certo limite. Gli fece capire che era un amico. Il cavallo si calmò e lo guardò con i suoi liquidi occhi scuri.

Haberth usò le dita per contare il prezzo della compravendita. «Duecento corone, non di meno» disse con un sorriso, sicuro che nessuno avrebbe sborsato una simile somma. Brom aprì il borsellino senza dire una parola e contò il denaro.

«È giusto?» disse.

Ci fu un lungo istante di silenzio, mentre Haberth spostava lo sguardo dallo stallone alle monete. Infine sospirò: «È tuo, ma te lo cedo a malincuore.»

«Lo tratterò come fosse sangue del sangue di Gildihtor, il più grande stallone delle leggende» disse Brom.

«Le tue parole mi confortano» disse Haberth, chinando il capo. Li aiutò a sellare i cavalli. Quando furono pronti a partire, disse: «Addio, E per amor di Fiammabianca, vi auguro che nessuna sventura vi colpisca.»

«Non temere; baderò a lui come avresti fatto tu» promise Brom prima di allontanarsi. «Tieni» disse, porgendo le redini di Fiammabianca a Eragon. «vai dall’altra parte di Therinsford e aspetta lì.»

«Perché?» fece Eragon; ma Brom si era già dileguato. Seccato, uscì da Therinsford con i due cavalli e si fermò vicino alla strada, in attesa. A sud c’era la sagoma nebbiosa dell’Utgard, che si ergeva come un gigantesco monolito alla fine della valle. La sua vetta bucava le nubi e scompariva, torreggiando sulle montagne più piccole che lo circondavano. Il suo aspetto cupo e minaccioso gli fece venire la pelle d’oca.

Brom tornò presto e fece cenno a Eragon di seguirlo. Camminarono finché Therinsford non fu nascosta dagli alberi. Allora Brom disse: «I Ra’zac sono passati da questa parte. A quanto pare si sono fermati a prendere dei cavalli, come abbiamo fatto noi. Sono riuscito a trovare un uomo che li ha visti. Li ha descritti tremando e ha detto che sono partiti da Therinsford al galoppo come demoni inseguiti da un santo.»

«Hanno fatto una certa impressione.»

«Direi.»

Eragon accarezzò il collo dei cavalli. «Quando eravamo nella stalla, ho toccato la mente del baio per caso. Non sapevo che fosse possibile.»

Brom aggrottò la fronte. «È insolito che uno della tua età possieda questa capacità. La maggior parte dei Cavalieri devono esercitarsi per anni prima di comunicare con qualcosa che non sia il loro drago.» Osservò Fiammabianca con aria pensosa. Poi disse: «Togli le tue cose dallo zaino e mettile nelle bisacce, poi lega lo zaino dietro la sella.» Eragon obbedì, mentre Brom saliva in groppa a Fiammabianca.

Eragon scrutò dubbioso il baio. Era tanto più piccolo di Saphira che per un momento assurdo temette che non avrebbe retto il suo peso. Con un sospiro, montò in sella. Fino a quel momento aveva cavalcato soltanto a pelo, e mai per lunghe distanze. «Alle gambe mi capiterà lo stesso di quando ho cavalcato Saphira?» domandò.

«Come vanno adesso?»

«Non male, ma ho paura che se cavalchiamo troppo le ferite si riapriranno.»

«Andremo piano» disse Brom. Diede a Eragon qualche suggerimento, poi si avviarono a un’andatura tranquilla. Ben presto il panorama cominciò a cambiare: i campi coltivati lasciarono il posto a vaste distese selvagge. Cespugli ed erbacce costeggiavano la strada, insieme a enormi rovi in cui s’impigliavano i mantelli. Dal terreno affioravano alti macigni, grigi testimoni del loro passaggio. C’era un’atmosfera ostile nell’aria, un’animosità, una sorta di impalpabile resistenza agli intrusi.

Sopra di loro, sempre più gigantesco, si stagliava l’Utgard, le pendici scoscese solcate da canyon innevati. La roccia nera della montagna assorbiva la luce come una spugna e oscurava tutta la zona attorno. Fra l’Utgard e lalinea delle montagne che formavano la parte orientale della Valle Palancar c’era un profondo crepaccio, l’unica via per uscire dalla valle. La strada portava da quella parte. . Gli zoccoli dei cavalli facevano crepitare il terreno ghiaioso. La strada si ridusse a uno stretto sentiero che aggirava la base dell’Utgard, Eragon alzò lo sguardo verso la cima e notò con sorpresa che vi si ergeva una torre con alte guglie. «Cos’è?» domandò, indicandola.

Brom non alzò lo sguardo, ma rispose con voce amara e triste insieme: «Un avamposto dei Cavalieri... è lì fin dalla loro fondazione. Fu lì che si rifugiò Vrael, e dove, con l’inganno, venne scoperto e sconfitto da Galbatorix. Quando Vrael cadde, questa regione ne restò contaminata. Edoc’sil. Inespugnabile, era il nome di questo bastione, perché la montagna è così alta e ripida che nessuno può raggiungerne la vetta se non volando. Dopo la morte di Vrael, lo chiamarono Utgard, ma ha anche un altro nome. Ristvak’baen, il Luogo del Dolore. Così lo conoscevano gli ultimi Cavalieri prima che venissero uccisi dal re.»

Eragon guardò la torre con timore e rispetto. Era una testimonianza concreta della gloria dei Cavalieri, pur corrosa com’era dall’inarrestabile corso del tempo. Pensò a quanto erano antichi i Cavalieri. Un’eredità di tradizioni ed eroismo che risaliva a tempi remoti pesava ora sulle sue spalle. Viaggiarono per lunghe ore intorno all’Utgard. Formava una solida parete alla loro destra quando entrarono nella gola che divideva la catena montuosa. Eragon si alzò sulle staffe, impaziente di vedere al di là della Valle Palancar: ma erano ancora troppo distanti. Attraversarono, un valico scosceso, che si snodava fra strapiombi e colline, seguendo il corso dell’Anora. Poi, con il sole basso alle spalle, superarono una cresta e videro oltre gli alberi.

Eragon trattenne il fiato. Da un lato e dall’altro c’erano ancora montagne, ma sotto di loro si estendeva un’enorme pianura che si fondeva con l’orizzonte lontano. La piatta distesa aveva un uniforme colore brunicdo, di erba secca. Sulle loro teste si ricorrevano le nubi, sospinte da venti impetuosi.

Capì perché Brom aveva insistito per comprare i cavalli. Avrebbero impiegato settimane, se non mesi, per coprire quella distanza a piedi. Scorse Saphira che volava, tanto in alto da poter essere scambiata per un uccello.

«Aspetteremo domani per compiere la discesa» disse Brom. «Ci vorrà gran parte della giornata, perciò ci accampiamo adesso.»

«Quanto ci vuole per attraversare questa landa?» domandò Eragon, ancora stupito.

«Da un paio di giorni a una quindicina: dipende dalla direzione che uno prende. A parte le tribù nomadi che battono questa regione, per il resto è quasi del tutto disabitata, come il Deserto di Hadarac a est. Perciò non troveremo molti villaggi. Tuttavia a sud le pianure sono meno aride e più popolate.»

Lasciarono il sentiero e smontarono sulla riva dell’Anora. Mentre toglievano le selle ai cavalli. Brom indicò il baio. «Dovresti dargli un nome.»

Eragon ci pensò mentre legava il cavallo a un picchetto. «Be’, non ho niente di nobile come Fiammabianca, ma forse questo può andare.» Posò una mano sul fianco del baio e disse: «Ti chiamerai Cadoc. Era il nome di mio nonno, perciò rendigli onore.» Brom annuì in segno di approvazione, ma Eragon si sentì un po’ sciocco.

Quando Saphira atterrò, lui le chiese: Che aspetto hanno le pianure?

Monotono. Non ci sono altro che conigli ed erbacce da tutte le parti.

Dopo la cena. Brom si alzò e gridò: «Prendi!» Eragon fece appena in tempo ad alzare il braccio per afferrare il bastone. prima che lo colpisse in testa. Si lasciò sfuggire un gemito alla prospettiva di un altro duello.

«Non di nuovo» protestò, ma Brom si limitò a sorridere : a fargli un cenno con la mano. Eragon si alzò, riluttante. Presero a piroettare l’uno intorno all’altro fra urti violenti li legno contro legno, finché Eragon non si vide costretto ad arretrare, con un braccio formicolante e intorpidito per colpi dati e ricevuti.

La lezione durò meno della prima, ma abbastanza a lungo perché Eragon accumulasse una nuova collezione di lividi. Quando ebbero finito il duello, scagliò via il bastone con disgusto e si allontanò dal fuoco per leccarsi le ferite.

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