Alle dodici e cinquantacinque minuti Walton riordinò la sua scrivania, si alzò e, per la seconda volta nella giornata, lasciò il suo ufficio. Si sentiva in apprensione, ma non più del normale; dietro le paure e le tensioni che lo percorrevano c’era una sicurezza tranquilla, la certezza che FitzMaugham non gli avrebbe giocato altri tiri; sarebbe rimasto con lui.
E c’era poco da temere da Fred, aveva concluso dopo molte riflessioni. Era quasi impossibile per un semplice medico di quarta categoria ottenere udienza dal direttore; nel corso normale degli eventi, se Fred avesse tentato di mettersi in contatto con FitzMaugham, sarebbe stato mandato automaticamente, per via gerarchica, da Roy, con le conseguenze intuibili.
No; il pericolo che rappresentava Fred era potenziale, per quello che suo fratello sapeva, ma non era immediato né reale, e ci sarebbe stato tempo per venire a patti con lui. Quando Walton lasciò il suo ufficio si sentiva molto sollevato, e camminava con disinvoltura; attraversò l’ufficio esterno, e uscì nel corridoio.
Fred lo stava aspettando là fuori.
Indossava il suo camice bianco, macchiato di giallo e di rosso dai reagenti e dai coagulanti dei quali si serviva durante le analisi. Era appoggiato alla parete concava del corridoio, e teneva le mani in tasca. I suoi lineamenti avevano un’espressione di disinvoltura troppo perfetta per essere autentica.
— Ciao, Roy. Che combinazione “trovarti” qui!
— Davvero?
— Be’, a dire il vero, immaginavo di vederti.
— Come hai fatto a sapere che sarei passato di qui?
— Ho chiamato il tuo ufficio. Mi hanno risposto che eri uscito, e stavi andando a prendere l’ascensore. Perché sei così nervoso, fratellino? Hai avuto una mattinata faticosa?
— Peggio di quello che pensi — borbottò Walton. Era teso, vigile, sulla difensiva. Schiacciò il bottone di chiamata dell’ascensore.
— Dove stai andando? — domandò Fred.
— Strettamente confidenziale. Incontro ad altissimo livello con Fitz, se proprio vuoi saperlo.
Fred socchiuse gli occhi.
— Incontro tra le alte sfere, eh? Hai un momento per parlare a un semplice mortale?
— Fred, non rendere le cose difficili. Sai benissimo…
— Piantala. Mi rimangono appena due minuti del periodo di sosta che mi è concesso per l’ora di colazione. Voglio spiegarmi completamente con te. Ci sono dei microfoni-spia, nel corridoio?
Walton meditò sulla domanda. Che lui sapesse, non ce n’era nessuno, e lui conosceva la maggior parte degli impianti-spia dell’edificio. Comunque, con FitzMaugham non si poteva mai sapere. Forse il grand’uomo aveva pensato di piazzare dei microfoni dei quali lui non sapeva nulla.
— Non lo so con certezza — disse. — Che cos’hai in mente, Fred?
Fred trasse di tasca un blocco d’appunti e cominciò a scrivere qualcosa. Disse, nel frattempo: — Correrò il rischio e te lo dirò ugualmente. Uno degli uomini del laboratorio mi ha detto che un altro uomo gli aveva riferito che, segretamente, sia tu che FitzMaugham siete degli herscheliani. — Corrugò la fronte, preso dallo sforzo di scrivere una cosa e di parlare di un’altra simultaneamente. — Naturalmente, non posso ancora fornirti dei nomi, ma voglio che tu sappia che io sto indagando sull’individuo in questione con molta attenzione. Devo essere prudente, se voglio scoprire quello che c’è da scoprire.
— È questo che volevi dire per paura dei microfoni? — domandò Walton.
— Proprio questo. Preferisco, per il momento, fare delle indagini non ufficiali. — Fred terminò di scrivere l’appunto, strappò il biglietto dal blocco e lo porse al fratello.
Walton lo lesse in silenzio. La scrittura era incerta e contusa, perché non era facile portare avanti una conversazione a uso e consumo di un eventuale microfono nascosto, scrivendo nello stesso tempo un messaggio su un argomento totalmente diverso.
Il messaggio diceva: “So tutto sul piccolo Prior. Terrò la bocca chiusa per il momento, così non preoccuparti. Ma non tentare nessuna azione avventata o stupida, perché ho depositato un resoconto dell’intera faccenda in un luogo che non potrai scoprire”.
Walton appallottolò il messaggio e se lo infilò in tasca. Disse, ad alta voce: — Grazie per l’informazione, Fred. Me ne ricorderò, stai tranquillo.
— D’accordo, fratellino.
L’ascensore arrivò. Walton salì nel cilindro e schiacciò il bottone “ventinove”.
Nel momento che il cilindro impiegò per salire il breve spazio di un piano Walton pensò: “Così Fred fa un gioco d’attesa… terrà sospeso quello che sa sulla mia testa, come una spada di Damocle, finché non potrà farne l’uso migliore e più proficuo per lui”.
Provò comunque un certo sollievo. Qualunque fosse l’arma che Fred possedeva, qualsiasi prova avesse nascosto nel suo “luogo sicuro”, Walton aveva sempre la possibilità di cancellare i ricordi del computer e far sparire la pista almeno da quella parte.
La porta dell’ascensore si aprì; una targa luminosa elencava le diverse attività del ventinovesimo piano, e in fondo all’elenco c’era scritto “D.F. FitzMaugham, Direttore”.
L’ufficio di FitzMaugham si trovava in fondo a un labirinto di piccoli cubicoli che ospitavano funzionari di Poppy, sulle cui attività Walton non era mai riuscito a farsi un’idea completa. Certo, Walton aveva cercato di familiarizzarsi con la struttura gerarchica di Poppy, ma i suoi tentativi non avevano avuto grande successo; e non era strano, anche se lui occupava il posto di vicedirettore. FitzMaugham aveva concepito quel titanico piano quasi mezzo secolo prima, e aveva amorosamente creato e cesellato e rifinito la struttura dell’organizzazione per tutti i lunghi anni che erano trascorsi prima dell’approvazione della legge che faceva di Poppy un’organizzazione riconosciuta e funzionante.
C’erano moltissimi difetti nel sistema, ma in linea generale il lavoro di FitzMaugham era stato fruttuoso… tanto fruttuoso da permettere all’organizzazione di entrare subito in azione, addirittura poche ore dopo la formale autorizzazione dell’ONU. Tutte le pieghe di dipartimenti, la rete fittissima di agenzie interne, il bilancio incredibilmente dettagliato del Piano, nel quale la politica della lesina veniva usata per le esigenze dei singoli uffici… spesso ottenere una matita era una vera impresa… mentre enormi stanziamenti venivano concessi a progetti come quello del “terraforming”… tutti questi particolari erano pienamente compresi, per il momento, dal solo FitzMaugham.
Walton diede un’occhiata all’orologio. Era in ritardo di tre minuti; il ritardo era stato causato dalla conversazione con suo fratello. Ma Ludwig, l’uomo delle Nazioni Unite, non era certo famoso per la sua scrupolosa puntualità, e la possibilità che egli non fosse ancora arrivato entrava quasi nell’ordine delle certezze matematiche.
La segretaria dell’ufficio che presiedeva la porta ermeticamente chiusa dell’ufficio di FitzMaugham sollevò lo sguardo non appena Walton si avvicinò.
— Il direttore è occupato in un colloquio di estrema importanza, signore, e… oh, scusi, signor Walton. Entri subito; il signor FitzMaugham la sta aspettando.
— É già arrivato il signor Ludwig?
— Sì, signor Walton. È arrivato circa dieci minuti fa.
Strano, pensò Walton. Da quanto sapeva di Ludwig, quello non era capace di arrivare in anticipo a un appuntamento. Walton e FitzMaugham avevano dovuto trattare molte volte con lui, nei giorni precedenti l’approvazione di Poppy, e Ludwig non era stato puntuale neppure una volta.
Walton si strinse nelle spalle. Se Ludwig era stato capace di cambiare così radicalmente la propria posizione politica, passando da una feroce opposizione a Poppy a un’altrettanto feroce campagna per l’approvazione del progetto, probabilmente poteva anche cambiare le proprie abitudini per quanto riguardava gli appuntamenti.
Walton entrò nel raggio di azione del visore. La sua immagine, in quel momento, veniva ritrasmessa all’interno dell’ufficio, dove FitzMaugham avrebbe potuto esaminarla attentamente, stabilire che essa apparteneva proprio al suo delfino, e poi farlo entrare nel “sancta sanctorum”. Il direttore era molto scrupoloso nell’esaminare le persone che volevano entrare nel suo ufficio, e non gli si poteva dare torto.
Passarono cinque secondi; in genere FitzMaugham non impiegava di più, prima di farlo entrare. Ma dall’interno non giunse alcun segno di vita, e Walton tossicchiò, diplomaticamente.
Nessuna risposta. Walton si girò e tornò alla scrivania, dietro la quale la segretaria era intenta a dettare nel suo dittafono-riproduttore (l’apparecchio veniva chiamato correntemente parlascrivi); Walton aspettò che lei finisse la frase, e poi le toccò lievemente il braccio.
— Sì, signor Walton?
— Il visore sembra guasto. Le dispiacerebbe chiamare il signor FitzMaugham con l’intercom, per dirgli che sono arrivato?
— Ma certo, signor Walton.
Le dita della segretaria si mossero sui pulsanti, con la velocità nata dall’esperienza. Aspettò che la segretaria lo annunciasse al direttore, ma lei si fermò e tornò a guardare Walton.
— Non risponde, signor Walton. Deve essere spaventosamente occupato.
— Ma lui “deve” rispondere. Suoni di nuovo.
— Mi dispiace, signor Walton, ma…
— Suoni di nuovo!
Lei richiamò, con riluttanza, senza ottenere risposta. FitzMaugham preferiva il tipo d’intercom al quale doveva essere data una risposta, prima di stabilire la comunicazione vera e propria; Walton permetteva alla sua segretaria e al centralinista del suo piano di violare la sua tranquillità senza avere ricevuto un segnale di assenso.
— Non risponde neppure adesso, signore.
Walton cominciava a spazientirsi.
— Bene, al diavolo le risposte. Stabilisca il contatto e gli dica che lo sto aspettando qui fuori. La mia presenza è importante là dentro.
— Signor Walton, il signor FitzMaugham proibisce tassativamente a chiunque di usare l’intercom senza la sua risposta — protestò la ragazza.
Si sentì avvampare il viso.
— Prendo io la responsabilità.
— Mi dispiace, signor Walton, ma…
— Va bene. Si scosti da quella macchina e lasci che gli parli “io”. Se ci saranno delle conseguenze, gli dica che l’ho costretta puntandole contro una pistola.
Lei indietreggiò, piena d’orrore per l’incredibile violazione delle regole stabilite dal suo principale, e lui si infilò al posto della ragazza, dietro la scrivania. Stabilì il contatto; non ci fu alcuna risposta. Allora disse: — Signor FitzMaugham, sono Roy. Sono davanti alla porta del suo ufficio proprio in questo momento. Devo entrare, oppure no?
Silenzio. Guardò meditabondo l’apparecchio.
— Sto per entrare — disse.
La porta era una buona imitazione del legno pregiato, era spessa diversi centimetri e probabilmente era fatta di acciaio al berillio, che la rendeva piuttosto ostica da superare. FitzMaugham amava essere protetto.
Walton contemplò la porta per un momento. Entrando nel campo d’azione del visore, disse: — Signor FitzMaugham? Mi sente? — Nel silenzio che seguì, decise di proseguire. — Sono Walton. Sono qui fuori con un disintegratore, e se non mi darà un ordine contrario, cercherò di entrare nel suo ufficio.
Silenzio. Questo era davvero incredibile. Walton si chiese se l’intera faccenda non facesse parte di una trappola escogitata dalla mente tortuosa di FitzMaugham. Bene, l’avrebbe scoperto abbastanza in fretta. Regolò il fiotto di calore del disintegratore alla corta distanza e alla massima intensità, e schiacciò il pulsante. Un raggio uscì dalla pistola e bagnò la porta.
Una piccola folla di spettatori curiosi si era radunata a rispettosa distanza. Walton mantenne il fiotto di calore allo stesso livello. Lo strato di legno sintetico si fuse quasi immediatamente; l’acciaio al berillio della porta cominciò ad avvampare, diventò rosso e poi quasi bianco.
Apparve la combinazione che teneva chiusa la porta. Walton concentrò il getto in quella direzione, e la porta cominciò a gracchiare e a grugnire.
Spense il disintegratore, se lo infilò in tasca, e diede un robusto calcio alla porta. La porta si spalancò immediatamente.
Per un istante riuscì a vedere una testa bianca macchiata di sangue, riversa su un’ampia scrivania… e poi qualcuno lo colpì allo stomaco.
L’aggressore era un uomo della sua stessa altezza, che indossava un abito azzurro con ricami in oro; la mente di Walton registrò i particolari con incredibile chiarezza. Il volto dell’uomo era distorto dalla paura e dalla sorpresa, ma Walton riuscì a riconoscerlo senza difficoltà. Le guance rubizze, il naso grosso e le sopracciglia cespugliose appartenevano senza ombra di dubbio a Ludwig.
L’uomo delle Nazioni Unite. L’uomo che aveva appena assassinato il direttore FitzMaugham.
Stava colpendo con pugni violenti Walton, cercando di toglierlo di mezzo per fuggire dalla porta aperta, per fuggire da qualche parte… per quello che gli sarebbe servito. Walton grugnì, quando un altro pugno lo colpì allo stomaco. Indietreggiò, barcollando, cercando di respirare, ma riuscì a tenere stretto il suo aggressore per la giacca. Disperatamente, tirò con tutte le forze. Nella subitaneità di quanto era accaduto, non aveva avuto il tempo di valutare quello che aveva visto, non aveva avuto il tempo di reagire all’assassinio di FitzMaugham.
Il suo solo pensiero era quello di fermare Ludwig, l’assassino.
Il suo pugno colpì alla bocca l’avversario; sentì un forte dolore alle dita, quando colpì i denti dell’altro. Ludwig barcollò. Walton si rese conto di bloccare la porta; non solo impediva a Ludwig di fuggire, ma impediva agli altri di venire in suo aiuto.
Ciecamente, rabbiosamente, scagliò un altro pugno contro il naso di Ludwig, che cadde; nello stesso tempo Walton lo colpì alla nuca, con un preciso colpo con il taglio della mano, e mentre Ludwig sussultava e stava per cadere definitivamente, gli assestò una ginocchiata allo stomaco. Ludwig evitò all’ultimo momento di cadere lungo disteso, si girò e, improvvisamente, si mise a correre verso la scrivania del direttore.
Walton lo seguì… e si fermò di colpo quando vide che l’uomo delle Nazioni Unite si arrestava, cominciava a tremare violentemente, e cadeva al suolo. Disteso in modo grottesco sul soffice tappeto della direzione, Ludwig sussultò violentemente per un paio di volte, poi giacque immobile.
Walton ansimava violentemente. Aveva gli abiti strappati, era bagnato di sudore e di sangue, e il cuore batteva troppo forte, per lo sforzo al quale lui l’aveva sottoposto… il suo cuore non era abituato a certi violenti esercizi fisici.
“Ludwig ha ucciso il direttore” pensò confusamente. “E adesso Ludwig è morto”.
Si appoggiò alla parete. Si rendeva conto che delle figure umane si muovevano, gli passavano accanto, entravano nella stanza, esaminavano FitzMaugham e la figura riversa al suolo. Ma erano tutte ombre confuse.
— Si sente bene? — chiese una voce decisa e familiare.
— Non troppo — ammise Walton.
— Prenda un po’ d’acqua.
Walton accettò il bicchiere, lo vuotò in un sorso, sollevò lo sguardo per vedere l’uomo che gli aveva parlato.
— Ludwig! Come diavolo…
— Un sosia — disse l’uomo delle Nazioni Unite. — Andiamo a dargli un’occhiata.
Ludwig lo accompagnò verso il finto Ludwig disteso al suolo. La somiglianza era incredibile. Due o tre impiegati avevano girato il cadavere; la mascella era rigida, il viso gelato in una maschera d’agonia.
— Ha preso del veleno — disse Ludwig. — Credo che sapesse di non uscire vivo da questa stanza. Ma il suo lavoro l’ha eseguito bene. Dio, se almeno per una volta in vita mìa fossi arrivato in tempo a un appuntamento!
Walton guardò, con la mente ancora intorpidita, prima il corpo del Ludwig morto, sul pavimento, poi il viso del Ludwig vivo, che si trovava davanti a lui. La sua mente sconvolta ricominciò lentamente a funzionare, e a rendersi conto di quanto era accaduto. L’assassino, mascheratosi per assomigliare a Ludwig, era arrivato alle tredici precise, ed era stato ammesso nell’ufficio del direttore. Aveva ucciso il vecchio, e poi era rimasto all’interno dell’ufficio, sperando di fuggire in seguito, oppure semplicemente aspettando che il veleno facesse effetto.
— Doveva accadere, prima o poi — disse Ludwig. — Sono anni che cercano di colpire il senatore. E adesso che Poppy era stato approvato…
Walton guardò involontariamente la scrivania, lucida e immacolata come sempre. Il direttore FitzMaugham era riverso sopra di essa, a braccia spalancate, con le mani chiuse a pugno. La sua grande testa di capelli bianchi era macchiata di sangue, il suo sangue. Era stato bastonato a morte… l’omicidio più semplice e più crudele. Gli avevano spaccato il cranio.
Walton cominciò ad avvertire i primi sintomi della reazione emotiva. Avrebbe voluto spaccare tutto, piangere, dare libero sfogo a quello che provava. Ma troppe persone erano presenti; l’ufficio, un tempo inviolabile, improvvisamente s’era riempito di gente, impiegati di Poppy, poliziotti, segretarie, e magari c’erano anche dei cronisti delle agenzie.
Walton recuperò un brandello di autorità.
— Fuori, tutti! — disse forte. Riconobbe Sellors, il capo della sicurezza dell’edificio, e aggiunse: — All’infuori di lei, Sellors. Lei può restare qui.
La piccola folla si dissolse, come per magia. Adesso nell’ufficio erano rimasti in cinque, Sellors, Ludwig, Walton, e i due cadaveri.
Ludwig disse: — Lei ha qualche idea su chi potrebbe trovarsi dietro questo omicidio, signor Walton? Ha già qualche sospetto in merito?
— Non saprei — disse lui, stancamente. — Ci sono migliaia di persone che avrebbero voluto uccidere il direttore. Forse è stato un complotto herscheliano. Ci sarà un’indagine, naturalmente, e vedremo di arrivare in fondo alla faccenda, facendo piena luce sul delitto.
— Le dispiace spostarsi, signore? — domandò Sellors. — Vorrei prendere delle fotografie.
Walton e Ludwig si spostarono, mentre l’uomo della sicurezza si mise al lavoro. Era inevitabile, pensò Walton, che questo accadesse. FitzMaugham era stato il simbolo vivente di Poppy, e tutto l’odio che Poppy aveva accumulato nelle sei settimane di attività che stavano alle loro spalle non avrebbe potuto che esplodere in maniera brutale. Era inevitabile, ed era accaduto.
Camminò verso la porta bruciata e ammaccata, e pensò che avrebbe dovuto farla riparare al più presto. Immediatamente, anzi. Questo pensiero portò subito a un’altra idea, ma prima che quest’ultima avesse potuto fermarsi completamente nel suo cervello, Ludwig la espresse con parole sue, quasi fosse stato telepatico.
— Questa è una tremenda tragedia — disse l’uomo delle Nazioni Unite. — Ma c’è un fattore che la rende meno insopportabile di quanto avrebbe potuto essere. Sono certo che il successore del signor FitzMaugham sarà un degno successore. Sono certo che lei potrà portare avanti il grande lavoro del signor FitzMaugham nella maniera migliore, signor Walton. Ne sono davvero certo, e questo serve, per lo meno, a confortarmi, nel momento della disgrazia, sull’avvenire del Piano.