David Gogan, che aveva sorvegliato per conto suo, senza farsi notare, le indagini su Mortensen, fu il primo a scoprire che era successo qualcosa. Una lampadina rossa, accesasi all’improvviso, lo informò che Mortensen era uscito dal raggio d’azione dei televettori di Appalachia.
Gogan ebbe un attimo di smarrimento. Il giorno critico, per Mortensen, era il quattro maggio. E mancavano ancora parecchie settimane a quella data. Possibile che avesse anticipato il salto?
Sì, rifletté Gogan, è possibile. Ma, in questo caso, non si era aperta una falla nella trama dello spaziotempo? O il passato era stato alterato, o c’era un errore nelle documentazioni. Gogan ordinò un’indagine immediata e completa sulla scomparsa di Mortensen, mobilitando tutti i mezzi a disposizione dell’Alto Governo. Kloofman aveva dato personalmente istruzioni a Gogan perché al giovane non capitasse niente, e invece pareva che ora qualcosa fosse successo. Madido di sudore, Gogan giunse alla conclusione che sarebbe stato molto meglio per lui se ritrovava Mortensen prima che Kloofman scoprisse che era sparito.
Invece, quasi contemporaneamente, si vide costretto a dovergliene parlare.
Infatti, giunse una chiamata da parte di Koll, il piccolo funzionario di Sesta Classe dalla faccia di topo, tramite il quale Gogan veniva messo al corrente dell’attività del Segretariato di Polizia. Koll era sconvolto e sbalordito. La faccia arrossata e gli occhi che gli schizzavano dall’orbita, comunicò: «C’è qui qualcuno che vuole parlare con Kloofman. Un Settima… no, fra poco Sesta… Classe del mio reparto.»
«È pazzo, Kloofman si rifiuterà di riceverlo, e voi lo sapete. Quindi, perché mi seccate con questa richiesta?»
«Dice di aver rapito Mortensen e di voler discutere la situazione con qualcuno di Prima Classe.»
Gogan s’irrigidì. Cominciarono a tremargli violentemente le mani e, solo a prezzo di un enorme sforzo, riuscì a mantenerle ferme. «Chi è questo pazzo?»
«Quellen. Sovrintendente Criminale. Dice…»
«Lo conosco. Quando ha presentato la sua richiesta?»
«Dieci minuti fa. Prima ha cercato di mettersi direttamente in contatto con Kloofman, ma non ci è riuscito. Così ha inoltrato regolarmente la domanda a me, e io la passo a voi. Che altro potevo fare?»
«Nient’altro, credo» rispose Gogan, mentre la sua mente tortuosa si sbizzarriva a immaginare tutte le torture che avrebbe potuto infliggere a quel rompiscatole di Quellen, cominciando con lo sbudellarlo lentamente. Ma Quellen aveva in suo potere Mortensen, o così diceva. E Kloofman era stato preso da una vera smania per questo Mortensen. Non parlava d’altro. Ecco perché Gogan, a questo punto, non poteva fare a meno di informarlo dell’accaduto. Ormai non vedeva come evitarlo. Poteva temporeggiare, ma alla fine Quellen l’avrebbe avuta vinta.
«E allora?» fece Koll. Gli vibrava la punta del naso. «Posso rimettere a voi la richiesta?»
«Sì» rispose Gogan. «Ci penso io. Ne parlerò a Kloofman.»
Dopo un momento, comparve sullo schermo la faccia di Quellen. Non sembrava per niente pazzo, notò Gogan, forse un po’ spaventato dalla propria audacia. Ma indubbiamente era in pieno possesso delle sue facoltà mentali.
Ed era fermamente deciso a parlare con Kloofman. Sì, aveva rapito Mortensen. No, non era disposto a dire quando, né dove l’aveva nascosto. Inoltre, se avessero minimamente tentato di intralciare la sua libertà d’azione, Mortensen sarebbe stato ucciso all’istante.
Che fosse un bluff? Gogan non era disposto a rischiare. Guardò Quellen con calma attonita, e disse: «Va bene. Avete vinto, pazzo. Riferirò la vostra richiesta a Kloofman, e vedremo cosa risponderà.»
Era passato moltissimo tempo dall’ultima volta che Kloofman aveva acconsentito a parlare a tu per tu con qualcuno che non facesse parte delle primissime classi; ormai aveva quasi dimenticato cosa si provava.
Fra i suoi diretti dipendenti c’erano membri di Terza, Quarta e anche Quinta Classe, ma non gli rivolgevano mai la parola. Si comportavano come robot. Kloofman non sopportava le chiacchiere di quella gente. Solitario sul piedistallo della Prima Classe, il capo del mondo aveva troncato i rapporti con l’umanità.
Quindi aspettò con una certa curiosità l’arrivo di Quellen. Naturalmente, era seccato, perché non era abituato a cedere alle richieste altrui. Ira. Irritazione. Tuttavia, Kloofman era anche divertito. Da troppi anni gli era negato il piacere di sentirsi vulnerabile. E adesso ne avrebbe riprovato un po’ il gusto.
Però, aveva anche paura. Come potevano confermare i tecnici addetti ai televettori, Quellen si era realmente impadronito di Mortensen. E questo lo turbava. Era una minaccia diretta al suo potere. Non poteva prendere alla leggera una situazione come quella.
La sonda subcranica mormorò a Kloofman: «Quellen è qui.»
«Fallo entrare.»
Una parete si aprì, ruotando su se stessa, e un uomo alto e dall’aria stravolta entrò con passo incerto, e si fermò davanti alla enorme rete pneumatica in cui riposava Kloofman. Fra i due si levò una nebbia sottilissima, quasi impercettibile, che andava dal pavimento al soffitto. Era uno schermo anti-attentato. Qualunque particella di materiale solido che avesse tentato di superare quello schermo sarebbe stata immediatamente distrutta, senza distinzione di massa e di velocità. Guardie-robot si posero ai lati del grande capo per eccesso di precauzione. Kloofman aspettava pazientemente, mentre il sistema circolatorio artificiale del suo corpo ronzava sommessamente, pompando sangue nelle arterie e irrorando di linfa gli organi interni. Notò che la sua presenza metteva a disagio Quellen, e non se ne stupì.
Dopo un lungo silenzio, si decise a dire: «Avete ottenuto quello che volevate. Eccomi qui, Cosa volete?»
Quellen mosse le labbra, ma solo dopo parecchi secondi riuscì a formulare le parole. «Sapete a cosa penso?» disse finalmente. «Sono contento che esistiate veramente. Ecco cosa penso. Provo un vero sollievo nel vedervi davanti a me, in carne e ossa.»
«Come fate a essere certo che sono vero?» chiese Kloofman con un sorriso.
«Perché…» Cominciò Quellen. «Bene, mi rimangio quello che ho detto. Spero che siate vero.» Kloofman si accorse che gli tremavano le mani e che solo con una febbrile fatica riusciva a mantenere la calma.
«Siete stato voi a rapire Mortensen?»
«Sì.»
«Dov’è?»
«Non posso ancora rivelarvelo. Prima devo venire a patti con voi.»
«A patti con me?» Kloofman si permise una risatina. «Avete una sfacciataggine incredibile» continuò senza alterarsi. «Non vi rendete conto di quello che vi potrei fare?»
«Sì.»
«E tuttavia, venite qui a propormi un patto.»
«Io ho Mortensen» gli ricordò Quellen. «E se non lo lascio libero, il quattro maggio non potrà saltare. E di conseguenza…»
«Già» disse brusco, Kloofman. Sentiva aumentare nel suo corpo il livello della tensione. Quell’uomo aveva scoperto la sua parte vulnerabile. Era assurdo che un prolet lo tenesse sulla corda in quel modo, ma era così. Kloofman non poteva correre rischi con un uomo che minacciava di cambiare il passato. Nessun calcolatore avrebbe potuto fare il computo dei probabili effetti provocati nel passato dalla mancata comparsa del saltato Donald Mortensen. Il capo del mondo era impotente. «State facendo un gioco pericoloso, Quellen» disse. «Fate la vostra proposta: poi sarete soppresso e verrà estratta dal vostro cervello l’informazione circa il luogo dove si trova Mortensen.»
«Ho programmato Mortensen in modo che venga distrutto qualora si tenti di manomettere il mio cervello.»
Che sia vero?, pensò Kloofman. O è soltanto un bluff?
Quellen era diventato più audace e sicuro di sé, come se avesse scoperto che, in fin dei conti, Kloofman era solo un vecchio potente, e non un superuomo. «Mi avevano incaricato delle indagini sui viaggi nel tempo» spiegò. «Sono riuscito a trovare l’uomo che ne è responsabile, ma, disgraziatamente, quest’uomo è in possesso di un’informazione capace di denunciarmi per un reato.»
«Voi siete un criminale, Quellen?»
«Ho commesso un’azione illegale, che potrebbe portarmi alla degradazione, o peggio. Se consegno ai vostri funzionari quel malvivente, lui mi denuncerà. Perciò voglio che mi sia garantita l’immunità. Questo è il patto che sono venuto a proporvi. Io vi consegnerò l’uomo; lui mi denuncerà, ma voi mi manterrete nella mia posizione, senza processi né degradazioni.»
«Qual è la colpa che avete commesso, Quellen?»
«Possiedo una villa di Seconda Classe, in Africa.»
Kloofman sorrise. «Siete un bel mascalzone, no?» commentò senza rancore. «Vivete al di sopra della vostra classe, ricattate l’Alto Governo…»
«Ma io mi considero onesto, signore.»
«Lo immagino. Però siete ugualmente un mascalzone. Sapete cosa farei di un tipo pericoloso come voi, se fossi libero d’agire? Vi metterei nella macchina del tempo e vi scaraventerei nel passato. È il modo migliore di trattare gli agitatori. Ed è così che noi faremo, quando…» Kloofman tacque, per riprendere dopo un momento: «La vostra audacia mi sbalordisce. E se vi mentissi? Io vi garantisco l’immunità, voi mi consegnate Mortensen e l’uomo dei viaggi nel tempo, e poi io vi faccio arrestare.»
«Ho catturato e nascosto altri due saltati» rispose pronto Quellen. «Uno deve partire verso la fine di quest’anno, l’altro al principio dell’anno prossimo. Li tengo come ostaggi per essere sicuro che non mi farete del male, dopo che vi avrò consegnato Mortensen.»
«Voi bluffate, Quellen. Questi due saltati ve li siete inventati sui due piedi. Vi farò applicare la sonda mentale e vedremo se è vero o no.»
«Non appena la sonda toccherà il mio cervello, Mortensen morirà» rispose Quellen.
Kloofman era in preda a un’angoscia che non aveva mai provato. Era sicuro che quell’insopportabile prolet stava dicendo un mucchio di menzogne, ma non c’era modo di provarlo, se non sondando il suo cervello; ma nonostante tutti i sospetti, Kloofman lo giudicava un pericolo troppo grosso. E se non erano un bluff?
«Cos’è che volete, realmente, Quellen?» chiese.
«Ve l’ho già detto. Una dichiarazione d’immunità, davanti a testimoni. Voglio che mi garantiate che non sarò punito per aver posseduto una villa in Africa e che non mi sarà fatto del male per quello che vi sto dicendo. Solo allora vi consegnerò il criminale e Mortensen.»
«E gli altri due saltati.»
«Anche quelli. Ma solo dopo che mi sarò assicurato della vostra buonafede.»
«Siete incredibile, Quellen! Ma avete il coltello dalla parte del manico. Non posso permettere che Mortensen resti in mano vostra. E inoltre voglio la macchina del tempo. Mi serve per molte cose, cose utili. Usi benefici, politici. È troppo pericoloso che resti in mano di un privato. D’accordo. Avete vinto. E vi darò più di quanto chiedete.»
«Cioè, signore?»
«La vostra villa in Africa, no? Immagino che vogliate conservarla. Ma è una villa di Seconda Classe. Perciò vi promuoveremo alla Seconda Classe.»
«Volete farmi entrare nell’Alto Governo, signore?»
«Certo» rispose con calore Kloofman. «Ragionate: come posso rimandarvi in una classe inferiore, dopo che siete riuscito ad avere la meglio con me, e in questo modo? Vi siete guadagnato una promozione. Vi troverò una sistemazione qui. Ci penserà Gogan. Uno che ha fatto quel che avete fatto voi non può mantenere una posizione inferiore, come la vostra ora, Quellen. Così vedremo di trovare una giusta soluzione. Avete guadagnato più di quanto prevedevate. Mi congratulo con voi, Quellen» concluse Kloofman con un sorriso.
Quellen uscì all’aperto dopo essere risalito, un piano dopo l’altro, da quella mitica catacomba che era la dimora di Peter Kloofman. Uscì barcollando in strada e piantò solidamente i piedi per terra, sollevando la testa a guardare le torri altissime. Vide i merletti dei ponti aerei, i coni scintillanti sulla sommità degli edifici, la sbiadita fessura azzurra al di sopra di essi.
Non mi resta molto tempo, pensò.
Era ancora intontito dal colloquio con Kloofman. Ripensandoci, non riusciva a capacitarsi come avesse potuto spuntarla in una simile impresa. Penetrare a viva forza nell’abitazione dell’amministratore di Prima Classe, fermarsi a esporre le sue audaci richieste, costringere Kloofman ad accettarle, giocare un inganno dopo l’altro, riuscire a fargli ingoiare i suoi bluff… No, non gli pareva vero. Doveva essere frutto di una seduta in qualche casa dei sogni, una fantasia di potenza che sarebbe svanita appena fosse cessato l’effetto della droga.
Eppure, le case erano vere. Il cielo era vero. La strada era vera. E anche il colloquio con Kloofman c’era stato davvero. Aveva vinto. Era stato invitato a far parte della Seconda Classe. Aveva costretto Kloofman a battere in ritirata.
Ma Quellen sapeva di non aver affatto vinto.
Aveva compiuto la sua audace manovra con notevole sangue freddo, ma era stata un’impresa da folle, e adesso lo capiva meglio di un’ora prima. Chiunque avrebbe potuto andare orgoglioso per aver avuto il fegato di trattare Kloofman a quel modo; però una volta fatto questo, Quellen sapeva di non essersi guadagnato l’impunità, ma solo un illusorio e temporaneo trionfo. Era quindi necessario mettere in atto subito il progetto di riserva, il piano a cui stava pensando da qualche ora. La sua mente si era preparata per l’evenienza, e lui sapeva cosa fare, anche se ignorava se avrebbe avuto il tempo di farlo.
Era in pericolo mortale, e doveva agire senza indugi.
Kloofman non era riuscito a ingannarlo coi suoi sorrisi, i suoi elogi, le sue promesse di promuoverlo a membro del Governo, la sua apparente ammirazione per la dimostrazione di audacia. Kloofman aveva paura che a Mortensen succedesse qualcosa che potesse fargli perdere il suo potere: questo sì. Ma era altrettanto indubbio che Kloofman non si lasciava menare per il naso così facilmente.
Riuscirà a portarmi via Lanoy e Mortensen, e poi mi distruggerà. Quellen ne era sicuro. Dovrei averlo capito fin dal principio. Come posso sperare di avere la meglio con lui?
Tuttavia non si pentiva di quel che aveva fatto. L’uomo non è un verme; deve sapersi reggere sulle gambe ed essere in grado di lottare per difendere la sua posizione. Almeno, ci può provare. E Quellen aveva provato. Aveva compiuto un gesto tanto folle da rasentare l’assurdo, e se l’era cavata onorevolmente, anche se il successo era puramente illusorio.
Adesso, però, doveva affrettarsi ad agire per proteggersi contro Kloofman e la sua ira. E aveva pochissimo tempo a disposizione. L’euforia dell’incontro era svanita, e adesso era di nuovo in condizione di poter pensare lucidamente e razionalmente.
Arrivato al Segretariato di Polizia, diede immediatamente ordine che Lanoy fosse estratto dal serbatoio e condotto nel suo ufficio. Il criminale aveva un’aria mesta e abbattuta.
«Vi pentirete di quello che mi avete fatto, Quellen» esordì con amarezza. «Non scherzavo dicendo che Brogg aveva collegato a me le sue bobine. Posso rivelare all’Alto Governo il segreto del vostro nascondiglio in Africa quando…»
«Non avete bisogno di andarlo a riferire» tagliò corto Quellen. «Vi lascio libero.»
«Ma se avete detto…» balbettò Lanoy esterrefatto.
«L’ho detto prima. Adesso dico che vi lascio libero e cercherò di eliminare il maggior numero possibile di prove contro di voi.»
«Ah, finalmente avete ceduto, eh, Quellen? Sapevate di non poter correre il rischio che vi denunciassi.»
«Al contrario. Non ho affatto ceduto. Ho rivelato io stesso all’Alto Governo di possedere una villa in Africa. L’ho detto a Kloofman in persona. Era inutile raccontarlo a qualche funzionario di second’ordine. Così, le vostre bobine non riveleranno niente che non sia già noto.»
«Non potete pretendere che vi creda, Quellen.»
«Eppure è la verità. E appunto per questo il prezzo della vostra libertà è cambiato. Non è più il vostro silenzio, ma il vostro aiuto.»
Lanoy spalancò gli occhi. «Cosa avete intenzione di fare?»
«Un mucchio di cose. Ma non ho il tempo di spiegare tutto. Vi farò uscire sano e salvo da questo edificio. Tornerete coi vostri mezzi al laboratorio, dove vi raggiungerò fra un’ora. Con questo» aggiunse scuotendo la testa, «non credo che riuscirete a stare libero ancora per molto. Kloofman vuole a tutti i costi la vostra macchina. Vuole servirsene per rimandare nel passato i prigionieri politici e per aumentare il reddito. Risolverà il problema della disoccupazione scaraventando i prolets nel 500.000 avanti Cristo, lasciandoli alla mercé delle tigri. Sono quindi sicuro che riuscirà ad acciuffarvi un’altra volta. Ma, per lo meno, non col mio aiuto.»
Accompagnò fuori Lanoy, e l’ometto lo guardò con aria perplessa, prima di avviarsi in fretta verso la rampa più vicina.
«Arrivederci fra un’ora» gli gridò dietro Quellen.
Salì a sua volta su un taxiespresso e andò a casa sua per eseguire l’ultima mossa. Kloofman aveva già dato ordine di agire contro di lui? Sicuramente Loro stavano freneticamente discutendo alla sede dell’Alto Governo. Non ci avrebbero messo molto a decidere, ma abbastanza perché lui facesse in tempo a mettersi in salvo.
Incominciava a capire molte cose. Perché, per esempio, Kloofman ardeva dal desiderio di mettere le mani sulla macchina del tempo? Voleva servirsene come di un giocattolo, che gli consentisse di aumentare il suo potere. Non ha scrupoli, pensò Quellen. E per poco io non l’ho aiutato a realizzare i suoi scopi.
Quellen capiva anche come mai i saltati di cui esisteva una sicura documentazione fossero tutti compresi nel periodo 2486-91. Non significava che i viaggi nel passato sarebbero cessati l’anno seguente, come aveva finora creduto. Significava semplicemente che il controllo della macchina era passato dalle mani di Lanoy in quelle di Kloofman, e che tutti i saltati posteriori al 2491 erano stati inviati, grazie alla portata delle nuove tecniche, in epoche talmente remote da non poter più costituire, neppure indirettamente, una minaccia per il regime di Kloofman. E, ovviamente, non ne sarebbe rimasta nessuna traccia. Quellen rabbrividì. Non voleva vivere in un mondo in cui il Governo detenesse un tale potere.
Entrato nel suo appartamento, attivò subito lo stat. Il campo di forza teta lo avvolse. Quellen scese e si trovò nella sua villetta africana.
«Mortensen!» chiamò. «Dove siete?»
«Quaggiù.»
Quellen uscì sotto il porticato. Mortensen stava pescando. A torso nudo, con la pelle in parte arrossata e in parte abbronzata dal sole; salutò Quellen con un cenno della mano.
«Venite» gridò Quellen. «Torniamo a casa.»
«Grazie, ma preferisco restare qui. Mi piace il posto.»
«Sciocchezze. Avete appuntamento per saltare.»
«Perché dovrei saltare, se posso rimanere qui?» fu la ragionevole domanda di Mortensen. «Non capisco perché mi ci abbiate portato; però voglio restarci.»
Quellen non poteva perdere tempo a discutere. Non rientrava nei suoi piani che Mortensen mancasse all’appuntamento del quattro maggio. Quellen non aveva alcun interesse che il passato venisse sconvolto, e il valore del giovane come ostaggio era praticamente sceso a zero. Forse, se Mortensen non fosse saltato, la vita stessa di Quellen sarebbe stata messa a repentaglio, qualora fosse stato uno dei suoi discendenti. Perché rischiare? Mortensen doveva saltare.
«Andiamo» ripeté.
«No.»
Con un sospiro, Quellen si avvicinò al giovane e lo anestetizzò per la seconda volta; poi trascinò il corpo inerte nella villa, lo depose sullo stat, e ci salì anche lui. Un attimo dopo. Mortensen giaceva sul pavimento dell’appartamento di Quellen. Fra poco si sarebbe svegliato e avrebbe cercato di capire cosa gli era successo. Forse avrebbe anche tentato di tornare in Africa. Ma prima di allora sarebbe già stato registrato sul campo dei televettori di Appalachia e gli uomini di Kloofman si sarebbero messi alla caccia. Kloofman sarebbe stato ben attento che Mortensen partisse alla data stabilita.
Quellen uscì per l’ultima volta dal suo appartamento. Salì sulla rampa e aspettò il taxiespresso. Grazie a Brogg, sapeva dove trovare Lanoy.
Avrebbe preferito contentarsi del trionfo riportato su Kloofman, piuttosto che seguire questa seconda strada. Ma era in trappola, e un uomo in trappola deve cercare di riconquistare la libertà nel modo più sicuro, non in quello più entusiasmante. C’era dell’ironia nella decisione che aveva preso: l’uomo incaricato di risolvere il problema dei saltati, sarebbe diventato anche lui un saltato. E tuttavia era inevitabile. Quellen si rendeva conto che era stato inevitabile fin dal principio che lui dividesse la sorte di Pomrath, di Brogg e di tanti altri. Aveva cominciato a saltare il giorno in cui si era procurato la villa in Africa. Adesso stava semplicemente per approdare alla conclusione logica delle sue azioni.
Quando arrivò, era vicino il tramonto. Il sole scendeva verso l’orizzonte, e sul lago infetto danzavano strisce di colore. Lanoy lo aspettava.
«Tutto pronto, Quellen.»
«Bene. Posso fidarmi della vostra onestà?»
«Voi mi avete rilasciato, no? Anche i malviventi hanno un onore» disse Lanoy. «Voi, piuttosto, siete sicuro di volerlo fare?»
«Sicurissimo. Non posso più rimanere qui. Sono un pugno nell’occhio, per Kloofman. Gli ho fatto passare dieci minuti molto sgradevoli, e se mai mi catturasse me li farebbe pagare. Ma non mi prenderà, grazie a voi.»
«Entrate» disse Lanoy. «Accidenti, non avrei mai pensato di dovervi aiutare a questo modo.»
«Se avete un po’ di buonsenso seguitemi» disse Quellen. «Presto o tardi, Kloofman vi arresterà, non c’è scampo. Così, invece, lo evitereste.»
«Mi piace rischiare» sorrise Lanoy. «Quando verrà il momento, guarderò Kloofman negli occhi e cercherò di costringerlo a venire a patti. Ma venite. La macchina aspetta.»