7. Le Montagne del Tuono

Si svegliarono al suono delle trombe. Alcune erano vere trombe, suonate dalle guardie di notte e da quelle di giorno al cambiare dei turni, oppure dalla speciale guardia d’onore, altre non erano trombe ma uccelli trombettieri che si associavano agli squilli di tromba non appena li udivano. Gli uccelli trombettieri erano molto più intonati.

L’imperatore Carlo si alzò maestosamente per dare inizio al suo secondo giorno di regno, sempre che ne avesse visto la fine.

— Erano trenta giorni che alla corte di Goslar non si vedevano tanti importanti personaggi tutti insieme — disse Carlo. — Ehi tu, conia una medaglia!

— Non so come si fa a coniare una medaglia — replicò l’uomo.

— Se trovi qualcuno che lo sappia fare, digli di coniare una medaglia per celebrare l’evento — insisté l’imperatore. — Digli che incida il mio bel profilo, e il motto Vennero a me come aquile. Qui c’è un santo, morto sulla Vecchia Terra, con la bambina demonio di Astrobia, un negromante dai rari poteri, un ansel trascendente, un prete di sant’Arpionaio, un’incarnazione che brucia corpi uno dietro l’altro, e il pilota Paul, che è un vecchio stregone dalla faccia storta. Erano trenta regni che non si vedevano tanti personaggi illustri alla corte di Goslar, in una sola volta, ed erano trenta regni che non si vedeva, alla stessa corte, un imperatore così aitante.

— Ma questi trenta regni, quanto sono durati tutti insieme? — s’informò Thomas.

— È stato quello che noi chiamiamo un «anno rapido» — disse l’Imperatore. — Forse il più rapido di tutti.


Il monaco dalla tonaca verde, padre Oddopter dell’ordine di santo Arpionaio, celebrò la messa per gli abitanti di Goslar e per tutti quelli che si erano precipitati lì non appena si era sparsa la notizia. Erano con un sermone che li stupì per la sua intelligenza: un miracolo che li colse all’improvviso, vivido e soprannaturale, alla consacrazione. Fu come se il Cielo si fosse aperto a un comando e lo Spirito Santo fosse disceso su di loro. Il che infatti avvenne.

Anche Thomas, per scettico che fosse diventato, senti lo stimolo della fede risvegliarsi in lui. Era un mattino miracolosamente bello: perché dunque non credere, almeno per un po’, a un miracolo? Come lui stesso diceva, Thomas riscopriva spesso, la mattina e per qualche minuto, la sua fede.

— Qui a Goslar — spiegò il monaco a Thomas, dopo la messa, — hanno gettato le basi di un regno simbolico, finché il vero regno sarà riscoperto e la paralisi dorata sarà trascorsa. Felice morte a te, caro Thomas.

— Fai troppo presto ad augurare una felice morte alla gente — ribatté Thomas. — Anche la tua messa di questa mattina, «Per quelli fra i presenti che moriranno in questo giorno»! E una messa da rivolgere al mondo, e non alla piccola Goslar dove gli abitanti sono meno di cento ed è molto improbabile che qualcuno muoia proprio oggi.

— Era rivolta al tuo gruppo e a me stesso. Molti di noi moriranno, oggi. Se non ne fossi stato sicuro, avrei detto un’altra messa. Anche il negromante afferma che molti di noi che ci recheremo sulla montagna oggi moriranno.

— è stata una cosa molto carina, anzi, un mucchio di cose carine — disse Thomas, mentre la sua fede del primo mattino cominciava a dileguarsi. — Da bambino la vivevo, e da giovanotto la rispettavo ancora. Adesso, nella maturità, la chiamo «La più nobile di tutte le superstizioni». La Chiesa è vissuta molto a lungo e sembra, secondo la Storia, che per somma ironia io stesso sia stato di fondamentale importanza per la sua sopravvivenza. A quanto so, nell’Astrobia civile essa è morta nella vergogna; credo che morirà, in pace e senza nuocere a nessuno, anche qui nelle terre incolte.

— Tu che sei destinato a morire entro quest’anno, Thomas, sappi che non morirà affatto. E sappi inoltre che nulla muore in pace nelle terre incolte. Qualsiasi cosa, qui, quando viene minacciata di morte, urla e si difende fino alla fine, e poi ritorna in vita, ancora e ancora. Il più miserabile dei serpenti lotta contro la morte fino all’ultimo, qui nelle terre incolte; credi che le cose sublimi siano da meno? In questo luogo niente giace quietamente in attesa della morte. Ma perché hai tanta paura di lasciarti cogliere dalla superstizione? Non è forse una tua superstizione quella di scalare le montagne?

— Forse lo è, monaco verde. La sento come una spinta irresistibile dentro di me; devo farlo. È l’unica cosa che rimprovero ai cittadini della Dorata Astrobia: non hanno mai levato gli occhi alla montagna. è come se fossero ciechi, a questo riguardo, ma dobbiamo ritenerlo un errore? Immagina che tutti, al mondo, siano ciechi ai colori, eccettuati pochi bambini. Il problema di Astrobia è simile a questo: nel suo caso, il poter vedere i colori ha importanza solo per i bambini. Che interesse ci può essere nel guardare un mucchio di rocce? Lascerò perdere tutte queste bambinate quando sarò Presidente del Mondo, ma oggi la montagna mi attira come un’esca tra le più appetitose.

— Faremo bene a incamminarci, caro Thomas — disse Rimrock, l’ansel. — Io salirò su per la montagna lungo una via d’acqua che conosco, che scorre dentro di essa, fino alla sorgente principale. È una montagna piena d’acqua. Copperhead sarà in cima alla montagna prima di te, e giunto lassù eseguirà alcune abominazioni. E poi se ne andrà. Anche oggi vi sgombreremo la strada.

— Ma non servirà a molto. Molti di voi moriranno ugualmente sulla montagna — replicò Copperhead, il negromante. Ed entrambi se ne andarono.


— Vuoi che ti uccida quell’affare, Scrivener, che adesso è giù nel box delle macchine? — domandò l’imperatore Carlo 612.

— Naturalmente no — rispose Thomas, bruscamente. — Ridammelo. è un mio consigliere, fa parte del mio gruppo. è stato uno scherzo crudele quello di rinchiuderlo nel box, ieri sera. Certe libertà che amano prendersi i potenti mi sono sempre sembrate di pessimo gusto.

— Ma è una macchina, non un uomo — insistette l’imperatore, — e come tale, anche se non lo sa, ha una trasmittente nella testa. Funziona a sua insaputa sia quando dorme, sia quando è sveglio. è il segnale d’identificazione e qualsiasi Programmato (anche quelli che sono per nove decimi umani) ha il suo. è grazie a questo segnale che gli Assassini programmati riescono a inseguirti così facilmente. è un suicidio dare la scalata alla montagna, e tu lo sai, Thomas. Gli Assassini programmati circonderanno il pinnacolo e vi prenderanno in trappola tutti.

— Non mi preoccupano affatto — disse Thomas. — Io sono un caso speciale e non posso morire finché il mio tempo non sia arrivato.

— Ah, ma uccideranno altri membri del gruppo. Promettimi solo una cosa: al momento giusto ucciderai Scrivener e lo scaraventerai in un burrone; così, mentre gli Assassini lo inseguiranno scambiandolo per te, tu completerai la scalata alla montagna.

— No, non getterò uno del mio gruppo ai Mastini. Scaleremo la montagna come se gli Assassini non esistessero. E per me già non esistono.

— Ti ripeto che uccideranno i membri del tuo gruppo, Thomas. E molti di essi, in un certo senso, sono cittadini del mio regno. Ti considero responsabile delle loro vite.

— Tu non considerarmi responsabile di niente, Carlo. Sei soltanto un ragazzetto imberbe che gioca tra le immondizie. Si, immagino che alcuni membri del mio gruppo saranno uccisi dagli Assassini. Accada pure. Sarà una purificazione, una selezione. Quelli che moriranno saranno quelli che meritano di morire. Io stesso non tradirò l’Ideale: mi inciderò il motto sul petto. Gli Assassini colpiscono soltanto quelli che rappresentano un pericolo per la vita dorata di Astrobia…

«Li ucciderei io stesso, se riuscissi a capire chi sono! Che gli Assassini siano i benvenuti: sembra che finora non abbiano capito il mio ruolo e i miei scopi, ma qualcosa impedisce loro di uccidermi, quando siamo faccia a faccia. Se qualcuno del mio gruppo è nemico del grande Ideale di Astrobia, che allora muoia!»

— Ti espello da questo regno, Thomas More! — urlò all’improvviso il giovane imperatore. — Tu sei più meccanico di una macchina, sei una marionetta che ha cessato di essere un uomo! Come puoi essere fedele a un ideale, se sei pronto a vendere i tuoi sostenitori e i tuoi fratelli agli Assassini? Credevo che tu fossi un uomo, mentre sei soltanto un manichino. La tua porzione umana è rimasta in quel Passato dal quale ti hanno tolto. La tua puzza fa rivoltare le mie paludi e i miei boschi! Prendi con te la tua macchina e i tuoi codardi, e vattene! Vediamo se i veri uomini ti seguono.

«Come? Sono sbalordito! Tu lo segui, bambina demonio? Ma è assolutamente privo di valore, non te ne sei accorta?»

— Si, vado con lui, Carlo 612, anche se tu non puoi capirlo — disse Evita. — Non è completamente privo di valore, o almeno, non continuerà ad esserlo. Sì, ora è come un pezzo di metallo ottuso che non serve neppure a farci una lama di coltello. Ma servirà a qualcos’altro. Ho seguito altri, peggiori di lui, fino alla fine, e la sua fine non è lontana, adesso.

— Non certo qui, nelle terre incolte, e neppure a Goslar — esclamò l’imperatore. — Ma voi, fermatevi, aspettate! Come potete fare un errore così grossolano? Paul, Oddopter, anche voi andate con lui… Perché? perché? Anche voi avete sentito che si proclamava dalla parte delle Cose, rifiutando di essere un uomo.

— E io ho sentito i rintocchi di campane lontane, e ho visto un mondo sorgere sotto il segno della testa che cade, Carlo — replicò il monaco, tranquillamente. — Credimi, la cosa è molto più importante di quanto sembri. Oggi è mio dovere accompagnarmi a questa pecorella smarrita. Lui è l’ariete lanoso dal doppio segno. Le Scritture parlano di lui. E dev’essere salvato, non per se stesso, ma a causa di quel doppio segno.

— Ma questo ti darà la morte, padre Oddopter! In qualità d’imperatore sono dotato dell’intuito su queste cose, e vedo la tua morte, oggi stesso, per colpa sua. Anche nei martiri si dovrebbe fare un po’ di conti. è inutile sacrificare quelli che valgono per quelli che invece non valgono nulla!

— Credi che non valga nulla un uomo capace di ribollire tanto maestosamente di collera, come lui fa adesso? È una nube carica di fulmini, niente affatto arrendevole come sembra. Oggi resterò con lui.

— Per me è solo un pallone gonfiato e nient’altro — ribatté l’imperatore. — Non darà né fulmini né tuoni. Può soltanto ribollire furiosamente nel proprio errore. Altro che ariete lanoso, per me è castrato!

— Se non fossi io stesso in preda al dubbio, ti metterei a posto subito, faccia spelacchiata — ringhiò Thomas, che si era avvicinato. — Non sono mai stato convinto molto a lungo di avere ragione, e in questo momento sono incerto più che mai.

— Lui è uno strumento, Carlo. Cerca di capire questo — disse Paul. — Anch’io resterò con lui.

L’imperatore Carlo si chiuse in un silenzio fiammeggiante di sdegno. Diede ordine che Scrivener fosse loro riconsegnato, e il suo disprezzo salì a livelli vertiginosi.

Il gruppo cominciò allora a inerpicarsi sul Monte Elettrico. Non erano molto allegri, né molto concordi tra loro. Tutti provavano una certa vergogna, senza sapere perché.


E tuttavia l’aria del mattino era stimolante, e la scalata rappresentava una sfida. E l’idea che le loro vite fossero in pericolo li eccitava ancor di più, quasi tutti. A Maxwell e a Slider invece la cosa non piaceva. In Scrivener, che forse era un Programmato, si era verificato un curioso cambiamento:

— Questa è la mia prova, Thomas — disse Scrivener, mentre salivano. — Ho meditato tutta la notte. Non so se io sia un Programmato o un normale umano, non so che parte abbiano in me. Ma ho scoperto qualcosa, in questi luoghi, e ho capito che tu ti sbagli se consideri perfetto l’Ideale di Astrobia. Non è perfetto, ed è incompleto. È collegato a qualcos’altro che non so ancora capire. Forse, dopo tutto, è vero che dobbiamo uccidere ogni giorno il Demonio. Tu sei un umano della vecchia razza, Thomas, e tuttavia io ti accuso di porre la parte umana troppo in basso, e la parte meccanica troppo in alto. Si, ci sono macchine che camminano come gli uomini, e che anzi lo fanno da centinaia d’anni; forse io stesso sono una di quelle. Ma ci sono anche uomini che si mettono contro la propria razza, e sostengono le macchine più ancora di quanto non facciano le macchine stesse. Tu non devi diventare come loro!

«Sì, gli Assassini programmati cacciano e uccidono soltanto quelli che rappresentano un pericolo per l’Ideale di Astrobia. E tutti voi credete che non si occuperanno di me perché non mi considerano un pericolo. Vedremo allora chi uccideranno, e a chi passeranno vicino senza neppure sfiorarlo, una volta che saremo presi in trappola. Perché tu ci stai portando in una trappola, Thomas. Ma credimi: sto diventando un pericolo troppo grande per i partigiani del troppo facile.»


Continuarono la scalata. Poi il monte divenne sempre più ripido. La vegetazione diminuì, si fece più rada. Ora stavano risalendo una torre demoniaca di magma e ferro, ruvida, acuminata e avida di sangue.

Sopra di loro la vetta del monte era un pinnacolo aguzzo, la punta di un ago, crudele, come l’avrebbe disegnata un autore di fumetti, e una nuvola candida a forma di ciambella l’avvolgeva, nascondendone un buon terzo fino alla cima. Il monaco catturò un condor, lanciando una rete. Lo fecero a pezzi e lo divorarono crudo. Era il primo pomeriggio e la scalata era faticosa.

— C’è un’altra nuvola, adesso, che circonda il pinnacolo — disse Evita. — È nera ed è sotto di noi. Gli Assassini programmati sono arrivati in forze e hanno circondato l’intera vetta. Non possono salire bene come noi e con la stessa velocità, ma non desistono mai e non hanno bisogno di riposo. Questa non è la morte che prevedevo per tutti, Thomas il Santo.

— Non importa — rispose Thomas. — Ci riposeremo e poi saliremo ancora. Lo chiamano il Monte Elettrico, no? Già, punzecchia e scocca scintille!

L’eccitazione s’impadronì di tutti loro, mentre si riposavano.

— C’è una storia che mia nonna mi raccontava quand’ero piccolo — disse Scrivener, all’improvviso, con un’intonazione quasi metallica.

— è a lei, credo, che devo la mia origine meccanica. Ai vecchi tempi, era solita dire mia nonna, gli uomini meccanici, la sua gente, desideravano crearsi qualche mito, come gli esseri umani. Una mistica, un dio, un eroe fondatore, o magari anche un re dormiente. Questo, naturalmente, fu prima che gli esseri umani abbandonassero completamente le vecchie leggende degli eroi.

«Ogni nazione della Vecchia Terra, diceva mia nonna, aveva il suo mito di un re dormiente che si sarebbe svegliato, un giorno, per assurgere al trono di una nuova Età dell’oro. Fra i re dormienti c’era Alarico, il distruttore di Roma, sepolto nel Busento (il corso del fiume fu deviato per consentire la sepoltura; poi, subito dopo, fu deviato nuovamente perché le acque coprissero la tomba). Alarico sarebbe risorto un giorno, per guidare di nuovo alla vittoria i Goti, quel popolo rozzo da cui hanno origine dieci nazioni. C’era re Artù d’Inghilterra, che dormiva in una stanza stregata sul fondo di un lago. C’era Brian Borus l’irlandese, sepolto sul dorso di un cavallo sul fondo di un pozzo coperto con grandi pietre; risvegliandosi, avrebbe scagliato via le pietre, e avrebbe caracollato di nuovo per il mondo. C’era il Cid di Spagna, che non è mai stato sepolto, ma batte per sempre, profondamente addormentato sul dorso del cavallo, il tenebroso pian d’Estremadura. C’era Barbarossa il teutonico che dormiva seduto al tavolo, nella caverna di una montagna, mentre la sua barba cresceva ricoprendo ogni cosa.»

— C’era Enrico VIII Tudor, murato in una stanza con sei mogli che litigavano sempre — l’interruppe Thomas, scoppiando a ridere.

— E c’era Kennedy del Nordamerica, che viaggiava eternamente per luoghi oscuri su un’automobile scoperta — continuò Scrivener. — E Roadstorm, il primo filibustiere di Astrobia e di tutte le Terre Sparse, alla deriva nello spazio lungo, un’orbita sconosciuta, sulla sua nave spaziale, il Sovrano delle Stelle. Tutti ritorneranno, e una volta ancora saranno alla testa dei loro popoli. Un popolo non può rimanere unito, senza questi miti.

«I primi uomini meccanici di Astrobia desideravano trovare qualche leggenda di questo tipo nel loro passato. Avevano bisogno di un re dormiente per sentirsi accomunati. Andarono sulla Vecchia Terra, a vedere se per caso non ci fosse qualche re meccanico addormentato sul quale costruire un mito. Andarono indietro, sempre più indietro attraverso lo spazio e il tempo, per trovare il primo oggetto meccanico che potesse diventare re.

«Finalmente, scelsero un piccolo, vecchio carretto, estratto in frantumi da una tomba egizia. Aveva delle ruote dentate di legno duro e perni di bronzo. Non era possibile indovinare a cosa fosse servito. Era una cosa grezza, goffa, ma era anche l’oggetto più remoto nel tempo che fossero riusciti a trovare, in cui lo spirito della meccanica fosse evidente. Lo portarono su Astrobia, e dissero che era il loro re dormiente. Dissero che un giorno si sarebbe svegliato e li avrebbe guidati. Gli esseri umani li derisero.

«Poi arrivò Ouden, il Nulla Cosmico. ‘Buttate via quel giocattolo’ disse Ouden. ‘Io sono il vostro dio e il vostro re.’ E così, da quel giorno, Ouden è dio e re di tutti i Programmati, e molto presto sarà dio e re di tutti gli esseri viventi. Ma noi siamo stati le sue prime creature, noi, i meccanismi. E Ouden cresce sempre più, mentre gli altri re muoiono.

«Ma ieri notte io l’ho rinnegato! Ho meditato tutta la notte, e l’ho rinnegato. E allora, cosa sono io, adesso? Non sono una macchina, e non sono un uomo. Che cosa rimane a chi si è sbarazzato per sempre del Niente deificato? Non posso essere abbandonato con niente. è proprio il niente che ho rinnegato! »

Nessuno rispose a questa implorazione di Scrivener. Tutti lo fissavano con gli occhi semichiusi, e questo lo spaventò. Scrivener era ormai un estraneo a tutt’e due le sue nature.


Ricominciarono la scalata.

Astrobia sotto di loro era un’aureola dorata, e insieme all’oro traspariva il verde. Ma lassù l’aria era azzurra; come l’aria della Terra, pensò Thomas. Erano saliti per almeno due chilometri, in verticale. La roccia pungente del monte, su cui s’inerpicavano, era scabra e irregolare. C’era sempre qualcosa a cui afferrarsi, ma i bordi spesso erano taglienti come rasoi.

E in alto, sopra le loro teste, in piedi su uno spezzone di roccia, c’era un bambino… o un giovane? Sembrava un miraggio: a volte vi sono miraggi a simili altezze. Ma come aveva fatto ad arrivare lassù senza che loro l’avessero visto, fino a quell’istante?

— è mio fratello Adam — disse Evita. — Io gli voglio bene, ma è di cattivo augurio. La sua venuta è sempre sinonimo di morte; di solito la morte è la sua, ma spesso Adam trascina anche altri con sé. Arriva quasi sempre nei momenti di crisi, e muore in sanguinose battaglie, per quelle che lui crede buone cause. È molto in gamba a morire, lo fa spesso.

La nube a ciambella che circondava l’estremo pinnacolo della montagna, sopra di loro, era diventata grigia, poi azzurra, poi nera. Era costellata di fuochi e scintille. Sembrava quasi un anello elettrico, adesso.

Un condor passò rasente sulle loro teste, sfiorandoli con le immense ali nere, e gracchiò, con voce assordante: — Thomas More è una spia!

— Che cosa ha detto quello là? — urlò Thomas. — Ma non era un uccello? Come ha potuto insultarmi? Però l’ho visto, l’ho sentito!

— No, Thomas, tu non l’hai né visto né sentito — disse il monaco. — Non hai creduto a quello che hai visto ieri e la scorsa notte, e ora vedi e senti cose che non esistono. Era un’allucinazione. Di qui fin sulla cima, è tutto un susseguirsi di allucinazioni. Anche l’uomo più razionale, quando si avventura in questa zona finisce per soffrirne. Sono condensazioni dei fulmini che si scatenano sul Monte Elettrico, di vento, di scintille, d’aria satura di elettricità. Le forme che esse assumono sono soggettive e oggettive: si può plasmarle usando la propria mente. Io, una volta, ho incontrato un cavallo parlante su quella cengia proprio sopra di noi, ma nessun cavallo parlante riuscirebbe mai ad arrampicarsi fin quassù.

Arrivarono sul punto dove si trovava il ragazzo Adam, il quale si unì silenziosamente al gruppo. Un ragazzo aitante, anche se Evita, sua sorella, aveva detto una volta che non aveva un briciolo di sale in zucca. Non che la cosa importasse: il ragazzo conservava il silenzio e perciò nessuno avrebbe potuto accorgersene. Era agile, sapeva scalare una montagna, e si diceva che morisse meravigliosamente bene. Sarebbe potuto sembrare una statua greca, se solo non avesse avuto un profilo da ebreo. Il deltoide e il trapezio (i muscoli che servono per tirar d’arco) erano ben sviluppati, anche se l’arco non era mai stato usato su Astrobia. Ah, era veramente ben fatto. Era nudo, ma nessuno sembrò accorgersene. Forse era sempre stato nudo?

Salirono sempre più in alto. Attraversarono una grande nuvola a forma di ciambella e si trovarono in mezzo ad altre nuvole che stavano accumulandosi. Sotto di loro si stendeva tutto il continente, limpido e luminoso, e c’era un po’ di foschia soltanto intorno al piccolo cono che li sovrastava.

Con un gemito di trionfo, toccarono la vetta. Era un breve spiazzo contorto, un pendio di roccia ferrosa dall’aspetto spugnoso, e puzzava di ozono. E qualcuno li aveva preceduti lassù, non molto tempo prima.

Colui che li aveva preceduti era un negromante e un aruspice, e le tracce dei suoi studi recenti erano ancora sparpagliate sulla roccia ferrosa. Ma come aveva fatto Walter Copperhead a trovarsi lassù prima di loro e a ridiscendere senza che lo vedessero? Come aveva fatto a evitare gli Assassini programmati (sempre che li avesse evitati) e come aveva fatto a uccidere un roc gigante? Erano budella di roc, quelle sparpagliate lassù, il più grande uccello d’Astrobia. Le budella di un elefante non erano nulla, paragonate a queste. Copperhead aveva sicuramente trovato le risposte ai suoi enigmi. E se queste risposte non possono essere trovate nelle budella di un roc, sparpagliate e studiate in cima al Monte Elettrico, allora non c’è nessun modo, per un aruspice, di trovarle.

— Gran brava persona. Io lo amo e lui ama quelle — disse Evita. — Se non sapessi che morirà prima di me, gli lascerei anche le mie.

Ma c’era anche un altro tipo di budella che si stendeva davanti a loro. Si erano concretizzate alle prime luci del tramonto, ed essi si saziarono della loro vista, come di sidro. Erano le budella del pianeta sotto di loro. Erano le Terre Incolte, le Coltivate, e la fascia delle Grandi Città. C’era l’Astrobia verdenera delle fasce incolte che avevano appena attraversato, e l’Astrobia dorata delle terre coltivate. C’erano le grandi città dorate a brevi intervalli l’una dall’altra, e la nera Cathead, e il grigio Barrio. E tutto era colossale!

Il braccio di mare che cullava Wu Town, e si frammentava in un groviglio di estuari e di canali proprio sotto Cathead, era un mostro nero azzurro e verde, che si contorceva possentemente ed era punteggiato di colossali raccoglitori marini. C’era Cosmopoli che si ergeva alta e immensa, circondata dal più intenso degli aloni dorati: il cuore dell’Astrobia civile.

— La Torre delle Riparazioni che vedete sull’orlo della città, verso est, è il più alto edificio di Cosmopoli — disse Evita. — è stata costruita circa cent’anni fa da un mio figlio che era Presidente. Si è comportato assai male e (nonostante la Torre delle Riparazioni) non ha offerto abbastanza riparazioni. Ho sempre avuto sfortuna con i miei figli che sono stati Presidenti del Mondo. E non nutro molte speranze neppure per il mio figlio adottivo, Thomas.


— Che mocciosa impertinente — disse Thomas a Paul e al monaco. — Ma la sua età è davvero così fuori della norma?

— Non lo so, Thomas — rispose il monaco. — Trentacinque anni fa, quando la vidi per la prima volta, aveva apparentemente la stessa età di adesso. Devi tener presente che quasi tutto è possibile.

— E devi anche tener presente che racconta un sacco di frottole — aggiunse Paul.


Si poteva quasi percepire come le terre incolte sostenessero l’Astrobia coltivata e le sue dorate città, contrapponendo la loro ecologia e riottenendo l’equilibrio. I muscoli, i nervi e le arterie del pianeta diventavano visibili da quell’altezza. Si poteva vedere il cancro nero di Cathead divorare il terreno circostante, espandersi nel mare e contaminare l’aria. E tuttavia, come aveva detto il monaco, l’Astrobia civile era solo un sottile fungo dorato spumeggiante che cresceva su una porzione della crosta del pianeta. Bastava che l’antica, sferica bestia desse un brivido, e tutto sarebbe scomparso. E quella, era proprio una serata da dare i brividi.

Il Monte Elettrico poteva essere scalato: bastava essere un po’ prudenti, non perdersi di coraggio e possedere buoni muscoli. Ma sarebbe mai stato possibile scalare il Monte Corona, tutto picchi e strapiombi, che dava sempre l’impressione di essere sul punto di crollare? O il Monte Magnetico? Cielo! ma provate soltanto a guardarlo, quel picco! O la Montagna Dinamo (la femmina di quella gigantesca mitologia, mentre gli altri tre erano maschi), la più alta di tutte. Chi mai l’avrebbe scalata? Le quattro cuspidi erano note come le Montagne del Tuono, un massiccio da mozzare il fiato.

All’interno del quadrato irregolare che si stendeva tra le montagne, il territorio era così inospitale che, al confronto, il resto della zona incolta sembrava addomesticato. Era un paesaggio ondulato nel quale si aprivano abissi improvvisi e profondi, e ingannevoli pendii che si trasformavano in pareti scoscese e mortali. Era il prototipo del paese degli incubi, dove tutto era più grande e mutevole: i massi rocciosi si accavallavano gli uni sugli altri e le creste salivano a picco in file successive fino a perdersi sui contrafforti delle vette maggiori. E ora, mentre le tenebre si addensavano intorno a loro, tutte le cime circostanti si stagliarono contro il cielo, circondate da una luminescenza blu elettrica.

— Ti solleva l’anima — bisbigliò Thomas, quasi incredulo.

— Sii prudente, mio piccolo Thomas — lo rimbeccò Evita. — Cos’ha a che fare questo «Ti solleva l’anima» con la dorata mediocrità di Astrobia? con la benedetta uguaglianza intellettuale? E l’anima, Thomas, non è solo un’oscenità e una superstizione, a parte qualche ora al mattino?

— Non stuzzicarmi troppo, mocciosa impertinente. Penso e dico come mi pare e piace, e i limiti so imporrmeli da me. Tuttavia, capisco fin d’ora che, una volta Presidente del Mondo, dovrò costringere certi miei elevati sentimenti a livelli assai più bassi. Eccitano troppo la fantasia.

— Già, Thomas, tu ordinerai alle montagne di accucciarsi a terra, come cagnolini — ribatté il monaco, — e ai lampi di ritornare nel fodero. Non sai che anche queste cose fanno parte dell’equilibrio ecologico d’Astrobia? I sentimenti elevati fanno presa soltanto su poche persone; la gran massa li rigetta. E per mantenere l’equilibrio in questo luogo bastano soltanto poche persone. Le persone che nutrono quei sentimenti elevati sono considerate bestie tra le bestie, cioè semplicemente parte dell’equilibrio animale delle terre selvagge. Anche il grande lampo di queste montagne (del quale avrai presto motivi di stupirti) è considerato un servizio pubblico. Viene ingabbiato e spedito nella Dorata Astrobia, sotto forma di azoto disciolto nella pioggia, e arriva per via naturale ai consumatori. Tutto qui… dal tuo punto di vista, non dal mio… ma è pur sempre un fulmine ingabbiato.

Molto presto, infatti, i lampi fecero la loro ardente, spettacolare apparizione. Il Monte Corona attirava i fulmini dal cielo, dilatandoli in strisce luminose lunghe centinaia di chilometri. I componenti del gruppo di Thomas sembravano trasparenti, o illuminati all’interno da un’intensa fosforescenza. È un’esperienza singolare osservare le ossa del cranio e le costole del proprio vicino alla luce di un fulmine, così intensa da penetrare i corpi.

Poi da un picco all’altro cominciarono a guizzare saette di un’intensa luminosità biancodorata. Un’immensa saetta, lunga almeno trentacinque chilometri, scoccò tra il Monte Corona e il Monte Magnetico, così intensa da abbagliarli per parecchi minuti. Era il mistero del moto, la soluzione dell’antico paradosso, una frustata di luce così rapida da trovarsi in più luoghi nello stesso istante. Ogni roccia, ogni cuspide erano state colpite contemporaneamente, e tuttavia era un unico punto luminoso, ma così rapido da sembrare una striscia accecante presente dovunque. O forse era lo stesso Empireo, quell’infinità abbagliante di luce che colma l’universo, al di là del cielo, ma che si può vedere soltanto quando il falso cielo si apre per un attimo?

Poi lo stesso Monte Elettrico fu colpito da una saetta che fece ribollire l’aria e fuse le rocce, e il rimbombo del tuono li precipitò tutti in ginocchio. Percossi dal fulmine, rimasero lì attoniti (il che è la stessa cosa in latino), intorpiditi, offuscati nei sensi, insieme con la montagna ancora fremente.

— Ah, dopo un colpo del genere, credo di averle provate tutte — sospirò Thomas.

— Guardate in basso! — urlò il ragazzo Adam. — Ecco che sta arrivando un tuono molto più sulfureo del precedente! Ci colpiranno mentre siamo ancora mezzi accecati e istupiditi… Trinceratevi! Fate rotolare i massi! Buttateli giù!

— Chi dà gli ordini in questo gruppo? — strillò Evita. — Dovevo farlo io, ma abbiamo perduto il controllo di noi stessi. I Mastini d’acciaio ci sono addosso! Siamo ancora uomini, o ci lasceremo prendere come conigli?

Gli Assassini programmati piombarono su di loro dal basso, mentre l’oscurità totale si succedeva ai fulmini, in un’alternanza accecante di bianco e di nero.

— Non io, maledetti vasi di latta! — urlò Thomas. — Non io. Io non ho tradito l’Ideale. Io ho tradito qualsiasi altra cosa. — Sollevò un piccolo masso con ambedue le mani e lo scagliò contro di essi. — Non sarò più tanto dalla vostra parte, adesso, vasi di latta. State commettendo un errore, e non posso tollerare che siano commessi errori nei miei confronti! Non io, pazzi strepitanti, non io! Non ho mai minacciato l’Ideale di Astrobia. Lasciatemi!

«No? Non volete lasciarmi? E allora, peggio per voi, macchine mostro… Continuerò a battermi contro di voi per tutto il tempo che vorrete!»

Thomas ruggiva e scagliava altri massi. Gli altri combattevano in silenzio, ma le sorti della battaglia non erano favorevoli al suo gruppo. Il ragazzo Adam, più agile e guizzante, riuscì a far precipitare giù uno degli Assassini programmati, rovesciandolo all’indietro. L’Assassino precipitò per mille metri attraverso l’oscurità assoluta e luccicante. Ma nello stesso istante, in un luogo lontano, un altro Assassino programmato veniva creato per rimpiazzarlo, e assumeva lo stesso incarico del suo predecessore.

Paul e il monaco, Scrivener e Thomas, Maxwell e la bambina demonio Evita continuavano a rovesciar massi, dall’alto, sui loro avversari.

— Colpiteli su quella stretta fessura tra il collo e le piastre pettorali della corazza! — urlò il monaco, che stava legando a un palo il suo coltello per farne una lancia e conficcarla proprio in quel punto. — Vi sono dei cavi, lì, una specie di quadro di comando. Colpiteli in quella stretta fessura, o ci uccideranno tutti.

— Ma come? Non si occupano di me — disse Slider, tristemente. Era un sospiro lamentoso, eppure, stranamente, tutti lo udirono in quella confusione. — Così, io non sono assolutamente un pericolo, per loro? Ero convinto di esserlo. Morirei volentieri, ma non mi piace essere trattato come se fossi già morto.

— Abbiamo scambiato i nostri posti, eh, bamboccio? — ululò Scrivener. — Chi è l’uomo e chi è la macchina, tra noi due? Guarda come mi attaccano! Io sì, sono un pericolo per loro! Io li combatto, al pari del più rude e del più forte tra gli uomini di Cathead… Via, lontani da me, diavoli tintinnanti! Mi batterò contro di voi finché avrò vita in corpo!

Ma non fu per molto. E poi, non ci fu più vita nel corpo di Scrivener. Egli aveva scelto di essere un uomo molto tardi, e le macchine conoscevano fin troppo bene lo schema dei suoi circuiti. Gli Assassini programmati fracassarono Scrivener completamente. Ogni scintilla di vita che era in lui, come uomo e come macchina, si spense.

La battaglia che si scatenava nel cielo rendeva insignificante la battaglia mortale che si combatteva sulle estreme pendici del monte. Il tuono faceva saltare i timpani e toglieva il respiro, faceva perdere il lume della ragione, sia quella a base chimica degli umani, sia quella delle capsule neurali gelatinose meccanomagnetiche dei Programmati. La luce che lampeggiava in cielo faceva apparire quasi nera la luce normale, e le rocce scoscese che si stagliavano contro il cielo in quella luce sembravano volti sogghignanti. Volti immensi che erano sempre stati parte di quel luogo, ma che potevano essere visti soltanto alla luce di quei fulmini impazziti.

— Sono i volti di Ouden, il loro grande Nulla sovrano — urlò Maxwell. — Ma dov’è il volto del nostro Sovrano? Sapremmo riconoscerlo se lo vedessimo?

I fulmini raggiungevano l’apice della follia, così come i tuoni e l’inesorabile assalto degli Assassini programmati. Le orecchie sanguinavano, gli occhi non vedevano più! E la superficie della roccia ferrosa era scivolosa per le budella di quelli che erano stati fatti a pezzi per primi.


— Alla terza saetta scendiamo! — urlò Evita a Thomas, con una voce talmente acuta da penetrargli nelle orecchie stordite. — Tu, Paul e io. Gli altri hanno già perso troppo sangue per farcela.

— Che cosa, mocciosa? Scendere ora, dove e come? — gracchiò Thomas, mentre veniva quasi sopraffatto e fatto a pezzi.

— Usa il cervello, Thomas, Ora o mai più. Sii uomo, e pensa come un uomo! Segui il tuo intuito quando arriva il momento, perché quel momento sarà più breve del lampo.

Una nuova saetta letteralmente bruciò loro gli occhi e li soffocò, come se i polmoni avessero respirato la sua luce abbagliante! Un tuono così possente da scaraventare al suolo tutti, uomini e macchine! E dopo quell’attimo la lotta riprese. Il ragazzo Adam morì in un glorioso turbinio di sangue, urlando la sua sfida. Era sempre stato in gamba nella morte, aveva detto Evita. Questione di esperienza.

Una seconda saetta piombò dal cielo e risalì nel medesimo istante dal Monte Corona! Le rocce si fusero nell’esplosione e ruscellarono come acqua. Il tuono penetrò in loro con un rombo mortale, torcendo e budella. E il monaco morì, abbattuto da un colpo tra la gola e la corazza. Morì gridando, ma non infelice. Era un brav’uomo.

— Adesso, secondo l’ordine di Melchisedec, sei prete per sempre — fu il requiem di Paul. — Attento alla tua sinistra, Maxwell! Oh, beh, pazienza… troppo tardi!

Nel buio incredibilmente profondo, il corpo di Maxwell era stato fracassato prima che l’avvertimento di Paul lo raggiungesse, e il suo spirito singolare era stato separato dal corpo. Pazienza, tanto Maxwell aveva il suo sistema per farsi vivo un’altra volta: era la sua specialità.

— Esita adesso e resterai qui per sempre — sussurrò Evita a Thomas. Questo era il momento in cui si poteva tentare anche la fuga più pazzesca.

Una terza saetta sprizzò tra il Monte Corona e il Monte Elettrico, accecando e paralizzando sia le macchine che gli umani. Giù, allora! Giù a folle velocità, dove un solo passo falso significava precipitare verso la morte.

Giù, mentre brillava una luce più accecante di qualsiasi oscurità; giù, approfittando di attimi più brevi della vita di un lampo. Giù, attraverso l’oscurità vera, densa e compatta. Giù, attraverso i rimbombi che stordiscono e fanno impazzire le sonde sensoriali e gli organi di senso. Giù come una goccia d’acqua, prima dell’esplosione catastrofica del tuono.

Poi, giù ancora per un minuto, un quarto d’ora, un’ora, scoperti e nuovamente perseguitati dagli inseguitori di ferro, ululanti.

Giù, lungo il pianoro sottostante, e poi giù ancora, mentre una parte dei Programmati li inseguiva da vicino e gli altri rimanevano sul luogo della trappola scattata intorno alla vetta, mutilando e registrando quanto era rimasto: tre umani morti, un ibrido morto (le registrazioni finali dichiaravano che aveva abbracciato all’ultimo momento la causa umana), una creatura che parlava sconnessamente, ma che non li interessava perché non rappresentava un pericolo, né per l’Ideale, né per nient’altro.

Ma tre delle prede erano riuscite a fuggire, precipitandosi giù per il pendio con decisione fulminea.

Pazienza. Se i Programmati non li avessero presi quella notte, lo avrebbero fatto domani. Intanto, gli Assassini che ancora li inseguivano non erano affatto decisi a mollarli.

Thomas, Paul, e la mocciosa impertinente Evita avevano tutti gambe robuste e disponevano di un irresistibile desiderio di sopravvivere. Non si trovavano più nel cuore della tempesta torreggiante e anche i loro sensi stavano risvegliandosi, dopo lo stordimento. Adesso il temporale era molto al di sopra di loro, e non erano più al centro dello spettacolo. Ma erano carichi di elettricità, e scintille scoccavano dal loro corpo. Erano luminescenti, circondati da una corona, da un’aureola di un blu elettrico. Risplendevano e sibilavano come spettri.

Arrivarono nelle distese incolte della savana alle prime luci dell’alba. Pioveva a torrenti, una pioggia catastrofica che faceva parte dell’equilibrio che conservava dorata Astrobia. Era una pioggia selvaggia che sembrava cadere da un abisso, un autentico diluvio.

Avevano marciato tutta la notte per sfuggire al diluvio; ogni ruscello si era trasformato in un fiume in piena. Era già l’alba prima che potessero vedersi in viso, e tutti e tre, Thomas, Evita e Paul avevano subito un profondo cambiamento. La montagna li aveva trasfigurati. Non erano più quelli di prima. Qualcosa di nuovo era stato marchiato a fuoco dentro di loro.

Attraversarono l’ultima delle zone incolte, avanzando in un’agonia di stanchezza e perdendo sangue, sempre inseguiti dagli Assassini meccanici (come lo sarebbero stati, del resto, per tutto il breve tempo che restava loro da vivere). I loro corpi emettevano ancora quella cupa luminescenza che li intorpidiva. Erano vivi, ma non del tutto. Portavano dentro di sé dei marchi roventi, e per quanto coraggiosi fossero, non potevano più essere completamente se stessi, erano segnati.

— In verità, è stato uno spettacolo che valeva la pena di vedere, almeno una volta — disse Thomas. — C’è uno scheletro robusto sotto la carne dorata di questo mondo, un midollo d’acciaio, un sangue verde cupo. E qualcos’altro, il vuoto. Ah, quei volti vuoti e ghignanti, lassù nel cielo, erano tutti i volti del Nulla!

— Non «su nel cielo» — lo corresse Evita. — «Giù nel cielo». Su Astrobia, noi siamo tutti con la testa all’ingiù, e quando eravamo sul monte abbiamo visto l’irrimediabile abisso del pozzo sconfinato.


Attraversarono così l’ultima delle zone incolte, seguiti da vicino, cacciati. La mattina dopo, molto presto, entrarono in Cathead dalla parte posteriore.

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