10. Il profilo deformato del futuro

Ma c’era qualcosa in Thomas che non si era ancora assopito, che non era ancora morto. Egli era pur sempre il risorto con il doppio segno, e quell’antica parte di lui stesso stava ora emergendo, quasi spezzandolo in due. Uscì a passeggiare nel pomeriggio, avvolto come da un incubo, senza sapere quello che faceva, e neppure dove era. Era combattuto con se stesso ma non aveva ancora smarrito la strada definitivamente. Questo era il fatto più strano: Thomas aveva davvero dei ripensamenti sull’intera faccenda. E nessun ripensamento avrebbe più dovuto entrare nella sua mente, si supponeva. L’avevano completamente soggiogato e potevano essere sicuri di lui. E invece…

Poteva ancora ribellarsi, con astuzia o con furia cieca. Stava quasi rendendosi conto che si erano impadroniti della sua mente.

C’erano delle zone nascoste nei suoi pensieri che, nonostante le sue professioni di fede, non avevano ancora accettato l’Ideale di Astrobia. C’erano perfino delle zone in cui conservava la propria individualità, anche se dalla porzione di mente di cui si erano impadroniti partiva la sensazione che fosse sbagliato afferrarsi a una parte del proprio Io. E ora aveva trovato un attimo di lucidità in cui poter esaminare in prospettiva il suo strano comportamento.

— La cosa più strana è che sono caduto nella mia stessa trappola — disse Thomas tra sé e sé. — Pensa, Thomas me stesso, che cos’ho fatto come scherzo nella mia vita precedente? Ho inventato tutta questa sporca faccenda! Chi, se non io, ha coniato il termine Utopia? E non so benissimo di avere usato l’oro falso, non quello vero, per coniarla? Cosa accade, ora? Com’è possibile che ci sia cascato anch’io? Oh Dio, che cosa sono, che ho trasformato uno scherzo atroce in un dorato mondo del futuro, per poi inciampare nella mia stessa ridicola creatura? C’è un altro scrittore che sia mai stato condannato a diventare parte della favola maliziosa da lui scritta? C’è un altro legale che sia mai stato condannato a dare la legalità a una sua burla? C’è un altro cancelliere che abbia mai avuto l’incarico di governare un mondo da lui creato per scherzo? Aiutami, Signore! Se avrò altre occasioni dopo la mia seconda morte, presterò molta più attenzione a quello che faccio!

«Dico a me stesso: ‘Non è oro autentico.’ è materia spuria, fango che ho raccolto in un fosso e modellato per gioco. Il mio sogno insano è diventato un mondo intero! E io ho finito per considerarlo oro vero, e ne ho fatto un intero mondo, e sono il più grande sciocco in circolazione, sotto ogni punto di vista.»

Intanto qualcuno aveva fatto il numero di Thomas, forse per caso, forse per controllarlo, e cercava di penetrare nella sua mente.

Vade retro! — disse Thomas, gridando. — Vade retro! ti dico! Sì, lo so che è sbagliato escludere qualcuno dalla mia mente. E so che tu hai altrettanto diritto quanto me. Cerca di capire! Cerca di capire! Questa è una cosa che sfugge, e devo risolverla da solo. Sono un uomo imperfetto, e di tanto in tanto debbo avere qualche momento tutto per me. Vade retro! Io ti escludo dalla mia mente!

L’intruso abbandonò rabbiosamente la mente di Thomas, il quale provò un senso di colpa. — Se il futuro Presidente di Astrobia sarà trascinato davanti a un tribunale sotto l’accusa di aver violato la legge della Mente Aperta, la cosa non farà certo una bella impressione! — esclamò.

C’era un fruscio e un rumore dietro alle sue spalle, e la cosa cominciò a preoccuparlo. Ma aveva molte altre preoccupazioni, mentre la sua mente era dibattuta tra opposte tendenze.

— È incredibile che esista questo mondo — disse ancora una volta rivolto a se stesso. — Sembrava così grottesco, così amaramente comico quando lo inventai… Vorrei proprio non aver letto tanto, specialmente dopo la mia prima morte! La mia mente si confonde, al pensiero che alcuni abbiano visto con favore un mondo malato come questo. Bene, io, comunque, debbo viverci. Lascerò che chiunque penetri nel mio cervello mi parli ancora della sua bellezza… Gloria a Ouden, il Tutto nel Nulla!

«No, no, è tutto sbagliato!» Thomas si strappò ai pensieri che tentavano di soggiogarlo e corse via, incespicando, schiamazzando contro se stesso.

— Sono serpenti che si contorcono nella mia mente! Non sono pensieri veri! Come ho fatto a crederci, proprio io, che sapevo fiutare da lontano ogni inganno? Come han fatto i serpenti a insinuarsi nella mia mente? Mi sono forse lasciato spaventare come una pecora, permettendo che entrassero? Come ho fatto a smarrire la mia umanità? Quand’ero ragazzo credevo in Dio. Quando sono diventato uomo ci credevo ancora per metà. Come ho fatto a lasciarmi incantare da questo Grande Zero, dal mostruoso Omega, dal depravato Ouden-Nulla? Chi avrebbe mai pensato che da uomo così maturo mi sarei messo ad adorare un dio così vuoto?

«Che pensieri pericolosi! Ora i Mastini sono nuovamente alle mie calcagna! »

Thomas More, candidato alla Presidenza di Astrobia, aveva vagato come un sonnambulo ed era giunto in un luogo che odiava e disprezzava. Cosa lo aveva attirato laggiù? Ora si trovava in un grosso agglomerato urbano tra Cathead e Wu Town, la meno dorata e la meno fedele fra le città di Astrobia. Si rese conto del fetore che emanava da Cathead nel preciso momento in cui udì dietro di sé il fruscio e il rumore metallico. Cominciò a correre.

Gli Assassini programmati si erano accorti del cambiamento avvenuto in Thomas. Non gli sorridevano più enigmaticamente mentre lo guardavano, come se aspettassero qualcosa. Non avevano mai smesso di seguirlo, e ora se ne ricordavano il motivo. Thomas era nuovamente cambiato, e che questo fosse un cambiamento temporaneo o permanente, non li riguardava. Adesso lo inseguivano per ucciderlo.

— Sono perduto! — urlò Thomas. — Mente mia, ripensaci! Fai che mi ritorni la fede nella Grande Cosa! Serpenti della mia mente, fate tintinnare un’altra volta il vostro felice annuncio… dite al mondo che Thomas è ancora una volta fedele all’Ideale! Dite a quegli oggetti che avanzano con fragore metallico che io non sono pericoloso per nessuno, ma che essi, al contrario, rappresentano un pericolo mortale per me!

Thomas scivolò e cadde, e riuscì a risollevarsi appena in tempo. Corse a perdifiato, ed essi lo inseguirono da molto vicino. Un corridore allenato e robusto avrebbe potuto distanziarli per qualche minuto, ma gli Assassini programmati erano infaticabili, e riguadagnavano sempre il terreno perduto. Thomas cercò di ricordarsi la topografia delle strade e delle viuzze, anche di quelle che non aveva mai attraversato. Si era perduto, ma i suoi inseguitori sapevano perfettamente dove si trovavano. Sapeva che alcuni di loro si erano staccati dal gruppo per bloccargli le altre vie di fuga: anche se avesse deviato, cercando una via di scampo, lo avrebbero ugualmente messo con le spalle al muro.

Poi, improvvisamente, si voltò a guardare i suoi inseguitori con un’aria di sfida, e le sue paure gli parvero ripugnanti.

— Serpenti della mia mente, fuori, fuori! — urlò. — Non vi concedo più asilo! Morirò da uomo, se dovrò morire qui. Ora so che il mio primo giudizio era quello giusto. Maledizione, tutto era sempre oro falso e zolfo. Preferisco essere uno di quei disgraziati di Cathead e sputar sangue per tutta la vita, piuttosto che essere il re della loro follia!

Ma non sarebbe stato più nulla, se non fosse riuscito a sbarazzarsi degli Assassini. Avrebbe sputato tutto il suo sangue molto più rapidamente di qualsiasi sputasangue di Cathead. La strada di fronte a lui proseguiva verso un quartiere che lui conosceva, mentre alla sua destra un vicolo cieco rappresentava una trappola mortale. Thomas volle precipitarsi verso la strada aperta, ma invece qualcosa lo fece svoltare nella viuzza senza sfogo.

— No, no! — urlò ancora. — Non voglio entrare in questo vicolo, non c’è via d’uscita. Perché mai sono entrato in questa trappola mortale? L’altro giorno qualcuno pensava col mio cervello e parlava con la mia bocca. Questa sera qualcuno sta correndo con le mie gambe!

Ma, ugualmente, sparì dentro il vicolo cieco con un balzo possente. In fondo, in un muro di mattoni c’era uno squarcio che poteva lasciar passare un uomo deciso, specialmente se la sua vita di quell’uomo fosse dipesa da questo. Era quasi arrivato allo squarcio, quando dall’altra parte del muro un Assassino programmato si fece strada, seguito da un altro.

Lo avevano chiuso in mezzo! Le pareti tutto intorno erano di pietra e di mattoni verdi e fangosi, bagnati dalla pioggia e corrosi dal tempo, e nessuno sarebbe mai riuscito a scalarle. E non si vedevano porte, né altre aperture di sorta, per tutta la lunghezza del vicolo.

Non c’erano porte? Ma era poi vero? A Thomas sembrò di essere un burattino legato a fili invisibili. Ebbe inoltre l’impressione che fosse meglio che gli Assassini lo uccidessero lì, subito. Qualcuno lo aveva attirato in quell’angiporto. Se avesse tirato diritto avrebbe avuto una possibilità di sfuggire agli uccisori. Lo aveva già fatto altre volte. Ma lo avevano attirato lì per ucciderlo o per qualcosa di peggio?

Infatti c’era davvero una porta. Una porta che non esisteva qualche attimo prima e che non sarebbe dovuta essere lì in quel momento.

— Cosa rischio? — si disse Thomas, ad alta voce. Si precipitò attraverso la porta (e intanto i serpenti stavano ritornando nella sua mente) sapendo di passare dalla realtà al sogno, sapendo di passare dalla vita a qualcosa di ben più strano della stessa morte. Sbatté la porta con violenza, chiudendosela alle spalle. E si trovò nel buio più completo.

— Siediti al nostro tavolo — disse una voce, una voce che veniva dal lato sbagliato, dalla testa di Thomas o da qualche punto al di fuori di essa. — Adesso parliamo.

— Accendete la luce — fece Thomas. — è troppo buio.

— Non abbiamo bisogno di luce — disse la voce. — Smettila di combattere le cose che sono nella tua testa! Esse possono vedere là dove tu non vedi, no? Non riesci forse a vedere, ora, senza la luce?

Thomas vedeva, e senza la luce. Vedeva delle Cose attraverso gli occhi di qualcun altro, forse attraverso gli occhi delle Cose stesse.

Vedeva nell’oscurità più completa attraverso gli occhi dei misteriosi serpenti della sua mente, e stava guardando Cose che avrebbe preferito non vedere.

C’erano nove di quelle Cose. Thomas aveva imparato a pensare ad esse come a delle Cose negli ultimi istanti in cui aveva lanciato la sua sfida, ritornando alla ragione. Ma cos’erano in realtà, qual era la loro forma?

Uomini. Uomini visti dall’altra parte. Forse da dietro? Sì, come il rovescio di un ricamo, lo stesso disegno, ma rozzo e deformato. Quelle Cose erano la deformazione dell’umanità.

Ce n’erano nove, raccolte in quel luogo, in gruppi di tre intorno a un ampio tavolo da conferenze. Erano uomini, ma con mille particolari sbagliati. Orecchi umani ma con qualcosa di suino; nasi simili a musi, e tuttavia né troppo larghi, né malformati, semplicemente mal disegnati; occhi fatti come quelli umani, e tuttavia chi guardava da quelle orbite non era umano. Non erano uomini, anche se Thomas era sicuro di averne conosciuto qualcuno nelle vesti di un uomo. Erano Programmati. Cose.

— Buona sera, mie brave macchine — disse Thomas, sedendosi spavaldamente a capotavola, anche se non era quello il posto che gli indicavano.

— Non lì! — urlò uno di quelli che Thomas aveva conosciuto nelle vesti di un uomo. — Quello è riservato al Sacro Ouden!

— è qui che intendo sedermi! — E Thomas si sistemò. — Ah, un giorno dissi a Paul che avrei dovuto scoprire da solo il nome del vero Re di Astrobia. Ecco, ora lo so: è lo stesso Ouden! Lasciamo che il Vecchio Nulla si trovi un altro posto. Non ho intenzione di scomodarmi per un qualsiasi pezzo di latta. E quelle specie di trampolieri, là fuori, appartengono al vostro stesso partito? Siete voi che li controllate? Siete stati voi ad attirarmi in quel vicolo cieco?

— Naturalmente — disse uno di loro, con voce troppo soave per essere umana. — Io sono Boggle e questi due che formano con me una trinità creativa sono Skybol e Swampers. La nostra specialità è la regressione.

— Siete degli sciacalli — ribatté Thomas, e quei tre, infatti, erano molto simili a sciacalli. Uno sciacallo che abbia assunto un aspetto umano si distingue per il pelo fitto e la forma delle orecchie. E tuttavia il loro aspetto era tipicamente umano, anche se erano molto più estranei, per l’uomo, di tre sciacalli autentici.

Tre serpenti cominciarono a muoversi nella mente di Thomas. I serpenti reagivano in simpatia con le tre Cose, dovevano essere le loro estensioni.

— Regredite, allora — ripeté Thomas. — Andate a scavare le vostre tane nella testa di qualcun altro!

— Io sono Northprophet — disse il capo del secondo gruppo. — I miei compagni, qui, sono Knobnoster e Beebonnet, e la nostra specialità è l’astinenza.

— Siete dei cani — imprecò Thomas, e tutt’e tre avevano infatti qualcosa che ricordava il cane. Era singolare come queste creature si manifestassero su tre livelli, umano, animale e meccanico. E Thomas intuì che c’era anche un quarto livello, comune a tutti loro, quello spettrale.

Ah, questo Northprophet era stato candidato alla Presidenza di Astrobia. L’avevano scambiato per un uomo, ma poi era arrivato il momento in cui non gli era stato più possibile farsi passare per un uomo. Era troppo diverso. I Programmati lo avevano costruito proprio per la carica di Presidente. Era stato disegnato con grande perizia. Sarebbe stato un perfetto Presidente del Mondo, dal punto di vista dei Programmati.

Altri tre serpenti si agitarono nella mente di Thomas, e uno dei tre era enorme. Questo Northprophet era uno dei grandi, fra quelli della sua razza.

— Sbrigatevi a far tintinnare i vostri sonagli, Cose! — esclamò Thomas, rudemente. — Il mio tempo è limitato, e così pure la mia vita. E la vostra compagnia non mi è particolarmente gradita.

— Io sono Pottscamp — disse il capo del terzo gruppo. Ed era, naturalmente, la vecchia conoscenza di Thomas, che l’aveva visto come un uomo, il quarto dei Tre Grandi. Ma adesso aveva un aspetto molto diverso, l’aspetto che le cose assumono in un incubo. E Thomas dovette pensare a lui in maniera diversa, ora che non era più un amico, ora che non era più un umano, bensì un Programmato, e che aveva un Serpente mentale come estensione e come demone al suo servizio.

— I miei compagni, qui, sono Holygee e Gandy — disse Pottscamp, — e la nostra specialità è l’estrapolazione.

— Siete lupi feroci — rinfacciò loro Thomas. — Ululate più forte di quanto si possa udire, in una brughiera più desolata di quante se ne possano trovare in questo mondo. Va bene, allora estrapolate pure, miei cari nove, accidenti a voi! Regredite! Astenetevi! Voi siete nove, e non sono forse le vostre estensioni quei nove serpenti che si annidano nella mia mente?

— Naturalmente, Thomas — disse Pottscamp. — Tu sei la nostra missione. Nessun altro uomo ha mai avuto tanti e importanti… ah, serpenti. Questa è la conversazione che ti avevo promesso, Thomas. Ti avevo detto che tengo già i Tre Grandi dentro il mio stomaco. Essi discutono per decidere chi di loro sia il burattinaio, e chi i burattini, ma io sono il teatro dove essi danno il loro piccolo spettacolo. Ti avevo promesso che avresti visto il rovescio del ricamo, l’altro lato, quello autentico. È un mondo che ha molto più significato di quello al quale sei abituato.

— Sembra avere un disegno molto strano, Pottscamp — osservò Thomas. — Pullula di serpenti, non è vero?

— Niente affatto, Thomas. Visti dal lato giusto non sono serpenti, ma bende regali piegate in mistiche curve. Thomas, è solo a causa della nostra antica amicizia che tu oggi ti trovi qui. E devo dire che la tua è una delle menti più interessanti in cui mi sia mai annidato. Gli altri si proponevano di eliminarti immediatamente e di sostituirti con una replica, che naturalmente sarebbe stata dei nostri.

— Questo è impossibile, Pottscamp. Sono invisibile in Replica.

— La replica che avevamo in mente per te sarebbe stata visibile. E l’avremmo fatta più simile a te di quanto non sia tu stesso. E si sarebbe comportata esattamente come te, ma senza le tue momentanee ribellioni.

— Avanti, Pottscamp, fammi vedere quest’altro lato del ricamo, dal momento che sono qui e devo ascoltare. Tu estrapoli, non è vero? E allora, fallo.

— Siamo noi stessi l’estrapolazione dell’umanità — l’interruppe Northprophet, che in quella gerarchia sembrava superiore allo stesso Pottscamp. — Ti diremo come stanno le cose, Thomas, dal momento che non puoi far nulla. Confesso che in noi è stato programmato un certo atteggiamento teatrale, e che ci piace godere dei nostri successi. Tu non potrai servirti in alcun modo di quanto sentirai ora. Ma, allo stesso modo, noi non siamo in grado di cancellarti. Questa è la vera ragione per cui non l’abbiamo ancora fatto. Sappiamo che la tua vita è in qualche modo protetta, e che è impossibile ucciderti finché la tua ora non sia giunta. Tuttavia, potremmo facilmente nasconderti e mettere un altro al tuo posto. E ci sarebbe anche possibile tagliarti a pezzi in modo orribile, fino a farti quasi morire. Potremmo farti diventare una specie di vegetale, un vegetale che soffre, ma tu non moriresti fino al momento fissato per te dal destino.

— Anche i Programmati sono pazzi come gli uomini, che credono nel destino? — domandò Thomas. Vedere senza luce da occhi altrui era un po’ come vedere sott’acqua. Era come vedere sullo stesso piano la superficie e la profondità. Si poteva vedere, ma senza capirlo, sia il funzionamento interiore di queste entità, sia l’orrore alla superficie; s’intravedeva confusamente l’essenza di Northprophet, quella che ululava come un cane, e di Pottscamp, quella del lupo feroce. Dentro di essi c’erano spettri con sembianza di animale, e percependoli attraverso le estensioni dei loro stessi occhi si vedeva questa essenza spettrale. — Pensavo che voi Programmati foste soltanto degli interessanti giocattoli. Ora scopro che siete dei giocattoli contorti, ma tuttavia siete ancora Cose. Ritornate nelle vostre scatole, non siete altro che dei babau, degli spauracchi, dei fantocci a molla!

— Thomas, siamo noi adesso i padroni della scatola — disse Pottscamp. — La scatola è Astrobia. Ci siamo impadroniti di tutte le scatole. Adesso siamo noi a comandare e tu sei il giocattolo, e noi giocheremo con te fino a quando non decideremo di buttarti via.

— E allora, meccanismi ipertrofici, cosa siete?

— Chi siamo e da dove siamo sorti, Thomas? I testi che ti hanno lasciato studiare danno soltanto l’ombra della realtà. Un secolo fa, alcuni scienziati crearono il primo di noi per studiare meglio se stessi. Volevano scoprire se era possibile creare uomini migliori di quelli prodotti dalla natura stessa. Ma rimandiamo le spiegazioni, per il momento. Ascolta attentamente quanto ti dico, e poi dimenticalo.

«Tu qualche volta hai un po’ di fede, Thomas, e con quel tuo brandello di fede hai già indovinato chi siamo. Stando alle tue vecchie credenze, noi siamo diavoli. Il nome con cui noi ci chiamiamo è un altro, ma noi siamo più vecchi di questi nostri corpi artificiali, più vecchi dei nostri stessi programmi. Queste per noi sono case, case ben fatte, che abbiamo trovato, ripulite e addobbate, e nelle quali ci siamo sistemati. Questa piccola informazione, Thomas, è quella che dimenticherai per prima, completamente. Vedi? L’hai già dimenticata.»

Pottscamp aveva dato l’impressione d’inciampare sulle parole, dentro a quell’immenso stomaco senza luce che illuminava tutte le Cose che conteneva. Poi Pottscamp continuò.

— Volevano scoprire se era possibile creare uomini migliori di quelli prodotti dalla natura stessa. Non avrebbero mai dovuto togliere il coperchio da quella scatola. Tu stesso ci hai definiti come un sogno fantastico, la nostra presenza ti è sembrata meravigliosa. Non intendo parlarti di chimica paracolloidale e d’elettronica degli zigoti, e neppure di capsule neurali o di statoconduttori. Non è il mio campo, e tu stesso sei indietro di mille anni rispetto ai progressi della scienza. Poche volte, però, si è menzionato il materiale grezzo che fu usato per produrre il primo di noi, la matrice in cui sono stati incorporati i meccanismi e i controlli. Si trattava di una decina di criminali umani, giovani e ottusi. Le loro menti erano fin troppo semplici e univoche. Nei dieci giovani prescelti mancavano totalmente le cosiddette emozioni, l’indecisione, e certe aberrazioni umane come il rimorso e la coscienza morale. Erano un complesso di zombie selezionati con cura, grandi tabule rase sulle quali si poteva stampare di tutto. Gli scienziati stamparono su quelle tabule se stessi: noi.

«Ma gli scienziati che ci costruirono erano anch’essi un gruppo di dieci, e si erano scelti con estrema cura. Anch’essi erano relativamente giovani, intelligenti, e criminali. ‘Criminale’, per gli umani, è invece ‘Giusto’, per noi. La moralità e le sue infinite complicazioni avevano sempre paralizzato l’umanità, impedendole di andare avanti, e questi dieci scienziati lo sapevano. Essi stessi erano un’élite difficile da mettere insieme, anche in un mondo tanto popolato. Perciò decisero di riprodurre artificialmente se stessi, aggiungendovi ogni possibile miglioramento. Questi miglioramenti potevano facilmente essere inseriti in un meccanismo, mentre era molto più difficile incorporarli in se stessi.»

— è impossibile che sia successo in questo modo — protestò Thomas. — Voi siete esseri viventi, per quanto distorti e artificiali. C’è qualcosa che mi nascondete, qualcosa che dissimulate tra le vostre parole.

— Sii paziente, caro Thomas, e ascolta — disse Pottscamp, il lupo feroce dalle sembianze umane. — Ci costruirono come complessi meccanismi elettronici e chimici, con la capacità di riprodurre noi stessi alla stessa guisa degli uomini; tuttavia meno del dieci per cento dei nostri tessuti erano quelli umani originali, una volta che fummo completati. Vedi, noi disponiamo di cervelli e di memorie di riserva, collocati in varie parti del corpo. Possiamo modificare la nostra forma senza indebolirne le funzioni, e assumere forme diverse da quelle che usiamo per sembrare umani. Possiamo inoltre emettere delle estensioni di noi stessi, fluttuanti, come i serpenti della tua mente, Thomas. Possiamo fare tutto ciò che l’uomo può fare, anzi molto di più. Possiamo sostituirlo, praticamente. L’uomo è un’anticaglia. Chi ha bisogno di lui? Chi lo vuole?

«Ma siamo veramente uomini? A volte ci vien posta questa domanda. No, non lo siamo. Disponiamo di quella certa qualità che distingue gli uomini dagli animali e dalle macchine? No, non ne disponiamo. Ma neppure l’uomo ne dispone. Quella certa qualità è immaginaria.

«Basti dire che coloro che ci hanno inventato, avevano spezzato la barriera fra la sostanza vivente e quella inerte. E avevano scoperto che la vita è un’illusione. Bene, ci crearono allora come esseri morti, e noi siamo effettivamente dei morti. Siamo morti, e tutto è morto. Ma noi siamo convinti di essere completi. Sentiamo che non c’è altra dimensione al di fuori di noi stessi. All’inizio l’uomo ci ha creati. Poi noi creammo noi stessi con maggiore efficacia dell’uomo. Ci riproduciamo quasi sempre a modo nostro. Possiamo anche incrociarci con gli esseri umani, e i risultati sono assai curiosi. Siamo diventati uomini. Abbiamo rimpiazzato l’uomo. Presto l’uomo non sarà più nulla.»

— Se quello che dici è vero, vecchio Pottscamp, lupo e spettro, e io sento che non è completamente vero, allora qual è la differenza tra voi e l’umanità? — chiese Thomas. — Che importanza ha se l’umanità viene distrutta?

— A noi non importa affatto, Thomas — replicò il vecchio Pottscamp, lupo e spettro. — L’avremmo fatto tanto tempo fa, ma i particolari ci frenano e le difficoltà non si risolvono in un anno. Comunque, alla maggior parte dell’umanità non importa. La maggioranza, il tipico uomo della moderna Astrobia, scomparirà da sola. Il problema sorge con i dissidenti, gli atipici e gli insignificanti.

«Ma non intendo dire che noi siamo identici all’uomo: non lo siamo affatto. C’è un’enorme differenza. Tu te ne sei accorto, anche se non sei riuscito a darle un nome, quando hai parlato con i dissidenti di Cathead. Gli sputasangue, i ‘duri’, ci riconoscono ogni volta. Non ci scambieranno mai per uomini, neppure per un minuto. Vi sono delle differenze fra noi e gli uomini: o riusciremo a eliminare dall’uomo queste differenze, o elimineremo l’uomo stesso. Una di queste differenze è la coscienza. Gli uomini affermano di averla, noi non l’abbiamo.»

— Voi non siete coscienti? — annaspò Thomas. — Questa è la cosa più sorprendente che abbia mai udito. Voi camminate, parlate, discutete, sovvertite, avete pianificato i secoli a venire, e dite di non essere coscienti?

— Naturalmente che non lo siamo, Thomas. Siamo macchine: come possiamo essere coscienti? Ma crediamo che neppure gli uomini siano coscienti, che non esista una cosa chiamata coscienza. È un’illusione matematica, la sensazione che uno sia due. è una parola che non ha un vero significato.

— Ma se non siamo coscienti, allora tutto è inutile — disse Thomas. — Per quale ragione esisterebbe la vita?

— Per nessuna ragione — interruppe Boggle. — Ecco perché abbiamo deciso di eliminarla.

— Che cosa? Eliminare la vita? La vostra e la nostra? Ma è orrendo! — esclamò Thomas.

— Sì, tutta la vita, la vostra e la nostra — ripeté Boggle. — A chi mai può servire? Chi la vuole? Chi l’ha mai ideata? Serve soltanto a disturbare la soluzione finale, e non può essere tollerata più a lungo. Noi, come l’uomo, abbiamo una grande fame di vita. Gli uomini l’hanno inserita nel nostro programma, ma noi ora stiamo togliendola. La generazione dei nostri figli sarà l’ultima. Rimarranno soltanto il tempo necessario a controllare la scomparsa dell’umanità. Poi si autoestingueranno. Non sappiamo per quale ragione negli uomini si sia sviluppata una fame così assurda. Non sappiamo come l’uomo e le altre cose siano apparse. Ma è stata una cattiva idea fin dall’inizio. Appena noi saremo vissuti abbastanza, soddisfacendo le nostre curiosità (la curiosità fa parte dei nostri programmi, ma non è stata programmata nell’ultima generazione), allora faremo scomparire questa fame anche da noi stessi. Faremo scomparire anche la nostra riproduzione; in effetti, su di noi l’abbiamo già fatto. E metteremo fine al tutto. Chiuderemo i mondi e metteremo fine alla vita. E non ci sarà più niente, niente, niente, per sempre, per mai, eternamente. E quando nulla sarà, nulla sarà stato. Chiuderemo su di noi il buco nero del nulla. Spegneremo le stelle, una a una, miliardo a miliardo. Quello di cui non si conosce l’esistenza non esiste. E quello che non esiste non è mai esistito. La pace nell’annichilamento, caro Thomas.

— La pace nell’annichilamento, caro Boggle, e possa il Grande Ouden essere lodato per sempre e per mai — gracchiò Thomas. — Siate tutti maledetti! — esplose. — Non ho mai detto questo, qualcun altro lo ha detto, usando la mia bocca. Quale dei vostri serpenti ha parlato nella mia testa?

— Oh, sono stato io — disse Skybol. — Abbiamo anche noi il nostro senso dell’umorismo.

— Caro Thomas — disse Swampers, uno degli sciacalli spettro minori, — lo Spirito è disceso una volta sull’acqua e sull’argilla. Che non possa discendere anche sulle capsule neurali e sugli statoconduttori?

— Che cosa vuol dire l’ineffabile sciacallo con queste parole? — chiese Thomas, rivolgendosi a tutti gli altri. — Per me non significano nulla.

— Se non significano nulla per te, allora non significano assolutamente nulla — disse Northprophet.

— Siamo giunti a questo — considerò Thomas, tristemente. — E soltanto gli uomini che hanno edificato la mostruosa Cathead si sono accorti che c’è qualcosa di sbagliato. La vita degli uomini è diventata così vuota, meccanica ed effimera che non sanno più distinguere se stessi da voi. Solo i ‘duri’, con il loro fiuto eccezionale, sono capaci di riconoscere la deformità. Sanno che non siete uomini. Hanno rifiutato la pappa reale che sarebbe stata la loro fine. Hanno rifiutato il benessere e quel surrogato di vita che veniva loro offerto. Volevano la vita vera, genuina, per misera che fosse. Hanno perciò edificato una loro società, contro tutte le punizioni. Hanno fatto dell’estrema sofferenza una componente essenziale della loro società, allo stesso modo in cui un uomo picchia il pugno sul muro per convincersi di essere sveglio. Hanno lavorato senza ricompensa, sputando il sangue dai polmoni, pur di non essere subordinati agli uomini dal cervello di macchina. Peggiore della morte è non essere mai vissuti. E ancora peggio è non essere mai vissuti pur essendo vivi. Preferisco essere un’anima all’Inferno, piuttosto che non essere niente.

— Anche questa possibilità ti sarà negata — disse Holygee. — Noi estingueremo anche l’Inferno, se pure esiste. Tutto deve sparire. E quando sarà tutto finito, nessuno di noi sarà mai stato.

— Se voi non volete esistere, per quale ragione siete infastiditi dalla presenza degli altri? — domandò Thomas.

— Ouden è contrario all’esistenza di qualcuno — replicò Holygee. — Ha uno stomaco geloso.

— Caro Thomas — disse Gandy, uno degli spettri minori fra i lupi feroci — c’è una vecchia frase degli uomini: «La mano sinistra di Dio.» Che non possa discendere su entità sinistre, come noi?

— Prendimi pure in giro, se vuoi — esclamò Thomas, rabbiosamente. — Ma non prenderti gioco di quella povera gente che ha ancora fede, se ho ben capito cosa significano le tue parole.

— Se non significano nulla per te, allora non significano assolutamente nulla — disse Pottscamp.

— Allora, cosa intendi fare, Thomas? — gli chiese Northprophet. — Rinunciare all’esistenza dorata che ti viene offerta e andare a sputare i polmoni con quei poveracci di Cathead e del Barrio? Siamo stati noi a rendere così abbietta la loro povertà. Ci assicuriamo che nulla, di quanto fanno, vada per il giusto verso. Avevano delle buone idee, ma non li abbiamo lasciati applicarle. Allora, ti unisci a loro, Thomas? Anche a te, Thomas, piace la vita comoda. Da qualunque parte ti rivolgi, non c’è speranza. «Speranza», a proposito, è uno di quei concetti che abbiamo già sradicato da quasi tutti gli uomini. Noi non l’abbiamo mai avuta. In che cosa puoi sperare, adesso, Thomas?

— Posso sempre nutrire un filo di speranza su quei tre enigmatici individui che mi hanno fatto venire qui — disse Thomas.

— Speri troppo — ribatté Northprophet. — Uno di loro è un pallone gonfiato senza importanza, e lo usiamo come copertura. Il secondo è un uomo artificiale come noi.

— Proctor?

— Sì, è un Programmato. è programmato per essere fortunato, Thomas. E, Thomas, abbiamo un’onesta proposta: faremo la stessa cosa per te. Faremo di te l’uomo più fortunato che sia mai esistito. Puoi dirci tu stesso quello che vuoi, ma devi accettare subito la nostra offerta. Non possiamo fartela ballare davanti agli occhi per sempre.

— No, preferisco continuare con la mia solita sfortuna — replicò Thomas.

— Affari tuoi — disse Pottscamp. — E adesso eccoti un po’ di istruzioni, Thomas. I serpenti che sono nella tua mente, cioè noi stessi, ti obbligheranno a obbedirci. Tu non distruggerai Cathead. Le sofferenze dei suoi abitanti sono fonte di gioia per noi, e temiamo la reazione, se fosse distrutta prima che i tempi siano maturi. Quando lo riterremo opportuno, quando anche per noi le cose staranno per finire, allora metteremo fine a Cathead, alla Dorata Astrobia e a tutto il resto.

— E cosa accadrà al Grande Ideale, al Sogno di Astrobia, che avete inculcato nella testa della gente? — domandò Thomas.

— Oh, l’Ideale resta sempre valido — disse Pottscamp. — L’Ideale è tutto. è diventato parte di te stesso, e ci hai amoreggiato molte volte. Tu non sei diverso dal novanta per cento degli uomini. L’Ideale è la dorata premessa al Nulla che seguirà. è la conclusione è il Sacro Ouden. Niente, né qui, né lì. Niente per sempre.

— Fra gli uomini che mi hanno mandato a chiamare c’è anche il terzo, Foreman — disse Thomas.

— Sì, si batte ancora contro di noi — ammise Northprophet. — è stato uno dei primi a capire la situazione e sarà uno degli ultimi ad arrendersi. Quell’uomo ci ha dato più fastidio di chiunque altro, e sembra che abbia ancora un asso nella manica. Noi crediamo che tu sia quell’asso.

«Ma tu non puoi opporti a noi, Thomas. Ti teniamo in pugno. Nessuno ti appoggia più di noi, né il Partito del Terzo Compromesso, né quello del Bacio della Morte, né i Macilenti, né il Demos. Siamo noi, attraverso tutti i Partiti, che ti facciamo vincere. Chi si è affrettato a eliminare i ciottoli che ostruivano il tuo cammino e a spargere fiori davanti ai tuoi piedi? Chi, se non noi, ti fa vincere, influenzando direttamente e indirettamente tante menti? Serpenti della tua testa! Sai benissimo come facciamo! Battiamo la grancassa per te giorno e notte. Sei la nostra marionetta. Non puoi sfuggirci. Non servirebbe neppure se tu scomparissi, anche ammettendo che riuscissi a nasconderti alla nostra vista. Possiamo allestire un altro Thomas More in meno di un’ora, e nessuno noterebbe la differenza.»

— L’uomo chiamato Foreman saprebbe notare la differenza! — insisté Thomas. — E anche una mocciosa impertinente che ben conoscete, e uomini come Copperhead, Battersea, Rimrock, e Shanty. Anche Paul saprebbe notarla, e una creatura chiamata Maxwell che non ha mai lo stesso corpo. E saprebbe notarla il ragazzo Adam, e non sarebbe disposto a morire per un surrogato. Anche una donna che mi ha toccato in un vicolo fangoso vedrebbe la differenza. No, non voglio avere niente a che fare con voi, e con i vostri piani. Nonostante i serpenti della mia mente e tutto il resto, combatterò la mia battaglia!

— No, no, tu dimenticherai tutto, Thomas — disse Swampers. — La specialità del nostro gruppo è la regressione, e noi ti faremo regredire. Quando uscirai da quella porta dimenticherai tutto. Al nostro canto, tutto ciò che hai sentito qui, questa sera, si assopirà nella tua mente. Non ti ricorderai neppure di aver partecipato a questo incontro. Tu dimenticherai che noi siamo i serpenti che ti cantano nella mente. E dimenticherai ogni cosa, da questo istante.

— Non dimenticherò nulla! — ribatté Thomas. — Ricorderò tutto e agirò di conseguenza — Fece l’atto di alzarsi e crollò al suolo. Era intontito. Poi sigillarono tutto dentro di lui, con una risata sferzante, cosicché la sua mente regredì e si chiuse su se stessa.

Boggle, Skybol e Swampers! Il riso degli sciacalli, uno squittio abbaiante di derisione. Un’esplosione di urla che laceravano e ferivano. Northprophet, Knobnoster, Beebonnet! Altissimi ululati beffardi. Cani ringhiosi che avrebbero fatto accapponare la pelle a qualsiasi uomo. Pottscamp, Holygee e Gandy! La risata del lupo feroce, spettrale, che riapriva le ferite più nascoste.

Era la pazzia. Thomas si precipitò fuori della porta, e poi si voltò, sconvolto, cercando di ricordare dove era stato e cosa aveva fatto. E donde veniva. Non c’era porta, non c’era apertura nella viuzza, soltanto muri scoscesi. Ma era amareggiato dalla rabbia e dalla vergogna. Qualche istante prima aveva subito un’umiliazione profonda, sentiva la mente ribollire, ma non sapeva perché.

Thomas si sforzò di ricordare per ore, così gli parve, anche se in realtà passò meno di un minuto. Due uomini si stavano avvicinando, e lui non si sentiva d’incontrare nessuno. Erano due uomini importanti, Northprophet e Pottscamp, ma che cosa volevano? I loro volti erano distorti da una serie di profonde rughe, tragiche e ridicole. Sembrava quasi che singhiozzassero, e si muovevano goffamente. Gli si avvicinarono e lo toccarono.

— Thomas — dissero, — siamo due anime in agonia. Cosa dobbiamo fare per essere salvati?


Thomas li fissò senza capire: cosa volevano quei pagliacci?

— La vostra ironia non diverte, e oggi non la sopporto — replicò. — Andatevene.

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