Era fatta.
Dopo un rapido vorticare, in cui ebbe l’impressione che tutto il suo essere venisse rivoltato fin negli angoli più profondi. Quellen si trovò sospeso sopra una nuvola violacea, e subito dopo incominciò a precipitare verso il terreno sottostante, che non riusciva a distinguere.
Cadde ruzzolando su un lungo tappeto verde e quando riuscì a fermarsi, rimase un po’ a riprendere fiato, aggrappandosi con tutte e due le mani al tappeto per meglio reggersi in quel mondo incerto.
Sentì che parte del tappeto si strappava e gli rimaneva nel pugno. Aprì la mano, e guardò, perplesso.
Era erba.
Erba vera. Ne stringeva in pugno parecchi fili.
La seconda cosa che lo colpì fu la fragranza dell’aria, che gli procurò un dolore quasi fisico. Era penoso riempirsi i polmoni di un’aria come quella. Era come aspirare in una stanza in cui fosse aperta al massimo la bocchetta dell’ossigeno. Ma questa era aria pura, naturale. Anche l’aria africana era diversa, perché impregnata da un substrato di scorie provenienti dalle zone più densamente popolate del mondo.
Quellen raccolse le sue forze e si alzò. Il tappeto erboso si stendeva in tutte le direzioni, e proprio davanti a lui c’era un compatto gruppo di alberi. Quellen guardò. Un uccellino grigio si posò su un ramo sporgente dell’albero più vicino e si mise a cinguettare, indifferente alla sua presenza.
Chissà quanto l’avrebbero cercato gli scagnozzi di Kloofman prima di arrivare alla conclusione che era saltato, pensava Quellen. A Koll sarebbe venuto un colpo. Kloofman sarebbe riuscito ad acciuffare Lanoy? Quellen si augurava di no. Kloofman era un mostro irreale, sinistro, e Lanoy, nonostante tutto, era un uomo d’onore.
Quellen si avviò verso il bosco. Era deciso a trovare un corso d’acqua e a costruirsi un’abitazione sulle sue rive. Si sarebbe arrangiato alla meglio, senza curarsi che i suoi sforzi fossero coronati da un grande successo. A ogni modo, quella sarebbe stata la sua casa.
Non provava alcun senso di colpa per quello che aveva fatto. Era uno spostato, capitato per caso in un mondo che non poteva non odiare, e per il quale non era adatto. Norman Pomrath per uscirne aveva seguito quella strada. E anche Brogg. Adesso era venuto il suo turno. Però lui, diversamente dagli altri, prima di andarsene, aveva fatto di tutto per difendersi dal mondo in cui era nato. Era stata pura follia pensare di poter venire a patti con l’Alto Governo. Però era riuscito a turbare Kloofman, sia pur per pochi minuti, e questa era già una vittoria notevole. Aveva dimostrato di essere veramente uomo. Poi la prudenza gli aveva suggerito una rapida fuga, prima che la superiore potenza di Kloofman arrivasse a schiacciarlo.
Due cervi uscirono a balzi dalla foresta. Quellen li guardò a bocca aperta. Non aveva mai visto animali di quelle dimensioni, nemmeno in Africa. I mammiferi africani erano ormai da moltissimo tempo confinati nelle riserve. Chissà se quelle creature erano pericolose? Parevano miti. I due cervi si allontanarono di corsa nella pianura.
Mentre i polmoni si riempivano di quell’aria fragrante, il cuore di Quellen accelerava i battiti. Marok, Koll, Spanner, Brogg, Kloofman, Helaine, Judith. Gli parevano ormai figure lontane, vaghe e indistinte. Il rigurgito sociale. I taxiespresso. Buon vecchio Lanoy, pensò. Dopo tutto, aveva mantenuto la parola. L’aveva mandato in una terra ancora vergine.
Il mondo è mio, pensò Quellen.
Un uomo alto, dalla pelle rossa, uscì dalla foresta, e si appoggiò a un albero guardando gravemente Quellen. Portava una cintura di pelle, un paio di sandali, e niente altro. L’uomo dalla pelle rossa esaminò Quellen per un momento, poi sollevò un braccio, in un gesto il cui significato non poteva sfuggire a Quellen. Un caldo senso di amicizia si accese nel suo cuore. L’uomo gli dava il benvenuto. Non aveva paura di lui.
Sollevando una mano, sorridente, alla fine, Quellen si mosse e gli andò incontro.