7 Trappola gelata

Beetchermarlf e Takoorch furono presi di sorpresa come il resto dell’equipaggio quando la pozza gelò. Non avevano avuto occasione di guardarsi intorno per molte ore, dato che il groviglio di funi su cui dovevano lavorare era molto più intricato del previsto. Entrambi sapevano perfettamente cosa fare e quindi i motivi di conversazione scarseggiarono. Anche se il loro sguardo avesse divagato dal lavoro, non potevano vedere molto. Si trovavano sotto la grande mole del veicolo e la vista era impedita in parte dalle ruote, in parte dall’oscurità della notte di Dhrawn che sembrava ingoiare tutto al di là dell’area illuminata dalle loro piccole torce elettriche.

E quindi i due non si accorsero dei sottili cristalli che rapidamente prendevano forma sulla superficie dello specchio d’acqua per dare origine in breve tempo a una solida distesa lucente.

Avevano assicurato la corda alla serie di ruote numero uno sul lato di prua del portello e si erano portati a poppa per connettervi la serie numero due quando si accorsero di essere intrappolati.

La batteria della pila di Takoorch stava cominciando a esaurirsi e il mesclinita si diresse verso il più vicino generatore a fusione, cioè quello della serie numero uno, per ricaricarla. Con enorme sorpresa si rese conto che qualcosa gli sbarrava la via, qualcosa di invisibile che gli impediva addirittura di vedere le ruote che sapeva trovarsi a pochi metri. Dopo qualche secondo di agitazione e incredulità, Takoorch chiamò Beetchermarlf. Passarono dieci minuti buoni prima che si arrendessero all’evidenza: erano completamente circondati da un muro opaco di ghiaccio impenetrabile anche alla loro forza. Il ghiaccio aveva riempito gli spazi tra le ruote e si elevava dal fondo alla superficie del lago e cioè, calcolarono, circa un metro. Solo sotto la pancia della Kwembly potevano ancora muoversi.

Gli attrezzi che avevano con loro erano affilati ma non appuntiti, e troppo piccoli per poter funzionare efficacemente contro un simile ostacolo; in ogni caso rasparono il ghiaccio per più di un’ora prima di convincersene. Ancora non provavano grande apprensione: era ovvio che il ghiaccio immobilizzava anche la Kwembly e che il resto dell’equipaggio avrebbe dovuto scavare comunque, se non per liberarli almeno per liberare se stessi. Naturalmente la loro riserva di idrogeno era limitata, ma questo non assumeva l’importanza vitale che assumeva invece per gli esseri umani. Potevano lavorare a pieno ritmo ancora per dieci o dodici ore e poi, una volta scesi al disotto del livello minimo di pressione dell’idrogeno, avrebbero semplicemente perso conoscenza. I loro processi chimici corporei sarebbero rallentati sempre più e solo dopo un centinaio di ore gli effetti del soffocamento cominciavano ad apparire evidenti. Una delle ragioni della loro resistenza, di cui i mescliniti andavano tanto fieri, era la semplicità delle loro reazioni chimiche corporee. Gli scienziati umani non avevano ancora avuto occasione di scoprirlo.

I due si sentivano abbastanza calmi, in effetti, da tornare infine al loro lavoro. Ma giunti in prossimità della serie numero due compirono un’altra scoperta e stavolta non poterono evitare di provare un brivido di paura per tutto il corpo.

Il muro di ghiaccio avanzava. Non tanto rapidamente, no, ma lo spazio libero diminuiva. Come Ib Hoffman, nessuno dei due aveva sul momento la più pallida idea di cosa potesse mai succedere se il ghiaccio li avesse avviluppati e non provavano il minimo desiderio di saperlo.

Perlomeno la luce non mancava. Qualche generatore era connesso anche alle serie di ruote più interne e Takoorch aveva finalmente trovato il modo di ricaricare le batterie della sua pila. Ciò rese possibile un’altra attenta ricerca sulle pareti di ghiaccio che li sprigionavano. Beetchermarlf sperava di trovare un passaggio sul fondale, o meglio ancora un settore poco ghiacciato in superficie. Non sapeva dire se la gelata fosse cominciata dal fondo o dalla superficie del liquido in cui erano immersi. Non sapeva, come tutti gli umani sanno, che il ghiaccio galleggia sull’acqua. In ogni caso, questo andava bene sul momento perché saperlo lo avrebbe condotto a una conclusione sbagliata. I cristalli si erano in effetti formati in superficie ma dato che erano più densi del liquido circostante tendevano a precipitare, dissolvendosi non appena entravano in contatto con un livello più ricco di ammoniaca. Questo effetto di pseudo-convezione ottenne il risultato di privare alquanto uniformemente tutta la pozza dell’ammoniaca fino a raggiungere una composizione capace di gelare quasi istantaneamente. Di conseguenza, la ricerca dei due malcapitati si concluse senza risultato.

Per un po’ di tempo i due riposarono appoggiati a una coppia di ruote, rimuginando in silenzio sulla situazione e controllando di tanto in tanto l’avanzata del ghiaccio. Non avevano nulla per misurare il tempo, e pertanto nessuna base per stimare la rapidità del processo. Takoorch si disse convinto che stava rallentando, ma Beetchermarlf lo guardò dubbioso.

Di tanto in tanto saltava fuori qualche idea, ma quello dei due che non l’aveva proposta vi trovava immancabilmente un difetto.

— Possiamo provare a muovere questi massi, i più piccoli — disse Takoorch a un certo punto — e forse riusciremo a uscire passando sotto la coltre di ghiaccio.

— Per andare dove? — ribatté l’altro. — Se ben ricordo, la sponda del lago più vicina si trova a quaranta, cinquanta cavi di distanza. Non riusciremo mai a scavare tanto velocemente da raggiungere la riva prima che finisca la nostra riserva d’aria. E poi chi ci dice che il ghiaccio non abbia bloccato anche le rocce del fondo? Rimanere bloccati prima di raggiungere la riva non farebbe altro che peggiorare le cose.

Takoorch ammise con un gesto la fondatezza del ragionamento e tra i due cadde nuovamente il silenzio, mentre il ghiaccio cresceva di qualche frazione di centimetro.

Fu poi la volta di Beetchermarlf proporre un’altra ipotesi di fuga.

— Queste lampade debbono emanare del calore, anche se noi non lo sentiamo attraverso le tute spaziali — disse. — Perché non proviamo a disporle in modo da impedire al ghiaccio di avanzare ed eventualmente scioglierlo fino a uscire?

— Vale la pena di provare — rispose laconicamente Takoorch.

Insieme si avvicinarono alla parete gelata. Beetchermarlf vi ammucchiò contro qualche pietra e sistemò in cima la torcia elettrica regolandola sulla massima intensità. Poi entrambi si avvicinarono, sollevando la parte anteriore del loro corpo per meglio osservare l’effetto della pila sulla massa di ghiaccio.

— Ora che ci penso — disse Takoorch mentre osservavano — anche i nostri corpi emanano calore, no? Quindi, il solo fatto di trovarsi tanto vicini alla parete di ghiaccio dovrebbe contribuire a scioglierla.

— Già, è vero — disse Beetchermarlf un po’ dubbioso. — Ma sarà meglio stare attenti che l’acqua non geli attorno e dietro di noi intanto che siamo qua immobili.

— E anche se succedesse, cosa importa? Significherebbe che il calore dei nostri corpi e delle pile è sufficiente a combattere il ghiaccio, e alla fine dovremmo riuscire a venirne fuori.

— Questo è vero, ma sarà meglio tener d’occhio la situazione lo stesso, per sapere quando comincerà a succedere.

Takoorch fece un cenno di assenso e calò nuovamente un lungo silenzio.

Il timoniere più anziano, comunque, non era tipo da rimanere in silenzio per sempre, e così diede voce a un’altra idea.

— So benissimo che i nostri attrezzi non sono serviti a nulla qualche ora fa, ma forse potrebbero tornare utili per raspare il ghiaccio qui, in prossimità delle lampade — affermò, aprendo il coltello multiuso che faceva parte dell’equipaggiamento e piantandolo nel ghiaccio.

— Aspetta un minuto! — esclamò Beetchermarlf. — Se scheggiamo il ghiaccio proprio qui, dove stiamo provando a scioglierlo col calore, come faremo a sapere se la nostra idea funziona veramente?

— Se riusciamo a spezzare il ghiaccio con il coltello, cosa importa sapere se le lampade funzionano oppure no? — rispose Takoorch. Beetchermarlf non trovò nulla da rispondere sul momento e quindi si arrese, borbottando qualcosa sull’importanza degli esperimenti controllati mentre Takoorch cominciava a menare fendenti con la lama.

Purtroppo per loro, l’azione del coltello si dimostrò irrilevante anche se forse servì a ritardare un poco la comparsa dei primi segni della sconfitta. Calore corporeo, calore delle pile e uso dei coltelli risultarono alla fine insufficienti: il ghiaccio continuò ad avanzare. Alla fine furono costretti a rimuovere le lampade dall’improvvisato appoggio per evitare che gelassero assieme al mucchietto di pietre, ora quasi completamente avviluppato dalla solida parete grigiastra. — Non abbiamo più molto tempo, ora — puntualizzò Takoorch muovendo le torce attorno a sé. — Solo due dei generatori sono rimasti liberi. Dobbiamo ricaricare le batterie prima che non sia più possibile farlo oppure lasciamo perdere e ci arrendiamo subito?

— Ricarichiamole pure — rispose Beetchermarlf. — Peccato però che una simile fonte di energia vada sprecata in questo modo. Quattro di quelle cose possono sospingere la Kwembly su qualsiasi terreno, e una volta ho sentito un umano dire che ne sarebbe bastato solo uno. Con una minima trazione i generatori potrebbero spaccare il ghiaccio per noi. Se solo sapessimo come fare!

— Estrarre il generatore dalla sua nicchia tra le ruote è facile, ma non ho idea di cosa si possa fare dopo. L’unità invia degli impulsi di corrente elettrica, ma non vedo come possa tornare utile. La potenza che generano riguarda solo le parti meccaniche.

— Se utilizzassimo i generatori per produrre corrente ne rimarremmo senza dubbio folgorati. Non so molto in effetti di elettricità perché al corso degli umani ho studiato soprattutto nozioni di meccanica, ma so che se viene usata male l’energia elettrica può uccidere. Forse è meglio pensare a qualcosa d’altro.

Takoorch si sforzò di farlo. Come il suo giovane compagno, aveva frequentato solo brevemente il corso di istruzione degli alieni. Entrambi avevano preferito partire volontari per Dhrawn piuttosto che continuare a stare in classe. La loro conoscenza della fisica di base poteva paragonarsi a quella di un bambino di nove, dieci anni. E non era molto incoraggiante pensare a soluzioni di cui non si conosceva l’applicabilità e il livello di rischio.

A tutti e due comunque la capacità di pensare in modo astratto non faceva difetto. Entrambi sapevano che il calore è la conseguenza più palpabile della presenza di energia, anche se non avevano nessun concetto del movimento casuale delle particelle che lo genera.

Fu Beetchermarlf il primo a ricordare un altro effetto dell’elettricità.

— Takoorch! Ti ricordi quando ci hanno detto di non dare troppa potenza fino a quando la Kwembly non cominciava a muoversi? Gli umani ci dissero che potevamo rompere i perni delle ruote o danneggiare i motori se acceleravamo troppo rapidamente.

— Esatto. Potenza a un quarto è il limite massimo consentito all’avvio.

— Bene. Qui abbiamo i comandi dei motori, ancora raggiungibili, e la Kwembly è bloccata. Perché non diamo energia al motore e lo facciamo scaldare quanto più possibile?

— Cosa ti fa pensare che diverrà caldo? Non hai la minima idea di cosa faccia funzionare questi motori, proprio come me. Gli umani non hanno detto che il motore diverrà caldo, ma solo che è possibile danneggiarlo.

— Lo so, ma che altro può succedere? Sai anche tu che qualsiasi tipo di energia inutilizzata finisce col generare calore in un modo o nell’altro.

— Sarà, ma non mi convince molto — rispose il marinaio più anziano. — Comunque, immagino che valga la pena di provare qualsiasi cosa… non so però se bruciare un motore può danneggiare seriamente la Kwembly; è la mia unica preoccupazione, perché noi saremmo spacciati comunque e quindi…

Beetchermarlf rimase silenzioso per un po’. Non aveva pensato al rischio di danneggiare la Kwembly e con più ci pensava con più si convinceva di non avere il diritto di fare una cosa del genere. Osservò la piccola unità motore alloggiata tra le ruote della serie più vicina e si domandò se una cosa tanto piccola poteva veramente mettere in pericolo l’esistenza di una massa tanto grossa come quella sotto cui si trovavano bloccati. Poi ricordò la massa enorme della macchina umana che aveva portato lui e i suoi compagni su Dhrawn e capì che la misteriosa energia che riusciva a smuovere simili grandiosi oggetti e a condurli attraverso i cieli non poteva venir usata a casaccio. Non avrebbe più avuto paura di usare motori e generatori, visto che gli era stata offerta l’opportunità di conoscerne i principi, ma compiere degli esperimenti con essi era tutt’altra cosa.

— Hai ragione — ammise con un sospiro e in modo casuale. Dopotutto, Takoorch sembrava propenso ad accettare l’idea. — Però ascolta — continuò. — Se le ruote potessero girare liberamente non correremmo il rischio di danneggiare i perni o il motore, vero? Credo che l’acqua si riscaldi anche limitandosi a smuoverla.

— Davvero? In effetti credo di aver già sentito una cosa del genere, ma se non riusciamo a rompere questo ghiaccio con la nostra forza dubito che smuovendo un po’ d’acqua riusciremo a ottenere qualcosa di concreto. E poi le ruote non sono affatto libere: poggiano sul fondo con sopra tutto il peso della Kwembly.

— Be’, prima volevi scavare, no? Bene, possiamo incominciare; quella parete di ghiaccio si fa sempre più vicina.

Beetchermarlf diede l’esempio e cominciò a scavare attorno ai sassi arrotondati che sporgevano da sotto le ruote. Era un lavoro duro persino per i loro muscoli. Lisci e compressi com’erano, i grossi ciottoli venivano via tutt’altro che facilmente. Inoltre, lo spazio per riporli non era certo abbondante. Inoltre i sassi sotto le ruote, che erano quelli da asportare, non potevano venir raggiunti fino a quando rimanevano bloccati sui lati. I due lavorarono con foga per rimuovere prima possibile i ciottoli più esterni, spaventati dalla lentezza con cui il lavoro sembrava procedere.

Una volta scavato abbastanza, cominciarono a rimuovere i ciottoli sotto le ruote solo per scoraggiarsi ancora di più davanti alla difficoltà del lavoro.

La Kwembly pesava sulla Terra circa duecento tonnellate. Su Dhrawn questo significava circa ottomila tonnellate, che venivano distribuite ogni istante sulle cinquantasei ruote rimaste. Pertanto ogni ruota sopportava un peso di più di centoquaranta tonnellate: un po’ tanto per la forza di un mesclinita che pesava su Dhrawn circa centocinquanta chili. Impossibile sollevare un peso del genere addirittura con otto metri della migliore fibra su Mesklin. D’altro canto, se la gravità di Dhrawn non avesse provveduto a comprimere in modo incredibile la superficie del pianeta, probabilmente la Kwembly sarebbe sprofondata nel terreno dopo pochi metri di viaggio.

Insomma, i sassi sotto le ruote non venivano via. I due marinai non poterono fare molto per smuoverli. Non avevano nulla da usare come leva, il gran numero di corde sottomano era inutile senza una puleggia e i loro muscoli figuravano tremendamente inadeguati allo scopo, una situazione a cui i mescliniti non riuscivano a rassegnarsi come le razze più deboli abituate da molto tempo all’uso di artifici meccanici. Il fatto che il loro spazio vitale si restringesse sempre più rappresentava però uno stimolo formidabile. Poteva certo generare il panico; ma i mescliniti non conoscevano quella forma di autoannullamento e sfogavano l’apprensione inondando la mente di pensieri. Di nuovo, fu Beetchermarlf a proporre qualcosa.

— Takoorch, vai dall’altra parte della serie di ruote passando da sotto. Voglio provare a smuovere quelle pietre. Allontanati un po’, perché verranno proiettate da quella parte — disse, arrampicandosi su una coppia di ruote mentre parlava. Takoorch capì immediatamente cosa aveva intenzione di fare il compagno e si riparò dietro la serie successiva senza obiettare. Beetchermarlf si distese davanti alla nicchia del generatore. Ora davanti a lui, inserito in uno spazio vuoto, poteva vedere il motore. Questi era un oggetto rettangolare grande circa quanto una radio con delle aste di guida bordate alla cima che si proiettavano dalla superficie e degli occhielli sui bordi dotati di piccole pulegge. Alle pulegge e alle aste erano connesse le funi per la guida dall’interno, ma il timoniere le ignorò. Non riusciva a vedere granché perché la pila era rimasta sul fondo, a qualche metro di distanza, e le ruote gli facevano ombra. In ogni caso non aveva bisogno di luce: anche con le chele poteva sentire quali leve muovere.

Con cautela portò la leva del reattore principale in posizione di “attivo”. Poi, ancora più lentamente, avviò il motore. Questi partì immediatamente: la doppia fila di ruote prese a muoversi in avanti e un rumore di piccoli oggetti scagliati qua e là divenne per un istante udibile. Poi il rumore cessò e il motore cominciò a surriscaldarsi. Subito Beetchermarlf lo disattivò e scese per vedere cosa era successo.

Il piano aveva funzionato bene quanto un programma di computer contenente un piccolo errore di logica: il responso avveniva, ma non risultava mai soddisfacente. Come previsto dal timoniere, il movimento delle ruote aveva proiettato all’indietro i sassi sottostanti, ma i due si erano scordati l’effetto della ripartizione del peso sulle varie serie di ruote. Semplicemente, la serie era sprofondata sotto il proprio peso e la spinta in avanti a vuoto aveva accentuato il ribaltamento del telaio centrale che manteneva in posizione le singole coppie di ruote. Guardando dal basso in alto, Beetchermarlf poté notare la leggera distorsione al telaio che assumeva l’aspetto di un rigonfiamento in un punto centrale, come se avesse preso una botta.

Takoorch comparve da dietro il suo riparo e osservò la situazione in silenzio. In effetti, non c’era molto da dire.

Nessuno dei due sapeva dire quanto poteva tenere il telaio e quanto ancora bisognava scavare prima che la serie potesse girare liberamente, anche se entrambi conoscevano a memoria tutti i dettagli della Kwembly. Le ruote erano connesse in tandem a un ammortizzatore che terminava in una sorta di materasso pneumatico suddiviso in trenta sezioni. I due timonieri conoscevano a memoria i dettagli degli insiemi di giunzione perché avevano passato molte ore a ripararli, ma ora che lo scafo sembrava così opprimente sulle loro teste non si sentivano più tanto sicuri della distanza a cui una coppia di ruote poteva spostarsi senza rompersi.

— Bene, torniamo a scavar pietre allora — disse Takoorch infilando la chela sotto un sasso. — Speriamo che il movimento le abbia smosse un po’, altrimenti sarà dura tirarle fuori solo dalle estremità.

— Non abbiamo più tempo. Il ghiaccio tra poco ci soffocherà. Dovremo scavare per un’intera lunghezza corporea prima di vedere le ruote girare liberamente. Lasciamo perdere questa idea e tentiamo qualcos’altro.

— Ma cosa? Vorrei proprio saperlo.

Beetchermarlf si mosse di nuovo. Stavolta si ricordò di prendere la pila e tornò in cima alle ruote. Takoorch lo seguì con lo sguardo, disorientato. Il giovane marinaio si appoggiò all’ammortizzatore idraulico e prese a colpire con il coltello il materasso pneumatico a cui questo si congiungeva.

— Non si può danneggiare la propria nave! — gli ricordò Takoorch.

— Più tardi la ripareremo. Odio agire così esattamente quanto te, e sarei felice di sfiatare questa sezione tramite la valvola come abbiamo sempre fatto, ma purtroppo non è possibile; e se non togliamo un po’ di pressione su queste dannate ruote presto non potremo fare più nulla — disse, continuando a tagliare la gomma.

Costava meno fatica che estrarre i grossi ciottoli di fiume. Il materasso pneumatico era realizzato in un materiale gommoso estremamente spesso e resistente. Per sostenere la Kwembly doveva contenere una pressione di almeno diciotto chili per centimetro quadrato sopra il livello del suolo. Una delle seccature del loro lavoro era proprio dover pompare manualmente le sezioni fino alla pressione giusta o di sfiatare l’eccesso di aria, il che succedeva ogni volta che il dislivello tra due punti superava i quattro, cinque metri. Al momento il materasso pneumatico appariva leggermente flaccido, in quanto nessuno l’aveva più gonfiato dopo la discesa lungo il fiume, ma comunque continuava a esercitare una pressione notevole. Ancora e ancora Beetchermarlf affondò il coltello nella superficie elastica, cercando di centrare sempre lo stesso punto ma non sempre con successo. Ogni volta che entrava, la lama affondava un po’ di più. Takoorch, convinto infine della necessità di far qualcosa, si unì con decisione a lui. Il percorso della seconda lama si unì a quello della prima e presto i due assunsero un ritmo addirittura troppo veloce per venire seguito dall’occhio umano. Chiunque fosse stato presente, naturalmente di qualche altra razza, avrebbe scommesso che si sarebbero tagliati le rispettive chele nel giro di pochi secondi.

Anche così occorsero parecchi minuti prima di riuscire. Il successo si presentò inizialmente sotto forma di una fila di bollicine che si disperse in tutte le direzioni lungo la superficie gommosa della sezione di materasso pneumatico. Pochi tagli ancora e da un’apertura quasi a croce larga forse cinque centimetri iniziò a uscire una fitta colonna di bolle composta di aria dhrawniana. I prigionieri cessarono i loro sforzi.

Lentamente ma visibilmente la tensione della gomma andò diminuendo. La colonna di bollicine si fece meno fitta, mentre l’aria si raccolse nel punto più elevato della trappola di ghiaccio. Per qualche istante Beetchermarlf pensò che la sezione si sarebbe sgonfiata completamente, ma la presenza delle ruote evitò che succedesse. Il centro della sezione, cioè per loro il punto in cui penetrava la sospensione idraulica della coppia di ruote in quanto non sapevano dove si trovasse il confine con la sezione successiva, iniziò a rientrare piuttosto che a sporgere: ora tirava, invece di spingere.

— Faccio partire nuovamente il motore. Vediamo cosa succede — disse Beetchermarlf. — Riparati di nuovo per un minuto.

Takoorch obbedì. Deliberatamente, il giovane timoniere incastrò un mucchietto di piccoli ciottoli sotto la parte anteriore dei pneumatici, si arrampicò su di essi e distese il suo corpo allungato una volta giunto in cima. Aveva la torcia con sé, non tanto per avviare il motore ma per capire più facilmente se e come si muoveva l’insieme. Quando avviò il motore rivolse lo sguardo verso il punto in cui l’ammortizzatore si congiungeva al materasso pneumatico.

I ciottoli fornirono un minimo di trazione; la gomma della sezione prese a contrarsi e l’albero di sospensione sobbalzò leggermente quando la serie di ruote prese a muoversi. Una rientranza metallica, inaccessibile perché situata all’interno della sezione in gomma, proteggeva il proseguimento dell’ammortizzatore che impediva alle ruote di inclinarsi per più di pochi gradi. Naturalmente le varie serie di ruote non potevano entrare in contatto l’una con l’altra, ma una maggiore inclinazione avrebbe comportato un maggiore sforzo. Quando il motore venne portato al massimo la serie continuò a girare, ma adesso non più liberamente. Suoni e vibrazioni sull’albero indicavano che i pneumatici sfregavano sui ciottoli del fondo e dopo alcuni secondi la sensazione dell’acqua in movimento divenne chiaramente percepibile sulla tuta di Beetchermarlf. Questi iniziò allora a scendere, ma fu tanto incauto da lasciare la presa senza assicurarsi dell’efficacia del nuovo punto di appoggio. Quasi venne risucchiato dal movimento delle ruote. Riuscì a spegnere il motore appena in tempo, con un frettoloso movimento della chela. Rimase immobile e silenzioso per diverso tempo prima di riguadagnare il controllo: anche il suo corpo gommoso e resistente non avrebbe potuto sopportare quell’incredibile corsa schiacciato tra le ruote e la pietra… come minimo, la tuta spaziale sarebbe finita in brandelli!

Quando si riprese, cominciò con tutta tranquillità a cercare le corde che univano il motore al timone della Kwembly e una volta rintracciatele ne seguì con lo sguardo il percorso fino alla serie successiva, in modo da memorizzarne la posizione. Pochi secondi dopo si trovava in cima all’altra serie, dove afferrò le corde e avviò il motore con tutta sicurezza rimproverandosi mentalmente per non averci pensato prima.

Takoorch comparve dietro di lui e disse: — Be’, scopriremo presto se rimescolare l’acqua la riscalda.

— Vedrai che ho ragione — rispose Beetchermarlf — e inoltre il battistrada del pneumatico sfiora i ciottoli del fondo: anche se non credi che il movimento scaldi l’acqua, sai di sicuro che la frizione genera calore. Ora teniamo d’occhio il ghiaccio, e speriamo che il pneumatico non si riscaldi troppo. Ho lasciato il motore al minimo, e c’è un sacco di energia.

Con aria pessimistica, Takoorch si spostò in modo da vedere subito il cumulo di pietre ingoiato prima dal muro di ghiaccio. Si mise a terra ad aspettare, la corrente non era troppo forte in quel punto, anche se poteva comunque sentirne le spinte dato che non aveva alcuna zavorra su di sé. Si tenne stretto a un gruppo di massi incastrati sul fondo e cercò di non pensare al rischio di finire sotto le ruote.

Non riusciva a capire come agitando semplicemente dell’acqua fosse possibile generare calore, ma quello che Beetchermarlf aveva detto sulla frizione suonava incoraggiante. Inoltre, per quanto non si sognasse neppure di ammetterlo, preferiva dar credito alle opinioni scientifiche del timoniere più giovane che alla sua esperienza di vecchio navigatore, utile solo per aspettare la fine più filosoficamente.

Questa volta l’espediente funzionò. Dopo cinque minuti, le prime pietre del mucchio divennero visibili al di là di un sottile strato di ghiaccio; dopo dieci minuti, un fischio di gioia informò Beetchermarlf del successo: le prime pietre della base erano libere dal ghiaccio. Beetchermarlf corse il rischio di lasciare il motore inatteso e scese velocemente dalla serie di ruote per vedere di persona. Il ghiaccio si stava ritirando. Immediatamente, cominciò a elaborare un piano.

— Molto bene. Appena possibile cerchiamo di avviare anche le altre serie, magari trasferendo qualche generatore non appena il ghiaccio arretrerà abbastanza da liberarli. Con un po’ di fortuna, oltre a uscire di qui dovremmo riuscire a liberare tutta la Kwembly.

Takoorch aveva una domanda da porre. — Hai intenzione di forare tutte le sezioni a cui poggiano le serie di ruote dotate di motore? Questo significherebbe sgonfiare praticamente un terzo del materasso pneumatico.

Beetchermarlf fu preso alla sprovvista da questa affermazione.

— Me ne ero scordato. No, be’, si potrebbe sempre ripararli ma… no, non andrebbe tanto bene. Vediamo un po’. Non appena un generatore si libera dal ghiaccio, potremmo installarlo sulla seconda serie connessa a questa sezione pneumatica, così senza danneggiare ulteriormente la Kwembly avremo doppio calore. Dopo, non lo so. Potremmo tentare di scavare sotto le altre, ma in effetti mi sembra che non possa funzionare. Comunque, già raddoppiare la quantità di calore nell’acqua rappresenta un successo e forse basterà a sciogliere il ghiaccio.

— Speriamo — fu la risposta dubbiosa di Takoorch. L’incertezza di Beetchermarlf lo aveva abbastanza deluso, e non si sentiva per nulla impressionato dal piano di riserva concepito dal giovane timoniere. Ma non aveva nulla di meglio da offrire a sua volta, e così si limitò a domandare: — Bene, e adesso cosa facciamo?

— Io torno sulle ruote per tenere d’occhio le funi, anche se non credo che vi saranno problemi — replicò indirettamente Beetchermarlf. — Tu potresti tenere d’occhio il ghiaccio e liberare un altro generatore non appena ti è possibile. Che ne pensi?

Takoorch si dichiarò d’accordo con un gesto e si girò per sorvegliare la barriera di ghiaccio. Beetchermarlf tornò sulle ruote osservando passivamente le funi. Takoorch perlustrò ogni millimetro dello spazio soffocante in cui erano rinchiusi e notò con piacere che il ghiaccio si ritirava in tutte le direzioni. Si sentì però quasi irritato dalla scoperta che il processo rallentava man mano che l’area liberata dal ghiaccio si ampliava, anche se questo non lo sorprese più di tanto. Decise pertanto quale dei generatori liberare per primo e rimase immobile ad aspettare. Il suo comportamento, come quello del suo compagno poco distante, non poteva venir descritto esattamente a un essere umano. Non si poteva parlare di pazienza o di impazienza in termini a noi conosciuti. Entrambi sapevano che aspettare era inevitabile, e i loro pensieri venivano scarsamente influenzati da questo obbligo. Takoorch era abbastanza intelligente e dotato di fantasia in termini sia umani sia mescliniti, ma non sentiva affatto il bisogno di tenere occupata la mente con qualcosa durante l’attesa. Un orologio mentale semiconscio lo spingeva a verificare di tanto in tanto come progredivano le cose. Questo era quanto un umano poteva afferrare di lui; il resto, quello che passava veramente per la sua mente, rimaneva nascosto.

Chiaramente però non era né insonnolito né preoccupato, perché reagì prontamente a un improvviso, sordo rumore e a una serie di ciottoli che vennero sparati dalle ruote. Si trovava disteso quasi di fronte alla serie di ruote funzionanti e quindi non gli ci volle molto per intuire l’accaduto.

Anche Beetchermarlf aveva capito e il motore venne fermato con uno strattone sulla fune di controllo prima ancora che un umano potesse percepire cosa stava succedendo. I due si incontrarono qualche istante dopo di fianco alle ruote che avevano dato problemi.

“Era prevedibile che andasse così”, si disse Beetchermarlf. Le fibre dei mescliniti erano estremamente resistenti e in condizioni normali i pneumatici potevano durare mesi e mesi senza consumarsi; ma farli deliberatamente sfregare contro dei ciottoli rigidamente incastrati nel fondo era un po’ troppo. Ma forse la parola “incastrati” non descrive la situazione in modo abbastanza efficace. I ciottoli che si trovavano a contatto dei battistrada erano stati letteralmente consumati dal continuo movimento; alcuni erano ridotti alla metà. Il giovane timoniere si convinse, dopo aver attentamente ispezionato i pneumatici, che la consunzione del tessuto era dovuta soprattutto all’azione di un grosso ciottolo probabilmente sferico che l’azione del battistrada aveva consumato fino a farne una lama appuntita e affilata. Mostrò la prova a Takoorch, che concordò.

Non c’erano disaccordi su cosa bisognava fare, e i due si irritarono con loro stessi per non averci pensato prima. Per una mezz’ora abbondante entrambi lavorarono per ammassare quanti più ciottoli possibile attorno alla loro fonte di calore. Una volta terminato salirono sopra il mucchio di pietre senza pensarci un secondo e cinque minuti dopo il generatore veniva estratto per passare sulla seconda serie a loro disposizione. Senza preoccuparsi dei possibili danni, Beetchermarlf e Takoorch avviarono subito il motore.

Ma Takoorch si sentiva dubbioso ormai. Il ragionevole ottimismo provato un’ora prima era scomparso con l’integrità dei pneumatici della prima serie. Sicuramente anche la seconda serie era destinata a consumarsi presto e il moto delle ruote non sarebbe mai durato abbastanza da consentire al calore di fornire loro una via di fuga. Ma dopo qualche minuto che rimuginava sulla questione, gli venne in mente che se fossero riusciti a concentrare il calore su un solo punto sarebbe stato senz’altro meglio e ne parlò con l’amico. Takoorch ebbe la soddisfazione di veder sorgere in men che non si dica un muro di ciottoli lungo circa due metri che doveva servire a convogliare l’acqua calda contro la parete di ghiaccio.

Non si sentiva completamente soddisfatto, naturalmente, così come il suo compagno perché dubitavano molto che i pneumatici riuscissero a tenere per il tempo sufficiente. Ma era difficile capire cos’altro avrebbe potuto condurli alla salvezza. Un uomo in una situazione analoga si sarebbe forse seduto ad aspettare che i suoi compagni lo tirassero fuori dalla trappola, mantenendo questa speranza fino all’ultimo minuto di esistenza. Pochi mescliniti avrebbero reagito allo stesso modo, e nessuno dei due timonieri aveva intenzione di farlo. C’era una parola dallo stennita che Easy aveva tradotto con “speranza”, anche se in effetti si trattava di una delle sue traduzioni peggio riuscite.

Spinto dalla sua indefinibile attitudine, Takoorch si dispose tra i pneumatici, che emanavano un ronzio soffocato, e la parete di ghiaccio mantenendosi saldamente al fondo per evitare di deviare la corrente di acqua calda e cercando di osservare ruote e parete allo stesso momento. Beetchermarlf rimase invece nella sua posizione sopraelevata, stringendo tra le chele le funi di guida.

Dato che non avevano scavato sotto la seconda serie la frizione era accresciuta e l’effetto del calore più forte. Il motore tendeva a dare velocità più che potenza, nonostante i tentativi di regolazione dei timonieri. Naturalmente, e sfortunatamente, anche l’usura del battistrada risultò maggiore. I sordi rumori che annunciavano la rottura dei pneumatici arrivarono decisamente presto, poco dopo il completamento del deflettore di pietre. Come in precedenza, i pneumatici di entrambe le file di ruote scoppiarono quasi contemporaneamente, in quanto il sussulto provocato dallo scompenso sui perni dovuto allo scoppio del primo pneumatico più il movimento continuo bastavano a far scoppiare tutti gli altri.

Di nuovo, i due mescliniti agirono con la massima tempestività e in perfetto concerto. Beetchermarlf disattivò il motore mentre scendeva dalle ruote su cui stava appollaiato dirigendosi verso la parete di ghiaccio. Takoorch raggiunse il punto dove veniva convogliata l’acqua calda prima di lui solo perché era partito da terra. Entrambi estrassero i coltelli e non appena furono a tiro cominciarono a menar fendenti contro la superficie gelata. Sapevano di esser vicini alla riva. Mancava probabilmente meno di una lunghezza corporea, perlomeno in senso orizzontale. Forse, prima che l’acqua ricominciasse a gelare era possibile uscire a forza di muscoli.

Il coltello di Takoorch si ruppe nel primo minuto di lavoro. Molti psicologi e ricercatori umani avrebbero trovato interessante il suo modo schietto di commentare la cosa anche se nessuno, neppure Easy Hoffman, possedeva un dizionario adeguato. Beetchermarlf lo zittì con un suggerimento.

— Torna vicino alle ruote e muoviti quanto più puoi per ricircolare l’acqua fredda che viene dal ghiaccio e mischiarla all’acqua calda che staziona qui dentro. Io continuerò a lavorare col coltello.

Il timoniere anziano obbedì. Passarono alcuni minuti in cui l’unico rumore fu quello del coltello che penetrava la barriera di ghiaccio.

Questa continuava a sciogliersi, ma ora cominciava sensibilmente a rallentare. Il calore dell’acqua si disperdeva fin troppo rapidamente. Anche se loro non lo sapevano, il ghiaccio aveva risparmiato la loro nicchia semplicemente perché la massa della Kwembly sopra e le pareti di ghiaccio a fianco impedivano all’ammoniaca di sfuggire nell’atmosfera. I fisici, siano essi stati umani o mescliniti, avevano azzeccato in pieno la situazione con le loro analisi, anche se in quel momento le analisi non servivano a Dondragmer e non servivano a loro due. Il congelamento sotto la Kwembly era dovuto più all’ammoniaca che lentamente riusciva a filtrare nel ghiaccio che al naturale estendersi dei lucenti cristalli.

Ma anche conoscendo questo, il loro capitano non avrebbe potuto fare nulla per loro due. Naturalmente se l’informazione fosse arrivata prima avrebbe potuto salvare capra e cavoli spostando la Kwembly sulla riva del fiume, ma purtroppo era arrivata non come previsione ma come analisi ispirata dai fatti.

Tra l’altro, anche se Beetchermarlf avesse saputo tutto questo in anticipo non sarebbe stato in grado di considerarne appieno le conseguenze. Ma ora era troppo occupato. La lama del suo coltello lampeggiava fugace alla luce della torcia elettrica mentre si abbassava per tornare a colpire con rapidità prodigiosa. La sua mente si preoccupava solo di cavare il massimo dall’utensile senza correre il rischio di romperlo.

Ma anche quel coltello si ruppe. Non ne discusse mai la ragione, dopo. Sapeva però che la sua avanzata nella parete di ghiaccio stava rallentando. Dentro di sé sentì salire una strana urgenza di staccare più ghiaccio possibile, e poi l’istinto di raspare piuttosto che colpire. Visto il suo carattere, Beetchermarlf non avrebbe mai ammesso di essere rimasto vittima di un attacco di panico irragionevole; d’altro canto, quello stesso carattere gli impedì di ricorrere alla classica scusa del coltello difettoso. Con più ci pensava, comunque, con più non riusciva a trovare altre spiegazioni che queste due. Qualsiasi fosse la ragione, il coltello che stringeva tra le robuste pinze della chela si ritrovò improvvisamente senza lama e le chele dei mescliniti erano utili per frantumare una parete di ghiaccio quanto le dita umane. Seccato al massimo per un mesclinita, gettò con stizza l’impugnatura del coltello a terra per scoprire che la presenza dell’acqua gli negava anche la soddisfazione di vederla rimbalzare sui ciottoli.

Takoorch afferrò immediatamente la situazione. Il suo commento sarebbe stato considerato cinico a dieci milioni di chilometri sopra la superficie di Dhrawn, ma Beetchermarlf lo prese per quello che valeva.

— Credi sia meglio congelare qui vicino alle pareti o nel mezzo della nicchia? Direi che tra le due posizioni corre solo mezz’ora di differenza.

— Non ne ho idea. Vicino a una parete ci troverebbero prima, naturalmente se i soccorsi arrivano e si fanno strada dalla parte giusta. Ma se non arrivano, non vedo che differenza possa fare. Mi piacerebbe sapere in anticipo che effetto fa ritrovarsi vivi in un blocco di ghiaccio.

— Be’, tra poco lo sapremo. Anzi, lo sapranno.

— Chi lo sa? Prova a pensare alla Esket.

— Cosa c’entra la Esket adesso? Noi sì che siamo veramente nei guai!

— Intendo dire che nessuno ha mai cercato di scoprire cosa è successo veramente.

— Già. Sai una cosa? Io torno al centro: voglio pensare, finché posso.

Beetchermarlf lo guardò sorpreso. — Cosa devi pensare? Siamo qui in trappola finché qualcuno non arriverà a tirarci fuori o il tempo si scalda abbastanza da scongelarci. Rassegniamoci.

— Non posso. E non voglio distendermi vicino a una parete. Non pensi che anche se i pneumatici sono a terra farli girare possa produrre un po’ di frizione, abbastanza per impedire all’acqua nel centro di…

— Se vuoi provare fai pure.

Non credo possa funzionare, neppure a pieni giri. Inoltre, non è possibile avvicinarsi alle ruote più di tanto. Takoorch, rassegnati: siamo sott’acqua, in una pozza e non nell’oceano, e quando gelerà noi rimarremo incapsulati nel ghiaccio. Non c’è nessun posto dove andare, nulla da… oh!

— Cosa?

— Fantastico! Hai ragione, Takoorch: non bisogna mai abbandonare la speranza. Seguimi!

Novanta secondi più tardi i due mescliniti, dopo aver faticato non poco per allargare i tagli lasciati dal coltello sulla gomma, riparavano al sicuro nella sezione di materasso pneumatico su cui si erano accaniti in precedenza, che si trovava sopra il pelo dell’acqua.

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