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C’era voluto molto tempo agli umani per decifrare il linguaggio dei delfini. Quando infine ci erano riusciti, avevano scoperto che i nomi delfinesi corrispondevano ai sonargrammi dei singoli delfini, ma con le caratteristiche fisiche più insolite esagerate. Fu per questo che nessuno si sorprese quando si scoprì che l’unica forma d’arte umana apprezzata dai delfini erano le vignette di satira politica.

Uno dei migliori piloti di nave-sonda della Starplex era un delfino chiamato dagli umani Lunga Bottiglia… un ben misero sostituto per la sinfonia di trilli e schiocchi che i suoi compagni percepivano come una caricatura che enfatizzava il suo poderoso muso allungato.

La nave-sonda preferita da Lunga Bottiglia era la Rum Runner, un cuneo bronzeo lungo venti metri e largo dieci. Un serbatoio pieno d’acqua era situato lungo l’asse della nave, mentre a destra e a sinistra c’erano ambienti riempiti d’aria che si congiungevano a U sul retro, separati da un portello stagno. La sezione di babordo era di norma regolata sugli standard umani, quella di tribordo si conformava alle preferenze dei waldahudin.

Per pilotare il vascello, Lunga Bottiglia si serviva di sensori fluttuanti agganciati alla coda e alle pinne pettorali. La nave era dotata di centinaia di razzi di controllo-bilanciamento che le consentivano di muoversi mimando i movimenti del delfino nel serbatoio centrale. Una tecnica simile richiedeva un esagerato dispendio di carburante, al punto che i waldahudin avevano rifiutato di partecipare alle gare d’appalto per la costruzione di quei vascelli. Contemporaneamente, però, consentiva una grande manovrabilità e, secondo Lunga Bottiglia, un’assoluta gioia di volare.

Benché la Rum Runner potesse restare lontano dalla Starplex fino a quattro settimane consecutive, l’attuale missione non sarebbe durata più di un giorno, e l’equipaggio sarebbe stato composto soltanto da Lunga Bottiglia e da Jag.

La Rum Runner era di solito ormeggiata nel molo d’attracco 7, uno dei cinque collegati al ponte oceano attraverso il toroide ingegneria. La nave era agganciata alla parete del ponte, dalla quale tre tubi guidamassa leggermente inclinati si allungavano fino ai boccaporti del soffitto.

Non appena Jag e Lunga Bottiglia furono a bordo, il loro segmento del molo d’attracco si mosse verso l’alto. Lunga Bottiglia, famoso per i suoi lanci teatrali, non si smentì: fece sfrecciare la nave sopra il molo, poi si mise a ruotare e inarcarsi nel serbatoio, guidando in un volo mozzafiato la Rum Runner attraversò tutti i boccaporti, lungo un ampio cerchio intorno al disco centrale. Poi ruotò su un fianco nel serbatoio, e la nave si inclinò in modo simile a un’auto che prende una curva sulle due ruote laterali.

Jag era sempre più impaziente ma Lunga Bottiglia, come tutti i delfini, non ci badava. Fece una serie di giravolte e di guizzi nel serbatoio, e la nave reagì di conseguenza. Le piastre gravitazionali sotto il compartimento di Jag compensavano tutti quei movimenti, ma nel suo tubo pieno d’acqua Lunga Bottiglia sentiva la nave come un’estensione del suo corpo.

Alla fine, quando si fu divertito abbastanza, il delfino impostò una rotta fortemente incurvata: un ennesimo spreco di energia, ma molto più interessante delle linee rette e degli archi ellittici della normale meccanica celeste.

La stella verde dominava il cielo, anche se adesso la sua superficie era a trenta milioni di chilometri di distanza. Comunque, la Rum Runner aveva schermi di forza e scudi fisici molto più efficaci che non quelli della stessa Starplex: avrebbe potuto avvicinarsi parecchio. Sotto la gioiosa guida di Lunga Bottiglia, la nave si tuffò, rasentando l’immenso globo a soli centomila chilometri dalla fotosfera, mentre la draga sul bordo anteriore della nave risucchiava campioni di atmosfera stellare.

«Di questa stella il colore è per me una vera perplessità» disse Lunga Bottiglia attraverso l’idrofono del serbatoio. Come quasi tutti i delfini, Lunga Bottiglia era in grado di riprodurre in modo approssimativo tanto le parole inglesi quanto quelle waldahudar (benché con una sintassi zoppicante: nella grammatica dei cetacei non esisteva il concetto di un ordine preciso delle parole nelle frasi). Il computer si limitava dunque a elaborare quelle parole per renderle intelligibili, e provvedeva a tradurre soltanto se un delfino cominciava a esprimersi in delfinese.

Jag sbuffò. «Anch’io sono stupito. La temperatura della superficie è di 12 mila gradi. Quel fardint oggetto dovrebbe essere azzurro o bianco, non certo verde. E nemmeno l’analisi spettrale ha senso. Non ho mai visto una tale concentrazione di elementi pesanti in una stella.»

«Dal passaggio nella scorciatoia danneggiata forse?» domandò Lunga Bottiglia, roteando nel serbatoio in modo che la nave ruotasse lentamente sul proprio asse. Anche con il supplemento di schermatura non era conveniente rivolgere alla stella sempre lo stesso lato.

Jag sbuffò ancora. «Penso che sia possibile. Gran parte della cromosfera e della corona le sono state probabilmente strappate durante il passaggio. Gli orli della scorciatoia potrebbero essersi modellati sulla forma della fotosfera, raschiando via i gas rarefatti sovrastanti. Eppure, gli esperimenti condotti finora non hanno mai messo in luce alcun cambiamento strutturale negli oggetti passati attraverso una scorciatoia. Anche se, prima d’ora, non era mai passato niente di così grande.»

Gli schermi della Rum Runner erano pieni fino all’orlo di fiammeggiante luce verde. I veri oblò erano stati tutti oscurati. «Fai un altro giro intorno all’equatore» disse Jag «e poi un’orbita polare. C’è la possibilità che la struttura della stella non sia uniforme. Prima di rompermi la testa su queste righe di assorbimento voglio essere sicuro che lo spettro sia uguale dappertutto.»

Ci vollero quasi cinque ore a un millesimo della velocità della luce, per completare il tragitto di cinque milioni di chilometri intorno all’equatore, e altri cinque per orbitare da polo a polo. Per tutto il tragitto Lunga Bottiglia mantenne il moto di avvitamento della Rum Runner. Jag aveva gli occhi incollati ai suoi sensori, e fissava le nere linee di assorbimento verticali. Continuava a borbottare tra sé “Limo nell’acqua, limo nell’acqua”, una frase dal significato oscuro.

Jag non ebbe difficoltà a misurare la massa della stella sulla base dell’impronta che essa lasciava nell’iperspazio: era molto più grande di quel che si aspettava. Colore a parte, la superficie della stella era perfettamente convenzionale: consisteva di grani più chiari e più scuri, fittamente raggruppati, dovuti alle correnti di convezione nella fotosfera. C’erano perfino le macchie solari ma, diversamente da quelle osservate in altre stelle, erano tutte collegate a coppie e assomigliavano a manubri per il sollevamento pesi. Si trattava senza dubbio di una stella, ma contemporaneamente era dissimile da qualunque stella Jag avesse visto.

Alla fine le orbite programmate furono completate. «A casa pronto a tornare?» domandò Lunga Bottiglia.

Jag alzò tutte e quattro le braccia in un gesto di resa. «Sì.»

«Mistero risolto?»

«No. Una stella come questa semplicemente non dovrebbe esistere.»

Per tutto il viaggio di ritorno della Rum Runner verso la Starplex, Jag continuò a borbottare dati tra sé.


Keith giaceva sul letto accanto a sua moglie e non riusciva a dormire. Osservò la sagoma di Rissa nel buio e notò il sottile lenzuolo che la copriva salire e scendere a tempo con il suo respiro.

“Merita di meglio” pensò. Espirò a fondo, cercando di allontanare da sé insieme con il fiato anche le preoccupazioni, e richiamò alla mente immagini di momenti più felici.

Rissa aveva occhi neri che diventavano come falci di luna rivolte all’insù quando sorrideva. Aveva una bocca piccola, ma con labbra piene… alte la metà di quanto erano larghe. Sua madre era italiana, suo padre spagnolo. Da lui aveva ereditato i lucenti capelli neri e gli occhi intensi. Nei suoi 46 anni di vita, Keith Lansing non aveva mai incontrato nessuna donna che a lume di candela fosse più bella di Rissa.

Quando si erano incontrati, nel 2070, lui aveva 22 anni, lei 20 e un corpo pieno di curve deliziose. Con l’età il suo corpo si era modificato seguendo il corso della natura; era ancora in forma, ma le proporzioni erano cambiate. A quell’epoca Keith non si sarebbe immaginato di poter trovare attraente una donna di 44 anni, ma con sua infinita sorpresa i suoi gusti erano cambiati con il trascorrere degli anni, e benché due decenni di matrimonio avessero indubbiamente attenuato le sue reazioni alla presenza di lei, quando gli capitava di vedere Rissa in una situazione insolita… con un vestito nuovo o mentre si allungava per raggiungere uno scaffale in alto, o con i capelli acconciati in una nuova pettinatura… ancora si sentiva mancare il respiro.

Invece…

Invece lui aveva dovuto pagare al tempo uno scotto, lo sapeva. I capelli se ne stavano andando. Sì, esistevano delle “cure” (che vergogna suggerire che una cosa naturale come la calvizie maschile dovesse essere curata!), ma ricorrervi gli sembrava inutile e sciocco. E, a parte questo, tutti si aspettavano che uno scienziato di mezza età fosse calvo: era scritto da qualche parte nel manuale della vita.

Il padre di Keith aveva mantenuto una folta chioma di capelli neri fino a quando era stato ucciso, all’età di 55 anni. Che avesse portato un parrucchino? Comunque, una scelta simile sarebbe stata impensabile per Keith.

Gli venne in mente Mandy Lee, una stellina degli olovideo di cui si era infatuato a dodici anni. Per lui, a quell’epoca, il massimo dell’eccitazione erano due tette formato gigante, probabilmente perché nessuna delle ragazze della sua classe ne era ancora dotata: erano un simbolo del mondo alieno e proibito della sessualità adulta. Ebbene, Mandy (soprannominata “sistema stellare binario” in qualche articolo della Guida Ov) era famosa proprio per il suo fisico. Keith aveva però perduto tutto il suo interesse quando aveva scoperto che le sue mammelle erano finte: non riusciva più a guardarla senza pensare agli impianti che si celavano sotto l’elastica pelle d’alabastro, e anche alle cicatrici (benché sapesse che i bisturi laser anabolizzanti non lasciavano alcuna traccia del loro passaggio). Comunque, lui non si sarebbe mai messo niente di finto sulla testa. Non avrebbe mai permesso che la gente lo guardasse e pensasse, “ehi, in realtà quel tizio è calvo, sapete”…

Dunque eccoli lì, Rissa Cervantes e Keith Lansing: ancora innamorati, anche se la passione della gioventù era stata sostituita da un affetto più sereno, più soddisfacente.

Eppure…

Eppure, maledizione, aveva appena 46 anni! Stava invecchiando, era sempre più calvo e brizzolato e non era mai stato con nessun’altra donna, a parte quei tre goffi incontri (così pochi!) al liceo e all’università. Tre più Rissa: totale, quattro. In media, meno di uno ogni dieci anni. Accidenti, pensò, perfino un waldahud può contare le mie donne sulle dita di una mano.

Keith sapeva che non avrebbe dovuto avere quei pensieri, sapeva che lui e Rissa possedevano qualcosa che la maggior parte della gente non raggiunge: una storia d’amore che cresce e si evolve col passare degli anni, una relazione solida, sicura, calda.

Eppure…

Eppure c’era Lianne Karendaughter. Come Mandy Lee, simbolo di bellezza della sua gioventù, Lianne aveva delicati lineamenti asiatici; c’era qualcosa nelle donne orientali che aveva sempre attratto Keith. E poi, anche se non sapeva quanti anni avesse Lianne esattamente, senza dubbio era più giovane di Rissa. Ovviamente, in qualità di direttore della nave Keith avrebbe potuto accedere con facilità ai dati personali di Lianne, ma non aveva il coraggio di farlo. Per l’amor di Dio… c’era la possibilità che avesse appena trent’anni. Lianne era salita a bordo l’ultima volta che erano passati da Tau Ceti e adesso, come responsabile delle operazioni interne, trascorreva spesso parecchie ore consecutive con Keith, sul ponte. Eppure, Keith si sorprendeva sempre a rimpiangere che quel tempo avesse una durata limitata.

Ancora non aveva fatto niente di stupido. Al contrario, riteneva di avere tutto sotto controllo anche se, introspettivo com’era, non era cieco a ciò che gli succedeva. Era la crisi della mezza età, il timore di avere perso la propria virilità. Cosa c’era di meglio, per allontanare quel timore, che portarsi a letto una donna bella e giovane?

Fantasie oziose, certo. Certo.

Si girò su un fianco dando le spalle a Rissa e si rannicchiò in posizione semifetale. Non desiderava ferire Rissa, ma se lei non ne avesse saputo niente…

“Maledizione, non essere stupido!” Lo scoprirebbe di sicuro. E dopo come avrebbe potuto guardarla ancora in faccia? E Saul, il loro ragazzo? Come avrebbe potuto guardare lui? Aveva visto suo figlio irradiare ammirazione per suo padre, lo aveva visto urlargli contro infuriato, ma mai guardarlo con disprezzo.

Se soltanto fosse riuscito a dormire un po’. Se soltanto avesse potuto smettere di tormentarsi.

Restò immobile con gli occhi spalancati, a fissare il buio.


Quando la Rum Runner fu attraccata, Lunga Bottiglia andò a rifocillarsi e Jag tornò sul ponte. Ora il waldahud si teneva eretto con l’aiuto di un bastone da passeggio riccamente intagliato, sempre meglio che procedere a quattro zampe. Keith, Rissa, Thor e Lianne avevano potuto dormire quella notte e Rombo, be’, gli ib non dormono, un fatto che fa sembrare doppiamente ingiusta la durata delle loro vite. In genere Jag faceva rapporto mettendosi di fronte alle sei postazioni, ma questa volta arrancò fino alla galleria é si lasciò cadere sulla sedia centrale costringendo gli altri a ruotare le postazioni per guardarlo.

Keith fissò il waldahud, in attesa. «Ebbene?»

Jag riordinò i pensieri, poi cominciò ad abbaiare. «Come alcuni di voi sanno, le stelle si suddividono in tre ampie categorie di età. Le stelle di prima generazione sono le più antiche dell’universo, e sono composte quasi completamente di idrogeno ed elio, i due elementi originari. Meno dello 0,02 per cento della loro materia è costituita da atomi più pesanti, prodotti ovviamente all’interno della stella dai suoi stessi processi di fusione nucleare. Quando queste stelle diventano nove o supernove, le nubi di polvere interstellare vengono arricchite da questi elementi più pesanti. Poiché le stelle di seconda generazione si condensano proprio da queste nubi di polvere, circa l’1 per cento o poco più della loro massa è costituita da metalli (“metalli”, in questo contesto, significa tutti gli elementi più pesanti dell’elio). Le stelle di terza generazione sono ancora più recenti: i soli dei tre mondi del Commonwealth sono tutti della terza generazione, così come tutte le stelle che nascono oggi, anche se ovviamente ci sono ancora in giro moltissime stelle di prima e seconda generazione. Le stelle di terza contengono circa il due per cento di metalli.»

Jag fece una pausa, e scrutò i presenti uno per uno. «Ebbene, questa stella» indicò con una delle braccia centrali il globo verde sulla sfera olografica «ha circa l’8 per cento di metalli, quattro volte la quantità presente in una normale stella di terza generazione. Quell’oggetto contiene così tanto ferro che varrebbe la pena di andare a estrarlo.»

«Qualche ipotesi sul colore verde?» domandò Keith.

«Non è proprio verde, ovviamente. Non più di quanto una stella rossa sia davvero rossa. Quasi tutte le stelle sono bianche, con appena una traccia di colore.» Con gli arti mediani fece un gesto come per abbracciare l’intero panorama stellato che li circondava. «D’abitudine Phantom colora le stelle sulla bolla olografica, assegnando loro colori basati sulle rispettive categorie di Hertzsprung-Russell. La stella là fuori ha appena un tocco di verde. La linea di assorbimento dominante, dovuta al suo contenuto di metalli, è più forte del calore di fondo, e questo indebolisce le emissioni nell’azzurro e nell’ultravioletto. Il risultato è che la maggior parte della luce stellare emessa si trova nella zona verde dello spettro.» La sua pelliccia si increspò. «Se non l’avessi vista con i miei quattro occhi, direi che una stella con un simile contenuto di metalli è impossibile nel nostro universo, considerata la sua età. Dev’essersi formata in condizioni locali decisamente improbabili…»

«Perdona l’interruzione, buon Jag» intervenne Rombo «ma ho captato un impulso tachionico.»

Keith fece ruotare la sedia e osservò la scorciatoia.

«Dèi» esclamò Jag, alzandosi in piedi. «La maggior parte delle stelle appartengono a sistemi “multipli”!»

«Non possiamo sopportare un altro passaggio ravvicinato» disse Lianne. «Saremo…»

Ma la scorciatoia aveva già smesso di espandersi, dopo aver espulso un oggetto di piccole dimensioni. L’apertura si era allargata solo fino al diametro di 70 centimetri prima di collassare in un punto invisibile.

«È un watson» annunciò Rombo. Una boa automatica di comunicazione. «Il suo radarfaro dice che viene dalla stazione Grand Central.»

«Attiva la ripetizione» ordinò Keith.

«È un messaggio in russo» precisò Rombo.

«Phantom, traduci.»

La voce del computer centrale riempì la stanza. “Valentina Ilianov. Provost. colonia di Nuova Pechino, per Keith Lansing, direttore della Starplex. Una stella nana rossa di classe M è uscita dalla scorciatoia di Tau Ceti. Fortunatamente è emersa in direzione opposta alla colonia. Finora non ha causato seri danni, anche se è stato molto difficile pilotare questo watson oltre la stella e fino al portale. Questo è il nostro terzo tentativo di raggiungervi. Siamo riusciti a prendere contatto con il centro di astrofisica di Rehbollo per chiedere consiglio, e abbiamo avuto l’incredibile notizia che anche dalla scorciatoia vicino a loro è sbucata una stella… una stella azzurra di classe B, per la precisione. Adesso stiamo prendendo contatto con tutte le altre scorciatoie attive per scoprire quanto sia estesa il fenomeno. Fine del messaggio.”

Keith contemplò il ponte, immerso nella verde luce stellare. «Santo Dio» mormorò.

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