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Il punto che costituiva la scorciatoia cominciò a espandersi, iniziando come una pallina violetta di radiazione Soderstrom ma crescendo inarrestabilmente in un anello color porpora. Il primo oggetto che emerse fu una delle boe antigravitazionali costruite in fretta e furia sulla Starplex, poi ne arrivò un’altra e ancora un’altra. Sfrecciavano nel cielo come pallottole. Fino a un istante prima avevano rimorchiato il cucciolo matos, ma da quando erano emerse dal portale non erano più state trattenute dalla sua massa ed erano partite per la tangente. Ben presto, però, il corpo del cucciolo matos cominciò a emergere, spuntando nel cielo da un anello color porpora.

Sul ponte della Starplex, Thorald Magnor diede l’avvio a un applauso entusiasta, che trovò subito eco in centinaia di altri applausi provenienti da ogni parte della nave, mentre tutti assistevano allo spettacolo da un oblò o da uno schermo.

Occhio di Gatto si spostò verso la scorciatoia insieme con una decina di adulti matos, chiamando a gran voce il piccolo. Dagli altoparlanti del ponte, Phantom trasmise una traduzione di ciò che diceva Occhio di Gatto, anche se molte parole mancavano. Il capo dei matos non limitava il suo vocabolario alle poche centinaia di parole che Rissa e Hek avevano imparato. “Vieni avanti… avanti… verso… tu sei… noi… vieni… corri… non fare… avanti… avanti…”

Rombo stava usando anche gli iperscopi del ponte 1 per monitorare il cucciolo in emersione, ma fino a quel momento il piccolo non aveva trasmesso una sola parola, a meno che non avesse usato una banda lontana da quella dei 21 centimetri.

Lianne Karendaughter scuoteva la testa. «Non compie nessun movimento autonomo» disse. «Deve essere morto.»

Keith serrò i denti con forza. Se era morto, tutti gli sforzi che avevano fatto erano andati a vuoto. «Può darsi che un matos isolato non possa muoversi» disse infine, sforzandosi di convincere tanto Lianne quanto se stesso. «Potrebbero avere bisogno di sfruttare le reciproche forze gravitazionali e repulsive, e il cucciolo potrebbe essere ancora troppo lontano per riuscirci.»

«Avanti» disse Occhio di Gatto. «Avanti… vieni… tu… avanti…»

Keith non era a conoscenza di nessun passaggio così lento attraverso una scorciatoia, in precedenza. Anche se nessuno ne parlava mai, c’era sempre un senso di urgenza quando si passava: attardarsi significava stuzzicare il destino, consentire alla magia di ritrarsi.

Alla fine il cucciolo completò il passaggio e la scorciatoia collassò, anche se dopo qualche istante si riaprì per far passare, una dopo l’altra, varie boe antigravitazionali.

Il piccolo matos si allontanava dall’uscita, ma spinto soltanto dall’inerzia. Non aveva ancora…

«Dove… dove…»

Un’altra voce con accento francese si fece udire. Phantom, con un raro impulso di creatività, aveva scelto per tradurla un’inflessione infantile.

«Casa… torno…»

Thor diede via libera a un fragoroso applauso. «È vivo!»

A Keith si inumidirono gli occhi. Lianne piangeva apertamente.

«È vivo!» gridò ancora Thor.

Il cucciolo matos cominciò finalmente a muoversi e si diresse subito verso Occhio di Gatto e gli altri.

Gli altoparlanti tornarono a trasmettere la voce che Phantom aveva assegnato a Occhio di Gatto. «Da Occhio di Gatto alla Starplex» disse.

Keith premette il pulsante del microfono. «La Starplex risponde» replicò.

La risposta di Occhio di Gatto tardò più di quanto fosse richiesto dal tempo di viaggio del segnale, come se il matos stesse cercando un modo per esprimere ciò che voleva dire con il vocabolario limitato di cui disponeva. Alla fine disse semplicemente: «Siamo amici.»

Sul volto di Keith si allargò un sorriso. «Sì» rispose. «Siamo amici.»

«La vista del piccolo è danneggiata» disse Occhio di Gatto. «Diventerà… uguale a uno, in futuro, ma occorrerà del tempo. Tempo e assenza di luce. La stella verde è brillante; non qui, quando il piccolo è andato.»

Keith annuì. «Potremmo costruire un altro scudo, per proteggere il piccolo dalla luce della stella verde.»

«Altro» disse Occhio di Gatto. «Tu.»

Per un attimo Keith rimase perplesso. «Ah, sì, certo. Lianne, spegni tutte le luci esterne e, dopo avere avvisato l’equipaggio, abbassa tutte le luci nelle stanze che danno sullo spazio. Se vogliono alzarle a un livello normale, di’ loro che prima tirino le tende.»

Sul bel viso di Lianne campeggiava un ampio sorriso. «Provvedo subito.»

La Starplex piombò nel buio e la comunità dei matos avanzò verso la grande nave e verso il bimbo appena ritrovato.


La Rum Runner sbucò dalla scorciatoia, seguita dopo qualche secondo dalla PDQ. Le comunicazioni radio rassicurarono ben presto i loro equipaggi che sulla Starplex tutto andava per il meglio, e le navette fecero manovra per dirigersi ai moli d’attracco. Subito dopo l’atterraggio della Rum Runner, Jag si precipitò sul ponte.


Keith stava ancora parlando con Occhio di Gatto, quando Jag arrivò sul ponte. Il direttore si girò verso il waldahud. «Grazie, Jag. Grazie di cuore.»

Jag fece un cenno di assenso, accettando il ringraziamento.

La voce di Occhio di Gatto risuonò dagli altoparlanti. «Noi a te uno sbaglio» disse.

Un errore, pensò Keith. Ci dicono che abbiamo fatto un errore.

«Tu nel punto che non è un punto non dovevi muovere con alta velocità.»

«Be’, non è andata poi così male» disse Keith, ma in lui parlava il diplomatico. «Grazie a quell’errore abbiamo visto il nostro gruppo di centinaia di milioni di stelle.»

«Noi chiamiamo questo gruppo…» Phantom tradusse il nuovo segnale… “galassia”.

«Avete una parola per definire la galassia?» domandò Keith, sorpreso.

«Esatto. Molte stelle, isolate.»

«Giusto» confermò Keith. «Ebbene, la scorciatoia ci ha portati a sei miliardi di anni luce da qui. Il che significa che abbiamo visto la nostra galassia com’era sei miliardi di anni fa.»

«Comprendiamo il guardare indietro.»

«Ah sì?»

«Sì.»

Keith era impressionato. «Be’, è stato affascinante. Sei miliardi di anni fa, la Via Lattea non aveva la forma che ha adesso. Mmm, immagino che voi non lo sappiate, ma attualmente la galassia ha la forma di una spirale.» Una luce lampeggiò sulla consolle di Keith: Phantom lo informava che aveva usato una parola per la quale non esisteva alcun equivalente matos nel database di traduzione. Keith fece un cenno verso le telecamere di Phantom per indicare che aveva capito. «Una spirale» disse nel microfono «è… è…» Cercò una metafora che avesse un qualche significato: parole come “girandola” non sarebbero state di alcuna utilità con i matos. «Una spirale è…»

Phantom fornì una definizione che comparve su uno dei monitor di Keith. La lesse parlando nel microfono: «Una spirale è il percorso seguito da un oggetto che ruota intorno a un punto centrale allontanandosi da esso a velocità costante.»

«Comprendiamo spirale.»

«Bene. La Via Lattea è una spirale con quattro… voleva dire “bracci”, ma non avrebbe avuto senso per i matos… con quattro parti.»

«Sappiamo questo.»

«Lo sapete?»

«Fatto.»

Keith guardò Jag, che per tutta risposta mosse su e giù le spalle inferiori. Che cosa intendeva dire il matos? Che lui era stato fatto per imparare questo concetto, nell’equivalente della scuola elementare per gli esseri di materia oscura?

«Fatto?» ripeté Keith.

«Un tempo semplice, adesso… adesso… niente parole» disse il matos.

Intervenne Lianne. «Adesso “elegante”» esclamò. «Scommetto che è questa la parola che sta cercando.»

«A guardarla, uno più uno è più grande di due?» domandò Keith, parlando nel microfono.

«Sì, più grande. Più della somma delle parti. La spirale è…»

«È “elegante”» disse Keith. «Più della somma delle parti, dal punto di vista di chi la osserva.»

«Sì» confermò Occhio di Gatto. «Elegante. Spirale è elegante.»

Keith annuì. Non c’era dubbio che le galassie a spirale fossero più interessanti da vedere che non le galassie ellittiche. A Keith faceva piacere che umani e matos avessero concetti estetici simili, ma non era poi troppo sorprendente, dal momento che la maggior parte dei principi dell’arte si basano sulla matematica.

«Sì» disse Keith. «Le spirali sono molto eleganti.»

«È per questo che le facciamo» disse la voce sintetizzata dall’altoparlante.

Keith sentì un tuffo al cuore e vide Jag allargare pensosamente le sedici dita delle sue mani, l’equivalente waldahud di un’improvvisa comprensione.

«Le fate voi?» chiese conferma Keith.

«Affermativo. Spostiamo le stelle… con piccoli rimorchiatori, che impiegano molto tempo. Spostiamo le stelle in nuovi schemi e ci sforziamo di tenerle lì.»

«Avete trasformato la nostra galassia in una spirale?»

«Chi altri avrebbe potuto farlo?»

Già, chi altri…

«È incredibile» mormorò Keith.

Jag si stava alzando dalla sedia. «No, è perfettamente credibile» disse il waldahud. «Per tutti gli dèi, spiega ogni cosa! Ho detto che non esisteva alcuna teoria sensata per spiegare come facessero la galassie ad acquistare, o a mantenere, la forma a spirale. Il fatto che a questo provvedano creature intelligenti fatte di materia oscura è… qualcosa che scuote l’intelletto, ma che è perfettamente credibile.»

Keith spense il microfono. «E le altre galassie? Hai detto che tre quarti di tutte le galassie sono a spirale.»

Jag si esibì nella doppia scrollata di spalle waldahud. «Chiediglielo.»

«Avete trasformato in spirali anche le altre galassie?»

«Non noi. Altri.»

«Voglio dire, altri della vostra razza trasformano le galassie in spirali?»

«Sì.»

«Perché?»

«Guardale. Sono eleganti. Sono… sono… una cosa per esprimersi non matematicamente.»

«Arte» disse Keith.

«Sì, arte» confermò Occhio di Gatto.

Avendo abbandonato la sedia, Jag si lasciò cadere a quattro zampe. Keith non l’aveva mai visto fare una cosa simile. «Dèi» abbaiò in tono sommesso. «Dèi!»

«Be’, questo riempie certamente la lacuna teorica di cui parlavi» commentò Keith. «Spiega perfino un particolare cui hai accennato, il fatto che le galassie antiche sembrino ruotare più rapidamente di quanto prevede la teoria: sono state messe in rotazione artificialmente, perché estroflettessero i bracci della spirale.»

«No, no, no» latrò Jag. «No, non capisci? Non lo vedi? Non si tratta semplicemente del meccanismo di formazione delle galassie che ha finalmente trovato spiegazione. A loro dobbiamo tutto, tutto!» Il waldahud si afferrò a una delle gambe di metallo della consolle di Keith e si tirò in piedi su due gambe. «Te l’ho già detto: molecole geneticamente stabili sarebbero state impossibili in un ammasso di stelle troppo ravvicinate, a causa dei livelli di radioattività. È solo perché i nostri mondi si trovano lontano dal nucleo, all’esterno, nei bracci a spirale, che in essi si è potuta formare la vita. Noi esistiamo… e con noi ogni forma di vita costituita da ciò che arrogantemente chiamiamo “materia normale”… semplicemente perché le creature di materia oscura si sono messe a giocare con le stelle e le hanno spostate in eleganti forme a spirale.»

Thor si era girato a guardare Jag. «Ma le galassie più grandi dell’universo sono ellittiche, non a spirale.»

Jag sollevò le spalle superiori. «È vero. Forse plasmare quelle era uno sforzo troppo grande, oppure richiedeva troppo tempo. Anche disponendo di un sistema di comunicazione più veloce della luce, la radio-due, ci vogliono comunque decine di migliaia di anni perché un segnale giunga da un capo all’altro di una galassia ellittica gigante. Forse è troppo, per uno sforzo di gruppo. Ma per le galassie di media grandezza, come la nostra o Andromeda… be’, qualunque artista predilige una certa scala di grandezza, no? Una tela di certe dimensioni, o magari preferisce le novelle ai romanzi. Le galassie di media grandezza sono la materia prima… e… e “noi” siamo il messaggio.»

Thor faceva cenno di sì con la testa. «Cristo, ha ragione.» Guardò Keith. «Ricordi quel che ha detto Occhio di Gatto quando gli hai chiesto perché aveva tentato di ucciderci? Ha risposto: “Fatto voi. Non fatto voi.” Lo diceva anche mio padre, quando era arrabbiato: io ti ho messo al mondo, ragazzo, e io dal mondo ti posso togliere. Loro lo sanno. I matos sanno che sono state le loro azioni a rendere possibile il nostro tipo di vita.»

Jag stava per perdere nuovamente l’equilibrio. Infine cedette e cadde di nuovo a quattro zampe, in una posizione che lo faceva sembrare un centauro grassoccio. «A proposito di umiliazioni» disse. «Questa è la più grande di tutte. All’inizio, ciascuna delle razze del Commonwealth pensava che il suo mondo fosse al centro dell’universo. Ovviamente non era vero. In seguito abbiamo stabilito attraverso il ragionamento che doveva esistere la materia oscura, e in un certo senso questo è stato ancora più umiliante. Significava, infatti, che non soltanto non eravamo al centro dell’universo, ma che non eravamo nemmeno fatti di ciò che costituiva la maggior parte dell’universo! Siamo come la schiuma sulla superficie di uno stagno che osa pensare di essere più importante di tutta la gran quantità d’acqua che costituisce lo stagno stesso. E ora questo!» La pelliccia gli vibrava per l’emozione. «Ricordi che cosa ti ha risposto Occhio di Gatto quando gli hai chiesto quanto tempo fa è sorta la vita di materia oscura? “Fin dall’inizio di tutte le stelle insieme” ha risposto. Dall’inizio dell’universo.»

Keith annuì.

«Ha detto che loro “dovevano” esistere già allora… dovevano!» La pelliccia di Jag era tutta arricciata. «Io avevo pensato che fosse una posizione filosofica, invece era la verità letterale: la vita doveva esistere fin dall’inizio dell’universo, o almeno da quando ne ha avuto fisicamente la possibilità.»

Keith fissò Jag. «Non capisco.»

«Quanto siamo sciocchi, e arroganti!» esclamò Jag. «Davvero non capisci? Fino a questo giorno, malgrado tutte le umilianti lezioni che l’universo ci ha impartito, ancora ci sforzavamo di riservare a noi un ruolo importante nella creazione. Abbiamo elaborato teorie cosmologiche secondo le quali l’universo era destinato a dare origine a noi, che era obbligato a evolvere una vita come la nostra. Gli umani lo chiamano “principio antropico”, la mia gente lo definisce il principio “aj-waldahudigralt”, ma non fa differenza: non è che il disperato e profondamente radicato bisogno di credere di essere significativi, di essere importanti.

«Nella fisica quantistica si parla del gatto di Schroedinger, o del kestoor di Teg… l’idea che ogni cosa sia fatta di semplici potenzialità, di fronti d’onda, che non prendono consistenza finché qualcuno di noi qualificati osservatori non piomba nei paraggi, crea un picco, e, attraverso il processo dell’osservazione, provoca il collasso del fronte d’onda. Noi in realtà consentiamo a noi stessi di credere che l’universo funziona davvero così… anche se sappiamo benissimo che l’universo ha miliardi di anni e nessuna delle nostre razze è qui da più di un milione di anni.

«Sì» abbaiò Jag «la fisica quantistica richiede osservatori qualificati. Sì, è necessaria l’intelligenza per determinare quali potenzialità diventano realtà. Ma nella nostra arroganza abbiamo pensato che l’universo potesse funzionare per 15 miliardi di anni senza di noi, e che tuttavia fosse stato congegnato chissà come per dare origine proprio a noi. Quale hubris! Gli osservatori intelligenti non siamo noi… piccole creature isolate su un manipolo di mondi nell’immensa vastità dello spazio. Gli osservatori intelligenti sono gli esseri di materia oscura. Per miliardi di anni hanno messo in rotazione le galassie, dando loro una forma a spirale. Sono il loro intelletto, le loro osservazioni, la loro consapevolezza che guidano l’universo, che danno realtà concreta alle potenzialità quantistiche. Noi siamo ‘niente’… nient’altro che un fenomeno recente, locale, un granello di polvere in un universo che non ha bisogno di noi e che non si cura della nostra esistenza. Occhio di Gatto aveva assolutamente ragione quando ha detto che siamo insignificanti. Questo è il ‘loro’ universo, l’universo dei matos. Loro l’hanno fatto, e hanno fatto anche noi!»

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