6

Keith si passò una mano sulla pelata e si appoggiò allo schienale, guardando l’ologramma del panorama stellato che avviluppava il ponte. Fino al rapporto di Jag non c’era granché da fare. Rissa era ancora giù a lavorare con Carro Merci, e il turno alfa stava per smontare. Keith espirò, forse troppo rumorosamente. In quel momento Rombo mosse le ruote verso il computer del direttore, per parlare con lui. Sul mantello dell’ib le luci cominciarono a lampeggiare. «Irritato?» chiese la voce tradotta.

Keith annuì.

«Jag?» domandò l’ib.

Keith annuì di nuovo.

«Con la massima cortesia, faccio notare che non è così male» commentò Rombo. «Per essere un waldahud, è notevolmente garbato.»

Keith fece un cenno verso la parte del cielo stellato che celava la porta da cui Jag era uscito. «È troppo… competitivo. Combattivo.»

«Sono tutti così» osservò Rombo. «Almeno i maschi. Hai passato molto tempo su Rehbollo?»

«No. Benché fossi presente durante il primo contatto tra umani e waldahudin, ho sempre pensato che per me fosse preferibile stare lontano da Rehbollo. Ho in me ancora molta rabbia, credo, per la morte di Saul Ben-Abraham.»

Rombo rimase in silenzio per alcuni secondi, forse per assimilare l’informazione. Poi la sua rete tornò a incresparsi di luci. «Il nostro turno è terminato, amico Keith. Mi concederesti nove minuti del tuo tempo?»

Keith scrollò le spalle e si alzò. Disse, rivolgendosi ai presenti: «Avete fatto tutti un ottimo lavoro, grazie.»

Lianne si girò, facendo ondeggiare i capelli color platino, e rivolse a Keith un sorriso. Keith e Rombo imboccarono il corridoio gelido, le ruote dell’ib accanto ai piedi dell’umano.

Anche un paio di smilzi robot percorrevano il corridoio. Uno portava un vassoio di vivande, l’altro stava passando l’aspirapolvere sul pavimento. Dentro di sé Keith li aveva battezzati robocop: Robot Camerieri Onnipresenti di Phantom… ma i waldahudin avrebbero dato in escandescenze alla sola idea che la terminologia della Starplex comprendesse acronimi che contenevano altri acronimi.

Oltre la vetrata sulla parete del corridoio Keith vide uno dei tubi di accesso verticali per i delfini, formati da cilindri d’acqua alti un metro e intervallati da strati d’aria di dieci centimetri, tenuti fermi da campi di forza. I tratti d’aria impedivano alla pressione dell’acqua di crescere con l’altezza del tubo. Proprio mentre guardava, un delfino risalì il tubo nuotando.

Keith guardò Rombo. Le sue luci lampeggiavano tutte all’unisono. «Che c’è da ridere?» domandò Keith.

«Niente» rispose l’ib.

«Dai, dimmelo.»

«Stavo solo pensando a una barzelletta che Thor ha raccontato oggi. Quanti waldahudin ci vogliono per cambiare una lampadina? Riposta: cinque… e ognuno dice che è merito suo.»

Keith aggrottò la fronte. «Lianne ti ha raccontato la stessa barzelletta qualche settimana fa.»

«Lo so» ribatté Rombo. «E ho riso anche allora.»

Keith scosse il capo. «Non capirò mai come facciate voi ib a continuare a ridere per le stesse cose.»

«Se potessi mi gratterei la testa» ribatté Rombo. «Lo stesso quadro è bello ogni volta che lo si guarda. Lo stesso piatto è gustoso ogni volta che lo si mangia. Perché la stessa barzelletta non dovrebbe essere divertente ogni volta che la si ascolta?»

«Non lo so» rispose Keith. «Ma sono felice che tu abbia smesso di ripetere quella stupida battuta, “questo non è il semiasse, è il mio tubo digerente”, ogni volta che mi vedevi. Era sempre più irritante.»

«Mi spiace.»

Per un po’ proseguirono lungo il corridoio in silenzio, poi: «Sai, buon Keith, è molto più facile comprendere i waldahudin dopo che si è trascorso un po’ di tempo sul loro mondo.»

«Ah sì?»

«Tu e Clarissa siete sempre stati felici insieme, se mi è consentito farlo notare. Noi ib non godiamo di tale intimità con altri individui: mescoliamo il materiale genetico tra i nostri stessi componenti anziché legarci a un compagno. Oh, certo, io traggo conforto dagli altri miei componenti… le ruote, per esempio, non sono senzienti ma hanno un’intelligenza pari a quella di un cane terrestre. Il rapporto che ho con loro è per me fonte di grande gioia. Ma mi rendo conto che la relazione esistente tra voi è qualcosa di molto, molto più grande. Io la comprendo solo vagamente, ma sono certo che Jag l’apprezza. Anche i waldahudin, dopo tutto, hanno due sessi come gli umani.»

Keith non capiva dove volesse andare a parare, ma, soprattutto, si chiedeva se Rombo non facesse troppo affidamento sulla loro amicizia. «E allora?»

«I waldahudin hanno due sessi, ma non un numero equivalente di membri dei due sessi. Ci sono addirittura cinque maschi per ogni femmina» continuò l’ib. «Malgrado questa sproporzione, sono una razza monogama e le coppie durano per tutta la vita.»

«L’ho sentito dire.»

«Ma hai considerato le conseguenze?» domandò l’ib. «Significa che quattro maschi su cinque finiscono per non avere una compagna… e per essere esclusi dal pool genetico. Forse tu hai dovuto allontanare qualche pretendente quando eri alla conquista di Clarissa, o forse lei ha dovuto allontanare qualche donna che voleva conquistare te; ti prego di perdonarmi, non ho idea di come funzioni questa faccenda. Immagino però che per tutti i contendenti fosse un conforto sapere che per ogni maschio c’è una femmina e viceversa. È vero, gli accoppiamenti non sempre si concludono come si desidererebbe, ma ci sono buone probabilità che ogni uomo trovi una donna e viceversa… oppure un compagno del suo stesso sesso, se così preferisce.»

Keith fece spallucce. «Direi di sì.»

«Per il popolo di Jag, invece, le cose non stanno così. Le femmine detengono il potere assoluto nella loro società. Ognuna di loro viene “corteggiata”, credo sia la parola giusta, da cinque maschi, ed è la femmina, quando all’età di trent’anni raggiunge l’estro, a scegliere il proprio compagno tra i cinque che hanno passato i venticinque anni precedenti a competere per le sue attenzioni. Lo sai qual è il nome completo di Jag?»

Keith si sforzò di ricordare. «Jag Kandaro em-Pelsh, giusto?»

«Sì. Sai da dove deriva?»

L’uomo scosse la testa.

«Kandaro è un luogo» spiegò Rombo. «Per la precisione è la provincia cui fa capo la stirpe di Jag. E Pelsh è il nome della femmina al cui entourage lui appartiene. Ora come ora, lei ha un certo potere a Rehbollo. Non soltanto è una famosa matematica, ma è anche nipote della regina Trath. Ho incontrato personalmente Pelsh nel corso di una conferenza. Ha fascino, intelligenza, ed è circa due volte più grossa di Jag, come tutte le femmine waldahudin.»

Keith contemplò un’immagine mentale, ma non disse nulla.

«Capisci?» lo esortò Rombo. «Jag deve lasciare il segno. Deve distinguersi dagli altri quattro maschi del suo entourage se vuole essere scelto. Tutto ciò che fa un waldahud maschio prima dell’accoppiamento è diretto a mettere in evidenza se stesso. Jag è venuto sulla Starplex per cercare una gloria sufficiente a conquistare l’affetto di Pelsh… e questa gloria ha intenzione di trovarla a qualunque costo.»


Quella notte, a letto, Keith era sdraiato sulla schiena.

Da una vita aveva difficoltà a dormire… nonostante seguisse tutti i consigli che la gente gli dava da anni. Non prendeva bevande contenenti caffeina dopo le sei di sera. Aveva chiesto a Phantom di trasmettere rumori di statica dagli altoparlanti del letto, per soffocare l’occasionale russare di Rissa. E benché ci fosse un orologio digitale incastonato nel comodino, provvedeva a coprirne il display con un quadretto di plasticarta che infilava in una scanalatura del legno. Avere sempre sottocchio l’orologio e preoccuparsi perché era tardi, perché rimaneva sempre meno tempo per dormire prima che venisse il mattino, era controproducente. È vero che poteva sempre alzarsi per vedere l’ora, o allungarsi e piegare all’ingiù la plasticarta anche senza uscire dalle coperte, se ne avesse avuto la curiosità, ma quell’accorgimento funzionava quasi sempre.

Ma non quella notte.

Quella notte continuava a muoversi e rigirarsi.

Quella notte rivisse l’incontro in corridoio con Jag.

Jag, un nome perfetto per un bastardo.

Keith si girò sul fianco sinistro.

In quel periodo Jag teneva una serie di seminari di aggiornamento professionale per i membri dell’equipaggio che volevano imparare un po’ di fisica. Rissa teneva seminari simili per chi voleva imparare un po’ di biologia.

Keith era sempre stato affascinato dalla fisica. Anzi, quando per il primo anno di università aveva scelto un indirizzo scientifico, aveva seriamente pensato di diventare un fisico lui stesso. Tutti quei fantastici concetti, come il principio antropico, secondo il quale l’universo era “obbligato” a generare vita intelligente. E il gatto di Schroedinger, un esperimento mentale per dimostrare che l’atto di osservare dava forma alla realtà. E tutte quelle splendide contorsioni e giravolte delle teorie di Einstein sulla relatività ristretta e generale.

Keith amava Einstein… lo amava per la sua mescolanza di umanità e intelletto, per la sua capigliatura scomposta, per il suo tentativo da cavaliere errante di rimettere in bottiglia il genio nucleare che lui stesso aveva evocato. Anche quando decise di scegliere sociologia come filone principale dei suoi studi, Keith tenne appeso sopra il suo letto un poster del grande vecchio della fisica. Gli sarebbe piaciuto partecipare a qualche seminario di fisica… ma non con Jag. La vita era troppo breve per rovinarsela così.

Pensò a quello che aveva detto Rombo sulla vita familiare dei waldahudin e gli vennero in mente Rosalind, sua sorella maggiore, e Brian, suo fratello minore.

In un certo senso, Roz e Brian avevano contribuito a plasmarlo non meno del suo corredo genetico. Grazie alla loro esistenza lui era stato un figlio di mezzo. E i figli di mezzo sono costruttori di ponti, tentano sempre di fare collegamenti, di avvicinare i gruppi. Era a Keith che toccava sempre organizzare le feste di famiglia, come quelle per l’anniversario di matrimonio o per i compleanni dei genitori, o il raduno natalizio del clan. Ed era stato lui a organizzare l’incontro del ventennale con i compagni di liceo, era lui che dava ricevimenti a casa per i colleghi di altre città in visita all’università, o che aiutava i gruppi multiculturali ed ecumenici. E, per finire, aveva passato la maggior parte della sua vita professionale a operare perché il Commonwealth diventasse un’entità politicamente solida, in grado di camminare con le sue gambe: quello era stato l’ultimo ponte.

Roz e Brian non si preoccupavano se qualcuno li apprezzava o no, se c’era o no la pace tra le varie parti, se c’era comunicazione, se la gente andava d’accordo.

Probabilmente Roz e Brian dormivano benissimo.

Keith si girò a pancia in su, con un braccio dietro la testa.

Forse non era possibile. Forse umani e waldahudin non potevano andare d’accordo. Forse erano troppo diversi. O troppo simili. Oppure…

“Cristo” pensò Keith “smettila. Falla finita.”

Allungò un braccio, piegò all’ingiù la plasticarta e guardò le lucenti cifre rosse.

“Accidenti.”


Ora che avevano raccolto i campioni di quello strano materiale toccava a Jag e a Rissa, in qualità di responsabili delle due divisioni scientifiche, stabilire un progetto di ricerca. Il passo successivo sarebbe dipeso ovviamente dalla natura dei campioni. Se non avessero avuto nulla di eccezionale, allora la Starplex avrebbe continuato la ricerca delle creature che avevano attivato la scorciatoia… una missione che dava la priorità alle scienze biologiche. Se invece lo strano materiale si fosse dimostrato straordinario, Jag avrebbe sostenuto che era dovere della Starplex rimanere lì per studiarlo e l’équipe di Rissa avrebbe preso uno dei due vascelli diplomatici della Starplex, il Nelson Mandela o il Kof Dagrelo em-Stalsh, per continuare la ricerca.

Il mattino seguente Jag accese l’intercom e contattò Rissa nel suo laboratorio, comunicandole che desiderava vederla. Poteva significare una cosa sola: Jag voleva sferrare un attacco preventivo sulle priorità della missione. Rissa si preparò alla battaglia con un respiro profondo, e si diresse all’ascensore.


L’ufficio di Jag aveva la stessa disposizione di quello di Rissa, ma era stato decorato (se si può usare questa parola) secondo i dettami dell’arte-di-fango waldahud. Di fronte alla scrivania c’erano tre diversi modelli di multisedia. I waldahudin, infatti, disprezzavano ciò che era prodotto in serie: avendone di tre tipi, Jag poteva almeno dare l’impressione che ciascuna fosse un pezzo unico. Rissa sedette sulla multisedia di mezzo e fissò il waldahud in attesa oltre l’ampia, dolorosamente vuota, scrivania. «Veniamo al dunque» disse. «Ormai devi avere analizzato i campioni prelevati ieri. Di che cosa sono fatte le sfere?»

Il waldahud scrollò tutte e quattro le spalle. «Non lo so. Una piccola percentuale delle sostanze raccolte è banale spazzatura cosmica: granelli di carbonio, atomi di idrogeno e così via. Ma il componente principale sfugge a ogni analisi. Per esempio non brucia nell’ossigeno, né in alcun altro gas e, per quanto posso affermare, è totalmente neutro dal punto di vista elettrico. Ho provato di tutto, ma sembra impossibile strappare elettroni da quegli atomi e ottenere nuclei carichi positivamente. Adesso ci sta dando un’occhiata anche Delacorte, su al laboratorio chimico.»

«E la ghiaia tra le sfere?» domandò Rissa.

Il latrato di Jag aveva un’intonazione diversa dal solito. «Lo vedrai tu stessa» rispose. Uscirono insieme dall’ufficio e percorsero il corridoio che portava a una delle camere d’isolamento. «Ecco i campioni» disse, indicando con il braccio mediano un cubo di un metro di lato, con la faccia frontale trasparente.

Rissa guardò oltre il vetro e aggrottò le sopracciglia. «Quello più grande… ha la base piatta?»

Jag scrutò a sua volta con attenzione. «Per gli dèi…»

Il grande pezzo ovoidale di materia era sprofondato quasi per metà nel pavimento del cubo, tanto da avere ormai l’aspetto di una cupola. Guardando più da vicino, Jag si accorse che anche alcuni dei ciottoli più piccoli avevano iniziato a sprofondare. Li indicò col primo dito della mano superiore sinistra, mentre contava i frammenti. Sei erano scomparsi, probabilmente già completamente sprofondati nel pavimento del cubo. Ma senza lasciare alcun buco.

«Sta cadendo attraverso il pavimento» disse Jag. Guardò in su. «Computer centrale!»

“Sì?” rispose Phantom.

«Voglio gravità zero nella camera dei campioni. Immediatamente!»

“Eseguo.”

«Bene. No… aspetta! Ordine modificato: voglio cinque G standard là dentro, ma l’attrazione deve partire dal soffitto, non dal pavimento. Chiaro? La gravità deve far cadere gli oggetti dal basso verso l’alto.»

“Eseguo” disse Phantom.

Rissa e Jag rimasero a guardare, affascinati, la forma ovoidale risalire dal fondo del cubo. Prima che fosse completamente riemerso, altri ciottoli zampillarono dal pavimento e caddero verso il soffitto. Quando lo colpirono, l’effetto non fu quello prevedibile: anziché rimbalzare, si comportarono come sassi che affondano nel catrame.

«Computer, fai oscillare la gravità finché tutti gli oggetti non saranno emersi dal pavimento o dal soffitto, poi passa a zero G e lascia i campioni a fluttuare nella camera.»

“Eseguo.”

«Accidenti, è incredibile» esclamò Rissa. «Quella roba passa attraverso la materia solida.»

Jag sbuffò. «I primi campioni che abbiamo tentato di raccogliere devono essere sfuggiti dalle pareti delle sonde sotto la spinta dell’accelerazione verso la Starplex.»

Continuando a invertire dal soffitto al pavimento e viceversa l’apparente sorgente di gravità nella camera, alla fine Phantom riuscì a far fluttuare tutti i ciottoli al centro del cubo. Ma a Jag si rizzò il pelo quando vide che cosa accadeva se due frammenti si avvicinavano: si aspettava di vederli rimbalzare in direzioni opposte dopo l’impatto, invece cambiarono direzione pochi millimetri prima di toccarsi.

«Magnetismo» suggerì Rissa.

Jag mosse le spalle inferiori. «No, non può esserci azione magnetica… non ci sono cariche elettriche.»

Nel cubo c’erano quattro bracci articolati, capaci di emettere raggi trattori e Jag li usò tutti insieme controllandoli ciascuno con una mano. Ne impiegò una coppia per bloccare un pezzo di ghiaia traslucida di un centimetro di diametro, e l’altra per trattenere un altro pezzo di eguale grandezza. Poi manovrò i comandi per farli muovere uno verso l’altro. Tutto andò bene finché i frammenti non furono vicinissimi ma, a quel punto, per quanto aumentasse l’energia dei raggi trattori, non riuscì a farli avvicinare ulteriormente. «Sorprendente» disse. «C’è qualche forza che li respinge… una forza repulsiva non magnetica. Non ho mai visto niente del genere.»

«Dev’essere questo a impedire che la nebbia di ghiaia si fonda in una massa unica» suggerì Rissa.

Jag scrollò le spalle superiori. «Può essere. L’effetto complessivo è che i granelli di ghiaia tra le sfere sono tenuti insieme dalla gravità, ma non possono ammassarsi più di così.»

«Allora che cosa tiene insieme i ciottoli? Perché la forza repulsiva non li fa a pezzi?»

«Il legame interno dev’essere chimico. Suppongo che in origine si siano formati in condizione di enorme pressione… dev’essere stata la pressione a sconfiggere la repulsione che abbiamo appena osservato. Una volta legati gli atomi restano vicini, ma ci vorrebbe una forza enorme per raggruppare più ciottoli.»

«Ehi» disse Rissa. «Sai che cosa penso?»

I quattro occhi di Jag si spalancarono. «Gli Sbattiporta! Abbiamo visto cos’hanno fatto a una sonda… Se rivolgessero le loro armi contro un mondo, forse il risultato sarebbe questo: vere macchine dell’apocalisse, che non soltanto distruggono il pianeta ma attivano una forza che impedisce ai frammenti di rimettersi insieme.»

«E adesso c’è una scorciatoia aperta, che porta da qui ai mondi del Commonwealth. Se la imboccassero…»

In quel momento sulla parete di Jag risuonò un bip, e vi apparve la faccia rugosa di Cynthia Delacorte. «Jag, devo proprio… oh, ciao, Rissa. Jag, volevo ringraziarti per avermi mandato quei campioni. Lo sai che affondano nella materia normale?»

Jag alzò le spalle superiori. «Incredibile, vero?»

Cynthia annuì. «Puoi dirlo forte. Quella roba non è normale materia barionica. E non è neppure antimateria, ovviamente, altrimenti avremmo già fatto un bel botto. Ma mentre i normali protoni e neutroni sono composti da quark up e down,questa materia è fatta di quark opachi e lucidi.»

Il pelo di Jag fremette per l’eccitazione. «Davvero?»

«Non ho mai sentito parlare di questo tipo di quark» intervenne Rissa.

Jag sbuffò come se fosse infastidito dalla sua stupidità, ma Cynthia annuì. «Dal Ventesimo secolo l’umanità conosce sei “sapori” di quark: up,down,strange,charm,bottom e top. In effetti, sei era il massimo consentito dal vecchio modello standard della fisica, così smettemmo di cercarne altri. Il che si rivelò un grosso errore.» Indicò Jag con lo sguardo. «Anche i waldahudin avevano scoperto soltanto sei sapori. Ma quando incontrammo gli ib venimmo a sapere che ce n’erano altri due, che ora indichiamo come i due gradi opposti della lucentezza: opaco e lucido. Non si possono ottenere in alcun modo da collisioni tra particelle di materia normale, ma gli ib hanno compiuto un’impresa unica estraendo materia dalle fluttuazioni quantistiche. I loro esperimenti hanno prodotto di tanto in tanto quark con lucentezza, o quark lucenti, ma soltanto a temperature molto, molto elevate. Ciò che abbiamo trovato qui è il primo esempio di materia fatta di quark lucenti.»

«Incredibile!» esclamò Jag. «Hai notato che questa fardint roba non ha nessuna carica? Come sì spiega?»

Cynthia Delacorte annuì, e guardò Rissa. «Gli elettroni hanno carica negativa pari a uno, i quark up hanno carica positiva pari a due terzi e i quark down hanno carica negativa pari a un terzo. I neutroni sono composti da due quark down e un quark up,che danno in totale una carica zero. I protoni contengono invece un down e due up,per una carica totale di più uno. Poiché gli atomi hanno un numero uguale di protoni e di elettroni, sono complessivamente neutri.»

Rissa sapeva che quella spiegazione era a suo esclusivo beneficio. Guardò la faccia di Cynthia sulla parete e fece un cenno di assenso per incoraggiarla a continuare.

«Be’, questa materia quark-lucente è composta di quelli che io chiamerei para-neutroni e para-protoni. I para-neutroni sono fatti di due quark lucidi e uno opaco, mentre i para-protoni contengono una coppia di opachi e un lucido. Né i lucidi né gli opachi mostrano però un qualsivoglia tipo di carica… ed è per questo che il nucleo è sempre elettricamente neutro, comunque sia composto. Senza un nucleo positivo non c’è nulla che attragga le cariche negative degli elettroni, quindi un atomo quark-lucente è composto dal solo nucleo: non ha gusci elettronici orbitanti. Ne consegue che la materia lucente non è semplicemente neutra dal punto di vista elettrico, ma è anelettrica: è immune a qualunque interazione elettromagnetica.»

«Dèi» esclamò Jag. «Questo spiegherebbe perché affonda negli oggetti solidi. Probabilmente sarebbe passata del tutto inosservata se non fosse stato per i granelli di carbonio e dell’idrogeno che la inquinano, e… ma certo! Questo spiega anche perché la vediamo. Se fosse fatta esclusivamente di atomi quark-lucenti sarebbe invisibile, perché la riflessione e l’assorbimento della luce dipendono entrambi da cariche in vibrazione. Ciò che vediamo è soltanto la polvere interstellare imprigionata dalla gravità dentro la materia lucente, come sabbia in gelatina.» Guardò lo schermo a parete. «D’accordo, non interagisce elettromagneticamente. E le forze nucleari?»

«Sente sia la forza nucleare forte sia quella debole» rispose Cynthia. «Ma sono entrambe forze a breve raggio e non credo che potremo usarle per studiare come interagisce con la materia convenzionale, se non a pressioni e temperature incredibilmente alte.»

Jag restò un attimo in silenzio, immerso nelle sue riflessioni. Quando tornò a parlare, i suoi latrati furono sommessi. «È incredibile» commentò. «Sapevamo che l’arma degli Sbattiporta può rompere i legami chimici, ma l’idea che possa trasformare la materia convenzionale in materia quark-lucente è…»

«L’arma degli Sbattiporta?» lo interruppe Cynthia Delacorte, inarcando le sopracciglia grigie. «Credi che possa avere un effetto simile? No, ne dubito. Ci vorrebbero migliaia di anni per staccare dalle sfere tutta quella polvere. La mia ipotesi è che ci troviamo di fronte a un fenomeno naturale.»

«Naturale…» disse Jag, ripetendo il latrato appena uscito dal suo impianto di traduzione. «Affascinante. E cosa puoi dire degli effetti gravitazionali?»

«Dunque, la massa dei quark lucenti è circa 716 volte quella dell’elettrone, il che equivale a circa il 18 per cento in più di quella dei quark up e down. Di conseguenza un atomo quark-lucente ha un po’ più massa, e dunque genera un po’ più gravità, rispetto a un atomo normale con lo stesso numero di nucleoni. Ma che sia dannata se so come fanno questi quark-lucenti a interagire chimicamente l’un con l’altro.»

Jag stava passeggiando avanti e indietro. «Va bene» disse. «Va bene… riflettiamo su questo. Immaginiamo che ci siano due forze ancor più fondamentali delle quattro tradizionali. Tutto sommato, fin da quando il vecchio modello standard è crollato siamo tutti in cerca di forze aggiuntive. Diciamo che ce n’è una repulsiva e a lungo raggio… Io e Cervantes l’abbiamo già vista al lavoro quando abbiamo cercato di raggruppare i frammenti di ghiaia con i raggi trattori. L’altra forza dovrebbe essere a medio raggio e attrattiva.»

«Questo che cosa dovrebbe dirci?» domandò Delacorte.

«Be’, la chimica che conosciamo è il risultato della sovrapposizione orbitale di elettroni che circondano nuclei carichi» spiegò Jag. «In questa materia nulla di tutto ciò può valere. Però se la forza attrattiva a medio raggio fosse più intensa della forza nucleare debole, potrebbe funzionare più o meno come una pseudo-carica, rendendo possibile una specie di pseudo-chimica. Potrebbe per esempio legare gli atomi senza ricorrere all’elettromagnetismo. Nello stesso tempo, la forza repulsiva a lungo raggio respingerebbe reciprocamente i quark-lucenti, e verrebbe sopraffatta dalla gravità soltanto al raggiungimento di una densità di massa sufficiente. Proprio come quando la gravità schiaccia insieme elettroni e protoni finendo per creare una stella di neutroni, contro tutti gli sforzi fatti dagli elettroni per rimanere fuori dagli orbitali altrui.» Fissò Rissa. «Questo significa che la pseudo-chimica è in grado di condurre reazioni abbastanza complesse a livello molecolare, ma anche che a livello macroscopico la materia quark-lucente può costituire soltanto strutture grandi come pianeti, le uniche che abbiano abbastanza gravità da contrastare la forza repulsiva.»

Cynthia sembrò impressionata. «Se davvero sei riuscito a capire come funziona questa sostanza, vincerai di sicuro il Nobel di Kayf-Dukt. È difficile crederlo… una materia completamente diversa, che interagisce solo debolmente con quella…»

«Pastark!» abbaiò Jag. «Per tutti gli dèi, ma lo sapete che cose?» la sua pelliccia sbatacchiava come frumento in un uragano.

«Diccelo tu» disse alla fine Rissa, irritata.

«Non dovremmo chiamarla “materia quark-lucente”» declamò Jag. «Questa sostanza ha già un nome perfetto, e ben conosciuto.» Guardò l’immagine di Cynthia con i due occhi destri, e Rissa con i due sinistri. «Materia oscura!»

«Buon Dio!» esclamò Cynthia. «Credo che tu abbia ragione.» Scosse la testa, stordita dalla meraviglia. «Materia oscura.»

«Proprio così» ululò Jag. «Riempie la maggior parte del nostro universo, eppure non abbiamo mai saputo che cosa fosse. Questa è la scoperta del secolo!» Chiuse tutti e quattro gli occhi, contemplando la gloria.

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