9

La cosa più strana, pensò Walton, era che lui non poteva farci assolutamente nulla.

Avrebbe potuto chiamare Sellors e dargli una robusta strigliata per non aver sorvegliato il suo ufficio nella maniera migliore, ma questo non avrebbe fatto ritornare l’incartamento mancante.

Avrebbe potuto diffondere l’allarme generale, e così avrebbe fatto sapere al mondo che esisteva la formula di Lamarre, e che l’immortalità era sul mercato. Sarebbe stato catastrofico.

Walton chiuse con rabbia il cassetto e fece scattare la serratura. Poi, pesantemente, si calò sulla poltrona e si prese la testa fra le mani. Tutta l’esultanza di pochi istanti prima si era trasformata nella depressione più nera.

Sospetti? Soltanto due… Lamarre e Fred. Lamarre perché era il sospetto più ovvio; Fred perché avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di danneggiare il fratello.

— Mi passi Sellors, della sicurezza — disse Walton nell’intercom.

Il viso mite di Sellors apparve sul quadro del visifono. L’uomo batté rapidamente le palpebre, alla vista di Walton e Walton si chiese per un istante fuggevole quanto fosse pauroso il suo aspetto; doveva avere l’aria di un indemoniato, malgrado la collaborazione del filtro “executive”, il filtro che agiva sull’immagine trasmessa dal visifono e la mutava leggermente, per dare un aspetto migliore anche al più stanco degli affaticati dirigenti del tempo. Chissà in che condizioni era ridotto lui, Walton, se malgrado il filtro il suo aspetto appariva così disfatto.

— Sellors, desidero che lei mi proclami uno stato di allarme generale, non ufficiale, in tutte le sezioni della Sicurezza, per cercare un certo dottor Lamarre. Troverà la descrizione dell’uomo e le sue caratteristiche essenziali registrate nei nastri delle visite di oggi; è venuto a trovarmi verso mezzogiorno. Il nome è… ehm… Elliot. T. Elliot Lamarre, gerontologo. Non so dove abiti.

— Cosa devo fare quando l’avrò trovato, signore? — chiese il poliziotto.

— Lo porti qui senza indugio, e, se lo trova a casa, sigilli la porta. Potrebbe essere in possesso di certi documenti segreti di estrema importanza.

— Sissignore.

— E metta le mani sul fabbro che ha riparato la porta del mio ufficio. Voglio che la calibratura della combinazione venga immediatamente cambiata.

— Certo, signore.

Lo schermo impallidì. Walton tornò alla scrivania e si gettò come un disperato sul normale lavoro di routine, cercando di restare occupato per non pensare troppo alle altre cose.

Pochi minuti dopo lo schermo tornò a illuminarsi. Era Fred.

Walton fissò freddamente l’immagine del fratello.

— Be’, cosa vuoi? Fred ridacchiò.

— Perché sei così pallido e smunto, fratellino mio? Delusioni d’amore?

— Cosa diavolo vuoi?

— Un’udienza da Sua Altezza il Direttore ad Interim, se così aggrada a Vostra Grazia. — Fred sorrise, e fu un sorriso odioso quant’altri mai. — Una, udienza, privata, se, non, vi, dispiace, mio, signore — disse, scandendo bene le parole.

— Bene. Vieni su.

Fred scosse il capo.

— Spiacente, non mi va. Ci sono troppi dannati impianti-spia nel tuo ufficio. Troviamoci da qualche altra parte, che ne dici?

— Dove?

— Il club al quale appartieni, per esempio. La Sala di Bronzo.

Walton balbettò.

— Ma non posso lasciare l’edificio in questo momento! Non c’è nessuno che…

— Immediatamente — disse Fred, seccato. — La Sala di Bronzo. È nella San Isidro, vero? Nel grattacielo Neville?

— Va bene — disse Walton, rassegnato. — C’è un fabbro che deve salire quassù per fare un certo lavoro. Lasciami il tempo di annullare l’ordine e sarò da te.

— Tu scenderai subito — disse Fred. — Io arriverò cinque minuti dopo di te. E non avrai bisogno di annullare l’ordine. Ero “io” il fabbro.

Neville Avenue, dove sorgeva il grattacielo Neville, era la strada più elegante di tutta New York, un’ampia striscia di ferrocemento che attraversava il West Side, tra l’Undicesima Avenue e la West Side Drive, tra la Quattordicesima e la Quindicesima Strada. Era fiancheggiata da enormi edifici ad appartamenti nei quali i grandi capitalisti dell’epoca potevano avere appartamenti di quattro e perfino cinque stanze; e proprio in fondo alla Avenue, di fronte al grattacielo Neville, c’era la poderosa San Isidro, una fortezza di splendente metallo e di pietra i cui sostegni di berillio e acciaio descrivevano archi possenti di centocinquanta metri e più.

Al centocinquantesimo piano della San Isidro si trovava la riservatissima Sala di Bronzo dalle cui finestre di quarzo si poteva vedere la distesa di Manhattan e la confusione frenetica di New Jersey, dall’altra parte del fiume.

Il jetcottero fece scendere Walton sul piano di atterraggio della Sala di Bronzo; diede una mancia troppo alta al conducente, ed entrò nell’edificio. Una porta di bronzo gli si parò dinnanzi. Toccò con la chiave la piastra segreta; la porta si aprì silenziosamente, e lo fece entrare.

Lo schema colorifico, quel giorno, era il grigio; luce grigia usciva dalle pareti luminescenti, tappeti grigi soffocavano i passi, tavoli grigi con piatti grigi si vedevano nella vasta distesa grigia e discreta. Un cameriere vestito di grigio, alto non più di un metro e trenta, si avvicinò silenziosamente a Walton.

— Lieto di rivederla, signore — mormorò. — Il signore non è venuto qui da tempo.

— No — disse Walton. — Sono stato troppo occupato, purtroppo.

— Terribile tragedia, la morte del signor FitzMaugham. Era uno dei nostri membri più famosi e degni. Il signore desidera la sua solita stanza?

Walton scosse il capo.

— Ho un ospite… mio fratello Fred. Avremo bisogno di una stanza per due. Fred si farà identificare, al suo arrivo.

— Naturalmente. Mi segua, prego.

Lo gnomo lo guidò, attraverso la penombra grigia, fino a un’altra porta di bronzo, e poi lungo un corridoio che pareva un’antica galleria d’arte, tanti erano gli antichi quadri che vi erano appesi. Poi, passando attraverso una sala interna decorata in maniera lussuosa, e oltrepassando una finestra di quarzo così limpida da apparire invisibile, i due salirono un paio di gradini, e videro una porta stretta e alta, sulla quale si trovava una placca rossa.

— Per lei, signore.

Walton accostò la chiave alla placca rossa; la porta si aprì, o meglio si contrasse, come una fisarmonica. Walton entrò, con aria grave passò al cameriere una banconota di grosso taglio, e chiuse la porta.

La stanza era arredata con gusto squisito, sempre in grigio, naturalmente; la Sala di Bronzo era sempre uniformemente monocroma, benché la tonalità variasse sempre durante la giornata e a seconda dell’umore della città. Walton si era continuamente chiesto quale sarebbe stato l’aspetto del Club, senza la rigida regola del colore.

In realtà, sapeva benissimo che nessuna delle pareti della Sala di Bronzo aveva un colore, se non c’era la mano di qualche addetto ai comandi a premere un pulsante. Il Club conteneva molti segreti. Era stato FitzMaugham a sostenere la causa di Walton, proponendo il suo nome per l’ammissione al circolo, e Walton gli era stato profondamente grato.

Si trovava in una stanza abbastanza ampia per contenere comodamente due persone, con una finestra di fronte all’Hudson, un tavolino, un piccolo schermo incastonato discretamente in una parete, e un bar. Walton formò sul disco la combinazione, e ordinò un rum speciale, il suo liquore preferito. Il liquido uscì immediatamente dalla macchina.

Lo schermo emanò d’un tratto una breve, palpitante luce verde, rompendo l’uniformità grigia della stanza. Poi il colore verde fu sostituito dalla testa calva e dal viso arcigno di Kroll, il portiere della Sala di Bronzo.

— Signore, c’è un uomo, fuori, che afferma di essere suo fratello. Dichiara inoltre di avere un appuntamento con lei.

— Ha ragione, Kroll; lo mandi qui. Fulks lo accompagnerà nella mia stanza.

— Solo un momento, signore. Prima è necessario verificare. — Il viso di Kroll svanì e fu sostituito da quello di Fred. — È lui? — domandò la voce di Kroll.

— Sì — disse Walton. — Può fare entrare mio fratello.


Fred pareva un po’ stordito dall’opulenza del luogo. Sedette impacciato sulla bassa e comoda poltroncina, evidentemente desideroso di apparire “blasé”, e altrettanto evidentemente consapevole dell’insuccesso dei suoi sforzi.

— Davvero un posticino di lusso — disse Fred, finalmente. Walton sorrise.

— Un po’ troppo grandioso, per i miei gusti. Non ci vengo spesso. Sai, la differenza tra il mondo esterno e questo posto balza subito agli occhi, e ferisce.

— È stato FitzMaugham a farti entrare qui, non è vero?

Walton annuì.

— Lo pensavo — disse Fred. — Be’, forse un giorno, e non troppo lontano, anch’io sarò membro del Club. Allora potremo incontrarci qui più spesso. Sai, non ci vediamo abbastanza, fratellino.

— Ordinati quello che preferisci — disse Walton. — E poi dimmi cos’hai in mente… o stavi solo cercando di ottenere un invito per entrare qui dentro?

— No, c’era molto di più… ma lasciami bere, prima di andare avanti.

Fred si ordinò un Weesuer, e cominciò a sorseggiarlo, prima di voltarsi di nuovo a fissare Walton. Disse: — Una delle piccole abilità che ho imparato nel corso dei miei vagabondaggi è stata l’arte di fare il fabbro. Le porte, per me, non hanno segreti. Sai, in realtà non è molto difficile imparare. Certo, bisogna applicarsi. Come in tutte le cose.

— Sei stato tu a riparare la porta del mio ufficio, allora?

Fred gli strizzò l’occhio. — Ero proprio io. Indossavo una maschera, naturalmente, e avevo preso in prestito la divisa. Le maschere sono molto utili. Oggi le producono molto convincenti. Come, per esempio, quella indossata dall’uomo che fingeva di essere l’amico Ludwig.

— Che cosa ne sai tu di…

— Niente. E questa è la pura verità, Roy. Io non ho ucciso FitzMaugham e non so chi l’abbia fatto. — Vuotò il bicchiere e se ne ordinò un altro. — No, la morte del vecchio è un mistero per me come lo è per te. Ma devo ringraziarti per avere rovinato completamente la porta, quando sei entrato nell’ufficio. Così ho avuto l’occasione di compiere qualche riparazione proprio nel momento in cui ne avevo il maggiore bisogno.

Walton si controllò attentamente, per evitare di tradire qualche reazione. Sapeva esattamente quello che Fred gli avrebbe detto nei prossimi minuti, ma non voleva lasciarsi coinvolgere in una discussione prematura.

Con studiata noncuranza si alzò, si ordinò un altro rum, e girò la manopola del caleidoscopio elettroluminescente incastonato nella parete.

Un disegno di luci apparve subito… luci gialle, rosa, azzurre e verdi. Le luci si intrecciavano, cambiavano continuamente, acquistavano prospettive diverse, si fondevano, parevano scendere fino al tappeto in una nevicata di fiocchi morbidi e cangianti.

— Spegni quella cosa! — esclamò d’un tratto Fred, seccamente. — Avanti, spegnila! “Spegnila”!

Walton si girò. Suo fratello aveva chiuso gli occhi e se li copriva addirittura con le mani.

— L’hai spenta? — chiese Fred. — Dimmelo!

Stringendosi nelle spalle, Walton annullò il segnale e le luci si spensero.

— Puoi aprire gli occhi, adesso. È spenta. — Cautamente, Fred aprì gli occhi.

— Non tentare uno dei tuoi fantastici trucchi con me, Roy!

— Trucchi? — domandò Walton, con aria innocente. — Quali trucchi? Si tratta di un semplice motivo decorativo, ecco tutto… e molto bello, anche. Una specie dei caleidovortici che si vedono alla televisione.

Fred scosse il capo.

— Non è la stessa cosa. Come faccio a sapere che non si tratta di una specie di ipnoschermo? Come faccio a sapere quel che possono fare le luci?

Walton si rese conto che suo fratello non conosceva i caleidoscopi murali.

— È perfettamente innocuo — disse. — Ma se non vuoi che lo tenga acceso, possiamo farne benissimo senza, che ne dici?

— Bene. Così mi piace.

Walton notò che la fredda sicurezza di Fred pareva lievemente scossa. Suo fratello aveva commesso un errore tattico, insistendo nel pretendere di tenere quel colloquio nel Club, dove Walton aveva il gioco in mano.

— Posso di nuovo chiederti il motivo di questo colloquio? — disse Walton.

— Esistono persone — disse Fred lentamente — che si oppongono all’intero principio del controllo della popolazione.

— Me ne rendo conto. Alcune di queste persone fanno parte di questo stesso Club.

— Esatto. Alcune. Le persone che dico io sono i possidenti terrieri, quelli tanto fortunati da poter restare ancora legati alla terra e alla casa. Il gentiluomo che possiede cento acri di terra nel Mato Grosso, per esempio; il ricco possidente della Liberia; l’uomo che possiede le ultime piantagioni e cura il traffico della gomma in qualche piccola isola dell’Indonesia. Questa gente, insomma, e altri simili. Costoro, Roy, non considerano con molta simpatia il Piano. Lo spostamento della popolazione da una regione all’altra non è per loro motivo di grande allegria. Sanno benissimo che prima o poi il tuo Piano verrà a sapere della loro esistenza, e li sottoporrà al controllo… Per esempio, installando cento cinesi in una proprietà privata, o usando un fiume privato per una turbina nucleare. Dovrai ammettere che, se costoro non amano il tuo lavoro, la cosa è comprensibile.

— È comprensibile, certo, com’è comprensibile il risentimento di tutti nei confronti del Piano — disse Walton.

— Neppure a me piace. Ne hai avuto la prova due giorni or sono. A nessuno piace rinunciare ai propri privilegi.

— Allora capisci bene il mio punto di vista. Ci sono almeno cento di queste persone che sono in stretto contatto tra loro…

— “Che cosa hai detto”?

— Ah, sì — disse Fred. — Una lega. Una congiura, potremmo quasi chiamarla. Un lavoro che si svolge nell’ombra.

— Sì?

— Io lavoro per loro — disse Fred.

Walton aspettò qualche istante, perché la notizia gli entrasse bene in testa.

— Tu sei un dipendente di Poppy — disse. — Vorresti dire che, oltre a essere un dipendente di Poppy, sei anche legato a un gruppo che cerca di abbattere, o per lo meno danneggiare, Poppy?

Fred sorrise, con orgoglio.

— È proprio la mia posizione, precisa. Ci vuole una notevole capacità di divisione della propria mente. Credo di cavarmela piuttosto bene.

Incredulo, Walton disse: — Da quanto tempo va avanti la cosa?

— Da quando sono entrato a Poppy. Questo gruppo di cui ti parlo è più antico di Poppy. Ha combattuto il Piano fin dall’inizio, usando tutti i mezzi disponibili, e ha perduto. Adesso sta lavorando dal fondo e cerca di salire in alto, cerca di rovinare tutto prima che tu ti faccia furbo e decida di confiscare le loro proprietà, come potresti fare legalmente, con il tuo nuovo incarico.

— E adesso che mi hai informato dell’esistenza di questo gruppo — disse Walton — puoi stare sicuro che sarà la prima cosa che io farò. La seconda cosa… bene, ordinerò agli uomini della sicurezza di scoprire i nomi dei componenti della congiura, e di scoprire se esistono gli estremi di un vero e proprio complotto per sovvertire l’ordine costituito. Se otterrò le prove di quanto dici, manderò tutti i congiurati in galera. E la terza cosa che farò sarà sbatterti fuori da Poppy.

Fred scosse il capo.

— Non farai nessuna di queste cose, Roy. Perché, vedi, non puoi farle.

— Perché?

Fred sorrise.

— Conosco una cosa, sul tuo conto, che se si venisse a sapere in giro non ti gioverebbe molto. No, non ti gioverebbe affatto, e ti potrebbe fare anzi un bel po’ di male. Una cosa, diciamo, che ti farebbe cadere dalla tua altissima posizione in un batter d’occhio. Sai, cose che succedono. Chi troppo in alto sale…

Walton fissò suo fratello, cercando di mantenere la sua espressione impenetrabile.

— Non riuscirai ad agire tanto in fretta da impedirmi di mettere in moto il meccanismo. Il mio successore continuerebbe il mio lavoro, e penserebbe lui a sradicare completamente la tua lega di proprietari terrieri. Ci puoi scommettere, su questo.

— Ne dubito — disse Fred, con estrema calma. — Ne dubito davvero, e permettimi di dubitare… perché sarò io il tuo successore.

Загрузка...