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Il discorso, quella sera, andò bene… quasi.

Walton assisté al programma nell’intimità della sua casa, disteso sul divano di similstoffa con un bicchiere in mano e il testo approvato del discorso preparato da Percy nell’altra. Lo schermo enorme che occupava metà della parete si accese.

La carriera di FitzMaugham fu descritta in pompa magna, e le circostanze più favorevoli ebbero la dovuta preminenza; squilli di tromba e fanfare, colori vivi e gioiosi, parole calde e appassionate. Percy aveva svolto il suo lavoro con grande competenza. Lo spettacolo era infiorato di numerose citazioni dal grande libro di FitzMaugham, Spazio per Respirare e Salvezza. Importanti figure del governo entrarono e uscirono dalla trasmissione, con sfoggi di calda e appassionata virulenza oratoria. Quel degno burattino di M. Seymour Lanson, Presidente degli Stati Uniti, fece un discorso fiorito e appassionante; l’uomo era la quintessenza degli uomini di paglia di tutte le epoche. Il vecchio e decrepito presidente era un artista nell’unico campo del quale si intendeva: fare discorsi.

Walton guardava, incantato. Lee Percy era un genio, non c’erano dubbi.

Finalmente, verso la fine dell’ora di trasmissione, il commentatore disse: — Il lavoro di Poppy va avanti, benché il suo geniale fondatore sia stato abbattuto dalla mano crudele di un bieco assassino. Il truculento figuro non ha impedito che l’opera alata voli sulle ali del vento, in uno sfarfallìo di immagini gloriose che si uniscono a formare il disegno del supremo destino del genere umano. Il direttore FitzMaugham aveva scelto il suo successore, un giovane cresciuto nell’ideale di Poppy, formato a una grande scuola, nutrito di sogni gloriosi e di pratica, utile realtà. Roy Walton, lo sappiamo, porterà avanti il nobile lavoro iniziato da D.F. FitzMaugham.

Per la seconda volta nel corso della giornata Roy Walton vide il suo volto apparire sullo schermo. Diede un’occhiata al testo che aveva in mano, poi tornò a guardare lo schermo. I tecnici di Percy avevano compiuto un lavoro brillante. Il falso Walton sullo schermo era così reale che il vero Walton, disteso sul divano, pensò quasi di essere stato lui a fare il discorso… benché sapesse che era stato cucinato servendosi di pochi ingredienti, qualche parola che gli era uscita dalle labbra, i fonemi fondamentali che contenevano le caratteristiche della sua voce.

Era un discorso del tutto innocuo. In tono umile lui esprimeva la sua venerazione per il compianto direttore, la speranza di riuscire a colmare il vuoto lasciato dalla morte di FitzMaugham, i suoi sentimenti per Poppy, considerata una missione sacra. Ascoltando a metà, Walton cominciò a leggere soltanto il testo, andando avanti.

Sorpreso, Walton diede un’occhiata al testo. Non ricordava di avere incontrato una frase come quella che stava dicendo sullo schermo, durante la prima lettura, e non riuscì a trovarla neppure adesso.

— Questa mattina — stava dicendo il falso Walton sullo schermo — abbiamo stabilito un “contatto con lo spazio esterno”! Contatto con un’astronave più veloce della luce, lanciata più di un anno fa a esplorare le stelle vicine.

“La notizia di questo viaggio è stata mantenuta nel più completo riserbo fino a questo momento, per motivi di sicurezza. Ma è con immenso piacere che questa sera io vi annuncio che finalmente le stelle sono state raggiunte dall’uomo… Un nuovo mondo ci aspetta lassù, fertile, verde, pronto a essere colonizzato dai coraggiosi pionieri di domani!”

Walton fissò lo schermo, spaventato e attonito. La sua immagine era ritornata adesso al testo approvato, ma ormai Walton non ascoltava più.

Stava pensando che Percy aveva fatto un colpo mancino, questo era sicuro. La notizia non era autorizzata. Cupamente, Walton seguì il programma fino alla fine, e si chiese quali ripercussioni ci sarebbero state, quando il pubblico avesse capito tutte le implicazioni della notizia.


Fu svegliato alle sei in punto dal trillo del visifono. Si alzò dal letto, intorpidito, e sollevò il ricevitore. L’immagine sullo schermo fu filtrata, perché i suoi lineamenti non fossero rivelati, rivelando anche il suo aspetto stanco e disfatto. Walton disse: — Sono Walton. Che c’è?

Una immagine si formò sullo schermo; l’immagine di un uomo abbronzato sulla cinquantina, con i capelli cortissimi.

— Spiacente di svegliarla così bruscamente, vecchio mio. Sono McLeod.

Walton si svegliò completamente nel giro di un secondo.

— McLeod? Dove si trova?

— A Long lsland. Sono arrivato all’aeroporto un momento fa. Ho viaggiato per tutta la notte, dopo l’atterraggio dell’astronave a Nairobi.

— L’atterraggio è stato buono, immagino…

— Perfetto. L’astronave è un vero gioiello. — McLeod corrugò la fronte, con aria preoccupata. — Mi hanno portato i giornali del mattino, durante la colazione. Non ho potuto fare a meno di leggere il suo discorso.

— Oh. Io…

— Un discorso sensazionale — disse McLeod, in tono tranquillo. — Ma non crede che sia stato un po’ prematuro, da parte sua, diffondere la notizia del mio volo? Cioè, voglio dire…

— È stato davvero prematuro — disse Walton. — Un membro del mio personale ha inserito quella dichiarazione nel discorso senza che io ne fossi al corrente. Sarà sottoposto a gravi provvedimenti, per aver fatto questo.

Un’espressione perplessa apparve sul viso deciso e aperto di McLeod.

— Ma è stato “lei” a fare quel discorso, con le sue labbra! Come può incolparne un membro del suo personale, mi dica?

— La scienza che può inviare un’astronave a Procione e farla tornare indietro nel giro di un anno — disse Walton — può anche arrangiare un discorso. Ma immagino che potremo coprire lo scalpore della diffusione prematura della notizia, senza troppi inconvenienti.

— Io non ne sono così sicuro — disse McLeod. Si strinse nelle spalle, con aria di scusa. — Vede, il pianeta c’è, naturalmente. Ma succede che sia proprietà di creature straniere che vivono nel mondo vicino. E queste creature non sono così felici di avere una banda di terrestri nel loro sistema, una banda di terrestri pronti a colonizzare il pianeta!

Walton riuscì a conservare l’autocontrollo, anche se non capì in qual modo ci fosse riuscito. La notizia era più rovinosa di un terremoto.

— Lei è stato in contatto con queste creature straniere? — domandò.

McLeod annuì.

— Hanno un sistema di traduzione meccanica. Sì, le abbiamo incontrate.

Walton s’inumidì le labbra.

— Io credo proprio che ci saranno dei guai — disse.

— Credo anche di aver perso il posto.

— Come ha detto?

— Stavo solo pensando ad alta voce — disse Walton.

— Finisca la colazione e venga nel mio ufficio alle nove. Potremo discutere dell’intera faccenda.


Walton aveva riacquistato il pieno controllo di sé, quando raggiunse il Cullen Building.

Aveva letto i giornali del mattino, e aveva assistito ai notiziari televisivi; erano tutti pieni della notizia diffusa nel discorso di Walton, e alcuni dei giornalisti più coraggiosi avevano stampato un riassunto dell’intero discorso, ridotto negli elementi fondamentali del linguaggio, naturalmente, a beneficio del pubblico dei lettori, o di quella grande parte del pubblico dei lavoratori che si trovava maggiormente a suo agio quando leggeva muovendo le labbra. Il giornale più apertamente ostile a Poppy, il Citizen, si divertiva sommamente a dedicare ampio spazio al discorso, dedicando un editoriale rovente al “velo di segretezza” che circondava le operazioni di Poppy.

Walton lesse per due volte l’editoriale del Citizen, assaporando la semplicità di espressioni che sconfinava quasi nell’analfabetismo. Il popolo adorava il tono letterario di quel giornale. Walton ritagliò accuratamente l’editoriale, lo infilò in una busta che gettò nel condotto pneumatico che lo collegava alla sezione delle Pubbliche Relazioni, indirizzando la busta, semplicemente, a “Lee Percy”, con l’aggiunta della parola “Attenzione”.

— Un certo signor McLeod desidera vederla — disse la segretaria nell’intercom. — Afferma di avere un appuntamento con lei.

— Lo faccia entrare — disse Walton. — E avverta il signor Percy di salire.

Aspettando l’arrivo di McLeod, Walton sfogliò gli altri giornali. Alcuni lodavano Poppy per avere nascosto la notizia del motore interstellare per così lungo tempo. Walton accumulò ordinatamente i giornali in un angolo della sua scrivania.

Nelle ore scure e vuote del mattino si era aspettato di venire costretto a dimettersi. Ora, se ne rendeva conto, avrebbe potuto rafforzare enormemente la sua posizione, se fosse riuscito a controllare il flusso degli eventi e a incanalarlo nella maniera più adatta.

La figura massiccia di McLeod apparve sullo schermo. Walton lo fece entrare.

— Signore, io sono McLeod.

— Certo. Vuole accomodarsi?

McLeod era teso, rigidamente formale, molto britannico nel suo riserbo e nel suo aspetto generale. Walton fece un gesto pieno di disagio, cercando di superare l’ondata di imbarazzo e il nervosismo.

— A quanto sembra, abbiamo tra le mani un bel pasticcio — disse. — Ma non c’è nessun pasticcio così impasticciato da impedirci di sbrogliarlo, eh?

— Se è necessario, signore. Ma non posso fare a meno di pensare che tutto questo avrebbe potuto venire evitato.

— No. Lei si sbaglia, McLeod. Se avesse “potuto” venire evitato, l’avremmo evitato. Il fatto che qualche idiota nella mia sezione delle relazioni pubbliche sia riuscito a scoprire che lei stava ritornando è incontrovertibile; è accaduto, malgrado ogni precauzione.

— Il signor Percy — annunciò la segretaria, nell’intercom.

La figura angolosa di Lee Percy apparve sullo schermo. Walton gli disse di entrare.

Percy appariva spaventato… terrificato, pensò Walton. Teneva in mano un foglio di carta piegato.

— Buongiorno, signore.

— Buongiorno, Lee. — Walton notò che il “tu” amichevole e il Roy erano stati sostituiti dal formale “signore”. — Hai ricevuto il ritaglio che ti ho mandato?

— Sì, signore. — Con aria cupa.

— Lee, ti presento Leslie McLeod, capo delle operazioni del nostro fortunato progetto interstellare. Colonnello McLeod, desidero presentarle Lee Percy. È la mente maestra che ha prodotto la nostra piccola fuga di notizie di ieri sera.

Percy barcollò visibilmente sotto il colpo. Fece un passo avanti e posò il foglio di carta sulla scrivania di Walton.

— H-ho f-fatto un e-errore, ieri sera — balbettò. — Non avrei mai dovuto diffondere quella notizia.

— Hai detto giusto, accidenti a te — ammise Walton, tenendo la sua voce accuratamente controllata in un tono amichevole. — Ci hai scoperchiato una pentola bollente, Lee. Quel pianeta non è a nostra disposizione per la colonizzazione, malgrado l’entusiasmo col quale ho lietamente annunciato la cosa ieri sera. E tu dovresti essere abbastanza intelligente da sapere che è impossibile ritirare una buona notizia, quando la si è diffusa.

— Il pianeta non è nostro? Ma…

— Secondo il colonnello McLeod — disse Walton — il pianeta è di proprietà di creature intelligenti che vivono su un mondo vicino, e che non desiderano la presenza di un’orda di coloni stranieri nel loro sistema solare più di quanto noi non desidereremmo una colonia di formiconi intelligenti su Marte.

— Signore, questo foglio… — disse Percy, in tono soffocato. — È… è…

Walton lo aprì. Erano le dimissioni di Percy. Lo lesse due volte, sorrise, e lo posò sulla scrivania. Adesso era il momento di mostrarsi magnanimo.

— Respinte — disse. — Abbiamo bisogno di te, Lee, nel nostro gruppo. Ho ordinato una decurtazione del dieci per cento sullo stipendio, per la durata di una settimana, a decorrere da ieri, ma questa sarà l’unica sanzione.

— Grazie, signore.

“Sta strisciando davanti a me” pensò Walton, sorpreso. Disse: — Una sola condizione: non commettere un altro errore, neppure trascurabile, altrimenti non solo ti licenzierò, ma ti metterò sulla lista nera, in modo che tu non possa trovare lavoro neppure in mille anni, e neppure se dovessi cercare tra qui e Procione. Capito?

— Sissignore.

— Va bene. Torna nel tuo ufficio e mettiti al lavoro. E non voglio altra pubblicità su quest’astronave più veloce della luce, finché non sarò io ad autorizzarla. No… aspetta. Trasmetti un’appendice alla notizia di ieri sera. Una cortina fumogena, diciamo. Prepara una cortina fumogena di parole così confusa, sulla conquista dello spazio, e così aggrovigliata, che nessuno si disturbi più a ricordare qualcosa sulle mie parole. E lascia perdere la questione della colonizzazione. Hai capito?

— Ho capito, signore. — Percy riuscì a fare un debole sorriso.

— Ne dubito — disse seccamente Walton. — Quando avrai preparato il testo, mandalo su per la mia approvazione. E che il cielo ti aiuti se devierai anche di una virgola dal testo da me approvato!

Percy uscì dall’ufficio, camminando all’indietro, sprofondandosi in inchini.

— Perché ha fatto questo? — chiese McLeod, sconcertato.

— Perché l’ho lasciato andare? Perché mi sono comportato così magnanimamente con lui?

McLeod annuì.

— Nell’esercito — disse — se un uomo facesse una cosa del genere, verrebbe immediatamente fucilato.

— Questo non è l’esercito — disse Walton. — E benché l’uomo si sia comportato come un cretino integrale ieri, questo non basta a mandarlo al Sonno Felice. Inoltre, lui conosce il suo mestiere. Non posso correre il rischio di licenziarlo.

— È così difficile trovare degli addetti alle pubbliche relazioni?

— No. Ma Lee è un uomo in gamba, e la prospettiva di vederlo disertare in favore della parte avversa mi spaventa. Adesso mi sarà grato per sempre. Se lo avessi licenziato, prima della fine della settimana avrebbe pubblicato sul Citizen mezza dozzina di articoli anti-Poppy. E questi articoli basterebbero a rovinarci.

McLeod sorrise, con approvazione.

— Lei sa affrontare bene il suo lavoro, signor Walton. Le mie congratulazioni.

— Devo farlo — disse Walton. — Il direttore di Poppy è pagato per produrre due o tre miracoli all’ora. Ci si abitua, dopo un poco, perché l’uomo si abitua a tutto. Mi parli di quegli stranieri, colonnello McLeod.

McLeod posò una valigetta diplomatica sulla scrivania di Walton e l’aprì. Porse a Walton un voluminoso incartamento di foto a colori.

— Le prime dodici sono paesaggi del pianeta — spiegò McLeod. — Si tratta di Procione VIII… il pianeta numero otto a partire dalla stella, in un sistema di sedici pianeti… sedici, a meno che non ce ne siano sfuggiti due o tre… in ogni modo, abbiamo registrato la presenza di sedici pianeti, nel sistema, e abbiamo compiuto rilevamenti intorno a ciascuno di essi. Dieci mondi erano giganteschi, con atmosfere di metano, e un’ecologia basata su questo elemento. Non ci siamo neppure presi il disturbo di atterrare. Due pianeti erano supergiganti di ammoniaca, ancor meno simpatici dei primi dieci. Tre pianeti, più piccoli, non possedevano affatto atmosfera, per lo meno non c’era un’atmosfera degna di questo nome, e non avevano un aspetto più abitabile di quello che presenta Mercurio a mezzogiorno… se ho reso bene l’idea. E il restante pianeta era quello che noi abbiamo chiamato Nuova Terra. Dia un’occhiata alle fotografie. Walton diede l’occhiata richiesta. Le foto mostravano file e file di digradanti colline coperte d’erba e cespugli lussureggianti, tra le quali scorrevano fiumi tranquilli, nella luce di un’aurora dolce e chiara. Diverse fotografie mostravano degli esemplari di vita indigena… una piccola scimmia quadrumane grinzosa e rinsecchita, una creatura con sei arti che somigliava vagamente a un cane, un uccello strano e abbastanza gradevole d’aspetto.

— La vita presenta una caratteristica comune, quella dei sei arti — osservò Walton. — Ma questo posto è abitabile davvero? A meno che le sue fotografie non siano state sviluppate male, l’erba mi pare “azzurra”… e anche l’acqua ha un aspetto peculiare. Che genere di esperimenti ha condotto, per accertare l’abitabilità del pianeta?

— Si tratta della luce, signore. Procione è una stella doppia; la sua debole compagna è quasi sempre alta nel cielo e fa degli scherzi strani alla macchina fotografica. Quell’erba può sembrare azzurra, ma ha un ciclo basato sulla clorofilla e sulla fotosintesi, come qualsiasi erba degna di questo nome. E l’acqua è soltanto buona, vecchia H2O, anche con quella sfumatura purpurea che vede.

Walton annuì: — Cosa mi dice dell’atmosfera?

— L’abbiamo respirata per una settimana, senza il minimo inconveniente. È piuttosto ricca di ossigeno… il ventiquattro per cento. Le dà una sensazione piacevolissima… una specie di esaltazione misurata, l’ideale per dei pionieri, secondo me.

— Lei ha preparato un rapporto completo sul pianeta, immagino?…

— Naturalmente. È proprio qui. — McLeod fece per estrarre il rapporto preannunciato dalla sua valigetta diplomatica.

— Non ancora, mi scusi — disse Walton. — Voglio vedere anche le altre fotografie, prima. — Le guardò una dopo l’altra, rapidamente, finché non trovò una foto che mostrava una strana figura massiccia, con quattro braccia, di colore verde ramarro. La creatura aveva una testa priva di collo, incassata in una specie di maschera respiratoria ricavata da qualche sostanza che somigliava a plastica trasparente. Tre occhi freddi e pensosi si aprivano in quella faccia totalmente aliena.

— E questo cos’è? — domandò Walton, fissando perplesso la fotografia.

— Oh, questo. — McLeod tentò di sorridere allegramente, ma non fu un tentativo del tutto riuscito. — Questo è un dirnano. I dirnani vivono su Procione IX, uno dei pianeti giganti con atmosfera di ammoniaca. Sono loro gli stranieri che non gradiscono la nostra presenza lassù, nel loro sistema. Che cosa gliene pare, signore?

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