18 Yazuac, la città fantasma

Per quanto fossero riusciti a riempire in parte gli otri durante la tempesta, quella mattina terminarono la loro scorta d’acqua. «Spero che stiamo andando nella direzione giusta» disse Eragon, ripiegando la sacca di pelle vuota. «perché saremo nei guai, se non raggiungiamo Yazuac oggi stesso.»

Brom non sembrava preoccupato. «Ho, già viaggiato in queste lande prima d’ora. Yazuac sarà in vista prima di sera.»

Eragon diede in una risatina dubbiosa. «Forse tu vedi qualcosa che io non vedo. Come fai a sapere dove siamo, quando il paesaggio è tutto uguale per leghe e leghe e leghe?»

«Perché non mi faccio guidare dal paesaggio, ma dalle stelle e dal sole. Loro non ingannano mai. Forza! Rimettiamoci in marcia. È da stupidi temere, quando non c’è nulla da temere. Yazuac ci sarà.»

Le sue parole si rivelarono veritiere. Fu Saphira a individuare per prima il villaggio, ma soltanto nel pomeriggio anche loro riuscirono a scorgerla come una bassa gobba scura sull’orizzonte. Yazuac era ancora molto lontana; era visibile solo perché il resto era di una piattezza uniforme. Continuando a cavalcare, notarono una grigia linea sinuosa su entrambi i lati del villaggio, che spariva in lontananza.

«Il fiume Ninor» disse Brom, indicandolo.

Eragon Fece fermare Cadoc. «Qualcuno scoprirà Saphira, se resta con noi. Non credi che potrebbe nascondersi mentre noi entriamo a Yazuac?»

Brom si grattò il mento e guardò il villaggio.«Vedi quell’ansa del fiume? Falla aspettare lì. E’ abbastanza lontana da Yazuac perché nessuno la scopra, ma tanto vicina da poterc raggiungere in breve tempo. Noi andremo al villaggio, prenderemo ciò che ci serve e ci rivedremo più tardi.»

Non mi piace, disse Saphira, dopo che Eragon le ebbe spiegato il piano. È irritante doversi sempre nascondere come un criminale.

Sai che cosa succederebbe se ti vedessero. La dragonessa borbottò ancora, ma si arrese e si allontanò, sorvolando a bassa quota la pianura.

I due ripresero a trottare, pensando con sollievo al cibo e all’acqua che presto avrebbero trovato. Mentre si avvicinavano alle piccole case, videro fili di fumo levarsi da una decina di comignoli, ma non c’era anima viva per le strade. Un silenzio irreale regnavasul villaggio. In un atto di tacita intesa, si fermarono davanti alla prima casa. Eragon disse brusco:«Non ci sono cani che abbaiono.»

«No»

«Però non vuol dire niente.»

«…No.»

Eragon fece una pausa.«Ma oramai qualcuno avrebbe docuto vederci.»

«Sì»

«E perché non escono?»

Brom socchiuse gli occhi contro il riverbero del sole. «Forse hanno paura.»

«Forse» disse Eragon.Tacque per qualche istante. «E se fosse una trappola? E se i Ra’zac ci stessero aspettando?»

«Ci servono acqua e viveri.»

«C’è sempre il Ninor.»

«Ma ci mancano i viveri.»

«Giusto.» Eragon si guardò intorno. «Che cosa facciamo? Entriamo?»

Brom fece schioccare le redini. «Sì, ma non da sciocchi. Questo è l’ingresso principale di Yazuac. Se volessero tenderci un agguato, con ogni probabilità lo farebbero qui. Nessuno si aspetta che arriviamo da una direzione diversa.»

«Dall’altra parte, allora?» chiese Eragon. Brom annuì e sguainò la spada, tenendo la nuda lama contro la sella, Eragon preparò l’arco e incoccò una freccia.

Aggirarono silenziosi la città, trovarono un ingresso minore ed entrarono circospetti. Le strade erano deserte, fatta eccezione per una piccola volpe che sfrecciò spaventata al loro passaggio. Le case erano buie, e le finestre rotte davano loro un’aria sinistra. Parecchie porte erano state scardinate. I cavalli rotearono gli occhi per il nervosismo, Eragon si sentì prudere il palmo della mano, ma resistette all’impulso di grattarsi. Quando furono in vista del centro del villaggio, Eragon strinse forte l’arco e impallidì di botto. «Dei del cielo» sussurrò.

Una montagna di cadaveri si ergeva avanti a loro, i corpi rigidi, i volti contratti in smorfie terribili. Gli abiti erano inzuppati di sangue, che impregnava anche il suolo lì attorno. Uomini massacrati giacevano sopra le donne che avevano cercato di proteggere, le madri tenevano ancora stretti i figli, e gli amanti che avevano tentato di fare da scudo l’uno all’altra riposavano in un gelido abbraccio di morte. Tutti erano trafitti da frecce nere. Nessuno, giovane o anziano, era stato risparmiato. Ma la visione più agghiacciante fu la lancia aguzza che svettava sulla pila di cadaveri, sulla quale era impalato il corpicino pallido di un bambino.

Gli occhi di Eragon si offuscarono di lacrime. Cercò di distogliere lo sguardo, ma era come ipnotizzato da quei , volti. Fissò i loro occhi spalancati e si chiese com’era possibile che la vita li avesse abbandonati con tanta semplicità. Che significato ha la nostra esistenza se può finire così?

Si sentì travolgere da un’ondata di disperazione.

Dal cielo scese un’ombra nera: una cornacchia, che si appollaiò sulla punta della lancia. Fece scattare la testa in basso e i suoi occhi scrutarono avidi il cadavere del bambino. «Oh no, non ci provare» ringhiò Eragon. Tese la corda dell’arco e la liberò con una vibrazione sonora. In un’esplosione di piume, la cornacchia cadde all’indietro, il petto trafitto da una freccia. Eragon ne incoccò un’altra, ma all’improvviso lo stomaco gli si contrasse. Il ragazzo si sporse dal fianco di Cadoc per vomitare.

Brom gli diede una pacca gentile sulla schiena. Quando Eragon ebbe finito, gli chiese: «Preferisci aspettarmi fuori Yazuac?»

«No... resto» disse Eragon tremante, asciugandosi le labbra. Evitò di guardare lo spettacolo raccapricciante davanti a loro. «Chi può aver fatto...» Non riuscì a trovare le parole.

Brom chinò il capo. «Coloro che amano il dolore e la sofferenza altrui. Hanno molte facce e indossano molte maschere, ma c’è solo un nome per loro: il Male. Non serve capire. Tutto quello che possiamo fare è compiangere e onorare le vittime.»

Smontò da Fiammabianca e studiò il terreno smosso. «I Ra’zac sono passati di qui» disse piano.

«ma questa non è opera loro. Questa è opera degli Urgali; la lancia appartiene a loro, È passata di qui una compagnia, forse un centinaio. È strano; conosco solo pochissimi casi in cui si siano riuniti in un tale...» S’inginocchiò a esaminare un’impronta.

Lanciò un’imprecazione e tornò di corsa da Fiammabianca, che montò alla svelta.

«Vai!» sibilò a denti strettì, incitando il cavallo. «Gli Urgali sono ancora qui!» Eragon piantò i talloni nei fianchi di Cadoc. Il cavallo si lanciò al galoppo per seguire Fiammabianca. Schizzarono davanti alle case, ed erano quasi ai margini di Yazuac quando Eragon avvertì di nuovo il formicolio al palmo. Con la coda dell’occhio intrawide un movimento alla sua destra, poi un pugno gigantesco lo sbalzò di sella. Volò sopra il dorso di Cadoc e urtò contro un muro, continuando a stringere l’arco per puro istinto. Stordito, senza fiato, si rialzò barcollante, premendosi una mano sul fianco. Un Urgali torreggiava su di lui, il muso deformato da un ghigno perverso. Il mostro era alto, massiccio, più grosso di una porta, con la pelle grigia e gialli occhi porcini. Muscoli possenti gli gonfiavano le braccia e il torace, coperto da una corazza troppo piccola. Portava un elmo di ferro, dal quale spuntavano le due corna da ariete che gli crescevano dalle tempie, e con un braccio reggeva uno scudo rotondo. Impugnava una spada corta e ricurva.

Dietro di lui, Eragon vide Brom tirare le redini di Fiammabianca per tornare indietro. Ma il vecchio venne bloccato dalla comparsa di un secondo Urgali, armato di ascia. L’Urgali davanti a Eragon ruggì e roteò la spada con ferocia. Eragon si sottrasse ai colpi con un .urlo di terrore e sentì il sibilo della lama che gli sfiorava la guancia. Si voltò e cominciò a correre verso il centro di Yazuac, col cuore che gli batteva fortissimo.

L’Urgali lo inseguì; i suoi pesanti stivali rimbombavano sul selciato. Eragon lanciò a Saphira un disperato grido di aiuto, poi si costrinse ad andare più veloce. L’Urgali guadagnava terreno, malgrado gli sforzi di Eragon; le grosse fauci si spalancarono in un muto bramito. Con l’Urgali ormai alle costole, Eragon incoccò una freccia, si volse di scatto, prese la mira e scoccò. L’Urgali tese il braccio e ricevette la freccia vibrante sullo scudo. Poi piombò su Eragon prima che avesse il tempo di incoccare ancora, e i due caddero a terra in un groviglio di membra.

Eragon fu lesto a rialzarsi e corse di nuovo verso Brom, che in sella a Fiammabianca scambiava colpi feroci col suo avversario. Dove sono gli altri Urgali? si domandò frenetico. Possibile che ci siano solo questi due a Yazuac? Si udì uno schiocco secco, e Fiammabianca s’impennò con un nitrito. Brom si accasciò sulla sella, col braccio sanguinante. L’Urgali ululò di trionfo e levò l’ascia per il colpo di grazia.

Un grido di belva sgorgò dalla gola di Eragon mentre caricava l’Urgali. Il mostro rimase immobile un istante, sconcertato, poi lo affrontò con una smorfia di disprezzo, roteando l’ascia. Eragon schivò il fendente e affondò le unghie nel fianco dell’Urgali, lasciandovi profondi solchi sanguinanti. Il muso del mostro divenne una maschera di rabbia. Menò un altro fendente, ma Eragon si tuffò di lato e fuggì scartando di lato.

Il suo scopo era allontanare gli Urgali da Brom. S’infilò in uno stretto passaggio fra due case, ma si accorse che era un vicolo, cieco. Si volse per scappare, ma gli Urgali ormai bloccavano il passaggio. Presero ad avanzare, imprecando contro di lui con le loro voci rauche. Eragon voltò la testa da un lato e dall’altro, cercando una via d’uscita. Invano. Mentre si voltava a fronteggiare gli Urgali, gli balenarono in mente le immagini sconvolgenti viste poco prima: i cadaveri ammassati degli abitanti del villaggio, e il piccolo innocente infilzato sulla lancia, che non sarebbe mai diventato adulto. Al pensiero di quell’atroce destino, una forza bruciante, feroce, gli pervase ogni parte del corpo. Era più di un semplice desiderio di giustizia. Era il suo intero essere che si ribellava all’idea della morte, al fatto che avrebbe cessato di esistere. La forza crebbe sempre di più, finché non si sentì pronto a farla esplodere.

Svanita ogni traccia di timore, Eragon si erse in rutta la sua statura. Alzò l’arco con un movimento fluido. Gli Urgali risero e levarono gli scudi. Eragon prese la mira lungo l’asta della freccia, come aveva fatto centinaia di volte, e allineò la punta con il bersaglio. L’energia dentro di lui ribolliva, incontenibile. Doveva liberarla, altrimenti l’avrebbe consumato. All’improvviso sulle labbra gli affiorò spontanea una parola. Scoccò, gridando: «Brisingr!»

La freccia sibilò, sfolgorando di una crepitante luce azzurrina. Colpì il primo Urgali alla testa, e nell’aria risuonò un’esplosione. Un’azzurra onda d’urto si propagò dalla testa fracassata del mostro, uccidendo l’altro Urgali all’istante. Raggiunse Eragon prima che avesse il tempo di reagire, ma passò attravèrso di lui senza fargli male, dissolvendosi contro le case.

Eragon restò immobile, ansimante, poi si guardò il palmo ghiacciato. Il gedwéy ignasia brillava come metallo incandescente, ma sotto il suo sguardo sbiadì e riprese il suo aspetto consueto. Il ragazzo chiuse il pugno, poi fu travolto da un’ondata di stanchezza. Si sentiva strano e debole, come se non avesse mangiato per giorni. Le ginocchia gli cedettero, e si accasciò contro un muro.

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