10 Sulle ali del destino

La mente di Eragon era in tumulto, mentre correva a perdifiato verso casa, sempre più ansante. Calpestando a grandi falcate il terreno gelato, cercò di dilatare la mente in cerca di Saphira, ma la dragonessa era ancora troppo lontana per stabilire un contatto. Pensò a quello che avrebbe detto a Garrow. Non aveva scelta, ormai: doveva rivelargli l’esistenza di Saphira. Arrivò a casa senza fiato, con il cuore che gli batteva all’impazzata. Garrow era accanto alla stalla, con i cavalli. Eragon esitò. Devo dirglielo adesso? Non mi crederà mai, se non vede Saphira. È meglio che vada a chiamarla. Aggirò la fattoria e si diresse nella foresta. Saphira! gridò col pensiero.

Arrivo, fu la debole risposta. Eragon avvertì anche una. nota di allarme. La sua attesa impaziente non durò a lungo; ben presto udì un fragore di ali che frustavano l’aria. La dragonessa atterrò in uno sbuffo di fumo. Che cosa è successo? gli domandò.

Lui le toccò la spalla e chiuse gli occhi. Sforzandosi di restare calmo, le raccontò in fretta che cos’era successo. Quando arrivò agli stranieri, Saphira trasalì. S’impennò sulle zampe di dietro e lanciò un ruggito assordante, agitando la coda, che gli mancò la testa di un soffio. Eragon indietreggiò sorpreso e si chinò per schivare un altro colpo di coda, che sollevò una nube di neve polverizzata. La creatura emanava spaventose ondate di terrore e ferocia. Fuoco! Nemici! Morte!

Assassini!

Che cosa succede? Eragon fece ricorso a tutti i suoi poteri mentali, ma una parete d’acciaio sembrava schermare i pensieri della dragonessa, che lanciò un altro ruggito e conficcò gli artigli nel terreno, strappando zolle di terra gelata. Fermati! Garrow li sentirà!

Giuramenti traditi, anime uccise, uova infrante! Sangue dappertutto. Assassini!

In preda al panico, Eragon respinse le emozioni di Saphira e tenne d’occhio la sua coda. Quando gli passò accanto, si gettò di lato e le afferrò una punta del dorso. Tenendosi ben saldo, si issò sul piccolo incavo alla base del collo, mentre lei. tornava a impennarsi. «Basta, Saphira!» gridò. Il flusso di pensieri cessò di colpo. Il ragazzo le accarezzò le squame. «Andrà tutto bene.» La dragonessa si rannicchiò e alzò le ali, tenendole sospese per un istante; poi le abbassò di colpo e spiccò il volo.

Eragon lanciò un urlo quando il terreno si allontanò dai suoi piedi e cominciarono a volare sopra gli alberi. Il vento lo investiva con violenza, strappandogli il respiro, Saphira ignorò il suo terrore e virò verso la Grande Dorsale. Sotto di loro, Eragon scorse la fattoria e il fiume Anora. Il sito stomaco si ribellò. Strinse le braccia intorno al collo di Saphira e per non vomitare si concentrò sulle squame che aveva davanti al naso, mentre la dragonessa continuava la sua ascesa. Quando il volo si fece più regolare, Eragon trovò il coraggio di guardarsi attorno.

L’aria era così fredda che sulle sue ciglia si cristallizzò uno strato di brina. Avevano raggiunto le montagne più in fretta di quanto non ritenesse possibile. Dall’alto, le cime sembravano gigantesche zanne affilate come rasoi, in attesa di farli a brandelli. Saphira s’inclinò su un lato all’improvviso, ed Eragon perse quasi l’equilibrio. Si asciugò le labbra, amare di bile, e seppellì di nuovo la testa nella nuca della creatura.

Dobbiamo tornare indietro, la supplicò. Gli stranieri stanno andando alla fattoria. Bisogna avvertire Garrow. Voltati! Nessuna risposta. Provò a entrare nella sua mente, che però era ancora bloccata da una torbida barriera di rabbia e paura. Deciso a farla tornare indietro, tentò di insinuarsi nella sua armatura mentale, cercando i punti deboli, minando le zone più resistenti, lottando per farsi ascoltare: ma invano.

Ben presto furono circondati dalle montagne, gigantesche pareti candide interrotte da rupi di granito. I ghiacciai risplendevano azzurri come fiumi gelati. Sotto di loro si aprivano lunghe valli e paurose voragini. Eragon udì le strida sbigottite degli uccelli quando Saphira comparve davanti a loro. Vide un gregge di capre lanose saltellare da una cengia all’altra di una parete scoscesa. Era in balìa dei mulinelli di vento provocati dalle ali di Saphira, e tutte le volte che lei muoveva il collo veniva sballottato da una parte all’altra. La dragonessa sembrava instancabile. Eragon temeva che avrebbe volato per tutta la notte. Ma al calar delle tenebre iniziò la lènta discesa.

Eragon guardò avanti e vide che puntavano verso una piccola radura in una valle. Saphira planò tracciando ampie spirali, sfiorando le cime degli alberi. Frenò in vista del terreno, gonfiò le ali e atterrò sulle zampe di dietro. I suoi potenti muscoli vibrarono nell’assorbire l’impatto con il suolo. Infine posò anche le zampe davanti e fece un passo per recuperare l’equilibrio. Eragon smontò ancora prima che la dragonessa chiudesse le ali.

Non appena toccò terra, le ginocchia gli cedettero e cadde a faccia avanti nella neve. Un dolore lancinante alle gambe gli mozzò il fiato e gli fece venire le lacrime agli occhi. I suoi muscoli, contratti per lo sforzo di cavalcare così a lungo, tremavano violentemente. Rotolò sulla schiena con un brivido e cercò di sgranchirsi le gambe. Le guardò, tendendo il collo. Due grandi aloni scuri macchiavano l’interno delle braghe di lana. Toccò la stoffa. Era umida. Allarmato, si abbassò le braghe e fece una smorfia: aveva l’interno delle cosce scorticato a sangue. La pelle si era consumata, dopo tanto sfregare contro le dure squame di Saphira. Si tastò le abrasioni e si morse le labbra. Rasoiate di ghiaccio lo ferirono quando si alzò le braghe, e urlò quando la stoffa strusciò sulla carne viva. Provò ad alzarsi, ma le gambe non risposero.

La notte cominciava a oscurare il panorama; i profili torreggianti delle montagne gli erano ignoti.

Eccomi sulla Grande Dorsale, senza sapere bene dove, nel cuore dell’inverno, con un drago impazzito, e non sono in grado di camminare o trovare un riparo. Sta calando la notte. Domani devo tornare alla fattoria. E l’unica modo per arrivarci è volare, ma non ce la faccio più. Inspirò a fondo. Oh, quanto vorrei che Saphira potesse sputare fuoco. Si voltò e la vide accanto a sé, accovacciata sulla neve. Le posò una mano sul fianco e scoprì che tremava. La barriera che le bloccava la mente si era dissolta, e la sua paura lo travolse. Cercò di tenerla a freno, inviandole immagini rassicuranti. Perché hai paura degli stranieri?

Assassini, sibilò lei.

Garrow è in pericolo e tu mi hai costretto a seguirti in questo assurdo viaggio! Non sei capace di proteggermi? La dragonessa ringhiò e fece schioccare le fauci irritata. Ma se credi di poterlo fare, perché sei fuggita?

La morte è veleno.

Eragon si alzò su un gomito, sforzandosi di contenere la propria delusione. Saphira, guarda dove siamo! Il sole è tramontato, e il tuo volo mi ha spellato a sangue le gambe. Era questo che volevi?

No.

E allora perché l’hai fatto? chiese. Attraverso il contatto con Saphira, avvertì il suo rammarico per le ferite che senza volerlo gli aveva inflitto, ma non per le proprie azioni. Lei distolse lo sguardo e non rispose. La temperatura glaciale cominciò a intorpidire le gambe di Eragon: se non altro gli faceva sentire meno dolore, ma sapeva che alla lunga la situazione sarebbe peggiorata. Cambiò tattica. Finirò congelato, se non mi costruisci un ricovero dove possa ripararmi dal freddo. Anche un mucchio di aghi e rami di pino andrà bene.

La dragonessa parve sollevata nel sapere che lui aveva smesso di interrogarla. Non serve. Mi avvolgerò intorno a te e ti coprirò con le mie ali. Il fuoco nel mio ventre ti terrà caldo.

Eragon lasciò ricadere la testa sul terreno. D’accordo, ma libera un po’ di spazio dalla neve. Sarà più comodo. Per tutta risposta, Saphira spianò un cumulo di neve con un solo colpo di coda, e con gli artigli sgretolò l’ultimo strato di ghiaccio. Il ragazzo guardò il terreno brullo con una smorfia. Non ce la faccio ad arrivare fin lì; mi devi aiutare. La dragonessa abbassò la testa, più grande del torso di Eragon. Lui fissò i suoi enormi occhi color zaffiro e con le mani afferrò una delle punte d’avorio del suo dorso, Saphira sollevò dolcemente la testa e lo trascinò verso lo spiazzo pulito. Piano, piano. Vide le stelle quando scivolò sopra un sasso, ma riuscì a non allentare la presa. Nello spiazzo, Saphira si sdraiò su un fianco, mostrando il ventre tiepido, Eragon si accoccolò contro le squame morbide. La dragonessa alzò l’ala destra e lo racchiuse in una fitta tenebra, come una tenda vivente. Quasi subito l’aria perse il suo rigore.

Eragon infilò le braccia dentro la giubba e si avvolse le maniche vuote intorno al collo. Per la prima volta avvertì i morsi della fame. Ma la sua vera preoccupazione era un’altra: come faceva a tornare alla fattoria prima degli stranieri? E se non ce l’avesse fatta, che cosa sarebbe successo? Anche se mi costringo a cavalcare di nuovo Saphira, non arriveremo prima del pomeriggio. Gli stranieri potrebbero essere arrivati da un pezzo. Chiuse gli occhi e sentì una lacrima solitaria scorrergli lungo il viso. Che cosa ho fatto?

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