39 La cattura

Cavalcare era un vero tormento per Eragon: le costole rotte gli impedivano di procedere spedito, e se cercava di trarre un respiro un po’ più profondo, il dolore diventava lancinante. Nonostante tutto, non voleva fermarsi. Saphira volava basso, la mente legata con quella del ragazzo per consolarlo e infondergli forza.

Murtagh cavalcava deciso sul suo stallone, a cui era legato Cadoc, che seguiva docile il passo del superbo animale. Eragon osservò il grigio destriero per qualche minuto. «Hai un cavallo magnifico. Come si chiama?»

«Tornac, come l’uomo che mi ha insegnato a combattere.» Murtagh diede una pacca affettuosa sul fianco dell’animale. «Mi è stato dato quando non era che un puledro. È impossibile trovare in tutta Alagasëia un animale più coraggioso e intelligente di lui, tranne Saphira, s’intende.»

«È una bestia straordinaria» commentò Eragon, ammirato. Murtagh rise. «Sì, ma Fiammabianca è il cavallo più simile a lui che abbia mai visto.»

Coprirono una breve distanza quel giorno, eppure Eragon era contento di essere di nuovo in marcia. Gli teneva la mente lontana da pensieri più torbidi. Stavano attraversando un territorio selvaggio. La strada per Dras-Leona era a parecchie leghe di distanza, alla loro sinistra. Volevano lasciare un ampio margine nell’aggirare la città per puntare verso Gil’ead, che si trovava poco più a sud di Carvahall.

Vendettero Cadoc in un piccolo villaggio. Mentre il cavallo veniva portato via dal nuovo proprietario, Eragon si infilò in tasca le poche monete guadagnate con aria avvilita. Era difficile separarsi da Cadoc dopo aver attraversato mezza Alagaësia e aver seminato gli Urgali in groppa all’animale.

Le giornate si susseguirono senza avvenimenti degni di nota, mentre il piccolo gruppo viaggiava isolato. Eragon scoprì con piacere che lui e Murtagh condividevano diversi interessi; trascorsero lunghe ore a discutere di caccia e tiro con l’arco,

Tuttavia c’era un argomento che entrambi evitavano di toccare: il loro passato. Eragon non spiegò come aveva trovato Saphira, conosciuto Brom o da dove veniva. Dal canto suo, Murtagh era altrettanto laconico sulla ragione per cui l’Impero gli dava la caccia. Era un tacito accordo che comunque funzionava.

Eppure, grazie alla stretta vicinanza, fu inevitabile che apprendessero qualcosa l’uno dell’altro. Eragon rimase affascinato dalla familiarità che Murtagh aveva con gli intrighi di palazzo e la politica dell’Impero. Sembrava conoscere le mosse di ogni nobile e cortigiano e saperne valutare l’impatto sugli altri. Eragon ascoltava con attenzione, senza riuscire a liberarsi da un vago senso d’inquietudine e sospetto,

La prima settimana trascorse senza tracce dei Ra’zac, e per un po’ di timori di Eragon si acquietarono; malgrado questo, la notte continuavano ad alternarsi nei turni di guardia, Eragon si era aspettato di incontrare Urgali sulla via per Gil’ead, ma nemmeno di quei mostri trovarono tracce. Credevo che queste terre desolate pullulassero di Urgali, si disse. Ma non sarò io a lamentarmi se hanno scelto di andare da qualche altra parte.

Non sognò più la donna. E anche se provò a divinarla con la cristallomanzia, vide soltanto una cella vuota. Ogni volta che passavano per un villaggio o una città, chiedeva sempre se c’era una prigione. In quel caso, si travestiva e andava a controllare, ma non l’aveva ancora trovata. I suoi travestimenti divennero sempre più complicati quando notò gli editti con il suo nome e la sua descrizione, che promettevano una lauta ricompensa per chi avesse contribuito alla sua cattura, affissi in diverse città.

Il viaggio verso nord li costrinse a passare vicino alla capitale. Urù’baen, Era una regione molto popolata, il che rendeva arduo passare inosservati. Drappelli di soldati pattugliavano le strade e sorvegliavano i ponti. Impiegarono parecchi giorni, giorni di tensione e scatti di nervosismo, per aggirare la capitale.

Una volta superata senza intoppi Urù’baen, si ritrovarono ai margini di una vasta pianura. Era la stessa che Eragon aveva attraversato dopo aver lasciato la Valle Palancar; solo che ora si trovava sul lato opposto. Proseguirono lungo il perimetro della pianura, sempre diretti a nord, seguendo il corso del fiume Ramr.

Il sedicesimo compleanno di Eragon cadde in quel periodo. A Carvahall ci sarebbero stati grandi festeggiamenti per celebrare il suo ingresso nell’età adulta, ma nella natura selvaggia non ne parlò neppure con Murtagh.

A quasi sei mesi di età, Saphira era molto più grande. Le sue ali erano enormi e robuste: ogni pollice di esse era necessario per sollevare il suo corpo muscoloso e le ossa pesanti. Le zanne che sporgevano dalle sue labbra erano grosse quanto il pugno di Eragon, e le punte affilate come Zar’roc.

E finalmente arrivò il giorno in cui Eragon si tolse le bende dal fianco. Le sue costole erano del tutto guarite; gli era rimasta solo una piccola cicatrice dove lo stivale del Ra’zac gli aveva lacerato la pelle. Sotto gli occhi di Saphira, si stiracchiò piano, e quando non avvertì alcun dolore allungò le membra con più forza e fletté i muscoli, compiaciuto. In altri tempi avrebbe sorriso, ma dopo la morte di Brom accadeva molto di rado.

Si infilò di nuovo la tunica e si avvicinò al piccolo fuoco da campo che avevano acceso. Murtagh era seduto, intento a tagliuzzare un pezzo di legno. Eragon estrasse Zar’roc dal fodero. Murtagh si irrigidì, ma il suo volto rimase calmo. «Adesso che ho ripreso le forze, ti andrebbe di allenarti con me?» gli chiese Eragon.

Murtagh depose il pezzo di legno. «Con le spade? Così ci faremo del male.»

«Dammi la tua arma» disse Eragon. Murtagh esitò, poi gli porse lo spadone. Eragon ne smussò il taglio con la magia, come Brom gli aveva insegnato. Mentre Murtagh esaminava l’arma, Eragon disse: «La farò tornare come prima quando avremo finito.»

Murtagh controllò l’equilibrio della sua lama. Soddisfatto, rispose: «D’accordo.» Eragon gettò lo stesso incantesimo su Zar’roc, assunse la posizione di attacco e si slanciò, mirando alla spalla di Murtagh. Le loro spade s’incrociarono a mezz’aria. Eragon si liberò con grazia e fece un allungo che Murtagh schivò, balzando di lato.

È veloce, pensò Eragon.

Duellarono con impegno, ciascuno nel tentativo di indurre l’altro alla resa. Dopo uno scambio particolarmente accanito, Murtagh scoppiò a ridere. Non solo era evidente che nessuno dei due riusciva ad avere un vantaggio sull’altro, ma erano così uguali da stancarsi allo stesso ritmo. Riconoscendo la destrezza dell’altro con un mutuo sorriso, continuarono a duellare fino ad avere le braccia a pezzi e la schiena striata di sudore.

Alla fine Eragon dichiarò: «Basta così!» Murtagh si fermò di colpo e sedette a terra di schianto, ansante, Eragon lo imitò, stringendosi il petto per l’affanno. Nessuno dei duelli con Brom era stato così feroce.

Mentre riprendeva fiato, Murtagh esclamò: «Mi sorprendi! Ho studiato scherma tutta la vita, ma non ho mai incontrato nessuno come te. Se volessi, potresti diventare maestro di scherma del re.»

«Anche tu non te la cavi male» osservò Eragon, ancora col fiato grosso. «L’uomo che ti ha insegnato. Tornac, potrebbe fare una fortuna se aprisse una scuola di scherma. Verrebbe gente da ogni parte di Alagasëia per imparare da lui.»

«È morto» disse Murtagh asciutto.

«Mi dispiace.»

E così allenarsi tutte le sere divenne un’abitudine per loro, una consuetudine che li aiutava a tenersi in forma come un paio di lame gemelle. Con il recupero della salute, Eragon riprese anche a esercitarci con la magia, Murtagh lo osservava incuriosito e ben presto rivelò una sorprendente conoscenza di come funzionava, anche se gli mancavano i dettagli precisi e non sapeva usarla. Ogni volta che Eragon si esercitava a parlare l’antica lingua, lui ascoltava in silenzio, chiedendo di tanto in tanto il significato di qualche parola.

Alla periferia di Gil’ead fermarono i cavalli fianco a fianco. Avevano impiegato quasi un mese per raggiungerla, durante il quale la primavera aveva cancellato le ultime tracce dell’inverno. Eragon si era sentito cambiare durante il viaggio: era diventato più forte e calmo. Pensava ancora a Brom e ne parlava con Saphira, ma la maggior parte del tempo cercava di non risvegliare dolorosi ricordi. Da lontano videro che la città era un luogo aspro e barbaro, tutto case di legno e cani feroci. Al centro sorgeva una fortezza di pietra costruita in modo approssimativo. L’aria era offuscata da volute di fumo azzurrognolo. Il luogo sembrava più una stazione di posta che una vera città. Cinque miglia dietro di essa si intravvedeva la nebbiosa sagoma del Lago Isenstar.

Decisero di accamparsi a due miglia dalla città, per sicurezza. Mentre la cena cuoceva lentamente sul fuoco, Murtagh disse: «Non ritengo opportuno che vada tu a Gil’ead.»

«Perché no? So travestirmi bene» disse Eragon. «e credo che quel Dormand voglia vedere. il gedwey ignasia per assicurarsi che io sia un vero Cavaliere.»

«Può darsi» disse Murtagh. «ma l’Impero vuole te molto più di quanto non voglia me. Se mi catturano, posso sempre provare a fuggire. Se catturano te, ti porteranno dal re, dove verrai condannato a morte lenta per tortura... a meno che non accetti di servirlo. Per giunta. Gil’ead è una delle più grandi guarnigioni dell’esercito: quelle che vedi non sono abitazioni civili, ma caserme. Entrare in città sarebbe come offrirti al re su un piatto d’argento.»

Eragon chiese a Saphira la sua opinione. La dragonessa gli avvolse la coda intorno alle gambe e si accoccolò accanto a lui. Non devi chiederlo a me; mi pare che il suo ragionamento fili. Ci sono cose che posso dirgli, cose che serviranno a convincere Dormand a dargli la sua fiducia. E poi ha ragione: se qualcuno deve rischiare di essere catturato, quello è Murtagh, perché riuscirebbe a sopravvivere.

Eragon si accigliò. Non mi piace l’idea di metterlo in pericolo a causa nostra. «D’accordo» disse a malincuore. «Ma se qualcosa va storto, ti vengo a cercare.»

Murtagh scoppiò a ridere. «L’ideale per una bella leggenda da tramandare: il Cavaliere solitario che sfidò l’intero esercito del re.» Ridacchiò ancora e si alzò. «C’è niente che dovrei sapere prima di andare?»

«Non possiamo riposare e aspettare domattina?» chiese Eragon, riluttante.

«Perché? Più a lungo restiamo qui, maggiori sono le probabilità che ci scoprano. Se questo Dormand è in grado di portarti dai Varden, allora dobbiamo trovarlo il più presto possibile. Nessuno di noi due dovrebbe restare attorno a Gil’ead per più di un paio di giorni.»

Le sue labbra proferiscono sagge parole, commentò Saphira. Disse a Eragon che cos’era necessario riferire a Dormand, e il ragazzo ripetè l’informazione a Murtagh.

«Bene» disse Murtagh, sistemandosi la spada al fianco. «A meno che non sorgano problemi, sarò di ritorno fra un paio d’ore. Mi raccomando, lasciami qualcosa da mangiare.» E con un cenno di saluto montò in sella a Tornac e si allontanò. Eragon si sedette accanto al fuoco, tamburellando nervosamente sul pomello di Zar’roc.

Le ore passarono, ma Murtagh non tornava. Eragon cominciò a camminare intorno al falò, Zar’roc in pugno, mentre Saphira scoccava continue occhiate a Gil’ead, sempre più ombrosa. Soltanto i suoi occhi si muovevano. Nessuno di loro dava voce alle proprie preoccupazioni, anche se Eragon si era lentamente preparato a partire, nel caso che un drappello di soldati fosse uscito dalla città diretto verso il campo.

Guarda, disse Saphira all’improvviso.

Eragon si volse di scatto verso Gil’ead, in allarme. Vide in lontananza un uomo a cavallo che si allontanava in fretta dalla città, galoppando verso l’accampamento. Non mi piace, disse, montando in groppa a Saphira. Tieniti pronta a volare.

Sono pronta a ben altro.

Mentre il cavaliere si avvicinava, Eragon riconobbe Murtagh, chino sul collo di Tornac. Nessuno pareva inseguirlo, eppure non rallentò l’andatura forsennata. Piombò nel campo e saltò giù dal destriero, sguainando la spada. «Che cosa succede?» chiese Eragon.

Murtagh era sconvolto. «Mi ha seguito qualcuno da Gil’ead?»

«Non abbiamo visto nessuno.»

«Bene. Fammi prima mangiare, poi ti spiego. Sto morendo di fame.» Afferrò una scodella e divorò la cena di gusto. Dopo i primi rapidi bocconi, disse a bocca piena: «Dormand ha accettato di incontrarci domattina all’alba, fuori Gil’ead. Se sarà sicuro che sei davvero un Cavaliere e che non gli abbiamo teso una trappola, vi accompagnerà dai Varden.»

«Dove dovremmo incontrarci?» chiese Eragon. Murtagh indicò a est. «Su una piccola collina al di là della strada.»

«Adesso mi racconti che cosa è successo?»

Murtagh prese un’altra cucchiaiata dalla scodella. «Niente di straordinario, ma proprio per questo una cosa mortalmente pericolosa: qualcuno che mi conosce mi ha visto per la strada. L’unica cosa che potevo fare era fuggire, Ma era già troppo tardi: mi ha riconosciuto.»

Un evento increscioso, ma Eragon non riusciva a capire fino a che punto pericoloso. «Dato che non conosco questa persona, ti chiedo; lo dirà a qualcuno?»

Murtagh rise amaro. «Se lo conoscessi, non mi faresti questa domanda. Ha la bocca grande quanto un forno, e sempre aperta per vomitare qualunque cosa gli passi per la testa. La domanda non è se lo dirà a qualcuno, ma a chi lo dirà. Se la notizia raggiunge le orecchie sbagliate, saremo nei guai.»

«Dubito che i soldati vengano a cercarti di notte» osservò Eragon. «Almeno possiamo contare sul fatto che saremo al sicuro fino a domattina, e a quel punto, se tutto va bene, saremo già in. viaggio con Dormand.»

Murtagh scosse il capo. «No, andrete solo voi. Come ho già detto, io dai Varden non vengo.»

Eragon lo guardò, addolorato. Voleva che Murtagh restasse; erano diventati amici durante il viaggio, e non sopportava l’idea di separarsi da lui. Fece per protestare, ma Saphira gli diede un corpetto col muso e disse: Aspetta domattina. Adesso non è il momento.

D’accordo, disse lui, incupito. Parlarono finché le stelle furono alte nel cielo, poi si addormentarono mentre Saphira faceva il primo turno di guardia.

Eragon si destò due ore prima dell’alba, col palmo che gli formicolava. Tutto era tranquillo e silenzioso, ma qualcosa lo turbava, come un prurito della mente. Si legò Zar’roc alla cintura e si alzò. Attento a non fare nessun rumore. Saphira lo guardò curiosa, i grandi occhi splendenti.

Cosa c’è? chiese.

Non lo so, rispose lui. Non vedeva niente di strano.

Saphira fiutò l’aria, sibilò e alzò di poco la testa. Sento odore di cavalli nelle vicinanze, ma non si muovono. Emanano un puzzo disgustoso che non riconosco.

Eragon strisciò accanto a Murtagh e lo chiamò posandogli una mano sulla spalla. Murtagh si svegliò di soprassalto, sfilò un pugnale da sotto le coperte, poi guardò Eragon con aria interrogativa. Eragon gli fece cenno di restare in silenzio e bisbigliò; «Ci sono dei cavalli qui intorno.»

Murtagh sguainò la spada senza dire una parola. Si disposero ciascuno su un lato di Saphira, pronti a difendersi. Mentre aspettavano, la stella del mattino sorse a est. Uno scoiattolo squittì. Poi un improvviso ringhio alle spalle fece voltare Eragon di scatto, con la spada alta. Un grosso Urgali era comparso ai bordi del campo, impugnando un piccone dalla punta malevola. Da dove sono sbucati? Non abbiamo visto le loro tracce da nessuna parte! Pensò Eragon. L’Urgali ruggì e agitò la sua arma, ma non si slanciò all’attacco.

«Brisingr!» ululò Eragon, e lo colpì con la magia. Il muso del mostro si trasformò in una maschera di terrore mentre esplodeva in un lampo di luce azzurra. Il sangue schizzò addosso a Eragon, e una massa scura volò in aria. Alle sue spalle, Saphira lanciò un ululato di allarme e s’impennò, Eragon si voltò. Mentre era occupato con il primo Urgali, un gruppo di mostri gli si era avvicinato di lato. Ci sono cascato come uno sciocco!

L’acciaio cozzò con violenza mentre Murtagh attaccava gli Urgali. Eragon cercò di unirsi a lui, ma venne bloccato da altri quattro mostri. Il primo tentò un affondo di spada contro la sua spalla. Eragon schivò il colpo e uccise l’Urgali con la magia. Ne sgozzò un altro con Zar’roc, piroettò su se stesso e ne uccise un terzo colpendolo al cuore. Il quarto gli si avventò contro roteando una pesante mazza.

Eragon lo vide arrivare e cercò di alzare la spada per parare la mazza, ma fu di un secondo troppo lento. Mentre l’arma si abbatteva sulla sua testa, gridò: «Vola, Saphira!» Un lampo accecante, e perse i sensi.

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