Norman Pomrath guardò freddamente la moglie. «Quando si deciderà tuo fratello a fare qualcosa per noi, Helaine?»
«Non può, te l’ho già detto.»
«Vorrai dire che non vuole.»
«Non può. Chi credi che sia, Danton? E, per piacere, vorresti toglierti dai piedi? Ho bisogno di fare una doccia.»
«Meno male che hai detto per piacere» borbottò Pomrath. «Apprezzo le piccole cortesie.»
Si fece da parte, e per un ultimo residuo di pudore non guardò la moglie che si stava togliendo la tunica verde. Helaine gettò da parte l’indumento e si mise sotto la doccia molecolare. Dal momento che gli voltava la schiena, Norman si permise di guardarla. Dava molta importanza al pudore, anche se era sposato da undici anni. Gli pareva giusto che la gente godesse di un minimo d’intimità, in quei puzzolenti alloggi di uso locale, altrimenti si finiva per diventare come le bestie. Mordicchiandosi un’unghia, lanciava occhiate furtive alle natiche magre di sua moglie.
Nell’appartamento dei Pomrath l’aria era viziata, ma lui non osava fare affluire dell’altro ossigeno. Aveva già terminato la sua razione settimanale, e, se avesse premuto il pulsante, il calcolatore seppellito chissà dove nelle viscere della terra avrebbe espresso un parere negativo sul suo conto. E Pomrath sentiva che, in quel periodo, i suoi nervi non avrebbero retto ai rimproveri di un calcolatore. I suoi nervi sopportavano pochissime cose. Pomrath apparteneva alla Quattordicesima Classe, il che era già abbastanza triste, e non lavorava da tre mesi, il che era peggio; infine suo cognato apparteneva alla Settima Classe: e questo era il colmo. Che cosa aveva mai fatto per lui, Joe Quellen? Quel maledetto non si faceva neppure vedere. Eludeva le responsabilità della famiglia.
Helaine aveva finito di fare la doccia. Per il bagno molecolare l’acqua non serviva. Solo dalla Decima Classe in su si poteva adoperare l’acqua per lavarsi. Poiché quasi tutta l’umanità apparteneva all’Undicesima Classe e a quelle inferiori, il pianeta avrebbe puzzato tanto da ammorbare l’universo, se non ci fossero stati i bagni molecolari. Ci si spogliava, ci si metteva davanti al rubinetto, e un getto di onde ultrasoniche staccava la sporcizia dalla pelle, procurando l’illusione di essere puliti. Pomrath non distolse lo sguardo quando Helaine gli passò davanti nuda. Mentre lei si infilava la tunica, pensò che un tempo la trovava desiderabile. Ma, allora, era molto più giovane. Gli sembrava che fosse dimagrita parecchio, negli ultimi tempi. Adesso era decisamente sparuta. A volte, e specie di notte, la trovava assai poco femminile.
Si lasciò cadere sulla sdraio di plastica a rete, lungo una delle pareti prive di finestre, e chiese: «Quando tornano i bambini?»
«Fra un quarto d’ora. Perciò ho fatto la doccia prima. Tu stai a casa, Norm?»
«Esco fra cinque minuti.»
«Vai alla casa dei sogni?»
Lui la guardò seccato: magro com’era e col viso segnato dalla sconfitta, riusciva facilmente a essere arcigno. «No» rispose, «non alla casa dei sogni. Alla macchina del lavoro.»
«Ma sai che la macchina si metterebbe in contatto con te se avesse del lavoro da darti…»
«Voglio andarci di persona» replicò Pomrath, con fredda dignità. «Non voglio aspettare i comodi della macchina. Poi, probabilmente, andrò anche alla casa dei sogni: a festeggiare il successo o ad annegare il dolore.»
«Lo sapevo.»
«Accidenti, Helaine, perché non mi lasci in pace? È colpa mia se sono disoccupato? L’intelligenza e la capacità non mi mancano. Dovrei avere la possibilità di lavorare. Ma c’è una ingiustizia cosmica, nell’universo, che mi mantiene disoccupato.»
Lei scoppiò in una risata aspra. L’asprezza era una nota nuova, frutto degli ultimi anni. «Hai lavorato esattamente ventitré settimane in undici anni» disse. «Per il resto del tempo abbiamo vissuto di sussidi. Dalla Ventesima Classe sei riuscito a risalire fino alla Quattordicesima, e di lì non ti sei più mosso. Gli anni passano e non approdiamo a nulla, e i muri di questa maledetta casa sono per me come le sbarre di una gabbia, e quando ci sono i bambini mi viene voglia di romper loro la testa, e…»
«Helaine, smettila» disse lui senza perdere la calma.
Helaine ubbidì, con suo grande stupore. Le vibrava un muscolo sulla guancia, per non essere riuscita a sfogarsi fino in fondo, ma riprese con più calma: «Scusami, Norm. Non è colpa tua se siamo prolets. Trovare lavoro è una cosa così rara. Anche con la tua intelligenza…»
«Sì, lo so.»
«Così va il mondo. Non volevo fare una scenata, Norm. Ti amo, lo sai? Nel bene e nel male, come si dice.»
«Certo, Helaine, Sta’ tranquilla.»
«Forse verrò con te alla casa dei sogni. Lascia che sistemi i bambini…»
L’uomo scosse la testa. Quell’improvvisa manifestazione di affetto era commovente, ma vedeva già abbastanza sua moglie, a casa, giorno e notte, e non voleva che lo seguisse quando si prendeva i suoi meschini piaceri.
«Stavolta no, dolcezza» disse in fretta. «Ricorda che prima devo passare dalla macchina del lavoro. Va piuttosto a trovare qualcuno. Beth Wisnack, per esempio.»
«Suo marito non è ancora tornato.»
«Chi, Wisnack? Non lo hanno ancora rintracciato?»
«Credo che… sia saltato. Insomma, l’hanno cercato col televettore, e con non so che altro, ma non hanno trovato niente. Scomparso.»
«Ma tu credi davvero in questa faccenda dei saltati, Helaine?»
«Certamente.»
«Credi che sia possibile viaggiare nel tempo? È una cosa senza senso. Parlando in termini di teologia, se s’incomincia a capovolgere l’universo, se si confondono le direzioni in cui si svolgono gli avvenimenti, Helaine…»
Lei lo fissava con gli occhi spalancati: «Ne parlano anche i giornali. Se ne sta interessando l’Alto Governo. L’incarico delle ricerche è stato affidato al reparto di Joe. Norm, come puoi dire che non ci sono saltati, quando tutti i giorni scompare qualcuno? Quando Bud Wisnack che sta al piano di sopra…»
«Non esistono prove che l’abbia fatto.»
«E allora, dov’è?»
«Forse nell’Antartide. O in Polonia. O su Marte. Anche un televettore può sbagliare. Non posso mandare giù la storia dei viaggi nel tempo. Helaine. È irreale, fantastica, pare uscita dal sogno di un drogato.» Pomrath tossì. Ultimamente aveva preso l’abitudine di parlare troppo. Pensava a Bud Wisnack, piccolo e calvo, con la barba sempre lunga, e si chiese se avesse davvero fatto un salto indietro nel tempo, arrivando nel 1999, o giù di lì.
I Pomrath stettero a guardarsi per un momento, in un silenzio carico di disagio. Infine, Helaine disse: «Facciamo un’ipotesi, Norm. Se, per esempio, ora tu esci e ti si avvicina un uomo che dice di occuparsi dei viaggi nel tempo, e ti offre la possibilità di andartene, cosa risponderesti?»
«Gli direi di no» rispose il marito, dopo aver riflettuto sulla domanda. «Risponderei così, perché non mi sembrerebbe onesto abbandonare mia moglie e la mia famiglia. Può darsi che Bud Wisnack l’abbia fatto, ma io non sono tipo da sottrarmi alle mie responsabilità.»
Sorridendogli, come per mostrargli che era inutile che la prendesse in giro, lei rispose: «Molto nobile da parte tua, Norm. Tuttavia, sono convinta che anche tu te ne andresti.»
«Sei padrona di pensare quello che vuoi. Comunque sono tutte ipotesi campate in aria, e la cosa non ha importanza. Adesso vado a dare un’occhiata alla macchina del lavoro. Le dirò il fatto suo, e chissà che non riesca a farmi promuovere alla Settima Classe, come Joe.»
«Chissà» fece eco la moglie. «Quando tornerai?»
«Tardi.»
«Norm, non fermarti troppo alla casa dei sogni. Non mi piace quando prendi tutta quella roba.»
«Io appartengo alla massa» rispose lui, «e ho bisogno del mio oppio.»
Posò la mano sulla porta che scivolò nel muro con un lieve cigolio, e uscì. La luce sul pianerottolo era fioca. Imprecando tra sé, Pomrath si diresse all’ascensore. Sapeva che nelle abitazioni di Settima Classe la luce era molto più forte. Era andato a trovare Joe Quellen, di rado per la verità, perché il cognato non amava mescolarsi ai prolets, anche se si trattava dei suoi parenti. Ma aveva visto che Quellen se la passava bene. E, in fin dei conti, cos’era? Cosa sapeva fare di speciale? Era un burocrate, uno che si occupava di scartoffie. Un calcolatore poteva fare molto meglio. Ma Joe Quellen aveva un lavoro. E se la godeva.
Pomrath fissò con sguardo tetro la propria immagine riflessa dalla parete di metallo della cabina. Era un uomo robusto, sulla quarantina, con un paio di sopracciglia folte e gli occhi stanchi. L’immagine riflessa lo faceva sembrare più vecchio, con la pelle del collo cascante. Datemi tempo, pensò Norman, poi uscì dall’ascensore e si trovò al pianterreno dell’enorme palazzo.
Ho fatto le mie scelte liberamente, continuò a pensare. Ho sposato la voluttuosa Helaine Quellen. Ho avuto i due figli che sono permessi. Ho optato per il lavoro che mi piace. Ed eccomi qui, in una stanza sola per tutta la famiglia, e mia moglie è troppo magra, e io non la guardo quando è nuda, per non turbarla, e abbiamo già consumato tutta la razione di ossigeno, e sto andando alla macchina del lavoro, dove avrò la risposta di sempre; e poi andrò a spendere qualche soldo alla casa dei sogni, e…
Pomrath si soffermò a meditare su cos’avrebbe fatto se qualcuno che si occupava dei viaggi nel tempo gli avesse proposto un biglietto per andare in un ieri più tranquillo. Avrebbe colto a volo l’occasione, come Bud Wisnack?
Tutte sciocchezze, disse fra sé. I viaggi nel tempo non esistono. Sono invenzioni. Una frode perpetrata dall’Alto Governo. Non si può tornare indietro nel tempo. Tutto quello che si può fare è tirare avanti alla meno peggio minuto per minuto.
E se invece fosse vero, si chiese poi Norman Pomrath. Dov’è andato a finire Bud Wisnack?
Rimasta sola, Helaine si issò sul bordo dell’unico tavolo in mezzo alla stanza e, lì seduta, si morse forte il labbro per trattenere le lacrime.
Non mi ha neanche guardata, pensò. Ho fatto la doccia davanti a lui, e lui non mi ha neanche guardata.
In effetti, doveva ammettere che non era del tutto vero. Aveva visto l’immagine del marito riflessa nella lastra di rame che nella loro casa fungeva da finestra, e si era accorta che la guardava senza farsi notare, quando lei gli voltava la schiena. E l’aveva guardata anche quando gli era passata davanti per riprendere la tunica, dopo la doccia.
Ma non aveva fatto niente. Questo era il punto. Se avesse provato ancora un po’ di attrazione per lei, l’avrebbe accarezzata con un sorriso, oppure avrebbe premuto il pulsante per fare uscire il letto nascosto nella parete. Suo marito l’aveva guardata mentre era nuda, ed era rimasto indifferente. Questa constatazione la faceva soffrire più di ogni altra cosa.
Helaine aveva trentasette anni. Quindi, era tutt’altro che vecchia. Le restavano ancora almeno settanta od ottant’anni da vivere. Pure, si sentiva vecchia. Era dimagrita parecchio, ultimamente, e le ossa del bacino sporgevano come scapole messe al posto sbagliato. Sapeva di non avere più nessuna attrattiva sessuale per suo marito, e ne soffriva.
C’era forse qualcosa di vero nelle storie che circolavano, a proposito delle misure anti-sessuali promosse dall’Alto Governo? E cioè che, per ordine di Danton, venivano date agli uomini pillole per l’impotenza e alle donne dei desensualizzanti? Così si diceva in giro. Noelle Kalmuck, sosteneva che glielo aveva raccontato il calcolatore della lavanderia. Bisognava credere alle parole di un calcolatore: forse, la macchina era direttamente collegata all’Alto Governo.
Ma a lei pareva impossibile. Helaine non era un genio, ma aveva del buon senso. Per quale motivo il Governo si sarebbe dovuto occupare degli impulsi sessuali? Non certo per il controllo delle nascite. Riuscivano a farlo in modo più umano limitando il numero di figli consentiti: due per ogni coppia sposata. Se ne avessero permesso uno solo, forse avrebbero risolto i problemi della sovrappopolazione, ma disgraziatamente c’era qualcuno in alto loco che aveva insistito per due, e anche l’Alto Governo aveva dovuto cedere. Così la popolazione restava stabile. Forse diminuiva leggermente, se si teneva conto degli scapoli, come suo fratello Joe, e delle coppie che avevano pronunciato il giuramento di sterilità, eccetera… Ma il problema non era certo risolto.
Tuttavia, dal momento che il fattore demografico era sotto controllo, era assurdo pensare che il Governo volesse abolire anche il sesso. Il sesso era lo sport dei prolets. Era gratuito e non occorreva avere un lavoro per goderne. Serviva a far passare il tempo. Helaine concluse che le voci che circolavano erano infondate; anzi, probabilmente non era neanche vero che il calcolatore della lavanderia ne avesse mai parlato a Noelle Kalmuck. E perché, poi, avrebbe dovuto dirlo proprio a una donna sciocca e pettegola come lei?
Comunque, tutto era possibile. L’Alto Governo era così remoto. Il problema dei viaggi nel tempo, per esempio: chissà se c’era qualcosa di vero? Be’, in fondo era documentato che nei secoli passati erano arrivate molte persone dal futuro; però poteva darsi che si trattasse di notizie false infilate nei testi di storia, tanto per ingannare e confondere le idee. Che cosa c’era di vero e che cosa d’inventato?
Helaine sospirò. «Che ora è?» chiese.
L’orologio da orecchio le rispose: «Le quindici meno dieci.»
I bambini sarebbero tornati fra poco da scuola. Il piccolo Joseph aveva sette anni, Marina nove. A quell’età conservavano ancora parte della loro innocenza, almeno quel tanto che potevano avere due bambini costretti a vivere sempre in intimità coi genitori. Helaine andò al pannello dei cibi e, con gesti nervosi, programmò la merenda per i figli. Aveva appena terminato, quando i piccoli arrivarono. La salutarono e lei alzò le spalle: «Fate merenda» disse.
«Oggi a scuola abbiamo visto Kloofman» le disse Joseph con un sorriso angelico. «Assomiglia a papà.»
«Ma sicuro» replicò Helaine. «L’Alto Governo non ha nient’altro di meglio da fare che visitare le scuole, lo so. E Kloofman assomiglia a papà perché…» S’interruppe bruscamente. Stava per dire una bugia assurda, ma Joseph prendeva tutto alla lettera. Avrebbe riferito le parole della madre, e il giorno dopo sarebbe arrivato un ispettore a indagare sul motivo per cui i Pomrath della Quattordicesima Classe sostenevano di essere imparentati con uno di Loro.
«Non era mica Kloofman in carne ed ossa» intervenne Marina. «Ci hanno solo mostrato i suoi ritratti.» E, al fratello: «Sciocco, Kloofman ha troppo da fare per venire a trovarti in classe.»
«Marina ha ragione» disse Helaine. «Sentite, ragazzi, adesso mangiate la merenda, e poi fate i compiti.»
«Dov’è papà?» chiese Joseph.
«È andato alla macchina del lavoro.»
«Troverà un impiego, oggi?» chiese Marina.
«Non saprei» rispose la madre, con un sorriso evasivo. «Io vado a far visita alla signora Wisnack.»
I bambini mangiarono. Helaine uscì di casa e salì dai Wisnack. La porta la informò che Beth era in casa, perciò Helaine si annunciò e fu fatta entrare. Beth Wisnack la salutò con un cenno. Aveva l’aria tremendamente stanca. Era una donnetta sui quarant’anni, con occhi neri e capelli verde scuro raccolti in un nodo sulla nuca. I suoi due figli, maschio e femmina come sempre, stavano facendo merenda e voltavano le spalle alla porta.
«Notizie?» chiese Helaine.
«Nessuna. Se n’è andato, Helaine. Non lo vogliono ammettere, ma è saltato, e non tornerà più. Sono vedova.»
«E le ricerche col televettore?»
L’altra si strinse nelle spalle: «Secondo la legge, devono continuare per otto giorni. E questo è tutto. Hanno controllato sull’elenco dei saltati, ma non compare alcun Wisnack. Il che, naturalmente, non vuol dire niente. Pochissimi usavano il loro vero nome quando arrivavano nel passato. E, dei primi, non esiste neppure una descrizione fisica. Quindi, non ci sono prove. Tuttavia, lui è scomparso. La settimana prossima chiederò la pensione.»
Helaine aveva l’impressione che il dolore di Beth rendesse ancora più pesante l’atmosfera umida della stanza e l’amica le faceva compassione. Nella Quattordicesima Classe la vita non era molto piacevole, ma, per lo meno, nei momenti peggiori ci si poteva sempre appoggiare al nucleo familiare. Beth, adesso, non aveva più neppure quell’appoggio. Suo marito era scomparso nel passato, in un viaggio senza ritorno. Addio, Beth. Addio, bambini. Addio, schifoso venticinquesimo secolo, doveva aver detto, prima di scomparire nel tunnel del tempo. I vigliacchi non sono capaci di affrontare le responsabilità, pensava Helaine. E adesso, chi avrebbe sposato Beth Wisnack?
«Mi dispiace tanto per te» mormorò.
«Risparmiami la tua compassione. Prima o poi sarà anche la tua sorte. Tutti gli uomini scappano. Vedrai. Se ne andrà anche Norman. Parlano tanto di doveri, ma poi scappano. Bud giurava che non se ne sarebbe mai andato, ma non lavorava da due anni, lo sai, e l’assegno settimanale non bastava più. Così se n’è andato.»
L’allusione che anche suo marito avrebbe potuto scomparire, un giorno o l’altro, non piacque ad Helaine. Le sembrava scortese che Beth facesse insinuazioni simili, benché fosse da compatire. Dopo tutto, lei era salita a consolarla, da buona vicina. No, Beth era stata proprio maleducata.
Come se se ne fosse accorta anche lei, l’altra disse: «Siediti un po’ a parlare con me. Ti confesso, Helaine, che dalla sera che Bud è scomparso non riesco più a ragionare. Mi auguro che a te sia risparmiata una tortura come la mia.»
«Non devi disperare» le disse Helaine. Ma erano parole vuote, e lo sapeva.
Dovrei parlarne a mio fratello Joe, pensò. Forse potrebbe fare qualcosa per noi. Appartiene alla Settima Classe, è un uomo importante. Non voglio che Norm diventi un saltato!