5

Martin Koll si diede un gran daffare a riordinare le carte sparse sulla scrivania. Non voleva certo far trapelare la sua confusione davanti a Quellen. Il Sovrintendente Criminale aveva appena esposto un progetto inquietante e pieno di possibili conseguenze. Koll, da parte sua, avrebbe dovuto riferirlo all’Alto Governo perché desse il suo parere. Avrebbe volentieri infilzato Quellen in un palo arrugginito, per il fastidio che gli arrecava. D’accordo, era una proposta intelligente. Ma da Quellen non ci si aspettavano proposte ingegnose. Era un uomo tenace, metodico, abbastanza abile, ma non c’era motivo perché presentasse al suo superiore un’idea tanto sleale nei suoi confronti.

«Vediamo se ho capito bene» disse Koll, che aveva capito perfettamente. «Nel corso delle ricerche negli elenchi dei saltati, è venuto in luce un certo Mortensen, il quale dovrebbe partire il mese venturo. Secondo voi, bisognerebbe tenerlo d’occhio, risalire alla persona che gli ha proposto il viaggio e, se necessario, impedirgli con la forza di compierlo, arrestando chi è implicato in questa faccenda.»

«Esatto» disse Quellen.

«Vi rendete conto che rappresenterebbe un’interferenza diretta col passato, in un modo mai tentato prima d’ora, per quanto ne sappiamo?»

«Lo so, ed è per questo che sono venuto a chiedere la vostra autorizzazione. Sono dibattuto fra due imperativi: acciuffare l’organizzatore dei viaggi nel tempo e mantenere intatta la struttura della storia. Quel Mortensen è sicuramente in contatto con l’organizzatore, o lo sarà fra poco, dato che partirà il 4 maggio. Quindi, se lo teniamo d’occhio…»

«Sì» l’interruppe seccamente Koll. «L’avete già detto. Mi rendo conto delle difficoltà.»

«Avete istruzioni da darmi?»

Koll tornò a trafficare con le carte. Era convinto che Quellen lo facesse apposta, per metterlo alle corde. E Koll era perfettamente in grado di apprezzare la squisitezza della situazione. Per dieci anni aveva costretto Quellen a ballare al suono della propria musica, obbligandolo a occuparsi di un problema delicato dopo l’altro e divertendosi a vedere come il suo sottoposto riusciva a trattare e a risolvere il problema con le sue limitate capacità. Koll ammetteva di essere stato sadico con Quellen. Del resto, non c’era niente di male. Anche lui, come tutti, aveva dei difetti, e non gli sembrava poi così ingiustificato sfogare i suoi istinti aggressivi attraverso l’ostilità per l’impassibile Quellen. Ma era comunque molto seccante che a sua volta Quellen, per vendicarsi, lo mettesse nelle peste a quel modo.

Dopo un lungo silenzio, pieno di disagio, Koll disse: «Non posso ancora darvi istruzioni, perché devo consultarmi con Spanner. E, con tutta probabilità, dovremo sentire anche altri pareri.»

Alludeva naturalmente all’Alto Governo. A Koll non sfuggì il sorrisetto che illuminò per un attimo il viso del suo interlocutore. Era chiaro che Quellen se la godeva.

«Sarà meglio che sospenda ogni azione finché non avremo la risposta, signore» disse il Sovrintendente Criminale.

«Sarà meglio» disse Koll.

Quellen uscì, e Koll si conficcò le unghie nel palmo delle mani fino a farsi male. Poi, con gesti rapidi, premette i pulsanti del dittafono, finché dalla macchina uscì la bobina su cui era stata registrata la sua conversazione con Quellen. Ora toccava a Spanner studiarci su. Ma… Spanner era uscito; era andato in un altro reparto per controllare dei reclami che erano stati presentati. Koll, fradicio di sudore, pensò che sarebbe stato meglio se Quellen avesse aspettato il ritorno di Spanner, prima di fare quella maledetta proposta riguardante Mortensen. Ma anche quello rientrava nel diabolico piano del Sovrintendente Criminale. Koll si rodeva dalla rabbia per essere perseguitato a quel modo da un sottoposto. Chiuse gli occhi e rivide il viso di Quellen: naso lungo e diritto, occhi celesti, mento diviso nel mezzo. Un viso qualunque, che non restava impresso. Qualcuno poteva anche definirlo bello. Nessuno aveva mai trovato bello Martin Koll, eppure era intelligente. Molto, molto più intelligente di quel bastardo. O così, almeno, aveva pensato sempre Koll, fino a quel giorno.

Spanner tornò dopo un’ora. Mentre si metteva a sedere alla scrivania con l’aria soddisfatta della belva che ha appena mangiato, Koll spinse la bobina verso di lui.

«Sentila, e poi dimmi cosa ne pensi.»

«Non potresti parlarmene a voce?»

«No, fai più presto ad ascoltarla.»

Per fortuna Spanner si servi della cuffia, così Koll non fu costretto a riascoltare la conversazione. Finita la bobina Spanner alzò gli occhi e, raschiandosi la gola, disse: «Mi pare che così, avremmo un’ottima probabilità di catturare il nostro uomo.»

«Segui il mio ragionamento» Koll chiuse gli occhi continuando a parlare. «Noi prendiamo Mortensen. Lui non va nel passato e non mette al mondo i cinque figli, di cui invece risulta padre. Tre di questi cinque figli, supponiamo, hanno un peso determinante sullo svolgimento della storia. Uno diventa padre dell’assassino del Segretario Generale Tze. Un altro il nonno della ragazza sconosciuta che portò il colera a San Francisco. Il terzo è l’antenato di Flaming Bess. Ora, dal momento che Mortensen non è mai riuscito ad andare nel passato, nessuno di questi tre individui è mai nato.»

«Proviamo a osservare la questione da un altro punto di vista» replicò Spanner. «Mortensen riesce ad andare nel passato e ha cinque figli. Due femmine restano zitelle. La terza muore annegata. Il quarto è un operaio qualunque, che ha dei figli del suo stampo. Il quinto…»

«Come fai a sapere quali possono essere le conseguenze della rimozione di un solo operaio qualunque dalla matrice del passato?» chiese Koll. «Come fai a giudicare quali mutamenti, magari radicali possono essere sopravvenuti se una donna qualunque, una zitella, non è nata? Vuoi correre questo rischio, Spanner? Vuoi accollarti la responsabilità?»

«No.»

«Nemmeno io. Da quattro anni a questa parte sarebbe stato possibile intercettare quasi tutti i saltati, dopo avere controllato i documenti, impedendo loro di partire. Ma nessuno l’ha fatto. Che io sappia, nessuno ha mai neppure proposto di farlo, finché questa diabolica idea non ha colpito la mente del nostro amico Quellen.»

«Non è vero. Ti dirò, anzi, che ci avevo pensato anch’io.»

«Ma non ne hai fatto parola con nessuno.»

«Be’, sì. Non avevo il tempo di studiarne le conseguenze. Ma sono sicuro che altri membri del governo, che si sono occupati del problema dei saltati, ci hanno pensato. Può darsi persino che sia già stata messa in pratica, eh, Koll?»

«Benissimo. Chiama Quellen e digli che richieda l’autorizzazione formale di attuare il suo progetto. E poi, firmala.»

«No, dobbiamo firmarla tutti e due.»

«Io mi rifiuto di assumere questa responsabilità.»

«Se è così, rifiuto anch’io» disse Spanner.

«In questo caso, dobbiamo esporre la questione a Loro, perché decidano.»

«D’accordo. Pensaci tu.»

«Vigliacco!» sbottò Koll.

«Non è vero. Quellen è venuto da te con la sua proposta. Tu poi ne hai discusso con me e io ti ho dato un consiglio che non ha fatto che confermare la tua decisione. Spetta a te agire. Sei tu che devi andare da Loro. Non avrai mica paura, eh?» insinuò Spanner, con un sorriso sornione.

Koll si mosse a disagio sulla poltrona. Per la carica che ricopriva e le responsabilità che ne derivavano, aveva diritto di accedere all’Alto Governo. L’aveva già fatto più di una volta, e sempre con riluttanza. Non poteva accedervi direttamente, questo no; aveva parlato a tu per tu con membri della Seconda Classe, ma i suoi contatti con la Prima Classe avvenivano solo attraverso lo schermo. Koll aveva parlato una volta con Danton e tre con Kloofman, ma non poteva avere la certezza che le immagini dello schermo corrispondessero ad autentici esseri umani. Se una immagine diceva di essere Kloofman, parlava con la voce di Kloofman, corrispondeva ai ritratti tridimensionali di Kloofman appesi nei locali pubblici, non ne derivava necessariamente che esistesse o fosse esistito un individuo reale, rispondente al nome di Peter Kloofman.

«Chiamerò, e staremo a vedere cosa succede» disse Koll.

Preferiva non chiamare dall’ufficio. Provò un improvviso bisogno di muoversi e si alzò in fretta per andare a parlare da una cabina dell’atrio. Appena ebbe premuto i pulsanti, lo schermo s’illuminò.

Naturalmente nessuno era tanto audace da telefonare direttamente a Kloofman. Si preferiva sempre farlo attraverso un intermediario. In questo caso la persona adatta era David Gogan, Seconda Classe, viceré degli affari criminali interni. Gogan esisteva: Koll l’aveva conosciuto di persona, gli aveva dato la mano e aveva passato due orribili ore nella proprietà privata di Gogan, in Africa Orientale, riportandone una delle più memorabili e strazianti esperienze della sua vita.

Chiamò dunque Gogan, e, dopo un quarto d’ora, sullo schermo comparve il viceré. L’uomo gli sorrise con la benevola condiscendenza di un membro della Seconda Classe, sicuro di sé, nei confronti di un subalterno. Gogan, secondo Koll, doveva essere sulla cinquantina: aveva capelli grigi tagliati cortissimi, la bocca storta e la fronte pelosa. Aveva perduto, chissà come e quando, l’occhio sinistro e al suo posto aveva un grosso ricevitore di fibra sintetica, i cui terminali di vetro erano collegati direttamente col cervello.

«Cosa c’è, Koll?» chiese gentilmente.

«Signore, uno dei miei dipendenti ha proposto un metodo insolito per ottenere informazioni circa il fenomeno dei saltati. Sono sorte delle controversie sulla possibilità o meno di attuare il piano d’azione proposto.»

«Perché non me lo esponete?» disse Gogan, con il tono caldo e comprensivo di un froidi che indaga sulla grave neurosi di un paziente.


Un’ora dopo, verso la fine della sua giornata di lavoro, Quellen seppe da Koll che non era stato deciso ancora niente circa il caso Mortensen. Koll ne aveva parlato a Spanner e poi a Gogan; e adesso Gogan stava parlandone a Kloofman. Dopodiché, uno di Loro avrebbe fatto sapere il Suo Parere, nel giro di pochi giorni. Intanto, Quellen doveva starsene tranquillo, evitando qualsiasi azione. Cera tutto il tempo che si voleva, dato che la partenza di Mortensen, secondo i documenti, sarebbe avvenuta il 4 maggio.

Quellen non si sentì affatto compiaciuto di avere suscitato quel vespaio. L’idea di prendere Mortensen era indubbiamente brillante, ma qualche volta era pericoloso dimostrarsi troppo intelligenti. Non se ne ricavava mai niente di buono. Quellen sapeva di avere messo in imbarazzo Koll e, a lume di naso, avrebbe giurato che a sua volta Koll aveva messo in imbarazzo Gogan, il quale ora stava seccando Kloofman. Tutto questo voleva dire che la brillante proposta di Quellen stava provocando un mucchio di seccature su su, fino alle più alte sfere. Quando era più giovane e roso dall’ambizione di essere promosso alla Settima Classe, Quellen non avrebbe chiesto di meglio per attirare su di sé l’attenzione dei superiori. Ma adesso apparteneva alla Settima Classe, aveva realizzato il suo sogno di possedere un appartamento tutto per sé, e altre promozioni gli avrebbero dato ben poco. Per di più, il rifugio segreto africano gli pesava sulla coscienza. L’ultima cosa che voleva, era che un membro dell’Alto Governo dicesse: Quellen è molto intelligente… scoprite tutto quello che c’è da sapere sul suo conto. Invece, Quellen era felice se nessuno si occupava di lui.

Tuttavia, non aveva potuto fare a meno di proporre l’affare Mortensen. Doveva adempiere alle responsabilità ufficiali, e la gravità della sua infrazione alla legge lo rendeva ancora più consapevole dei suoi doveri.

Prima di tornare a casa, Quellen chiamò Stanley Brogg.

«Abbiamo già teso la rete, capo» lo informò il suo assistente, appena entrato. «Questione di giorni, forse di ore, e poi scopriremo il responsabile.»

«Bene» disse Quellen. «Ma ho escogitato un altro modo per scoprirlo. Tuttavia bisogna procedere con cautela, perché la mia proposta non è stata ancora approvata. Un certo Donald Mortensen partirà per il passato il 4 maggio prossimo. L’ho scoperto nei documenti che mi avete dato. Controllate chi è e chi sono i suoi amici. Ma agite con molta discrezione. Non si può ancora intervenire ufficialmente.»

«Benissimo.»

«Mi raccomando, discrezione. Se quell’uomo scopre che stiamo interessandoci a lui, potrebbe suscitare un vespaio d’inferno. Potremmo anche essere destituiti, o peggio. Perciò state ben attento: girategli intorno, ma senza entrare in contatto diretto. Altrimenti ve la vedrete brutta.»

Con un sorriso bieco, Brogg replicò: «Volete dire che mi fareste retrocedere di un paio di classi?»

«Probabilmente.»

«Non credo che lo fareste, Sovrintendente. Non a me.»

Quellen fissò negli occhi il grassone. Brogg era diventato impertinente, da un po’ di tempo, approfittando in modo eccessivo del potere che aveva su di lui. Il fatto che avesse scoperto per caso l’esistenza della villa segreta in Africa, era il suo più grande cruccio.

«Uscite» ordinò «e ricordate di andare cauto con Mortensen. Può darsi che l’Alto Governo non dia la sua approvazione, e sarà finita per noi, se Loro scopriranno che abbiamo messo sul chi vive Mortensen.»

«Capisco» disse Brogg, e uscì.

Quellen rimase in dubbio se avesse fatto bene o no a dare il via a Brogg. Cosa sarebbe successo se, tramite Gogan, Loro avessero comunicato di lasciar in pace Mortensen?

Comunque Brogg sapeva il fatto suo… anche troppo. E in realtà non c’era molto tempo a disposizione, se il Governo dava la sua approvazione. Quellen non poteva starsene con le mani in mano e, per ora, aveva fatto tutto il possibile. Fu tentato di scaricare quella sporca faccenda sulle spalle di Brogg e di tornarsene in Africa, ma pensò che sarebbe stato troppo pericoloso. Chiuse l’ufficio e si avviò verso la più vicina rampa di taxiespresso, per tornare a casa. Nelle prossime settimane avrebbe potuto tornarsene ogni tanto in Africa per un paio d’ore, ma non più, perché fino a quando il caso dei saltati non fosse risolto, doveva rimanere in Appalachia sempre a disposizione.

Appena a casa, si accorse di non avere niente da mangiare nella dispensa. Era meglio provvedere subito, pensò, considerando che doveva rimanere a lungo in Appalachia. Talvolta faceva le ordinazioni per telefono, ma quel giorno preferì scendere personalmente, deciso a riempire la dispensa come se prevedesse un lungo assedio. Mentre si trovava sulla rampa mobile, notò un individuo dall’aria dimessa, con una tunica rossa scolorita, che stava salendo. Non lo conosceva, ma non c’era da stupirsi, perché la popolazione di Appalachia era talmente numerosa che si finiva per conoscere solo poca gente: i parenti, i vicini, e qualche commerciante, come il guardiano dell’emporio vicino.

L’uomo dall’aria dimessa lo stava fissando in modo strano, come se volesse comunicargli qualche cosa con gli occhi. Quellen si sentiva in preda a un profondo disagio. Nel corso del suo lavoro era venuto a conoscere i diversi tipi di molestatori che si potevano incontrare per strada. A parte i soliti maniaci sessuali, c’era gente che si avvicinava a qualcuno per iniettargli a tradimento qualche droga infernale come l’elidone, o i tipi, ancor più pericolosi, che trasmettevano per contatto dei carcinogeni, o ancora gli agenti segreti che riuscivano a infilare, senza farsene accorgere, una sonda elettrica nella carne; e questa sonda avrebbe poi trasmesso ogni parola detta. Erano cose che succedevano tutti i giorni.

«Prendi e leggi» mormorò l’uomo dall’aria dimessa.

Lo urtò come per sbaglio, e gli infilò in mano una minischeda. Quellen non ebbe modo di evitare il contatto. In quell’attimo, lo sconosciuto avrebbe potuto fargli qualsiasi cosa: nel giro di un minuto, il calcio contenuto nelle sue ossa avrebbe potuto sciogliersi come gelatina, o il suo cervello fuoriuscire dal naso, tutto per soddisfare l’insano desiderio di un pazzo criminale. Ma, a quanto pareva, l’uomo si era limitato a passargli un foglietto. Quellen svolse la scheda, dopo che l’altro era ormai scomparso in cima alla rampa, e la lesse.


DISOCCUPATO?
PARLANE A LANOY.

Era tutto. Istantaneamente, il lato professionale di Quellen prese il sopravvento. Come quasi tutti coloro che violavano la legge mentre avrebbero dovuto tutelarla, era pronto a notare le infrazioni altrui, e c’era qualcosa che puzzava d’illegale in quel messaggio. Che si trattasse di un’agenzia di collocamento? Ma il problema dell’occupazione era nelle mani del Governo. Quellen si voltò di scatto nella speranza di rintracciare l’uomo dalla tunica rossa. Riuscì a scorgere da lontano un lembo di tunica svolazzante, ma subito scomparve anche quella. Chissà dov’era diretto!

Disoccupato? Parlane a Lanoy.

Quellen si chiese chi potesse essere quel Lanoy e quale magico rimedio avesse da offrire. Decise di parlarne a Leeward e a Brogg, perché indagassero in merito.

Dopo essersi infilato in tasca la scheda. Quellen entrò nell’emporio. La porta si aprì automaticamente per lasciarlo passare. Numerosi robot erano intenti a catalogare le merci, a disporle sugli scaffali, a preparare le ordinazioni. L’ometto dal viso arrossato che dirigeva l’emporio salutò Quellen con insolita effusione. Naturalmente si trattava solo di un individuo di “rappresentanza” perché tutto il lavoro veniva svolto dai calcolatori. Ma quale massaia avrebbe desiderato spettegolare con un calcolatore?

«Oh, il Sovrintendente Criminale! È molto tempo che non ci onorate della vostra presenza. Incominciavo a pensare che aveste traslocato. Ma è impossibile, vero? Mi avreste avvertito, se foste stato promosso.»

«Certo, Greevy, avete ragione. Ho avuto molto da fare in questi ultimi tempi. Investigazioni.» Quellen era preoccupato. Non voleva che nel vicinato si spargesse la voce delle sue frequenti assenze. Si affrettò a prendere nervosamente il catalogo e cominciò a scegliere i numeri. Poi esaminò la lista che aveva preparato, e l’infilò nella scanalatura, sotto lo sguardo benevolo del custode.

«Ieri è stata qui vostra sorella» disse Greevy.

«Helaine? È un po’ che non la vedo.»

«Ha una brutta cera, Sovrintendente. Magrissima. Sono sicuro che il signor Pomrath sarebbe felice di lavorare più spesso. Sicurissimo. A nessuno piace stare in ozio. Vostra sorella dice che ne soffre. In effetti» proseguì il custode chinandosi per parlargli all’orecchio, «in effetti non dovrei dirvelo… ma credo che nella famiglia di vostra sorella ci sia un po’ di risentimento contro di voi. Pensano che forse, con la vostra influenza politica…»

«Non posso fare niente per loro! Niente!» Quellen si rese conto che stava gridando. Che cosa interessava a quel bottegaio se Norman Pomrath era disoccupato? Come osava intromettersi a quel modo? Quellen dovette fare uno sforzo per calmarsi; si scusò e, dopo aver salutato, se ne andò in fretta.

In strada, si soffermò a osservare la folla dei passanti, c’erano vestiti di tutte le fogge e colori. Tutti parlavano di continuo. Il mondo era un alveare sovrappopolato e, nonostante il controllo delle nascite, la situazione si aggravava di giorno in giorno. Quellen provava una dolorosa nostalgia per il tranquillo rifugio che si era costruito a così alto prezzo e con tanta trepidazione. Più stava con i coccodrilli, meno sentiva il desiderio di mescolarsi alla folla che sciamava per le strade della città.

Naturalmente l’ordine regnava sovrano. Tutti erano numerati, etichettati, schedati, per non dire anche che tutti erano costantemente sorvegliati. In quale altro modo si poteva governare una popolazione di dodici, tredici o addirittura trenta miliardi di persone, se non imponendo un ordine rigoroso? Tuttavia, data la sua particolare posizione, Quellen sapeva che sotto quell’apparente superficie di ordine, si verificavano ogni sorta di reati, anche i più vergognosi, ben più gravi del suo che, dopo tutto, non era altro che un tentativo giustificabile di sfuggire a un’esistenza insopportabile. Si trattava di crimini turpi, imperdonabili, dannosi. Le droghe, per esempio. Nei cinque continenti, c’erano fabbriche che sfornavano nuove droghe appena veniva vietato l’uso di quelle in commercio. Proprio in quei giorni, si producevano degli alcaloidi dagli effetti mortali, che venivano smerciati nel modo più sfacciato. Uno, per esempio, andava in una casa dei sogni deciso a comperarsi un’ora di innocenti allucinazioni, e invece gli somministravano una droga infernale. Oppure, a bordo di un taxiespresso, un uomo sfiorava una donna, e quella che in apparenza poteva sembrare solo una carezza audace, provocava nella donna degli effetti così gravi, che la costringevano a sottoporsi alla disintossicazione.

, pensava Quellen, succedono cose di questo genere. Cose orribili, disumane. Siamo gente priva di umanità. Ci facciamo del male a vicenda per il semplice gusto di farlo. E se ci rivolgiamo ai nostri simili per chiedere aiuto, troviamo per tutta risposta paura e rifiuto. Sta’ lontano, lasciami in pace!

Prendiamo per esempio questo Lanoy, continuava a pensare Quellen, tormentando la scheda che si era messo in tasca. Qui c’è sotto qualche imbroglio, e tuttavia sono riusciti a tenersi così ben nascosti da non attirare l’attenzione del Segretariato di Polizia. Cosa dicono gli archivi dei calcolatori, a proposito di questo Lanoy? Com’è riuscito a nascondere la sua attività illegale alla famiglia e ai coinquilini? Certo non vive solo. Un fuorilegge di questo stampo non può appartenere alla Settima Classe. Lanoy dev’essere un astuto prolet, che agisce di sua iniziativa, nel proprio interesse.

Quellen provava una strana simpatia per quello sconosciuto Lanoy, sebbene gli ripugnasse di ammetterlo. Come lui, Lanoy violava la legge, anche se, probabilmente, in modo infame. Doveva essere un uomo molto scaltro. Forse valeva la pena di conoscerlo. Perplesso, Quellen si mise a camminare in fretta verso casa.

Загрузка...