Il pilota scelto da Fabian Foreman per trasportare Thomas More dalla Terra ad Astrobia si chiamava Paul. Era alto due metri, longilineo, robusto, svelto e di poche parole. Ma i suoi, erano due metri d’ironia distillata. La sua voce, contrariamente al suo aspetto, era soave; assai di rado usava toni bruschi. Quello che sembrava un eterno sogghigno era in parte una cicatrice, ricordo di una zuffa dimenticata. Un cuore sensibile dietro un volto deforme e crudele. Per la sua statura, i capelli rossi scomposti, il volto paonazzo e gli occhi lucenti, lo chiamavano «il Faro».
Poiché aveva la fedina penale sporca ed era classificato come criminale, Paul era stato privato del cognome; gli era stata tolta anche la cittadinanza. Una persona come lui perdeva ogni diritto alla protezione o a un qualsiasi altro vantaggio sociale. Era alla mercé dei Programmati e dei loro Assassini, e la mercé non figurava nei loro codici.
Gli Assassini programmati non possono uccidere un cittadino umano di Astrobia (anche se spesso lo fanno, creando incidenti). Ma un condannato, al quale è stata tolta la cittadinanza, diventa subito loro preda. Dev’essere molto furbo per sopravvivere, e Paul era già sopravvissuto un anno. Durante quell’anno era sempre sfuggito agli Assassini goffi e inesorabili che seguono implacabilmente la preda con la loro caratteristica andatura rigida. Paul era vissuto tra i poveri del Barrio e nei chilometri di vicoli tortuosi di Cathead; era riuscito a nascondersi, un mese dopo l’altro, e la gente scommetteva su di lui.
C’è sempre un certo interesse a vedere per quanto tempo i condannati riescono a sopravvivere alla loro sentenza, e Paul era vissuto più a lungo di chiunque altro. Aveva sempre avuto la meglio su quegli Assassini dal passo marziale, ne aveva ucciso una decina nel corso di duelli mortali, ma nessuno aveva ucciso lui.
Un ansel di nome Rimrock che li conosceva entrambi si era messo in contatto con Paul per conto di Fabian Foreman. E Paul era venuto, per nulla domato dal suo destino di uomo eternamente braccato. Era arrivato alle prime ore del mattino, e Rimrock gli aveva già dato un’idea della missione.
— Hai domandato di me, Falco? — Paul chiese a Foreman. — Io sono un fuorilegge, perché mi affidi una missione? Perché non hai scelto un cittadino pilota e non tieni le mani pulite?
— Voglio un uomo che sia capace di agire fuori dalle regole, Paul — spiegò Foreman. — è un anno che ti danno la caccia, e ti sei fatto furbo. Sarà una faccenda pericolosa. Non dovrebbe esserlo, perché è stata decisa dalla Cerchia interna dei Maestri, ma lo sarà ugualmente.
— E io, cosa ne ricaverò?
— Niente. Niente del tutto. Tu sei vissuto nelle peggiori condizioni su questo pianeta. Tu sei intelligente, e certamente sai quello che c’è di sbagliato su Astrobia.
— No, non so quello che c’è di sbagliato sul nostro mondo, Foreman della Cerchia interna, e neanche come porvi rimedio. So soltanto una cosa: non c’è niente che vada bene, e questo è fonte di delizia, per molti che dicono una cosa per intenderne un’altra. Tu stesso ti unisci spesso a coloro che rovesciano il senso delle parole. Non ho fiducia in te, ma sei perseguitato dagli Assassini e ieri sei fuggito con un trucco che nessuno riesce a capire, perciò tu fai parte, ormai, della leggenda dei grandi perseguitati. Ci dev’essere qualcosa di giusto in un uomo che odiano tanto!
— Stiamo cercando un nuovo leader che possa frenare, o addirittura invertire il crollo della nostra civiltà, Paul. Abbiamo scelto un uomo nel passato della Terra, Thomas More. Lo presenteremo al popolo semplicemente come Thomas, o forse, con un pizzico di fantasia, come il Maestro del Passato. Non ne hai mai sentito parlare?
— Sì, conosco l’epoca, il luogo e la sua fama.
— Vuoi andare a prenderlo?
— Si, d’accordo. Sarò di ritorno con lui tra due mesi — disse Paul, e si voltò di scatto per uscire.
— Aspetta, stupida testa rossa! — gli ordinò Foreman. — Hai smarrito la ragione? Che razza d’idiota sei? Non ti ho ancora istruito, non ti ho fornito alcun particolare. Come farai a…
— Tu non pensarci, Foreman il Grande — replicò Paul, con un sogghigno crudele. Foreman non poteva sapere che quel sogghigno era la cicatrice di una zuffa dimenticata e che l’espressione di Paul non cambiava mai. — Ho detto che lo farò, Foreman, e lo farò!
— Ma come potrai arrivarci? Come…?
— Ruberò la tua nave, naturalmente. Ero quasi riuscito a rubartela un un’altra occasione. La preferisco di gran lunga a quel palazzo volante di Kingmaker. Non c’è nave migliore in circolazione, né uomo che deruberei più volentieri di te. E poi devo partire all’improvviso; e vivo, naturalmente.
— Ma dovrò organizzarti dei contatti!
— Conosco tutti i tuoi contatti sulla Terra, e anche quelli di Cosmos Kingmaker. A dire il vero, mi sono fatto beffe di loro qualche tempo fa, in qualcuna delle mie imprese illegali. Sono un esperto pilota in entrambi i campi, lo spazio e il tempo. Devo partire prima che mi scoprano: morto, non sarei utile né a me, né a te.
— Ma dovrò farti uscire vivo da Astrobia! Sei ancora una vittima designata degli Assassini programmati.
— La tua gentilezza mi commuove, Foreman, ma ne uscirò vivo a modo mio.
— Avrai pure qualche domanda da farmi!
— Nessuna. So dov’è Londra, sulla Vecchia Terra. So balzare all’indietro di mille anni. So localizzare con estrema facilità un uomo famoso e portarlo con me, se vorrà seguirmi; e so fare in modo che lo voglia.
Paul s’incamminò verso l’uscita, entrò nella «cavalletta» di Foreman parcheggiata nel cortile scoperto, armeggiò col dispositivo d’identificazione e spiccò il volo. La «cavalletta» lanciò subito il segnale di rubato, senza che Foreman potesse impedirlo componendo il segnale di permesso.
— Perché diavolo ho ascoltato i consigli di Rimrock e ho scelto un simile selvaggio? — gemette Foreman. — È in missione da dieci secondi e ha già sbagliato tutto. Le guardie allo spazioporto gli salteranno addosso e lo uccideranno prima che io riesca a fermarle con una spiegazione qualsiasi. Chissà perché quel disgraziato dai capelli rossi ha fracassato proprio l’antifurto?
In pochi istanti Paul raggiunse lo spazioporto con la «cavalletta», e in quel brevissimo intervallo di tempo tre gruppi si organizzarono per affrontare in tre modi diversi la situazione. Ma già un’ora prima uno dei tre gruppi aveva saputo della fulminea azione di Paul.
Nel frattempo, Paul rifletteva intensamente, e aveva anche un amico che stava insinuando qualcosa nella sua mente. Paul sapeva che, qualche volta, è meglio affrontare due gruppi invece di uno. Se vi riesce di fare in modo che i Mastini e gli Orsi vi piombino addosso da due direzioni opposte, contemporaneamente, è assai probabile che qualcuno ci rimetta la pelle. Con un po’ di fortuna, può anche toccare agli Orsi e ai Mastini.
Avere qualcuno nascosto nelle vicinanze, una trappola in più per gli Orsi e i Mastini, pronto a darti una mano, può garantirti la salvezza.
Gli Orsi erano le guardie dello spazioporto, gigantesche e goffe, che avevano prontamente reagito al segnale della «cavalletta». E gli Orsi arrivarono per primi, troppo veloci (o non erano invece, i Mastini, troppo lenti?). Trascinarono Paul fuori della «cavalletta» con i loro artigli, e Paul seppe che l’avrebbero ucciso. Uno degli Orsi gli vibrò un colpo che gli strappò una fetta di pelle e di carne dal braccio e dalla spalla, mettendo l’osso a nudo. Un altro, da solo, si avvinghiò al suo corpo per stritolarlo a morte. Ma l’obiettivo principale di questi mostri meccanici era quello di recuperare il veicolo rubato e di riconsegnarlo al proprietario. Il massacro di Paul non era importante.
— La sincronizzazione è sbagliata. — Questo pensiero si fece strada a fatica nella mente di Paul, in quello che gli sembrò l’ultimo istante della sua vita. — Gli Assassini sono in ritardo… per la prima volta! — Il mostro meccanico lo stritolava, mozzandogli il fiato, e gli impediva perfino di pensare. Ancora un leggero aumento della pressione, e sarebbe stato il suo ultimo respiro. Ma si batté con selvaggio vigore contro l’Orso d’acciaio: non avrebbe concesso alla morte alcun vantaggio!
I Mastini erano invece gli Assassini programmati, gli stessi che davano la caccia a Paul da più di un anno. Rigidi, il pelo irto, avevano reagito all’allarme frenetico captato dalle loro sonde sensoriali; il segnale corrispondeva a un’azione di Paul: fuga. Le loro istruzioni programmate li informavano che la preda, l’Individuo Paul, tentava di fuggire dal loro mondo. L’allarme indicava la massima urgenza. Si precipitarono su Paul per ucciderlo in una corsa cieca, travolgendo ogni ostacolo, e i guardiani della spazioporto reagirono con altrettanta violenza e cecità a quest’improvvisa interferenza nella propria area.
La mischia si scatenò fulminea, senza esclusione di colpi. C’erano due differenti gruppi di Assassini. Quelli programmati per pattugliare, difendersi e contrattaccare: gli Orsi. E gli altri, programmati per tendere agguati mortali o assalire frontalmente: i Mastini. Ma in quel momento era un Orso che stritolava a morte Paul, anche se l’uomo, forte e agile come un’anguilla, resisteva accanitamente.
E tuttavia, anche lo stritolatore fu coinvolto nel vortice confuso della lotta. Per due volte dovette fermarsi, fracassando i digrignanti Mastini metallici e precipitandoli in una morte meccanica. Ognuno dei mostri aveva uno o più dispositivi d’allarme, trombe, sirene, che entravano in funzione in qualche punto all’interno del suo corpo, e il chiasso non contribuiva certo a chiarire la situazione.
Poi esplose il pazzesco frastuono del terzo gruppo che entrava in azione. Paul lo senti nel suo cervello, e anche gli Orsi e i Mastini lo percepirono nelle proprie capsule neurali. Un ordine penetrò direttamente nel cervello di Paul: — Respira, accidenti! — Perciò Paul respirò il più profondamente possibile, poiché in quel preciso istante l’Orso aveva mollato la presa. Era talmente intontito che non avrebbe respirato se non glielo avessero detto.
Questo terzo assalto era più o meno umano. La voce nel cervello di Paul era quella di Rimrock, l’ansel. Che Rimrock fosse, o no, umano, non contava; comunque si era associato agli uomini. Paul percepì anche la voce di Walter Copperhead, il negromante che poteva gettare incantesimi sulle matrici dei meccanismi, precipitando nel caos i loro programmi. Altre voci si udirono e Paul respirò liberamente.
Non era morto. Si rifiutava di morire. Il suo Orso metallico lo aveva lasciato libero per fracassare tre Mastini in un colpo solo. Anche gli uomini si lanciavano adesso nella mischia: Battersea, alto come Paul e due volte più grosso, roteava la sua scure più massiccia di un uomo e colpiva con mira infallibile i centri di controllo di ogni tipo di meccanismo, come aveva già fatto in molte altre occasioni; Shanty, grosso quanto Battersea, colpiva ancora più velocemente; Copperhead seminava la confusione, disinnescava e uccideva; e Rimrock, la più delicata delle creature, aveva artigli lunghi un metro.
E c’era anche Slider, ma non si era mai sicuri, con Slider, da quale parte si trovasse. Lo stesso Paul si gettò nella mischia: estrasse dalla guaina che gli pendeva dal fianco un lungo coltello, prese la mira e colpi. Anche Paul sapeva qualcosa della struttura di quei meccanismi. Molti bastava colpirli alla base della terza piastra centrale per troncare i collegamenti e renderli innocui. Paul quindi colpì, e troncò i collegamenti e la vita, perché era stato un uomo e non un meccanismo a scagliarsi contro di lui. Un uomo mascherato da Assassino programmato! Ad aumentare la confusione, dunque c’erano esseri umani da entrambe le parti.
— Ora è il momento! — La voce di Rimrock, l’ansel, sibilò nel cervello di Paul. E Rimrock, tuttavia, stava lottando con uno degli Orsi d’acciaio e non sembrava minimamente sapere deve fosse Paul. Ma le azioni dell’ansel erano sempre imprevedibili.
Paul, nuovamente libero, balzò fuori della mischia e si tuffò nell’astronave. Foreman aveva fatto pervenire il suo segnale di permesso, e questa volta non ci furono problemi con l’antifurto. Paul si diresse subito verso lo spazio.
Era stata una curiosa e amara battaglia, brevissima e mortale. Almeno due umani e una mezza dozzina di meccanismi erano stati uccisi. Col tempo si sarebbe spiegata, perché non era conclusa. Sarebbe stata combattuta altre volte, con nuove varianti.
Ma Paul era libero, e aveva spiccato il volo; l’intero suo corpo era un groviglio di dolori, era stordito a causa del sangue perduto, ma stava volando e non l’avrebbero più raggiunto. Paul figurava sulla lista dei condannati a morte dagli Assassini programmati, in quanto nemico dell’Ideale di Astrobia, e tuttavia era in missione al servizio dei tre grandi, la Cerchia interna dei Maestri, i difensori supremi di quell’Ideale.
Paul aveva continuato a fischiettare allegramente, in quei momenti in cui aveva abbastanza fiato per farlo, durante la battaglia in cui aveva ucciso un uomo e fracassato un Programmato. Anche adesso fischiettava allegramente, a bordo dell’astronave di Foreman; qualcosa d’incomprensibile per tutti quelli che si erano trovati nella mischia (fatta eccezione per l’ansel). E fischiettava ancora quando si trovò nello spazio di Hopp.
Un taglio netto, una frattura. Niente è più come nello spazio normale. Le persone e le cose non sono più le stesse persone e le stesse cose di prima.
Astrobia è a circa un parsec e mezzo dalla Terra. Alla velocità della luce ci vorrebbero cinque anni per compiere il viaggio. Ma con l’equazione di Hopp il viaggio dura soltanto un mese terrestre, circa settecento ore standard.
La nave di Paul sarebbe scomparsa, lungo l’intero parsec e mezzo che la separava dalla Terra, ma per il pilota a bordo sarebbe stato l’intero universo esterno a scomparire. Per lui, niente più movimento, pianeti o stelle per tutto il viaggio, nessuna sensazione di tempo o di durata.
Strane cose accadevano al pilota e ai passeggeri durante il viaggio nello spazio di Hopp, quando il resto dell’universo scompariva. Paul, ad esempio, diventava mancino. Non solo, ma si verificava in lui un’inversione totale. Aveva saputo, dalle battute scherzose degli altri piloti, che anch’essi erano vittime di questo rovesciamento assoluto. Si raccontavano più barzellette su questo argomento che su qualsiasi altro aspetto della tradizione spaziale, anche perché i viaggi con l’equazione di Hopp erano assai recenti.
Ma accadeva, tutte le volte: un rovesciamento totale della polarità di un individuo. Che incredibile sensazione!
— Oh, in fin dei conti è l’unico modo, per me, di cantare da soprano — era solito consolarsi Paul; e lo faceva spesso, in quelle condizioni.
Paul cercava di appisolarsi, durante il viaggio, ma subito il sistema di controllo a bordo se ne accorgeva, e non gli consentiva di dormire più di novanta secondi alla volta. Tuttavia, vi si era assuefatto. Anche in novanta secondi si possono fare i sogni più intricati.
Paul calcolò di aver fatto almeno ventimila memorabili sogni durante il passaggio. Ciascuno di essi era un piccolo gioiello, completo in ogni parte, perfettamente sincronizzato e totalmente diverso dagli altri. Tutti avevano una vita breve ma indipendente; molti abbondavano di personaggi e d’avvenimenti; altri erano piacevolmente rilassanti; altri ancora pieni di nostalgia per cose mai viste prima ma chiaramente ricordate; altri, infine, erano puro orrore, al di là degli incubi più atroci. Le leggi della conservazione della totalità psichica non erano in alcun modo violate. Si era psicologicamente coscienti per quattro anni e mezzo, ma i quattro anni e mezzo venivano compressi in un mese, e questa compressione trovava sfogo nella rapidità e nell’intensità dei sogni.
Vi sono grandi masse di relitti psichici nello spazio di Hopp, pronti ad aggredirvi. Qualsiasi cosa dolorosa, qualsiasi episodio comico, orrendo o esaltante che siano accaduti in una qualsiasi epoca vagano ancora nelle profondità dello spazio. I relitti di miliardi di menti che si disperdono ma non svaniscono mai.
Rimrock appariva in molti sogni. Gli ansel sono creature molto notevoli, sotto l’aspetto mentale; erano già parte dell’inconscio umano prima ancora di essere trovati su Astrobia.
Altre immagini turbinavano per pochi attimi nei sogni di Paul, ricordi del suo anno di fuga, dell’ultima fuga allo spazioporto. Paul non aveva mai paura nei momenti di pericolo. I terrori lo assalivano più tardi, nei sogni; molti affioravano proprio nel passaggio. Gli uomini e i meccanismi morti nell’ultima battaglia popolavano molti dei suoi sogni; soprattutto gli uomini morti da poco hanno dei connotati psichici intensi.
Paul sognava spesso di un ragazzo chiamato Adam, che moriva sempre in battaglie cavalleresche, evitando così la sventura di dover crescere. Morire era l’unica cosa che sapeva far bene. E sognava anche la sorella di Adam, una strega bambina che aveva deciso di andare all’inferno prima di morire. Paul non sapeva se li aveva incontrati già prima, se li avesse conosciuti soltanto nei sogni, o se fosse destinato ad incontrarli in futuro. E perché mai Adam continuava a morire? — No, no — gli aveva spiegato Adam. — è un’unica morte, soltanto una morte. è sempre un altro che muore col mio stesso nome! — Paul sognava anche del mostro Ouden, e della sua stessa morte, quando sarebbe venuta, ben sapendo che quanto sognava era la realtà.
Ma non tutti i sogni incontrati nel passaggio erano così concreti e ossessivi. Alcuni erano deliziosi: a tutti piace ascoltare storie affascinanti mentre, immobili, vanno alla deriva nelle profondità dello spazio.
Ehi, eccone uno! Era un terrestre vissuto qualche centinaio d’anni prima di Paul, John Sourwine, ovvero Johnny Aceto. Paul era diventato Johnny Aceto, raccontava e viveva nello stesso tempo l’eccentrica vicenda.
A causa della dieta che aveva seguito fin dalla giovinezza (alcool, tarli, lumache verdi), un rene di Johnny Aceto si era vetrificato in modo tutto particolare. Non soltanto si era trasformato in vetro, ma in un vetro di un delizioso color verde smeraldo. Lui stesso aveva potuto constatarlo al fluoroscopio.
Accadde che Johnny Aceto e alcuni amici si trovassero a Ghazikhan, in quella che era l’India sulla Vecchia Terra, e stessero ammirando il gigantesco idolo che si trovava laggiù. Avevano saputo che l’occhio centrale dell’idolo, uno smeraldo grosso come un uovo di struzzo, valeva undici milioni di dollari. Johnny Aceto ritornò alla sua nave e considerò il fatto.
— Ghazikhan non è porto di mare — disse a questo punto Paul, interrompendo il sogno. Il suo psicoinsegnante, molti anni prima, gli aveva dato molte informazioni sulla Vecchia Terra. — O ascolti, o te ne vai! — ribatté Johnny Aceto, l’alter ego di Paul in quel momento. — Io dico che è un porto di mare! — Paul (Johnny Aceto) ritornò dunque alla nave e considerò il fatto. Aveva sempre avuto abitudini costose, e avrebbe senz’altro impiegato nel migliore dei modi quegli undici milioni di dollari. Aguzzò la punta a un vecchio arpione, e con l’aiuto del mozzo si fece schizzar fuori quel rene dalla schiena. Lo lavorarono un po’ al tornio per dargli una forma più regolare, e lo lucidarono a specchio con una pelle di daino. Alla fine, era il più bel rene del mondo.
Allora Paul ritornò a Ghazikhan e a mezzanotte si arrampicò in cima all’idolo (che era alto centocinquanta metri, e scivoloso come un blocco di ghiaccio); gli cavò l’occhio di smeraldo e mise al suo posto il rene verde. S’incastrò alla perfezione. — Ero sicuro che sarebbe andato a pennello — disse Paul. Poi ridiscese (un’impresa che nessun altro, al mondo, avrebbe osato) e ritornò a bordo con lo smeraldo. Lo rivendette a Karachi per undici milioni di dollari, e per un certo periodo visse nel lusso. Ma poiché aveva un solo rene, Paul non poteva bere neppure una goccia d’acqua.
Tre anni più tardi Paul (Johnny Aceto) ritornò a Ghazikhan. Gli dissero che l’occhio centrale dell’idolo aveva acquistato un valore ancora più grande. Era cambiato, per un miracolo (così diceva la gente), aveva assunto nuove sfumature di colore, una grana assai più fine, e dei riflessi meravigliosi; in più, esalava un nuovo, delicato aroma. Il suo valore era salito a tredici milioni di dollari. — E così in questo affare ci ho rimesso due milioni di dollari! — esclamò Paul, svegliandosi.
Novanta secondi? Com’era possibile? Soltanto per scalare l’idolo aveva impiegato due ore… Qualcuno si sta forse chiedendo chi sia veramente Paul, quest’uomo dall’eterno sogghigno? Ebbene, era proprio il tipo d’uomo che avrebbe sognato di possedere un rene di vetro verde.
Ventimila di questi sogni! Ehi, eccone un altro!
Paul si precipitava a fantastica velocità verso un punto del cielo dove le due stelle gemelle Rhium e Antirhium ruotavano l’una intorno all’altra. — Agire con estrema rapidità — dicevano le istruzioni. — Non sembrano importanti, ma queste due stelle danno il tempo all’universo intero. Qualcuno sta tramando contro di esse. — Paul prosegui il suo impossibile volo e raggiunse le due stelle. E vide una cosa che nessuno aveva mai visto prima, anche perché nessuno, prima di lui, si era avvicinato a tal punto. Le due piccole stelle ruotavano l’una intorno all’altra perché erano unite da una lunga catena d’acciaio, che le costringeva a mantenere un’orbita così stretta e veloce, ed era appunto questo che permetteva loro di dare il tempo all’universo. Paul localizzò immediatamente la fonte di disturbo: c’era una piccola creatura verde, dal corpo di scimmia e la testa simile a quella dei diavoli d’una cattedrale gotica, che stava tagliando la catena con una sega circolare, e l’aveva quasi troncata in due. — Dio voglia che non sia troppo tardi! — pregò Paul, e credette di avercela fatta quando alla scimmia si spezzò la lama della sega. Ma la sostituì fulmineamente con un’altra, fece uno sberleffo a Paul con la sua orribile lingua verde, vibrò ancora tre colpi e la catena si spezzò. Allora Rhium e Antirhium schizzarono via dalle loro orbite e l’intero universo piombò nel caos. Cinquanta miliardi di miliardi di stelle si trasformarono in novae, e poi vi fu soltanto il buio e il nulla. L’intero universo aveva inghiottito se stesso ed era sparito per sempre. — Che cosa ti avevo ordinato? — urlò furiosamente il capitano spaziale a Paul, che rientrava con passo rigido. Poi il volto del capitano spaziale si sciolse come cera, e sparì. — Ho corso più che ho potuto — disse Paul; poi anche il suo volto si sciolse come cera e sparì.
— E finito? — Era la voce di Fabian Foreman, il Falco. — Se davvero è finito, allora, forse, possiamo incominciare a costruire un altro universo. Va tutto bene. Tutto ha funzionato alla perfezione. Volevo, appunto, che tu arrivassi tardi.
Novanta secondi di tempo! Ventimila sogni, uno diverso dall’altro!
è strano, ma soltanto i disadattati riescono a sopportare il passaggio. I cittadini piloti, persone ben adattate, non resistono a questo viaggio solitario. Ecco il motivo per cui chi è capace di pilotare una nave attraverso lo spazio di Hopp appartiene a una razza tutta speciale.
Paul sapeva che alcuni dei mostri da lui incontrati nei sogni del passaggio erano reali. Erano le incredibili creature che abitavano l’equazione di Hopp. Alcuni li aveva visti soltanto Paul, altri si erano fatti conoscere da un pilota dopo l’altro, sempre nell’identico sogno e nello stesso punto dello spazio. Era il delirio. Quasi cinque anni di esperienze psichiche, concentrati in un mese! La quantità complessiva non diminuiva affatto.
Dalla Dorata Astrobia all’Azzurra Terra. La Terra è sempre azzurra per chi viene da Astrobia, e Astrobia è sempre dorata per chi viene dalla Terra. Il bianco dei rispettivi soli non è identico. Il bianco non è un assoluto, è la combinazione dei colori in cui viviamo.
Paul si avvicinò alla Terra lungo la linea dell’alba, un’esperienza meravigliosa, sempre nuova.
Discese allo spazioporto di Londra e parcheggiò l’astronave. Prelevò un piccolo ma pesante strumento e si recò all’ufficio londinese di Cosmos Kingmaker. Il più ricco uomo di Astrobia aveva grandi interessi anche sulla Terra, e Paul sapeva come cavarsela su entrambi i mondi.
Brooks, l’incaricato di Kingmaker a Londra, fu tutto eccitato all’idea di un uomo giunto a fargli visita da Astrobia. La maggior parte dei terrestri si eccitano, per un complesso d’inferiorità nei confronti di Astrobia: si sentono meno importanti, o addirittura trascurabili. Quando, cinquecento anni prima, la piccola ma vivace élite della Terra si era trasferita in blocco su Astrobia, questo abbandono aveva lasciato una traccia permanente, e la Terra era diventata, fatalmente, un pianeta inferiore.
Paul presentò a Brooks le sue credenziali e le istruzioni ricevute da Kingmaker, e Brooks le accettò. Paul le aveva falsificate durante il passaggio, anche se avrebbe potuto avere i documenti autentici dallo stesso Kingmaker o da Foreman. Ma preferiva fare le cose in proprio.
— Lei non mi dà molte informazioni, né, d’altra parte, io ne chiedo — disse Brooks. — Ho sentito parlare vagamente di lei. So che ha avuto dei guai su entrambi i pianeti. Bene, io ho il massimo rispetto per un uomo, anche se in lui si cela un filibustiere: se ne è persa la razza. Kingmaker si è già servito di uomini come lei, e non sta a me discuterlo. Ecco, questa è la macchina. Posso calibrare una sonda per qualsiasi periodo lei desideri… ma vedo che ha portato una sonda con lei.
— Oh, non è poi un gran segreto, Brooks. Sono venuto per un uomo, ed e probabile che ripartirò con lui domani stesso. Non è necessario che lei conosca la calibrazione esatta, ma anche se lei l’indovinasse, non farebbe male a nessuno.
— Ecco, qui ci sono le monete dei periodo in questione, come da istruzioni ricevute. Vorrei proprio che non ne avesse richieste così tante. Mi ha quasi rovinato… Il cambio è di cinquanta a uno!
Paul stava esaminando le antiche monete d’oro ammucchiate su un tavolino: — Ecco, posso usarne si e no una su quattro — disse. — Le restituirò le altre, Brooks. Sono state coniate dopo gli anni che ci interessano, potrei trovarmi imbarazzato… Gli uomini che incontrerò, dove sto andando, potrebbero insospettirsi davanti a queste monete di domani. Conosco il cambio, il valore di ieri e quello di oggi. Quanto rimane mi basterà.
— Intende uscire a Chelsea, Inviato Paul?
— Chelsea? Un’osservazione acuta per un terrestre. No, entrerò e uscirò di qui.
— Chelsea a quell’epoca non faceva parte di Londra; si trovava a qualche miglio di distanza in campagna.
— La distanza di ieri è la stessa di oggi. Posso trovare il mio uomo a Londra mentre cura i suoi affari, oppure nella sua casa di campagna a Chelsea, fa lo stesso.
Paul passò attraverso una spirale metallica simile a un’antenna, già sincronizzata, e agli occhi di Brooks sembrò dissolversi in una pioggia di scintille. Si trovò immerso in una sorta di nuvola grigia, distorta e confusa, in cui la tenebra sarebbe stata luce. E si senti male, come tutti coloro che penetravano nei meandri del tempo.
Quando uscì, si trovò immerso nel fango fino alle caviglie. Era ai confini di una piccola città dalla case di legno. Entrò in una locanda dall’aspetto fatiscente e ordinò una beccaccia, una bella fetta di roast-beef, pane d’orzo e una cipolla grossa come la testa di un bambino, e attaccò discorso col proprietario.
— Mi saprebbe dire se Thomas More è a Londra oppure nella sua casa a Chelsea? — chiese, cercando d’imitare meglio che poteva l’antica pronuncia.
— Molto probabilmente sarà a casa — rispose il locandiere. — Non gode più dei favori del re, come lei saprà. Lei è forse un legale?
— Sì, un legale — disse Paul.
— Lei ha una strana pronuncia — aggiunse il locandiere. — Viene forse dal nord?
— No, dal sud — spiegò Paul. Ed era vero. Astrobia, rispetto alla Terra, si trovava nella parte meridionale dell’emisfero celeste.
— Di questi tempi è pericoloso parlare agli stranieri — continuò il locandiere, — ma io non mi sono mai lasciato intimidire. Il vecchio mondo sta morendo, e a me dispiace. Quello che sta nascendo non è di mio gusto… ma Thomas More mi piace, anche se dubito che resterà ancora a lungo tra i vivi. Madre di Cristo, spero proprio che qualcuno lo convinca a lasciare il paese prima che sia troppo tardi! Credo che lei sia uno di quelli che vengono dall’altra parte del canale.
— Sì, vengo dall’altra parte del canale — disse Paul, — e lo farò uscire dal paese, se accetterà di venire con me. Non dica niente a nessuno, della nostra conversazione, e anch’io starò zitto.
— Gli uomini del re sono dappertutto. Cristo l’accompagni, amico.
Paul uscì dalla locanda. Faceva freddo. Sapeva da che parte andare, e s’incamminò sulla strada per Chelsea. Gli fece piacere scoprire che gli inglesi non erano ancora diventati degli «sgorbi di natura».
Non c’erano dei veri problemi con la lingua, in quel periodo: inezie, e nulla più. Dopo un’energica camminata di un’ora o due, Paul giunse a Chelsea. Dovette chiedere soltanto una volta, e poi vide il suo uomo: stava passeggiando, infagottato in una pelliccia di pecora, nel suo giardino rivestito di ghiaccioli.
Come poteva essere certo, Paul, che fosse lui? Assomigliava un po’ al Thomas More del ritratto di Holbein, che Paul aveva studiato, ma soltanto un poco. Tutti i ritratti di Holbein sono più simili a Holbein che ai personaggi raffigurati. Ma Thomas More era un uomo che sarebbe stato riconosciuto dovunque.
— Io sono Paul — disse Paul, quando gli fu accanto. — E non so proprio cos’altro dovrei dire.
— Il santo che aveva il tuo nome, Paul, ha viaggiato anche lui a lungo — disse Thomas More con una cordialità che gli riusciva naturale. — Non così lontano come te, naturalmente, ma forse per scopi assai più sublimi. Ma io ti dò il benvenuto ugualmente, come a un uomo giunto attraverso due universi, nessuno dei quali io capisco.
Paul era andato a ritroso nel tempo per mille anni, e tuttavia lui e Thomas More si capivano. Ma Thomas non avrebbe potuto capire il suo trisavolo. Il mondo, la vita procedono a salti, e c’erano stati più cambiamenti nell’ultimo secolo che nei mille anni che sarebbero seguiti.
— Neanch’io li capisco — disse Paul. — Ma come puoi dire che sono giunto attraverso due universi?
— Hai l’aspetto di uno di loro — spiegò Thomas. — Altri sono venuti a visitarmi attraverso il tempo. Io non sono un grand’uomo, ma a quanto sembra ho suscitato molta curiosità nella Storia. Da dove vieni, Paul?
— Da Astrobia, un luogo che tu non conosci.
— Non scommetterci, Paul. Vi sono moltissime cose passate e future nella mia testa. C’era un’epoca in cui credevo che i viaggi attraverso il tempo fossero contro natura. Ma tutti noi viaggiamo attraverso il tempo in ogni attimo della nostra vita. La differenza sta nel fatto che tu hai viaggiato con un’altra velocità e in una diversa direzione. Nel tuo mondo sono tutti alti come te?
Thomas More parlava con quella che sarebbe stata chiamata più tardi la pronuncia brogue degli irlandesi, o il burr degli scozzesi, ma che a quell’epoca era inglese puro.
— No, in media sono quasi una spanna più bassi di me, e una spanna più alti di te — spiegò Paul. — Per noi, tu sei un uomo basso e tozzo, e hai lasciato che la vecchiaia prendesse il sopravvento su di te: presumo che questo sia il tuo aspetto naturale, senza modifiche. Ma sono sempre più stupito per tutte le cose che riesci a indovinare su di me.
— Non sarei considerato il miglior avvocato d’Europa se non fossi capace di giudicare un uomo — disse Thomas More. — E tu non sei l’unico. Ti ho detto che ho ricevuto altre visite dal tempo. Per qualche bizzarria storica, sembra che io goda di una certa fama. Le circostanze che l’hanno provocata, come mi ha spiegato un altro viaggiatore, mi hanno molto stupito: non ho affatto capito quello che mi accadrà nel prossimo anno. Sono convinto che altri uomini hanno ricevuto visite dal futuro, ma non ne hanno parlato; neanch’io ne parlerò. L’incredulità non è facile da vincere. Ho capito che fra qualche settimana prenderò una decisione talmente pazzesca, in apparenza, da risultare incredibile. Alcuni tra i visitatori mi hanno chiesto perché l’ho fatto, ma io non sono assolutamente in grado di dirlo perché, vedi, quella decisione non l’ho ancora presa. La ragione per cui sarò decapitato mi sembra così banale, da non valere assolutamente il taglio di una testa. Non certo la mia, comunque. Perché sei venuto a trovarmi da Asternick, Paul?
— Da Astrobia. Hanno dei guai su Astrobia. Stanno cercando un candidato che li faccia uscire dal pasticcio in cui si sono cacciati. Hanno tentato con tutti i tipi d’uomini possibili e immaginabili, ora vogliono provare con un uomo onesto. Hanno preso in considerazione tutti gli uomini famosi di entrambi i mondi, i vivi e i morti. Tu sei l’unico uomo completamente onesto che sono riusciti a trovare… O almeno sei l’unico che ha avuto un momento di completa onestà.
— Oh, è stato… sarà proprio per una dimostrazione di onestà che perderò la testa, Paul. Ma non riesco a immaginarmi nell’atto di farlo. Non è che mi sia comportato in maniera particolarmente onesta fino a oggi, direi piuttosto opportunistica. Ma se sono stato… se sarò onesto nel momento cruciale della mia vita, quale vantaggio ne trarrà il futuro di Astrobia?
— Sono venuto per portarti su Astrobia con me.
— Vuoi portarmi con te nel futuro, Paul? Questo è impossibile, naturalmente. Dobbiamo vivere le nostre vite nel tempo e nel luogo voluti dal destino. Non possiamo alterare il corso della Storia.
— Stai perdendo un po’ del tuo splendore, Thomas. è uno strato così sottile? Niente di più profondo? Non sono considerazioni un po’ troppo banali, per uno come te? E tu, da cristiano, come puoi accettare il destino?
— Saresti un bravo avvocato anche tu, Paul. No, non ho mai venerato il destino. E, per natura, sono abbastanza temerario da fare questo e altro. Ma mi dispiace lasciare la mia famiglia.
— Thomas, Thomas, non sei curioso? Non hai un po’ d’immaginazione? Non hai coraggio? Hanno detto che sei un precursore, un uomo aperto alle idee nuove. E con tutta probabilità non lascerai la tua famiglia. La storia dice che sei morto in un certo giorno e in un certo modo, e in questo regno.
— Ci sono allora due me stessi, Paul? … Sì, naturalmente! E non due soltanto, ma molti di più. Ogni uomo è una moltitudine. Ma sto giocando con le parole: dimmi invece, qual è la vera ragione per cui hai bisogno di me?
— Te l’ho detta, il nostro mondo è malato.
— E cercate una cura spettacolare? Uh medico preso dal passato? Non sono riuscito a curare le malattie del mondo in cui vivo, eppure le ho studiate per tutta la mia vita! Colui che avete scelto non è stato un buon medico neppure per la sua epoca. Ero un Gran Cancelliere e il paziente mi ha cacciato fuori dalla porta.
— Quelli che decidono queste cose sono convinti che sei l’uomo che ci occorre.
— Non è che io non abbia studiato l’argomento, Paul. Una volta ho perfino descritto il mondo più malato che potessi immaginare. Vedi, un’altra ragione della mia fama è dovuta al fatto che io stesso ho coniato quella certa parola: Utopia. Ho descritto con tutta l’amarezza e l’ironia di cui ero capace quel mondo tra i più malati, sul quale il mio stesso mondo sembra sul punto di modellarsi.
«C’è una cosa, però, che mi stupisce. I viaggiatori del tempo dicono che il mio sarcasmo non è stato capito. Tutti sono convinti che io abbia voluto descrivere un mondo ideale. Credono addirittura che l’abbia descritto seriamente. La mia mente si ribella all’idea, ma mi dicono che proprio così. Paul, ci dev’essere qualcosa di molto sbagliato nel futuro se una satira pungente viene scambiata per un insipido sogno.»
— Sei disposto a venire con me?
— No, Paul, non verrò su Astrobia. Non sono in grado di aiutare nessuno, mio caro orco dalla testa rossa. Mi sei simpatico. C’è sempre qualcosa di piacevole in un uomo veramente brutto, e noi siamo brutti, tutt’e due. Ma non posso venire con te. Cercherò di spiegarmi. Ho fatto molte domande agli uomini venuti dal tempo, e perciò so qualcosa di molti futuri che seguiranno. Tu sei venuto, e non credo di sbagliarmi, da mille anni nel futuro, l’epoca della Prima Crisi di Astrobia; Astrobia sta attraversando, nel tuo tempo, un periodo brutto. Ma mille anni dopo la tua morte, Astrobia si troverà nelle identiche condizioni, anche se per ragioni completamente diverse. E avrà superato da tempo quella Prima Crisi che ti preoccupa.
— Una crisi può essere superata grazie all’opera di un uomo chiave.
— Lo so.
— Thomas, quell’uomo sei tu.
— No, non lo sono. L’uomo che tu cerchi è un altro. Ora comincio a ricordare. Non ho mai ascoltato con troppa attenzione i racconti degli altri mondi, tutto mi sembrava così fantastico! Il suo nome, vorrei proprio ricordarmi il suo nome…
— Vorrei anch’io che te ne ricordassi. Riconosceresti il tuo.
— L’uomo che salvò Astrobia dalla Prima Crisi, in un modo così diverso dal solito, aveva la stoffa di un eroe, Paul, e io non sono un eroe. Ma dovrei senz’altro ricordarmi il suo nome. Quando lo misero vergognosamente a… Jerusalem irredentada! Non può essere! Il nome di quell’uomo, Paul… miserere mihi, Domine… il suo nome non è noto. Lo chiamarono sempre e soltanto il Maestro del Passato. È sconvolgente! Pensi, forse, che fossi io?
— Sì, ora ne sono certo, Thomas. Mi hai detto una cosa che loro, lassù, non sanno ancora. Stanno ancora cercando il nome col quale presentarti. «Maestro del Passato» è uno di quelli che hanno scelto, ma non decideranno nulla finché non ti avranno incontrato. Sarà Maestro del Passato, allora. L’uomo venuto dal passato, tu stesso, Thomas.
— Paul, anche la tua vita è in pericolo, come la mia. Conosco fin troppo bene lo sguardo di un uomo braccato, anche se è un uomo che guarda la morte con disprezzo. Non dirmi che anche su Astrobia gli Uomini del Re ti perseguitano per ucciderti!
— No, sono molto diversi, Thomas. Sono gli Assassini meccanici programmati.
— Sono gli stessi, Paul. Gli Uomini del Re, in qualunque mondo si trovino, sono sempre degli Assassini meccanici programmati. Vedo, comunque, che toccherà a me scoprire, da solo, il nome del vero re di Astrobia. Va bene, verrò. Fermati qui, stanotte. Partirò con te domattina.
— Thomas, cos’è accaduto al tuo mondo? — chiese Paul quella notte, mentre stavano conversando. — Tu avresti voluto edificarlo secondo un ideale di perfezione, ma aveva già cominciato a corrompersi cent’anni fa. Il tuo mondo è alla fine e un altro, di gran lunga peggiore, sta per incominciare. Cos’è che non funziona nel tuo mondo, Thomas?
— Lo abbiamo costruito troppo piccolo, Paul. E cos’è che non funziona, in realtà, su Astrobia? Puoi forse identificarlo con un nome? È utile conoscere il nome dell’avversario.
— è il mostro Ouden, la bocca spalancata di Ouden, che tu non hai mai sentito nominare.
— Io sono una persona istruita, Paul, almeno secondo me. Appartengo a quello sparuto gruppo di uomini che hanno restituito la cultura greca all’Europa occidentale. La Storia dovrebbe ricordarmi almeno per questo. E Ouden significa il nulla.
— Questo è il suo nome, Thomas, e le sue legioni proliferano.
Bruciarono del legno di quercia, tronchi e rami di pino stillanti resina, all’aperto, e centellinarono un po’ di vino locale. A quell’epoca in Inghilterra c’erano ancora vigneti.
Si alzarono molto presto, la mattina dopo. Thomas More, prima d’iniziare il suo incredibile viaggio, andò a confessarsi. — Ormai credo soltanto più a tratti, Paul — dichiarò. — La mia fede si è indebolita. E non è un’ironia del destino che io debba morire per essa, tra non molto? E che tutti quelli la cui fede è salda tacciano e si nascondano?
Paul segui Thomas, e anche lui si confessò, forse il primo uomo a essere mai assolto dai peccati che avrebbe commesso mille anni dopo.
Poi, si recarono a Londra, attraversarono la spirale scintillante e uscirono nell’ufficio londinese di Kingmaker, dove Brooks stava dormendo su un sofà. Balzò subito in piedi e riconobbe Thomas More.
— L’avrei giurato che era lui! — esclamò Brooks. — Paul, avrei preferito che lei si fosse preso i Gioielli della Corona o il Gran Sigillo. Se le sue ossa non sono più con noi, noi non siamo più gli stessi uomini!
— Paul, andiamo a vedere — pregò Thomas. — Un uomo ha diritto a queste piccole curiosità su se stesso.
Andarono alla vecchia chiesa di San Pietro: — È qui che sei sepolto — disse Paul. — La chiesa è stata ricostruita, ma le tombe sono sempre le stesse.
Un vecchio prete uscì a incontrarli.
— È proprio sicuro che le ossa di Thomas More siano là sotto? — chiese Thomas al vecchio prete.
— Assolutamente. Proprio quest’anno abbiamo aperto parecchie tombe. Le ossa di Thomas More sono lì, all’osso di una falange c’è anche il famoso anello col sigillo di cui lei porta una copia. Lei è un antiquario?
— No, non sono un antiquario — disse Thomas, — ma m’interessa molto quell’uomo. Chi altri, Paul, può guardare dentro la tomba e vedere se stesso? C’è tutto, tranne la mia testa. Mi dicono che è sepolta a Canterbury. L’hanno mezza bollita, non è vero? Mi piacerebbe vederla, ma penso che sia un viaggio troppo lungo.
Stavano per affrontare il viaggio di un parsec e mezzo, ma settanta miglia sulla Terra erano troppe. Mentre s’incamminavano attraverso Londra, Paul si rese conto che quest’uomo, Thomas, non sarebbe mai stato un anacronismo, né sulla Terra, né su Astrobia. Thomas aveva già imparato la nuova pronuncia inglese al punto di scherzare con essa. Era già a casa sua, in questo mondo futuro, anche troppo. Si comportava nel modo giusto, e in tutta spontaneità. In una birreria attaccò briga con un robusto giovanotto, e vi fu uno scambio di pugni. Thomas scaraventò l’altro a terra, ma Paul pensò bene di rimproverarlo:
— Ricordati, Thomas, che ti hanno fatto santo dopo la morte. I santi non si azzuffano nelle osterie.
— Alcuni sì, Paul, altri no — ribatté Thomas, asciugandosi il sangue che gli colava dal suo inconfondibile naso. Qualsiasi cosa fosse capitata a quel naso, non avrebbe avuto molta importanza. Non era un naso grazioso, ma un naso di carattere. — Mi hanno detto che molti uomini di mia conoscenza sono stati fatti santi. Uno, era un uomo che non litigava mai. Un altro era troppo debole per farlo. Ma ce n’è un terzo che litigava nelle osterie quasi ogni giorno: l’ho visto coi miei occhi. — A questo punto Thomas fu folgorato da un’idea: — Paul, mi ero dimenticato di chiedertelo: si può pescare su Astrobia? … Perché non parli? Posso ancora decidere di non venire, lo sai? E allora, rispondi!
— Sto cercando le parole giuste, Thomas… ma bisogna vedere per credere! è una cosa meravigliosa.
— Dici davvero, Paul? Si può uscire ogni mattina con canna e lenza e riempirne un cesto?
— Un cesto? Thomas, parli come un bambino. Come puoi mettere nel cesto pesci lunghi due metri? Su Astrobia, se vai fuori in barca senza intenzione di pescare, i pesci saltano fuori da ogni parte e ti supplicano, garantito, che tu gli getti l’amo.
— Paul, sono davvero felice che ai pescatori del futuro non manchi la voglia di contarle grosse. Era una cosa che mi preoccupava.
Raggiunsero lo spazioporto e presero posto sull’astronave, pronti a spiccare il volo per Astrobia. Thomas si era caricato di gialli, western, romanzi di fantascienza e qualche libro un po’ piccante, che per lui era un’assoluta novità. Aveva anche scoperto il tabacco, e dichiarò che il sigaro era la cosa più bella dopo i Vangeli. Dichiarò che avrebbe occupato tutto il viaggio a fumare e a leggere. E così balzarono nello spazio, e tutto andò bene finché non sprofondarono nell’altro universo.
Thomas, no, la creatura chiamata Thomas, tentò inutilmente d’imprecare, ma la sua voce non era più tale. L’inversione basilare era avvenuta in lui, puntualmente, nello spazio di Hopp, scatenandogli in corpo una rabbia spaventosa.
— Succede a tutti, Paul? — disse infine, completamente frustrato.
— A tutti quelli che viaggiano con l’equazione di Hopp. Il viaggio nello spazio normale dura cinque anni.
— Che importanza ha il tempo, per uno che ritorna dopo la morte? Morto da mille anni, sono costretto a vivere questa vergogna! — esclamò lui, o lei, o qualsiasi altra cosa.
Poi, un’altra volta, i sogni del viaggio, per Paul e adesso anche per Thomas. Migliaia di sogni, lunghi non più di un minuto e mezzo ciascuno, dai colori smaglianti. In uno di questi sogni Thomas incontrò un essere oceanico chiamato Rimrock, e non vi trovò nulla di strano. Vide una creatura dalle parvenze femminili che era allo stesso tempo Succubus, Eva, Lilith, Giuditta, Maria e Valchiria. Ebbe una rapida, allucinante visione di tre uomini che non aveva mai conosciuto. Uno di essi era un ragno dalla testa di leone. Un altro era una volpe, ma una volpe dall’aspetto bizzarro. L’ultimo era un falco, e stava seduto a un tavolo, giocherellando con alcune conchiglie, e una di esse aveva una forma insolita. Questo sogni affondarono nelle profondità del subcosciente di Thomas, ma sarebbero prontamente riemersi quando avesse incontrato quelle persone.