Thomas stava utilizzando un elaboratore da lui programmato per ottenere informazioni generali su Astrobia. Era una buona macchina, capace di rispondere ad ogni domanda, anche fuori delle formule tradizionali, fornendo perfino, se richiesta dall’operatore, delle opinioni personali.
— La Dorata Astrobia è un modello di urbanistica, un mondo di grandi città — stava dicendo l’elaboratore. — Se l’uomo è importante, la città è ancora più importante. Quando saremo diventati un’unica, gigantesca e perfetta città, allora la nostra evoluzione sarà completa. L’individuo, in quanto tale, deve scomparire, essere assorbito. La città è l’unica cosa che conta. Una città è molto di più della totalità della gente che l’abita, così come un organismo vivente è molto di più della somma delle cellule che lo costituiscono. Quando le cellule cominciano a considerarsi degli individui, allora si dice che il corpo è corroso dal cancro. Quando gli uomini considerano se stessi come individui, allora si manifesta il cancro delle città.
«Le grandi città di Astrobia, nell’attuale fase evolutiva verso la Città Unica, sono Cosmopoli, la capitale, Potter, Ruckle, Ciudad Fabela, Sykestown, Chezem City, Wendopolis, Metropol, Fittstown, Doggle, Culpepper, Big Gobey, Griggs e Wu Town. Fra tutte, Cosmopoli è la più perfetta, mentre Wu Town è la meno perfetta. E tuttavia c’è speranza anche per Wu Town. Tutto si salva nella grande sintesi.
«Sono tutte grandi città, poiché è stato calcolato molti secoli or sono che una città la quale abbia meno di venticinque milioni di abitanti non può reggersi economicamente. Ma al di là di questa cifra non c’è ragione di moltiplicare il numero delle città o dei loro abitanti. Il piccolo incremento annuo che viene concesso su Astrobia è compensato dall’emigrazione verso le colonie. Non vogliamo ammucchiare gli uomini gli uni sugli altri.»
— E Cathead? — domandò Thomas.
— Cathead è il cancro che dev’essere estirpato da questo mondo. Cancro, perché gli abitanti di Cathead considerano se stessi come individui e sono convinti della propria importanza come tali. Sì, Cathead è grande, è la più grande delle città, più grande perfino di Cosmopoli, la capitale. Ma non è tipica di Astrobia e non ci occuperemo di essa in questa sede.
«Non c’è povertà su Astrobia, dal momento che ognuno può avere tutto ciò che vuole. Non ci sono superstizioni, né credenze nell’Aldilà, perché al di là non ci può essere nulla. Ogni Aldilà sarà soltanto un’evoluzione del qui. Dal momento che Astrobia è la perfezione ultima, non ci può essere più nulla al di sopra di essa. Questa è l’intima essenza dell’Ideale di Astrobia. Non ci sono malattie su Astrobia, né fisiche né mentali. Non esistono apprensioni, paure o nervosismo. Ognuno può coltivare le arti e le scienze. I viaggi sul pianeta si compiono a mezzo di trasporti istantanei. Il tempo atmosferico e gli oceani sono sotto controllo. Non c’è alcun senso di colpa, poiché ci siamo liberati da ogni repressione. Non c’è odio né crudeltà. Non c’è alcuna possibilità di commettere peccati perché non c’è nulla contro cui peccare. Chiunque ha accesso a qualsiasi lusso o piacere. La giustizia è praticamente perfetta. I pochi tribunali rimasti servono a riparare le iniquità dovute ad equivoci, e anche questi sono in diminuzione.»
— C’è del buono… c’è del buono — disse Thomas, sfregandosi le mani. — Eppure ho l’impressione che qualcuno abbia già detto tutte queste cose, tanto tempo fa…
— Il piacere acquista nuove dimensioni, non ogni giorno, bensì ogni ora — continuò a recitare l’elaboratore. — Tutti vivono in un’estasi perenne. Siamo tutti un unico, immenso essere che copre tutto il mondo, e tocchiamo i vertici d’una completa intercomunicabilità. Giungiamo ad avere una mente sola e un solo spinto. Siamo… tutto, un cosmo vivente. Il popolo di Astrobia non sogna, la notte, perché i sogni sono un sintomo di disadattamento. Noi non possediamo un inconscio, come la gente di un tempo, poiché l’inconscio è un lato oscuro della mente e noi siamo soltanto luce. Per noi il futuro non conta. Il futuro è adesso. Non c’è il Paradiso in cui credevano i nostri progenitori: da molti anni noi viviamo nell’unico Aldilà che esiste. La morte non è importante. Attraverso la morte noi c’integriamo ancora più profondamente nella Città, tutto qui. Cessiamo di essere individui. In noi non si possono più distinguere umani e programmati, siamo un tutto unico. Ci stiamo avvicinando all’apice supremo, concretizzandoci in un unico popolo mondiale. Diventiamo un unico, gigantesco organismo, sempre più intenso e complesso, la Città.
— Ora ricordo chi ha già descritto tutto questo! — esclamò Thomas. — Io, sono stato! Chi altri si è fatto beffe di una cosa, e poi quella ha fruttificato? Ma mi piace molto di più, ora, di quanto mi piacesse allora. Suona molto meglio quando lo si sente dire da altre labbra, anche se si tratta di labbra di latta. Ma come, che io stia per cadere vittima del mio stesso incantesimo?
— Tutti noi diciamo le stesse cose, pensiamo le stesse cose, proviamo le stesse sensazioni e gli stessi piaceri — continuò l’elaboratore. — L’amore e l’odio spariscono, perché sono due aspetti dell’identica cosa, un unico mantello che la nostra razza ha indossato nella sua infanzia. Noi fronteggiamo a testa alta il nostro sole dorato, noi siamo il sole. Noi siamo tutto. Noi siamo tutti perfettamente fusi insieme; ci liberiamo del nostro essere e del nostro non-essere, poiché entrambi non sono che parti. Diventiamo la sfera estensibile e multidimensionale che non ha principio né fine, né esistenza. Noi penetriamo nell’uniforme, intensa quiete, dove la pace e la guerra si annullano reciprocamente e la coscienza sprofonda insieme con l’incoscienza nell’oblio. Siamo divorati dal Sacro Nulla, dal Grande Zero, il Punto Terminale dove tutti noi terminiamo.
— Piantala, piccolo istruttore meccanico, piantala! — esclamò ancora Thomas More. — Io l’ho inventato, io l’ho immaginato. Era tutto uno scherzo, te lo dico io, uno scherzo atroce. Era come non edificare un mondo.
— Ma non ho ancora finito — disse l’elaboratore. — La visione sale ancora più in alto. Be’, non esattamente più in alto, poiché raggiunta la sfera non c’è più né l’alto né il basso. Ma la sua intensità aumenta al…
— Piantala, trombetta metallica! — gli intimò Thomas, scoppiando a ridere.
— Non ti eccita il fatto che l’Ideale della Dorata Astrobia sta diventando realtà? — domandò l’elaboratore con una certa apprensione, o con quella che si sarebbe potuta definire apprensione, se la cosa fosse ancora esistita su Astrobia.
— Non molto — rispose Thomas. — Io l’ho inventato, ed era tutta una presa in giro. Non devo permettere che lo scherzo si rivolti contro di me.
E tuttavia Thomas era davvero colpito dai risultati raggiunti su Astrobia, anche se non proprio dall’Ideale meraviglioso di Astrobia. C’era qualcosa di straordinariamente lucido nel tutto, una semplicità che risolveva tutti i problemi. Materialmente e mentalmente Astrobia era un mondo pulito, dove la pioggia cadeva sempre all’ora prevista. Era già qualcosa: c’era l’ordine.
Astrobia era un mondo urbano. Tutte le sue grandi città erano effettivamente una sola, unite in un unico, immenso conglomerato. La campagna non veniva sfruttata quasi per nulla. C’erano strette zone con gli impianti produttivi automatici, e zone incolte e selvagge per mantenere l’equilibrio. Poche persone vivevano in entrambe. Ma il aria cuore di Astrobia erano le città, e gli abitanti delle città lo sapevano fin dalla nascita.
Non c’erano individui da prendere con le molle, non c’erano dissenzienti o insoddisfatti, ognuno eccelleva in tutto, l’uniformità era completa. Cosa si poteva mai dire contro un mondo che aveva raggiunto tutti gli scopi che si era prefisso? E inoltre c’era il modo di lasciare quel mondo in modo piacevole, non appena la stanchezza si fosse fatta sentire.
— Io la sento già — disse Thomas, — e faccio fatica a tenermi, ogni volta che passo davanti a una di quelle cabine.
Ma c’era una cosa che sembrava mancare su Astrobia, ed era appunto quella cosa che lo lasciava perplesso.
— Dove vanno a messa? — chiese, mentre sostava nel bel mezzo della dorata Cosmopoli.
— Non vanno a messa, Thomas, non lo fanno più da secoli — gli disse Paul. — Oh, ce ne sono alcuni, pochi, che a volte lo fanno. Anch’io lo faccio, occasionalmente, ma io sono un capriccio di natura e sono classificato come criminale. A Cathead vi è stata una certa rinascita, in questo campo, insieme ad altre stramberie, ma su Astrobia non più di una persona su diecimila vi ha mai assistito.
— Allora, non ci sono chiese?
— A Cathead, nel Barrio, e nelle zone incolte ve ne sono alcune, quelle poche almeno che potrebbero essere definite in questo modo. Tutti gli edifici di quel tipo che rimangono ancora a Cosmopoli e nelle altre città si trovano sotto la tutela dell’Intendenza alle Antichità. Alcune hanno sculture d’epoca, di qualche interesse per gli specialisti. La messa non viene celebrata in nessuna di esse, ma se la cosa ti interessa potrai vederne un’ottima registrazione in Replica.
— Andiamo a visitarne una.
Dopo aver faticato a districarsi in un dedalo di viuzze che Paul non conosceva molto bene, trovarono infine una chiesa. Era molto piccola e nascosta in un angolo buio. Entrarono. C’era una sensazione di vuoto totale, privo della Presenza divina.
— Mi stavo chiedendo: quando ci sarà la prossima messa? — disse Thomas. — O forse qui la messa non è esattamente tale… Non sono sicuro di aver capito quello che intendevi dire.
— Oh, è sufficiente infilare uno stoimenof d’or nella fessura e premere il pulsante, per farla cominciare.
Thomas infilò la moneta, e la messa cominciò. Il prete uscì dal pavimento. Non era umano, a meno che non fosse uno zombie. Probabilmente non era neppure un Programmato, ma un semplice meccanismo. Indossava pantaloncini verdi, corti al ginocchio, un berretto da fantino color grigio perla, aveva lunghe basette e il torace liscio e rotondo da ermafrodita. Lui (o la cosa? ) fumava una sigaretta drogata con un lungo bocchino d’epoca: cominciò ad agitarsi e a cantare un inno orribilmente stonato.
Poi, un gran numero di altri meccanismi sbucarono da ogni parte, intonando un coro per accompagnare il prete, pizzicando le corde di alcuni strumenti.
— Per amor di san Giacomo, che cos’è tutto questo, Paul? — esclamò Thomas, sconvolto. — Quelli non sono per caso gli strumenti descritti da Dante, usati dai demoni nel girone più basso dell’Inferno? Perché mai la messa è diventata questa sudicia farsa, Paul, celebrata da burattini degenerati? Perché Paul, perché?
— Oh, era diventata davvero così prima della sua definitiva scomparsa, Thomas. Tu vedi qui la messa com’era all’epoca in cui il governo l’ha nazionalizzata per preservarla, come un curioso esempio di antichità.
La messa registrata continuò ancora per qualche minuto, al ritmo delle antiche chitarre rituali, tra le urla e l’agitarsi frenetico dei celebranti. Durante il sermone vi fu anche la trasmissione delle ultime notizie della giornata, perché l’uditorio non perdesse i contatti col resto del mondo neppure per quindici minuti.
Durante la consacrazione, s’illuminò uno schermo gigantesco:
Questa messa vi è offerta dalla Duvag Uva Viva, il migliore dei vini sintetici.
Il pane era di quello usato ai vecchi tempi per infilarci in mezzo un hot-dog. Le marionette meccaniche danzavano in preda all’orgasmo e si iniettavano il contenuto di vecchie ipodermiche rituali prima di mangiare i panini.
— È possibile fermare questa porcheria? — domandò Thomas.
— Premi il pulsante d’arresto — gli disse Paul. — Ecco, lascia fare a me. — Premette il pulsante e lo spettacolo si arrestò.
— Mi chiedo ancora come si sia potuti arrivare a questo — disse Thomas. — Quel serpente sul bastone sta forse a simboleggiare Cristo? E quella prostituta ghignante con in braccio quella scimmia deforme vuol forse essere la Vergine? È una sporca pagliacciata, un orrendo spettacolo di adorazione del demonio. Ma anche le pagliacciate come questa non nascono dal nulla. È proprio vero che la messa era caduta così in basso?
— Thomas, da quello che ho letto direi di sì. Era senz’altro caduta a questo livello, il giorno in cui è stata congelata per sempre nella registrazione.
— Allora, la Chiesa era solo una faccenda materiale come tutte le altre, Paul? E anch’essa è morta come tutto il resto?
— Così dicono quasi tutti. Il Metropolita di Astrobia c’è ancora, ma è molto vecchio; alla sua morte è probabile che non gli succeda nessuno. C’è una parvenza di rinascita della Chiesa a Cathead, come ti ho già detto.
— Qualsiasi cosa sia accettata a Cathead, viene maledetta in qualsiasi altra città «pulita». Cathead è il cancro che continua a prosperare sul pianeta dorato!
— E nelle terre incolte c’è ancora qualcuno che continua a praticare un rito che non è solo una pagliacciata.
— Bene, la mia fede non è mai stata molto forte, Paul. Io riesco a credere per qualche ora, la mattina, se mi sveglio di buon umore. Ma per mezzogiorno tutte le mie convinzioni sono svanite. Per qualche ragione speravo che la Chiesa fosse sopravvissuta, non so neppure perché. Del resto, in un mondo razionalista come Astrobia, sarebbe decisamente un’anomalia. Già, in fondo sono lieto che la vecchia Chiesa se ne sia andata!
— Io no — disse Paul, in tono amaro. — L’ho scoperta soltanto quand’ero uno dei tanti rifiuti di Cathead, durante uno dei periodi più oscuri della mia vita, ma per me è molto più di tutte le altre cose. Sì, sono pazzo, Thomas, ho delle schegge d’osso nel cervello. Ma è davvero curioso che tu sia uno dei santi di quella Chiesa in cui non credi, e la cui scomparsa ti allieta.
Thomas scoppiò in una risata squillante, incoraggiante, aperta, variamente modulata. Lui e Paul erano riemersi alla luce dorata del giorno.
— Già, han fatto bene a spazzar via l’antica frode, trasformandola in una sporca pagliacciata — disse Thomas. — Gli alberi che non danno più frutti vanno tagliati.
Thomas passava giornate intere tra una meraviglia e l’altra di Astrobia. Dapprima aveva manifestato un certo scetticismo. Adesso stava abboccando a tutto, esca, amo, lenza, e perfino il braccio del pescatore. Era improvvisamente diventato convinto fautore dell’Ideale di Astrobia. E tuttavia voleva esaminare ancora più in profondità la struttura che lo circondava, analizzarne le radici più profonde, le origini più lontane.
— È difficile crederlo — disse un giorno, dopo aver riunito i suoi seguaci. — Venite con me, brava gente, c’è ancora un’infinità di cose da vedere. Rimettiamoci in viaggio.
Contro il parere dei suoi consiglieri, Thomas aveva deciso di studiare Astrobia ancora per qualche tempo.
— Ma non c’è alcuna ragione di viaggiare ancora, Thomas — gli aveva detto Kingmaker. — Dappertutto è lo stesso. è questo il bello di Astrobia: è sempre la stessa, dovunque tu vada.
— Vai dove ti pare, guarda quello che vuoi — gli aveva detto Proctor, — ma non credere a niente di ciò che credi di vedere. Quando ritornerai, ti dirò io cosa hai visto. Vi sono stati alcuni deprecabili casi di uomini che dicevano menzogne, e sono stato costretto a intervenire. Non vorrei doverlo fare anche questa volta. La fortuna sia con te, caro Thomas.
— Tu non saprai mai come guardare le cose che ti circondano, Thomas — gli aveva detto Fabian Foreman. — Ti ripeto: mai. Non hai gli occhi per farlo. Vedrai sempre ogni cosa dal lato sbagliato. Sei un uomo difficile, Thomas.
— All’ora giusta ti verrà detto quello che vedrai — gli aveva detto Pottscamp, — e più tardi, in un luogo segreto e con la massima discrezione, incontrerai nove esseri (uno dei quali sarò io) e ti sarà spiegata la natura delle cose che hai visto. Qui, in questo momento, vedi soltanto bazzecole, e le guardi con gli occhi di un fantoccio. Lì, invece, imparerai a vedere.
Thomas aveva raccolto intorno a sé un gruppo d’individui piuttosto eterogeneo. Alcuni li aveva scelti, altri invece avevano scelto lui. Non era comunque il gruppo d’individui che i capi avrebbero scelto per lui, anche se tra essi avevano sistemato una spia.
C’era il pilota che l’aveva trasportato dalla Terra ad Astrobia, Paul; c’erano Scrivener e Slider: c’erano Maxwell e Walter Copperhead; c’era Evita, la donna bambina del Barrio, sorella del ragazzo Adam; c’era Rimrock, l’ansel, che Thomas chiamava «uomo oceanico.»
Ma, tanto per incominciare, che cos’era un ansel? E Rimrock, che era un ansel eccezionale? Nessuno capiva nulla degli ansel, su Astrobia, e quello era il loro unico mondo.
— Ti dispiace parlarmi della tua origine, Rimrock? — gli chiese Thomas. — La tua e quella della tua specie?
— Lo farei, se ne fossi sicuro — replicò Rimrock. — Quel poco che sappiamo di noi l’abbiamo imparato dagli uomini normali, o lo abbiamo indovinato. Quando abbiamo cambiato forma, diventando stranieri a noi stessi, abbiamo dimenticato molto delle nostre origini. Siamo completamente tagliati fuori dalla nostra infanzia. Vedi, non c’erano ansel su Astrobia quando i terrestri arrivarono qui la prima volta.
«Soltanto alla seconda generazione gli uomini di Astrobia scoprirono qualcuno di noi. Non ci produciamo rapidamente, ma fin dove la nostra memoria può spingersi, nessuno di noi è mai morto, perciò il nostro numero è aumentato. Ci siamo evoluti dal contatto con gli uomini normali, e abbiamo più influenza sulla gente di questo essa sospetti. Ai bambini degli uomini è proibito di stare in nostra compagnia, ma essi ci sognano, come del resto ci sognano gli adulti. È una sciocchezza affermare che il popolo di Astrobia non sogna di notte. Io stesso ho vagato per migliaia di questi sogni. Non vedo alcuna limitazione per noi, Thomas, anche se non mi è chiara la natura del rapporto simbiotico che ci lega agli altri uomini.»
— Ma saprete bene da dove siete venuti, Rimrock!
— Sì, lo sappiamo, ma la verità è frammista a leggende. La nostra leggenda dice che noi siamo la gente che ha scalato completamente il cielo e vi ha aperto dei fori per uscir fuori nello straordinario universo al di sopra del cielo. Il mondo che tu conosci, il mondo dorato di Astrobia, è appunto l’universo al di sopra del cielo. Tu non te ne accorgi ma noi sì.
«Noi eravamo creature delle profondità degli oceani, Thomas. Ricordo, come qualcosa che fosse in me ancor prima della nascita, il mondo dell’abisso. Ma per noi non era un abisso. Noi amavamo scalarlo, attraversarlo in volo: le nostre epopee erano piene di queste sfide alla natura. Amavamo le montagne ripide e scoscese. Quelli che le scalavano, raggiungendo le vette più alte, erano i nostri eroi. E così volavamo sempre più in alto, stabilendoci sempre più in alto sui fianchi delle montagne. Arrivammo all’inizio della luce, e i nostri occhi videro. Quello fu il primo strano territorio che dovemmo attraversare. Quando ne uscimmo, diretti ancora verso l’alto, eravamo creature diverse, e anche le nostre menti erano cambiate.
«Questo perché si diceva con eccitazione che alcune vette delle nostre montagne perforavano il cielo. Naturalmente, avevano da tempo parlato con dei pesci i quali affermavano di essere saliti fino all’estremo limite del cielo per poi uscire, balzando attraverso di esso, ricadendovi sopra. Ma chi crede ai pesci?»
— Hai veramente parlato con i pesci, Rimrock?
— Perché no, Thomas? Non parliamo con gli uomini, che sono creature infinitamente più complicate? Ma la storia che ci avevano narrato i pesci era vera. È un ricordo che emerge quasi da un’altra vita: la nostra epica impresa di allora. Io facevo parte della prima spedizione. Salimmo ad altezze sempre più vertiginose. Poi ci arrampicammo lungo le pareti a picco della montagna che costituiva il bordo del mondo: tutte le nostre storie affermavano che questa montagna penetrava veramente nel cielo. Salimmo per più di dieci chilometri, sempre timorosi di non riuscire a sopravvivere a simili altezze.
«Avevamo sempre creduto, fin dal giorno in cui avevamo ricevuto il dono della ragione, che il cielo fosse a una distanza infinita da noi, e che rimanesse sempre inchiodato a quella distanza per quanto ci arrampicassimo. Poi scoprimmo che non era vero. Eravamo, ora, molto vicini al cielo, e la nostra eccitazione divenne quasi follia. Giungemmo giusto al di sotto del cielo; riuscivamo a toccarlo con i nostri arti. Nonostante tutti i nostri terrori, la morte non ci ghermì, anche se avevamo compiuto un’impresa incredibile.»
All’inizio Rimrock aveva parlato muovendo la bocca gommosa. Ma da qualche minuto la sua bocca era chiusa, e stava parlando direttamente nella mente di Thomas. Poteva impiegare ambedue i sistemi di comunicazione, e spesso non si rendeva conto del passaggio dall’uno all’altro.
— Poi ci spingemmo oltre, forando il cielo, e uscimmo, senza fiato, nel mondo che è al di sopra del cielo — concluse Rimrock. — Dal vostro punto di vista eravamo semplicemente usciti dagli oceani raggiungendo la terraferma. Ma voi non siete in grado di valutare la grandezza dell’impresa. Voi l’avete fatto in un’epoca troppo lontana, e perfino il vostro subconscio l’ha dimenticato. Ma come potete dimenticare che vivete sopra il cielo? Come potete dimenticare, tutte le volte che camminate, che vi state muovendo sopra una crosta sottile in cima a un edificio alto cinquemila piani? Lo sapete che neppure gli uccelli che volano più in alto riescono a sollevarsi a un decimo dell’altezza alla quale ci troviamo ora?
«Thomas, io sono stato uno dei primi a forare il cielo e a toccare le sue rive — proclamò Rimrock. — Io sono stato uno degli eroi primordiali. E scoprimmo che le rive del cielo erano cosparse di conchiglie a forma di stella, come se anch’esse fossero un simbolo. Spero che la capacità di meravigliarmi non mi abbandoni mai! »
— Ad ogni istante ti capisco di più — disse Thomas. — Non attraverso le parole, ma per le antichissime immagini che stai evocando.
— La gente normale ha sigillato per sempre quell’oceano interiore che faceva parte di ogni uomo — aggiunse Rimrock. — Ha chiuso l’oceano, ha macinato i suoi mostri e li ha usati come fertilizzanti. Ecco perché ci mostriamo così spesso nei sogni della gente. Sostituiamo i mostri che hanno perduto.
— A quale lavoro vi dedicate, voi ansel? — domandò Thomas.
— Alcuni si occupano di comunicazioni, dal momento che ciascuno di noi è un centro di comunicazione. Ma molti di noi lavorano come sommozzatori, saldatori sottomarini, costruttori di dighe… Hai capito, vero? L’acqua è sempre il nostro elemento naturale, ma le acque che circondano Cathead, dove lavoro io, sono talmente sporche, a causa delle industrie che vi proliferano senza controllo, che cominciamo a provarne un grave fastidio. Gli abitanti di Cathead sputano brandelli di polmone a causa dell’aria contaminata. Tutte le nostre vesciche soffrono a causa dell’acqua inquinata. È un lusso raro, per noi, poterci tuffare per un giorno o due in un ambiente dove l’acqua sia tersa e l’oceano pulito.
— Vi pagano bene per i vostri lavori sottomarini, Rimrock?
— No, uno stoimenof d’or alla settimana. — Lo stoimenof d’or era una moneta insignificante.
— Perché mai lavorate per denaro? Non indossate vestiti, non avete bisogno di case e non mangiate cibo venduto per denaro. Cosa fate della vostra paga?
— Giochiamo a fan-tan — spiegò l’ansel.
Bene, ed Evita, cos’era? Non lo sappiamo. Thomas non lo seppe mai, e neppure lei lo sapeva con certezza. Faceva parte di coloro che avevano scelto Thomas, non era stato Thomas a scegliere lei.
— Tutti, su Astrobia, si stupiranno molto se non viaggi con una donna — gli aveva detto Evita. — Nessuno lo ha mai fatto prima. Penseranno che tu non approvi l’Ideale dorato di Astrobia. So che non vuoi dare l’impressione di fare il difficile, e meno ancora di essere una persona impossibile, e io non sono disposta ad accettare che un’altra persona si accompagni a te.
— Ma io sono un uomo difficile e impossibile, e questo non mi preoccupa affatto — ribatté Thomas. — Lasciami, giovane strega ossuta. Ho visto dei passeri ancora nel nido: be’, avevano più carne sulle ossa di te.
— Lo sai benissimo che non è vero. A quale razza di otri sfasciati davi la preferenza, ai tuoi giorni? Io sono abbastanza in carne, e soda, e mi considerano la più bella donna di Astrobia. In più, scoprirai che sono intelligente e che, anzi, eccello proprio per questo. Astrobia, anche se forse non te ne sei ancora accorto, invece eccelle solo per la mediocrità.
— A torto ti chiamano Evita: il tuo nome è falso. Non sei Eva, ma Lilith la strega, il demonio creato prima di lei.
— Io sono entrambe. Non sapevi che erano una sola persona? E ho anche una ragione personale. Quando ho deciso per puntiglio di andare all’Inferno, mi sono prefissa uno scopo: sedurre un santo. Ma in quale altro posto potrei trovarne uno? Non ne hanno canonizzato nessuno da centinaia d’anni. Tu, piccolo grande Thomas, venuto dal tempo in un mondo, che non è il tuo, sei l’unico santo che abbia le carte in regola e che io possa mai incontrare.
— Così, nessuno di noi due appartiene più al mondo della carne — disse Thomas. — E tu stessa sei ora in preda a una passione ben più profonda, che preclude ogni altra cosa. Vieni, dunque, strega bambina. Se ci capitasse di trovarci affamati in qualche radura, ti cucineremo allo spiedo, ti spezzeremo le costole e le cosce e ti divoreremo fino all’ultima briciola, e dopo un’ora saremmo di nuovo affamati.
Stava scherzando. Lei era di corporatura piuttosto abbondante, e gli sorrise. Il colore dei suoi capelli? Il colore dei suoi occhi? Il suo incredibile profilo? No, no, non è questo il luogo. Non li conoscerete fino all’Ultimo Giorno, e, anche allora, soltanto se sarete tra i beati.
Scrivener? Slider? Maxwell? Copperhead? Chi erano costoro? Com’era la mente e com’era il corpo di ciascuno di loro? Ascoltate Slider:
— Siamo ancora in equilibrio sul filo, oppure il filo si è spezzato ancora prima dell’atto ufficiale (del resto ormai imminente) che si propone di spezzarlo? L’antico comando diceva di portare il messaggio alle genti. Ma noi non siamo quelle genti. Noi siamo qualcosa di diverso. La promessa diceva che la trascendenza sarebbe durata fino alla fine del mondo. Ma noi non siamo il mondo. Noi siamo un mondo diverso, a noi non è stata fatta alcuna promessa. Non possiamo neppure presumere di essere umani. Fino a che punto si è spinta la mutazione verificatasi con Astrobia? Quanti di noi sono dei Programmati? E quant’è grande l’eredità dei Programmati, anche in noi che crediamo ancora d’appartenere all’antica umanità? Le nostre menti e i nostri corpi sono cambiati.
«La moralità della Dorata Astrobia è qualcosa di abissale, se la paragoniamo ai modelli del passato, ma questi sono ancora validi? Sulla Vecchia Terra esisteva una cosa chiamata schiavitù. Qui da noi non la chiamiamo così, ma esiste lo stesso. È diventata l’istinto di trovarci un posto nell’alveare dorato. Cercate di liberarvene! Cercare di disporre della vostra libertà!… e avrete a che fare coi regolamenti che ci circondano da ogni parte.
«Quelli che una volta erano definiti piaceri contro natura sono qui accettati da tutti: sono universali. Forse non siamo poi così mal ridotti. Thomas dapprima ha creduto che lo fossimo; ora è convinto invece che siamo in perfetta forma. È un saggio, e ci studia; si sta chiedendo perché lo abbiamo mandato a chiamare. Ma se siamo davvero così in forma, è ancora la forma dell’uomo? Quando noi stessi non riusciamo più a distinguere quello che c’è di artificiale in noi, allora è da mettere in dubbio la nostra natura di uomini.
«Quando gli Assassini mi inseguono, allora sento di avvicinarmi a una qualche verità. Ma quando si dimenticano di me, so di essere ritornato alla trivialità di ogni giorno.
«Walter Copperhead, che predice il futuro, dice che io e Scrivener ci scambieremo corpo e anima, quando per noi sarà arrivato l’ultimo giorno… Io dico di no. Com’è possibile scambiarci l’anima? Lui non ce l’ha.»
Slider era un giovane magro, pallido e ombroso. Parlava molto seriamente e sentì che tutti lo stavano deridendo. Lo facevano sempre. Anche Thomas rideva in silenzio, mentre ascoltava questa tiritera. Conosceva già da tempo i giovani come lui.
Quanto a Slider, egli, sapendo chi fosse Thomas, si era aspettato qualcosa di meglio da lui. Rimase sorpreso da quell’apparente mancanza di approfondimento. Si propose di supplirvi, ed era la propria profonda insufficienza a spingerlo.
Ascoltate Scrivener:
— Sarei pronto a gridare il mio entusiasmo per tutte le cose di Astrobia, se l’entusiasmo facesse parte del carattere della gente di Astrobia. Ma non ne fa parte! Non deve! Noi siamo le prime creature che hanno raggiunto la maturità, e l’entusiasmo non fa parte di noi. Su Astrobia, abbiamo edificato il mondo perfetto. Questa perfezione, forse, sarebbe stata la giusta conclusione di tutto, ma non è stato così. Sul nostro mondo si è diffusa un’infezione, un cancro maligno. «Tagliamolo! » si dice dovunque, ma per qualche ragione esitiamo a farlo.
«Slider fa parte di quel cancro. Egli ha dei dubbi, i dubbi sono l’intima essenza del nostro nemico. E più che naturale che noi non siamo le genti, o il mondo! Noi siamo al di là di essi. Naturalmente non ci è mai stata fatta alcuna promessa. Siamo noi che promettiamo a noi stessi, poiché non c’è nessuno al di sopra di noi che possa farlo. Fino a qual punto è mutata la popolazione di Astrobia? è qualcosa che comincia dalle radici e raggiunge la vetta, e così dev’essere. Naturalmente noi non abbiamo più le sembianze dell’uomo. L’umanità è stata soltanto un periodo goffo e impacciato dell’infanzia della nostra specie: è meglio dimenticarla. Amputeremo anche l’ultimo difetto che ci affligge, e arriveremo quindi alla realizzazione finale e all’annullamento.
«Gli Assassini non m’inseguono: perché mai dovrebbero farlo? Anch’io sono della loro razza. E Walter Copperhead legge nel futuro nel modo sbagliato. Slider e io non potremmo mai scambiarci i ruoli. Lui non ha alcun ruolo da scambiare! »
Scrivener era molto più massiccio di Slider, ma era più molle, e grasso, sia nel fisico che nel parlare. Suo padre era un Programmato, sua madre umana. Anche se era ancora giovane, aveva effettivamente qualcosa della maturità di Astrobia. Slider e Scrivener vedevano se stessi agli estremi opposti, e invece Thomas e gli altri tendevano a confonderli tra loro. Erano così simili, nel loro acceso disaccordo!
Ascoltate Maxwell:
— Io prendo me stesso a simbolo dell’imperfezione di Astrobia, anche escludendo il cancro di Cathead e del Barrio. lo sono un’aberrazione. Un mondo perfetto dovrebbe essere formato da persone perfettamente integrate, e io non lo sono. Non vi sono parole che possano descrivere questa mia strana differenza dalla normalità. Soltanto Copperhead mi conosce abbastanza per farsene un’idea. Dirò soltanto che il mio corpo non mi va molto a pennello. Non ho sempre avuto la stessa forma, e non sempre riconosco le mie forme precedenti. Era inevitabile che l’immenso progresso di Astrobia producesse qualcosa come me, per reazione.
«E tuttavia io sono entusiasticamente dalla parte di Astrobia, in un modo in cui Scrivener non potrà mai esserlo. Forse l’entusiasmo non fa parte delle migliori qualità di Astrobia, ma fa parte di me stesso. E allo stesso modo sono convinto che sia nostro dovere eliminare la mutazione costituita da Cathead, anche se questo significherà uccidere una parte di me stesso. Non ha importanza: altre mie parti sono già state uccise. Interi miei corpi sono stati uccisi. Io sono un fantasma, e Astrobia non crede nei fantasmi. Ma, nonostante tutto, io credo in Astrobia.
«Sono disposto a bruciare vivo per essa! Alla lettera. Sono stato bruciato e sono morto già molte volte, anche se non ho mai capito come. Sono pronto a bruciare di nuovo! »
Maxwell era un uomo dall’aspetto bizzarro, sempre che fosse un uomo. Quando diceva che il suo corpo non gli andava a pennello, sembrava volesse dire che non aveva sempre abitato nello stesso corpo. Il suo corpo, infatti, aveva l’aspetto di un vestito troppo largo che gli cadeva da tutte le parti. Vi sono degli animali che provano lo stesso sentimento nei riguardi della loro pelle: la tigre della Terra, e il leone giallo di Astrobia. In essi è un segno di forza e di velocità. In Maxwell era un segno di debolezza e di lentezza, di torpore mentale, quasi. Era un corpo robusto, di carnagione scura, dall’aspetto sinistro, quello che indossava, e la voce con cui parlava era sepolcrale. Ma a guardarlo si aveva l’impressione che dovesse stare in punta di piedi per riuscire a vederci coi suoi stessi occhi; e che, avendo una voce molto debole, la soffiasse a pieni polmoni nella cavità orale per farla rimbombare, come se si fosse trattato di uno strumento indipendente.
Maxwell non costituiva un particolare motivo d’orgoglio per il gruppo che accompagnava Thomas; né come personalità, né come cervello. Eppure c’era qualcosa di serio, di grave, in lui, che faceva apparire fragili Slider e Scrivener.
Ascoltate Copperhead:
Una parte dei suoi discorsi li aveva già fatti con i «duri» di Cathead. — Ce la farà? — gli aveva chiesto Battersea, in tono brusco.
— Sì, ce la farà — aveva risposto Copperhead.
— Non vedo come — aveva detto George, il siriano. — Non mi sembra un gran che; scommetto che le forze che governano Astrobia lo schiacceranno come un pomodoro marcio.
— Oh, si, lo schiacceranno — aveva spiegato Copperhead. — Il nuovo uomo è un uomo morto, il tempo a sua disposizione cessa ancor prima di cominciare. Era già morto prima. E con ciò? La cosa non ha importanza. Il nostro nuovo uomo combinerà un pasticcio enorme, ma anche una piccola cosa giusta, una sola.
— Ma non hai detto che si comporterà di nuovo oggi, come si è già comportato ieri? — aveva grugnito Shanty.
— Infatti. Farà proprio così, e nella maniera più strana che si sia mai visto — aveva confermato Copperhead. — Chiunque essi siano, hanno tra le mani uno strumento di grande valore, davvero. Amici, quest’uomo di bassa statura e dagli occhi indomiti, giunto fra noi da un passato incerto, salverà il nostro mondo! Solo questo conta. Il fatto che non riesca a salvare se stesso non m’importa, e sono convinto che non importa a nessuno di noi.
— A me importa — aveva detto Paul. Ma il brutto era questo: Copperhead aveva veramente il potere di prevedere il futuro.
— Io, quel potere ce l’ho. Io sono qualcosa di nuovo. Perché presumere che tutto ciò che è nuovo debba appartenere all’élite, che debba venire da una persona accettabile, da una persona sensata? Le cose nuove non appaiono mai sotto un aspetto elegante, bensì macchiate, con le mani lorde. Ecco, se un sapiente della psicologia annunciasse di avere scoperto qualcosa di nuovo in una persona sensata, sareste pronti a credergli. Ma non è facile convincersi che il nuovo provenga da Cathead sotto forma di chiromante, là dove i chiromanti si sprecano. L’incredulità prende subito il sopravvento. E tuttavia sono cose vere. Io sono probabilmente l’uomo meno sensato che sia mai vissuto, sono rozzo, vivo truffando il prossimo; ma posso vedere il futuro.
Copperhead aveva un aspetto quasi caprino. Era un satiro sempre allegro, ed era veramente rozzo. Rimrock sapeva fin dall’inizio (e Maxwell l’aveva osservato per caso) che Copperhead sapeva anche essere sensato, intelligente e compassionevole, ma che preferiva nasconderlo.
Il loro gruppo aveva qualcosa di comico. Rimrock l’ansel, Paul e il tozzo Thomas, Slider e Scrivener, Maxwell e Copperhead, e quella stupefacente Evita: non si capiva se i suoi occhi fossero verdi, o azzurri, o grigi, se fosse magra o prosperosa, se i suoi capelli fossero biondo cenere, dorati o scuri. Il fatto è che tutti la vedevano diversa, e udivano la sua voce in modo diverso. In quel momento, appunto, si udì la sua voce, ma com’era? una voce argentina? oppure un miagolio, un gorgoglio, una risata, un ondeggiare voluttuoso, o una tromba squillante, una lira a nove corde, un cembalo, un carillon di campane?
— Zitti voi! — suonò Evita (le parole non rendono l’idea delle armonie della sua voce). — Thomas, il Santo, sta covando un’idea… osservatelo come spumeggia quando un’idea gli passa per la mente! Ha assaggiato tutte le grandi cose di Astrobia e ha ripetuto a se stesso che sono meravigliose. E allora, per quale ragione sta guardando verso la montagna?
Fu uno shock per tutti: qualcosa si era impadronito di Thomas; quell’uomo, il più concreto fra tutti loro, sembrava in stato di trance. Rimrock ricordò i giorni gloriosi, quando aveva sfondato il cielo ed era uscito dall’altra parte. Maxwell ricordò un’estasi provata con un corpo precedente Copperhead rivisse il momento in cui il nuovo potere si era impadronito di un uomo dalle mani lorde. Paul ricordò tutto quello che avrebbe potuto essere, ed Evita rivisse la sua stessa leggenda. Forse soltanto Slider e Scrivener non riuscirono a spaziare con la mente nei rispettivi passati.
— Perché guardo la montagna? — domandò Thomas, uscendo dal suo torpore. — Uno psicologo di Astrobia mi ha detto che soltanto le personalità storpie guardano le montagne. Ha aggiunto che nei secoli passati la cosa era molto più frequente. Bene, ho sperimentato le meraviglie della Dorata Astrobia, e ne sono strabiliato. Ma ho ancora fame. Cosa ne direste di andare da quella parte?
— Se andiamo da quella parte dovremo camminare — disse Scrivener. — Non vi sono cabine di trasferimento nei territori incolti, soltanto le zone civilizzate ne dispongono. Quel territorio laggiù è fuori della civiltà, è per le bestie, se ne esistono ancora, non per l’uomo. Le montagne sono state conservate perché in qualche modo sono legate al controllo del tempo. Ma non sono cose che interessano gli esseri raziocinanti.
— Penso che dovremmo camminare per un giorno o due e visitare la montagna — insistette Thomas.
— Ma gli Assassini programmati non hanno alcun freno, laggiù! — esclamò Maxwell. — C’inseguiranno e ci uccideranno!
— Non sono invincibili. Andiamo sulla montagna — ripeté Thomas. — Cosa direste se ci arrampicassimo lungo il pendio fino a quella forcella, lassù, attraversandola? Oppure preferite girarvi intorno, per di là? — Thomas indicava col dito le diverse direzioni.
— Girando intorno alla montagna si attraversano le terre incolte, e in otto o nove giorni si raggiunge Cathead sul lato posteriore — disse Copperhead. — Alcuni di noi moriranno lungo la strada, ma non tutti. C’è un vecchio proverbio: «Non c’è nulla da perdere sulla montagna.» Ma io credo invece di aver perduto qualcosa laggiù, e di volerla ritrovare. Ti seguirò.
— è pura pazzia! — insistette Scrivener.
— Forse — replicò Thomas. — Ma soltanto in forma leggera. Non esistono montagne così alte in Inghilterra, e io ne ho vista qualcuna soltanto in distanza in Spagna e nella Savoia. Da come avete descritto i problemi di Astrobia, sembra che tutti abbiano dimenticato qualcosa. Non sarebbe strano che la vetta di questa montagna fosse la cosa che la gente non riesce a ricordare? Lasciate pure che gli Assassini programmati c’inseguano! La caccia mi è sempre piaciuta, in qualsiasi modo finisca. Venite. Non riuscirete a togliermi questo piacere.