Helaine Pomrath chiese: «Norm, chi è Lanoy?»
«Chi?»
«Lanoy. L-A-N-…»
«Dove l’hai sentito nominare?»
Lei gli mostrò la scheda, guardandolo fisso. Norm distolse lo sguardo, imbarazzato.
«L’ho trovato ieri sera nella tua tunica» riprese sua moglie. «Disoccupato? Parlane a Lanoy. Cosa significa? Chi è e che cosa può fare per te?»
«Uhm… credo che diriga un’agenzia di collocamento. Ma non sono sicuro. Qualcuno mi ha dato quella scheda, ieri sera, mentre uscivo dalla casa dei sogni» disse Pomrath, con crescente imbarazzo.
«Ma a che serve, se non c’è l’indirizzo?»
«Si vede che bisognerà chiedere, cercare… Non so. Sinceramente, me n’ero dimenticato. Da’ qui.»
Lei ubbidì, e Pomrath afferrò rapidamente la scheda e se la mise in tasca. Helaine s’insospettì per la fretta con cui aveva fatto sparire il foglio. Sebbene non sapesse affatto a cosa si riferiva, conosceva abbastanza suo marito per accorgersi che aveva l’aria imbarazzata di chi si sente colpevole.
Forse, vuole farmi una sorpresa, pensò. Forse è già andato da quel Lanoy e ha in vista un lavoro, ma aspetta a dirmelo la settimana prossima per il nostro anniversario. E io invece sono andata a seccarlo con le mie domande. Dovevo fare finta di niente.
Suo figlio Joseph, completamente nudo, scese dalla pedana del bagno molecolare. Sua sorella, anche lei nuda, ne prese il posto.
Helaine stava programmando la colazione. Joseph disse: «Oggi a scuola, faremo geografia.»
«Bello» disse distrattamente Helaine.
«Dov’è l’Africa?» chiese il bambino.
«Lontano. Al di là dell’Oceano.»
«Potrò andarci, quando sarò grande?» insisté il bambino.
Dalla doccia venne uno strillo. Marina si voltò e disse: «L’Africa è il posto dove vivono quelli di Seconda Classe, Jo-jo?»
«Forse» rispose il bambino, fulminandola cogli occhi. «Forse anche di Prima. Come fai a saperlo? Tu non sai niente!»
Marina gli fece una boccaccia e contemporaneamente si voltò per nascondere il suo corpo infantile agli occhi del fratello. Pomrath, che sedeva in un angolo, alzò gli occhi dal giornale e brontolò: «Piantatela, bambini. Jo-jo, vestiti. Marina, finisci la doccia.»
«Ho detto solo che andrò in Africa» mormorò Joseph.
«Non rispondere a tuo padre!» lo ammonì Helaine. «La colazione è pronta. Vestitevi.»
Sospirò. Aveva mal di testa. I bambini non facevano che litigare, Norm se ne stava seduto in un angolo come un ospite in attesa, schede misteriose comparivano nel bucato; quattro pareti senza finestre le si stringevano addosso… No, era troppo. Non capiva come riuscisse a sopportarlo. Mangiare, dormire, fare il bagno, fare all’amore, tutto in un’unica stanzetta. Migliaia di vicini sudici affondavano nello stesso pantano. Picnic una volta all’anno, via stat, in qualche posto lontano ancora allo stato naturale… Panem e circenses per rendere felice il popolo. Ma era doloroso vedere un albero e poi dover tornare in Appalachia. Era proprio un vero dolore, pensava Helaine in preda allo sconforto. Non era questo che si aspettava quando aveva sposato Norman Pomrath. Lui, allora era pieno di progetti.
I bambini mangiarono e poi uscirono per andare a scuola. Norm rimase seduto nell’angolo a sfogliare il giornale, tormentando le pagine con dita nervose. Di tanto in tanto, leggeva a voce alta qualche notizia. «Martedì prossimo Danton inaugurerà a Pacifica un nuovo ospedale completamente automatizzato: un unico enorme omeostatico, senza neppure un tecnico. Bello no? Abolendo gli impiegati, il governo riduce le spese. Eccone un’altra buona… Dal primo maggio, verrà diminuita del dieci per cento la razione di ossigeno negli ambienti commerciali. Dicono che lo fanno per poterne fornire di più alle abitazioni. Ma ti ricordi, Helaine, che anche in agosto hanno ridotto la razione? La riducono sempre. Quando si è arrivati al punto di razionare l’aria…»
«Norm, non prendertela così.»
Ma lui la ignorò: «Ma come ci è potuto capitare tutto questo? Avevamo diritto a qualcosa di meglio. Quattro milioni di persone ogni pollice quadrato; ecco dove andremo a finire. Costruiranno case di migliaia di piani perché ci stiano tutti, e ci vorrà un mese per scendere in strada. Il progetto, ah! E poi…»
«Credi che riuscirai a trovare quel Lanoy e a ottenere un lavoro tramite suo?» lo interruppe sua moglie.
«Quello che occorrerebbe» continuò lui, imperterrito, «è una pestilenza di prima categoria. Una malattia che liberi il mondo da tutti quelli che non sono dotati per i lavori funzionali. Così si risparmierebbero miliardi di sussidi al giorno. E, se non bastasse, una bella guerra. Nemici extraterrestri, i Granchi della Nebulosa del Granchio, per esempio, e tutto per patriottismo. Iniziare una guerra che si sa di perdere…»
Sta diventando pazzo, pensava Helaine, mentre suo marito continuava a parlare. Negli ultimi tempi non faceva che parlare, parlare, riversando torrenti di amarezza. Lei cercava di non ascoltarlo. Quel giorno, dato che non pareva disposto a uscire, se ne andò lei. Dopo avere messo le stoviglie nella lavapiatti, disse a Norman: «Vado a fare una visita ai vicini.» E usci, mentre lui si stava lanciando nella descrizione di una guerra nucleare combattuta con l’intento di diminuire la popolazione. Parole vuote, ecco cos’erano i discorsi di Norman Pomrath in quei giorni. Ma lui aveva bisogno di sentirsi parlare, per dimenticare il resto.
E adesso, dove vado? si chiese Helaine.
Beth Wisnack, che il salto di suo marito nel passato aveva reso vedova, quel giorno pareva più piccola, più grigia e più triste dell’ultima volta che Helaine l’aveva vista. La bocca di Beth era dura, stretta come se trattenesse a stento l’ira. Dietro quell’apparente rassegnazione femminile, la donna covava un intimo furore: Come ha osato farmi questo? come ha potuto abbandonarmi così?
Beth offrì gentilmente alla sua ospite un tubetto di alcool. Helaine l’accettò con un sorriso, e premette contro il braccio la parte rossa e appuntita del tubetto. Beth fece lo stesso. Il beccuccio ultrasonico ronzò. Quello era un modo di bere comodo, per chi non gradiva il sapore dei liquori moderni. Helaine socchiuse gli occhi, rilassandosi, mentre ascoltava Beth che stava sgranando con voce sempre più acuta un rosario di lamentele.
«Beth» disse, dopo averla lasciata sfogare un po’, «hai mai sentito nominare un certo Lanoy?»
La vicina dimostrò subito un grande interesse: «Chi? Quale Lanoy? Dove l’hai sentito nominare? Cosa ne sai?»
«Non molto. Per questo lo chiedo a te.»
«Sì, l’ho sentito nominare.» I suoi occhi scialbi erano turbati. «Da Bud. Ne parlava con un suo amico: Lanoy qua, Lanoy là… Proprio la settimana prima che se ne andasse. Lanoy, diceva, Lanoy sistemerà tutto.»
Helaine prese un secondo tubetto di alcool, senza aspettare che glielo offrisse Beth. Un gelo improvviso le aveva stretto il cuore, e voleva scioglierlo.
«Lanoy sistemerà che cosa?»
«Non lo so» ammise Beth accasciata. «Bud non mi parlava mai dei suoi affari. Però l’ho sentito parlare di quel Lanoy. Continuava a nominarlo, ma sottovoce, e proprio prima di andarsene. Io mi sono fatta un’idea in proposito. Vuoi che te la dica?»
«Certamente.»
«Io credo che Lanoy sia quello che organizza i viaggi nel tempo» disse Beth con un sorriso.
Anche Helaine l’aveva pensato. Ma era andata da Beth proprio nella speranza che i suoi timori venissero dissipati, non confermati. In preda a una forte tensione, con le mani tremanti si allentò un poco la tunica, cambiò posizione, e disse: «Lo credi davvero? Hai fondati motivi?»
«Bud non faceva che parlare di Lanoy. Poi è scomparso. Stava macchinando qualcosa, e c’entrava di sicuro questo Lanoy. Non so niente di certo, ma me lo immagino. Bud ha incontrato Lanoy in qualche posto, e si sono messi d’accordo. E poi, e poi…» la rabbia e il dolore che la tormentavano stavano salendo alla superficie. «E poi Bud se n’è andato» aggiunse con voce strozzata. Prese un altro tubetto, poi chiese: «Perché ti interessa?»
«Ho trovato una minischeda in tasca a Norman. Era una specie di avviso pubblicitario: Disoccupato? Parlane a Lanoy. Gli ho chiesto spiegazioni, e lui mi è sembrato molto imbarazzato. Mi ha ripreso la scheda, cercando di darmi ad intendere che si trattava di un’agenzia di collocamento. Io ho capito che mentiva, che mi nascondeva qualcosa. Ma, purtroppo, non so cosa.»
«Fai bene a preoccuparti, Helaine.»
«Credi che sia grave?»
«Credo che gli stia capitando quello che è capitato a Bud. Norman è in contatto con loro. Probabilmente sta cercando di raggranellare il denaro necessario. Poi lo faranno partire. Puff! Sparito. Niente più marito. La vedova Pomrath. Due bambini, tutti e due sulle tue spalle.» Gli occhi di Beth Wisnack mandavano uno strano bagliore. Non pareva dispiaciuta alla prospettiva che anche il marito di Helaine si preparasse a saltare. Se tutti i mariti del mondo fossero stati ingoiati dal passato, Beth Wisnack sarebbe stata contenta.
Helaine dovette fare uno sforzo per mantenere la calma.
«Quando la polizia ha indagato dopo la scomparsa di Bud, hai parlato di questo Lanoy?» domandò.
«Sì, certo. Volevano sapere se Bud avesse frequentato qualche nuova conoscenza, prima di scomparire, e io ho detto che non lo sapevo, ma che negli ultimi tempi nominava sempre un certo Lanoy. Hanno preso nota del nome. Non so poi cosa ne abbiano fatto; comunque, non servirà a far tornare Bud. Si può viaggiare in una sola direzione, nel tempo, lo sai. Cioè, all’indietro. Non hanno ancora inventato una macchina per fare tornare la gente nel presente, e in ogni caso mi rendo conto che sarebbe impossibile. Una volta nel passato, si è costretti a restarci. Così, quando Norman se ne andrà…»
«Non se ne andrà» la interruppe Helaine.
«Non frequenta Lanoy?» domandò Beth.
«Finora non ha avuto che la scheda. Non c’è nemmeno l’indirizzo. Dice che non sa dove trovare Lanoy. E poi, non siamo sicuri che Lanoy abbia a che fare coi viaggi nel tempo.»
Con gli occhi scintillanti, Beth insisté: «Ti dico che Norm frequenta la banda di Lanoy, il che vuol dire che può arrivare a lui in qualsiasi momento. E lo manderanno nel passato. Diventerà un saltato, Helaine. Partirà.»
Come volevasi dimostrare.
Un taxiespresso la portò fino allo sfolgorante grattacielo in cui aveva sede il Segretariato di Polizia. Al banco del pianterreno venne informata che quel giorno suo fratello era in ufficio, e che, se voleva aspettare, forse più tardi l’avrebbe ricevuta. Helaine chiese un appuntamento; la macchina le prese l’impronta del pollice e le disse di sedersi in una sala dalle pareti coperte di stoffa rossa.
Helaine non era abituata a frequentare il mondo degli uffici e dei servomeccanismi completamente automatizzati. Stava quasi sempre in casa e non andava nemmeno mai a fare la spesa. La Città, parola che indicava il capolinea delle linee di taxiespresso, le incuteva paura. Fece uno sforzo per dominare questa paura, perché, data la gravità della questione, doveva parlare di persona al fratello, per evitare che si liberasse di lei girando un interruttore. Ma, dentro di sé, era terrorizzata.
«Il Sovrintendente Criminale vi attende» disse una voce meccanica.
Quando fu introdotta nel suo ufficio, Quellen si alzò con un sorriso forzato, indicandole una sedia. Appena seduta, la sedia incominciò a massaggiarle i muscoli della schiena. Helaine rabbrividì, e si scostò allarmata, mentre le mani invisibili della poltrona cominciavano a massaggiarle le gambe; ma i delicati apparati sensori del meccanismo captarono il suo stato d’animo e il massaggio cessò.
Helaine fissava incerta il fratello che pareva altrettanto a disagio; si tirava il lobo di un orecchio, stringeva le mascelle, apriva e chiudeva i pugni. In realtà, Helaine e Joe erano due estranei. Si vedevano nelle circostanze importanti, ma da un pezzo ormai i loro rapporti erano diventati puramente formali. Quellen era maggiore di qualche anno. Da bambini invece erano stati molto uniti, sempre a far chiasso e rimbeccarsi a vicenda, proprio come facevano adesso Joseph e Marina. Helaine ricordava suo fratello ragazzo, quando la sbirciava furtivamente mentre faceva la doccia nel loro appartamento di una sola stanza, oppure le tirava i capelli o l’aiutava nei lavoretti di casa. Poi aveva intrapreso l’addestramento per diventare funzionario del governo, e da quel momento avevano incominciato ad allontanarsi. Adesso lei era una donna di casa coi nervi a pezzi e lui un funzionario molto occupato, di cui sua sorella provava soggezione.
Per qualche minuto si scambiarono convenevoli senza importanza. Helaine parlò dei bambini, di quello che leggeva. Quellen parlò pochissimo. Era scapolo, il che lo faceva sentire ancora più lontano a sua sorella. Helaine sapeva che suo fratello aveva delle amicizie femminili, fra cui spiccava una certa Judith, ma ne parlava raramente e pareva anche che quella donna non contasse molto per lui. A volte, Helaine dubitava perfino che questa Judith esistesse, che Quellen l’avesse inventata per nascondere qualche vizio, o peggio, l’omosessualità. In questi tempi la sodomia veniva accettata come una cosa normale, ma a Helaine non piaceva pensare che suo fratello fosse di quella specie.
La donna mise fine ai convenevoli, domandando di Judith: «Sta bene? Ci avevi promesso di portarla a casa nostra, Joe.»
Quellen assunse la stessa espressione impacciata di Norm, quando lei aveva nominato Lanoy. «Gliene ho accennato» rispose evasivamente. «Dice che avrebbe piacere di conoscere te e Norm. Sai, è turbata dall’idea di vedere i vostri figli. I bambini la infastidiscono un po’. Ma sono sicuro che, prima o poi, ci metteremo d’accordo» concluse con un sorriso forzato. Poi lasciò cadere lo scottante argomento di Judith, dicendo: «Immagino che tu sia venuta qui non solo per farmi visita.»
«No. Si tratta di una questione grave. Ho letto che ti stai occupando della questione dei saltati, Joe.»
«Sì, è vero.»
«Norm ha intenzione di saltare anche lui.»
Quellen si drizzò a sedere di scatto: «Cosa te lo fa pensare? Te l’ha detto lui?»
«No, naturalmente no. Ma lo sospetto. In questi ultimi tempi è particolarmente depresso perché non lavora.»
«Mi pare che non sia una novità.»
«Lo è più del solito. Dovresti sentire come parla. È così amaro, Joe! Dice un mucchio di sciocchezze, un fiume di parole rabbiose prive di senso. Vorrei potertele ripetere. Sono certa che è molto vicino a un crollo psicologico. Lo sento.» Rabbrividì. La sedia aveva ricominciato a massaggiarla. «Sono mesi che non lavora, Joe.»
«Lo so» rispose Quellen. «Ma l’Alto Governo sta preparando una serie di progetti per alleviare la disoccupazione.»
«Ne sono lieta. Ma intanto, Norman non lavora, e non credo che resisterà ancora a lungo. È in contatto con gli organizzatori dei viaggi nel passato, e so che partirà. Magari, mentre io sto qui a parlare con te, lui sta salendo sulla macchina!»
Parlando, aveva assunto toni sempre più aspri, che echeggiavano fra le pareti dell’ufficio. Le pareva quasi che le estremità dei nervi le perforassero la pelle, irte come aculei.
Quellen riuscì a mantenersi calmo con visibile sforzo e si chinò verso la sorella con un sorriso gentile, come quello di un froidi. Quasi quasi, Helaine si aspettava che le dicesse: «E ora, vogliamo cercare di scavare a fondo in questa allucinazione che vi tormenta?» Quello che disse, invece, con voce comprensiva e dolce, fu: «Forse ti stai preoccupando inutilmente Helaine. Cosa ti fa credere che sia in contatto con quei criminali?»
Lei gli raccontò della minischeda di Lanoy e della reazione di esagerata indifferenza che aveva avuto Norman. Quando ripeté le parole scritte sulla scheda, Helaine rimase sorpresa nel vedere un improvviso terrore dipingersi sulla faccia del fratello, al posto della studiata benevolenza di prima. Quellen si riprese subito, ma non abbastanza perché Helaine, abilissima nel cogliere gli stati d’animo, non se ne accorgesse.
«Sai niente di questo Lanoy?» gli domandò.
«Ho visto anch’io, per caso, una di quelle schede, Helaine. Pare che vengano distribuite molto diffusamente. Basta salire su una rampa di taxiespresso, e si trova uno sconosciuto che te ne passa una. Immagino che anche Norm l’abbia avuta così.»
«Ed è una specie di avviso pubblicitario degli organizzatori dei saltati, vero?»
«Non ho motivi per crederlo» rispose Quellen, distogliendo lo sguardo mentre pronunciava quella bugia.
«Hai fatto indagini su Lanoy? Insomma, sai se c’è o no il motivo di sospettare…»
«Sì, stiamo indagando. E, ti ripeto, Helaine, non c’è alcun motivo di sospettare che questo Lanoy sia collegato alla faccenda dei viaggi nel tempo.»
«Ma Beth Wisnack dice che suo marito parlava sempre di Lanoy, prima di andarsene.»
«Chi?»
«Wisnack. Uno che è saltato poco tempo fa. Quando le ho chiesto di Lanoy, Beth mi ha subito detto che era lui il responsabile della scomparsa di suo marito, e ha aggiunto di essere sicura che anche Norm se ne andrà.» In preda all’agitazione, Helaine continuava ad accavallare alternativamente le gambe. Il cervello meccanico della poltrona captò la sua irrequietezza e, dopo un intervallo di qualche minuto, riprese a massaggiarla delicatamente.
«Possiamo controllare con la massima facilità quello che mi hai raccontato di Norm» disse Quellen. Si girò e prese una bobina. «Qui» continuò «ho l’elenco completo dei saltati di cui esiste documentazione nel passato. La lista è stata compilata di recente per mio uso, e, naturalmente, non l’ho ancora esaminata a fondo, perché contiene centinaia di migliaia di nomi. Ma se Norm è saltato, lo troveremo.»
Fece girare la bobina e si mise a leggere i nomi, che, come spiegò alla sorella, erano disposti in ordine alfabetico. Arrivò alla “P”. Se Norm era saltato, fra poco Helaine avrebbe letto il destino del marito, e il suo, in quell’Apocalisse di nastro termoplastico. Allora avrebbe saputo che il suo matrimonio era finito trecento anni prima di essere stato celebrato. Avrebbe visto il nome di suo marito trascritto tre secoli prima, fra quelli di altri che erano fuggiti in quegli anni. Perché l’elenco non era mai stato reso di pubblico dominio? Perché? Helaine ne era certa, avrebbe pesato come una pietra tombale sull’anima di chi era saltato, di chi saltava, di chi doveva saltare. Cosa avrebbe provato chi avesse saputo che, un giorno, era destinato ad abbandonare la sua epoca per fare un salto nel passato?
«Vedi?» disse a un tratto Quellen con tono trionfante. «Non è nell’elenco.»
«Allora significa che non è saltato?»
«Direi di sì.»
«Ma sei sicuro che in quell’elenco siano compresi tutti i saltati? Non è probabile che qualcuno sia sfuggito?»
«Sì. È probabile.»
«E poi, non è detto che ci si possa fidare dei nomi» continuò Helaine. «Se Norm ha dato un nome falso, una volta giunto nel passato, non comparirebbe sul tuo elenco. Giusto?»
«C’è sempre la possibilità che si sia servito di uno pseudonimo» ammise Quellen abbattuto.
«Sei evasivo, Joe. Ma non puoi dirmi di avere la certezza che non è saltato.»
«E allora, cosa vuoi che faccia, Helaine?»
«Puoi arrestare Lanoy prima che spedisca Norm nel passato» rispose lei, sospirando.
«Prima devo trovarlo» obiettò Quellen, «e poi accertarmi che sia davvero coinvolto in questa storia. Finora non abbiamo nessuna prova, ma solo delle conclusioni a cui tu sei giunta lavorando di fantasia.»
«E allora, arresta Norm.»
«Perché?»
«Puoi sempre accusarlo di qualche infrazione e metterlo al sicuro. Fallo sottoporre a un anno o due di terapia correttiva. Così non sarà in circolazione, finché durerà il problema dei saltati. Potresti chiamarla custodia protettiva.»
«Helaine, non posso servirmi della legge come di un giocattolo a uso e consumo della mia famiglia!»
«È mio marito, Joe, e non voglio perderlo. Se va nel passato, lo perdo per sempre.» Helaine si alzò. Barcollava e dovette appoggiarsi alla scrivania. Come poteva persuadere suo fratello che si trovava sull’orlo di un abisso? Saltare era l’equivalente di morire. Lei lottava con tutte le sue forze per conservare suo marito. E suo fratello se ne stava seduto avvolto nel manto della legalità, inerte, mentre passavano minuti preziosi.
«Farò tutto il possibile» promise Quellen. «Controllerò questo Lanoy. Se vuoi mandarmi qui Norman, vedrò di parlargli per scoprire cos’ha in mente. Sì. Sarà meglio. Mandamelo.»
«Se ha intenzione di saltare, non verrà certamente a dirlo a te.»
«Perché non provi a dirgli che forse posso procurargli un lavoro? Non si lamenta sempre che non faccio niente per lui? Già. Lui vien qui convinto che gli offra un impiego, e io ne approfitto per cavargli tutto quello che sa dei saltati. Se è al corrente di qualcosa, sta’ sicura che lo scoprirò. Romperemo la catena delle partenze, e così non ci sarà pericolo che se ne vada anche lui. Non ti pare che sia un’ottima idea, Helaine?»
«Sì, va bene. Gli parlerò e vedrò di convincerlo a venire da te. Se non è già partito.»
Si avviò alla porta, afflitta dal pensiero che Norm potesse già essersene andato mentre lei stava lì a parlare. Finché il momento critico non fosse passato, avrebbe dovuto sorvegliarlo di continuo.
«Ricordami a Judith» disse, congedandosi.