20

Anche dopo questo provvedimento… per il quale non si sentiva colpevole, ma provava solo un grande sollievo… Walton si sentì pervaso da una serie di cupi presentimenti. Martinez visifonò, più tardi, per informarlo che i cento proprietari terrieri erano stati debitamente arrestati e venivano sorvegliati nelle più profonde segrete della Prigione.

— Gridano e si lamentano — disse Martinez. — E ci invaderanno con battaglioni di avvocati, se non facciamo presto. Sarà meglio che le sue accuse si rivelino fondate, signor Walton. Altrimenti avremo dei guai.

— Sto ottenendo l’autorizzazione a sottoporre a lobotomia totale quello che si chiama Di Cassio. È il capo della cospirazione, secondo me. — Walton fece una breve pausa, poi domandò: — È arrivato un jetcottero di Poppy a prelevare Frederic Walton?

— Sì — disse Martinez. — Alle quattordici e sei minuti. Qualche tempo dopo si è presentato un avvocato, sventolando un ordine di scarcerazione, ma naturalmente il prigioniero non era più sotto la nostra giurisdizione.

Gli occhi dell’uomo della Sicurezza erano freddi e accusatori, ma Walton non esitò, sotto quello sguardo.

— Alle quattordici e sei minuti? — ripeté. — Molto bene, Martinez. Grazie per la collaborazione.

Tolse il contatto. Ora si muoveva freddamente e con efficienza. Per ottenere l’autorizzazione a procedere con la lobotomia totale, doveva vedere personalmente il presidente Lanson. Benissimo: avrebbe visto il presidente Lanson.

Il vecchio incartapecorito della Casa Bianca aveva un atteggiamento apertamente ossequioso e deferente, nei confronti del capo di Poppy. Walton spiegò la situazione rapidamente, e usando termini chiari e precisi. Gli occhi blandi e acquosi di Lanson ammiccarono più volte, per i molti lati complessi presentati dalla situazione. Si dondolò più volte sulla poltrona a dondolo, avanti e indietro.

Alla fine disse: — Questa lobotomia… è assolutamente necessaria?

— Assolutamente. Dobbiamo sapere dov’è nascosto questo siero.

Lanson sospirò pesantemente.

— Le darò l’autorizzazione — disse. Aveva l’aria di uno sconfitto.

Il viaggio da Washington a New York fu una questione di pochi minuti. Stringendo in mano la preziosa autorizzazione Walton parlò a Di Cassio attraverso il circuito chiuso televisivo della Prigione, e lo informò di quanto gli stava per essere fatto. Poi, malgrado le isteriche proteste del grassone, consegnò l’autorizzazione a Martinez, con l’ordine di procedere senza indugio all’operazione.

Ci vollero cinquantotto minuti. Walton aspettò in un ufficio spoglio e austero, in qualche punto imprecisato della Prigione, mentre i tecnici della lobotomia stavano aprendo la corteccia del cervello di Di Cassio. Ormai Walton non aveva più dubbi, non aveva più esitazioni. Era finalmente arrivato a considerarsi semplicemente quello che era: un uomo che eseguiva un compito sgradevole ma necessario, e nell’esecuzione di quel compito doveva comportarsi come un semplice robot. Niente più.

Alle diciannove e cinquanta Martinez si presentò davanti a Walton. Il viso del capo della Sicurezza era privo di espressione.

— È fatta. Di Cassio è stato ridotto a un mucchietto di ossa e di gelatina pigolante. Non gradirei assistere a un’altra operazione del genere troppo presto.

— Può darsi che sia necessario — disse Walton. — Se Di Cassio non fosse quello giusto, intendo procedere in fila, uno dopo l’altro, fino al centesimo, se è necessario. Uno di loro ha trattato con Fred. Uno di loro deve sapere dove si trovano i documenti di Lamarre.

Martinez scosse stancamente il capo. Fissava Walton con una specie di ammirazione contenuta.

— No. Non ci sarà bisogno di altre lobotomie. Abbiamo tirato fuori tutto da Di Cassio. La trascrizione dovrebbe arrivare entro pochi minuti.

Mentre l’ufficiale stava parlando, una lampada si accese sul condotto di arrivo, e dal tubo pneumatico uscì un pacco. Walton si alzò, impaziente, ma Martinez gli fece segno di stare al suo posto.

— Questo è il mio territorio, signor Walton. La prego di avere pazienza.

Con lentezza esasperante, Martinez aprì il pacco, ne estrasse alcuni fogli scritti in caratteri minutissimi, e annuì. Li porse a Walton.

— Ecco. Legga lei stesso. È la registrazione della conversazione tra suo fratello e Di Cassio. Credo che sia quello che lei cercava.

Walton accettò i fogli, nervosamente, e cominciò a leggere:


Di Cassio: “Che cos’ha lei?”

Fred Walton: “Un siero dell’immortalità. La vita eterna. Mi capisce bene, immagino. Uno scienziato di Poppy ha inventato il siero, e io ho rubato i suoi appunti dall’ufficio di mio fratello. La formula è completa”.

Di Cassio: “Buono! Eccellente lavoro. Buono, buono! Eccellente. Immortalità, ha detto?”

Fred Walton: “Proprio così. Ed è l’arma che possiamo usare per scalzare Roy dal suo posto. Dovrò semplicemente dirgli che farà meglio a togliersi di mezzo, altrimenti noi distribuiremo liberamente il siero all’umanità, e lui si toglierà di mezzo. È un’idealista… gli occhi pieni di stelle, e idiozie del genere. Non avrà mai il coraggio di resistere”.

Di Cassio: “Ma questo è meraviglioso. Lei, naturalmente, ci manderà la formula del siero, perché noi possiamo custodirla”.

Fred Walton: “Che io sia dannato se farò una cosa simile. Terrò quegli appunti esattamente dove devono stare… dentro la mia testa! Ho distrutto tutti i libri e gli appunti e ho ucciso lo scienziato. L’unico che conosce il segreto è il suo affezionatissimo Fred. Questo serve soltanto a impedire un doppio gioco da parte sua, Di Cassio. Non che io non mi fidi di lei, mi capisce, vero?

Di Cassio: “Fred, ragazzo mio…

Fred Walton: “Niente, niente, lasciamo stare questa roba. Lei mi ha dato mano libera. Non tenti di interferire, adesso”.


Walton si lasciò sfuggire i fogli, che caddero al suolo. Aveva le dita intorpidite.

— Mio Dio — disse, piano. — Mio Dio!

Gli occhi penetranti di Martinez fissarono prima Walton, poi i fogli sparsi al suolo.

— Che succede? Lei aveva ragione, no? Le debbo ancora una volta delle scuse, signor Walton. Per fortuna lei ha Fred in sua custodia no?

— Ma non ha letto l’ordine che le ho mandato?

Martinez ridacchiò, una risata cupa.

— Be’, sì… l’autorizzazione per il Sonno Felice. Ma pensavo che fosse solo un modo di evitare la scarcerazione… voglio dire… suo “fratello” amico?

— Non è stato un trucco — disse Walton. — Quello era un ordine per il Sonno Felice, sicuro e solido come nient’altro. E intendevo realmente quello che ho scritto. A meno di qualche errore, Fred è entrato nella camera a gas quattro ore fa. E — disse Walton — ha portato con sé la formula di Lamarre.


Solo nel suo ufficio, nel Cullen Building oscurato dalla notte, Walton guardò il suo riflesso distorto che lo irrideva dalla finestra opacizzata. Sulla sua scrivania c’era un foglio di carta, sul quale era scritto l’elenco di coloro che avevano ricevuto il Sonno Felice con il turno delie quindici.

Frederic Walton era il quarto nome della lista. Questa volta non c’erano stati errori.

Walton ripensò agli eventi degli ultimi nove giorni. Una delle prime cose di cui si era reso conto, all’inizio di quel drammatico periodo, era stato il fatto che il direttore di Poppy aveva poteri di vita e di morte sull’umanità. Padrone della vita, padrone della morte.

Come un Dio, aveva assunto entrambe le responsabilità. Aveva dato la vita a Philip Prior; questo era stato l’inizio della catena degli eventi, e il primo di una lunga catena di errori. Era stato questo l’errore più grande, il primo, quello che aveva causato tutto il resto. Perché aveva sbagliato, perché la vita non si poteva concedere, quando la legge diceva che bisognava toglierla.

E adesso, aveva dato la morte a Frederic Walton, un atto di per se stesso più che giustificabile, anzi, doveroso, ma le cui conseguenze lo avevano portato a essere il più grande di tutti i suoi errori.

Tutti i suoi piani erano giunti alla fine di un vicolo cieco. Ora qualsiasi aiuto avrebbe dovuto giungergli dall’esterno.

I suoi sforzi erano stati compiuti in tutta onestà. Lui non era Dio. Eppure aveva cercato di fare il maggior bene possibile. Se qualcuno, chiunque, l’avesse approvato in quel momento, era il momento di venirgli in aiuto.

Stancamente, schiacciò il pulsante e chiese di essere collegato con Nairobi. Il trattato interstellare doveva essere cancellato; Walton non poteva consegnare il prezzo pattuito. Fred avrebbe riso per ultimo.

Qualche minuto più tardi, parlò con McLeod.

— Sono felice che mi abbia chiamato — disse immediatamente McLeod. — Ho cercato di raggiungerla per tutto il giorno. Il dirnano sta diventando piuttosto impaziente; questa gravità troppo bassa lo fa star male, e vuole ritornare al suo pianeta natale.

— Mi faccia parlare con lui. Potrà partire subito.

McLeod annuì e scomparve dallo schermo. Il viso alieno di Thogran Klayrn vi apparve al suo posto.

— Aspettando io stavo la chiamata sua — disse il dirnano, nel suo solito linguaggio che il traduttore non riusciva a rendere più sopportabile. — Lei promise di chiamare oggi nelle ore precoci. Così non fece.

— Mi dispiace davvero — disse Walton. — Cercavo di trovare la formula da consegnarle.

— Ah, sì. Ciò è stato fatto?

— No — disse Walton. — Il siero non esiste più. L’uomo che l’ha inventato è morto, e così anche l’unico altro uomo al mondo che conosceva la formula.

Ci fu un momento di silenzio pieno di tensione. Poi il dirnano disse: — Assicurata mi ebbe la consegna dell’informazione.

— Lo so. Ma non posso consegnargliela. — Walton tacque per qualche istante, cupamente. — Il patto non esiste più. C’è stato un contrattempo e l’uomo che possedeva le informazioni è stato… è stato inavvertitamente giustiziato oggi.

— Oggi, dice lei?

— Sì. E stato un errore da parte mia. Un errore stupido, imperdonabile.

— Questo è irrilevante — lo interruppe lo straniero. — Intatto è ancora il corpo dell’uomo?

— Be’, sì — disse Walton, sorpreso. Si chiese cosa avesse in mente lo straniero. — È nella nostra morgue, in questo momento. Ma…

Lo straniero scomparve dallo schermo per un istante, e Walton lo sentì parlare con qualcuno che non era inquadrato dalla telecamera. Poi il dirnano ritornò.

— Tecniche esistono per ricuperare informazioni da persone morte di fresco — disse Thogran Klayrn. — Nessuna avete di esse loro, sulla Terra?

— Ricuperare informazioni? — ripeté Walton, balbettando. — No, non ne abbiamo.

— Purtuttavia esse loro esistono invero. Sulla Terra un congegno simile all’elettroencefalografo possedete forse?

— Naturalmente.

— Laonde per cui, possibile è ancora estrarre i dati dal cervello di quest’uomo morto. — Lo straniero ansimò ansiosamente. — Che al corpo nulla di male succeda lei provveda. Io sarò in breve alla città sua.

Per un istante, Walton non riuscì a capire.

Poi pensò: Naturalmente. Doveva andare così.

Si rese conto che la smagliatura era stata riparata, che i suoi errori erano stati cancellati, che la sua coscienza aveva avuto un rimprovero, ma tutto a fin di bene. Provò un senso assurdo di gratitudine. Sarebbe stato intollerabile, se tutti i suoi sforzi fossero stati annullati così, all’ultimo momento.

Adesso, l’opera era compiuta.

— Grazie — disse, con improvviso fervore. — Grazie!


14 Maggio 2233…

Roy Walton, direttore del Piano per il Controllo della Popolazione, era in piedi, sudato, sotto il sole dell’astroporto di Nairobi, e guardava la fila di persone sorridenti che salivano a bordo della grande astronave dorata.

Un uomo poderoso che stringeva in braccio un bambino si avvicinò a lui.

— Salve, Walton — disse, con voce profonda e maestosa. Walton si voltò, sorpreso.

— Prior! — esclamò, dopo un attimo di esitazione.

— E questo è mio figlio Philip — disse Prior. — Partiamo entrambi per la colonia. Mia moglie è già a bordo, ma io volevo prima ringraziarla…

Walton guardò il bambino felice, dalle guance rosse e paffute.

— C’è stato un accurato controllo medico per tutti i volontari. Com’è riuscito a passare suo figlio, “questa” volta?

— In maniera più che legittima — disse Prior, sorridendo. — È un bambino perfettamente sano, normale. Quella predisposizione era soltanto una predisposizione… potenziale, ecco. Philip ha avuto un certificato di abilità di tipo A-1, così il nuovo mondo e le sue distese sono aperti per la famiglia di Prior!

— Sono contento per lei — disse Walton, con aria assente. — Vorrei tanto partire anch’io.

— Perché non può farlo?

— C’è troppo lavoro, qui — disse Walton. — Se scriverà qualche poesia lassù, sarei felice di poterla leggere.

Prior scosse il capo.

— Ho l’impressione che sarò troppo occupato. La poesia, in realtà, è solo un povero sostituto della vita. Ormai l’ho capito. Sarò troppo occupato a “vivere” lassù, per riuscire a scrivere qualcosa.

— Forse — disse Walton. — Immagino che lei abbia ragione. Ma farà meglio a muoversi. L’astronave dovrebbe decollare tra poco.

— Certo. Grazie ancora, grazie di tutto — disse Prior, e se ne andò con suo figlio.

Walton li seguì con lo sguardo. Ripensò all’anno che era trascorso. “Almeno” si disse “ho pensato giusto in una circostanza. Il bambino meritava di vivere”.

Il carico dell’astronave continuava. Mille coloni sarebbero partiti, in quel primo viaggio, e altri mille sarebbero partiti il giorno dopo, e poi, mille e mille e mille ancora, finché un miliardo di abitanti della Terra non fosse stato sul nuovo mondo. C’erano tanti, troppi documenti da compilare, per trasferire un miliardo di persone su un altro pianeta. La scrivania di Walton scricchiolava minacciosamente, sotto la montagna di documenti.

Sollevò lo sguardo. Non si vedeva nessuna stella, naturalmente, nel cielo di mezzogiorno, ma lui sapeva che Nuova Terra si trovava lassù: da qualche parte. E vicino a essa, Dirna.

“Un giorno” pensò “anche noi impareremo a controllare la nostra crescita. E in quel giorno i dirnani ci restituiranno la nostra formula dell’immortalità”.

Si udì l’improvviso ululato della sirena che chiamava a raccolta i coloni, e pochi istanti dopo un’altra sirena fece udire il suo gemito, e l’astronave numero uno partì dalla Terra, rimase sospesa per qualche istante, sorretta da una rossa colonna di fuoco e scomparve. Il direttore Walton guardò il punto in cui l’astronave era stata fino a pochi istanti prima, e, dopo un momento, si voltò. C’era tanto lavoro che lo aspettava a New York.


FINE
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