14 Squadra di recupero

Non sarebbe corretto affermare che Benj riconobbe Beetchermarlf immediatamente. Di fatto, la prima agile figura che emerse dal fiume e si arrampicò sullo scafo fu Takoorch. In ogni caso, fu il nome del giovane timoniere che echeggiò da quattro diversi microfoni su Dhrawn.

Uno di questi si trovava sul ponte della Kwembly e nessuno era presente ad ascoltare. Due si trovavano nella base provvisoria di Dondragmer a poche centinaia di metri dal bordo del grande fiume che ora riempiva la valle. Il quarto era nell’elicottero di Reffel, ora parcheggiato vicino al dirigibile mesclinita chiamato Gwelf.

La macchina umana e il dirigibile si trovavano a circa un chilometro dal campo, dato che Kabremm non volle assolutamente correre il rischio di ripetere il clamoroso errore di prima. Probabilmente non si sarebbe mai mosso dal punto dove Stakendee l’aveva trovato se il livello dell’acqua non fosse salito. Il comandante del dirigibile temeva la nebbia e non provava alcun desiderio di volare. Reffel era ancora meno entusiasta all’idea di muoversi. In ogni caso non avevano scelta e quindi Kabremm ordinò ai suoi di salire fino a superare il livello della nebbia; Reffel si mantenne vicino al dirigibile quanto bastava per non perderne le luci, evitando comunque di avvicinarsi troppo. Una volta saliti oltre la decina di metri in cui si addensava la nebbia di ammoniaca fu possibile avanzare e quindi raggiunsero le coordinate date da Dondragmer, atterrando a una distanza dalle luci della base giudicata sufficiente. Lasciare che gli umani si accorgessero dell’esistenza del dirigibile sarebbe stato uno sbaglio ancora più irrimediabile del precedente. Kabremm stava ancora cercando di stabilire cosa dire a Barlennan la prima volta che si sarebbero incontrati.

Tra l’altro aveva passato molte ore a domandarsi con Reffel se l’obbiettivo della telecamera era stato oscurato abbastanza prontamente concludendo, vista la mancanza di qualsiasi commento, che doveva essere così.

In ogni caso, perlomeno Kabremm e Dondragmer avevano potuto parlarsi e coordinare le proprie versioni in caso si fossero verificate ulteriori ripercussioni di quello sfortunato incidente. Dondragmer si sentì come sollevato da un peso, ma comunque non cessò di prendere decisioni collegate con quell’errore.

L’urlo che provenne dal microfono lo distrasse proprio mentre doveva prendere una di queste decisioni. Quel grido: “Beetchermarlf!” poteva provenire solo da Benj. Dondragrner stava controllando se nessuno dell’equipaggio assomigliava a Kabremm. Voleva farlo prima, ma erano mesi e mesi che non vedeva l’ufficiale e non ricordava bene la sua fisionomia. Purtroppo non aveva ancora trovato il tempo di visitare il dirigibile, anche perché Kabremm rifiutava categoricamente di avvicinarsi oltre alla base provvisoria. Il suo piano era fare in modo che tutti coloro che assomigliavano al comandante del dirigibile comparissero davanti alle telecamere in modo casuale ma continuo, per spingere Easy a dubitare di aver visto veramente il primo ufficiale della Esket. Qualsiasi cosa potesse aiutare a risolvere quella faccenda in modo semplice era la benvenuta.

Il capitano aveva però tenuto sempre presente il destino della Kwembly e dei due timonieri nelle dodici ore in cui le luci del ricognitore erano sparite oltre il limitato orizzonte della notte, e l’urlo di Benj riportò la sua attenzione su questo argomento.

Capitano — disse il ragazzo. — Due mescliniti sono comparsi adesso sullo schermo e si stanno arrampicando sulla Kwembly. Sono usciti dall’acqua; probabilmente si trovavano da qualche parte sotto lo scafo per tutto questo tempo, anche se nessuno li ha trovati. Non può trattarsi che di Beetchermarlf e Takoorch. Non posso mettermi in contatto con loro finché non raggiungono il ponte, ma sembra che esista ancora qualche possibilità di salvare il ricognitore. Due marinai sono sufficienti per guidarla, vero?

La mente di Dondragrner spaziò tra mille sentimenti diversi. Non si era affatto rimproverato di aver abbandonato il ricognitore, anche se stavolta non si poteva parlare di inondazione repentina. Si trattava della decisione più ragionevole sul momento e con le poche informazioni disponibili. Quando la vera natura del disgelo era divenuta chiara, e con essa il fatto che avrebbero potuto restare a bordo e farsi trascinare a valle dalla debole corrente in tutta sicurezza, non si poteva più tornare indietro. Il suo carattere mesclinita gli impediva di perdersi in infinite variazioni di “se” e di “ma”. Sapeva benissimo, quando aveva ordinato di abbandonare la Kwembly, che le possibilità di riuscire a tornare a bordo erano decisamente limitate, soprattutto dopo aver constatato che lo scafo scivolava dolcemente sull’acqua invece di incagliarsi tra gli scogli. Rifiutava di ridurre queste possibilità a zero, ma sapeva che il ricognitore era perduto.

E adesso, inaspettatamente, le speranze risorgevano. Non solo la Kwembly era intatta, ma i suoi timonieri si trovavano a bordo. Si poteva senz’altro fare qualcosa, se…

— Benj — disse Dondragrner quando i suoi pensieri raggiunsero questo punto. — Vorrebbe provare a riunire i tecnici per determinare con tutta la precisione possibile a quale distanza da noi si trova la Kwembly adesso? Beetchermarlf e Takoorch possono certamente condurre la Kwembly da soli, anche se avranno molti problemi che rallenteranno la loro marcia. In ogni caso dovrebbero riuscirci. Certo è importantissimo scoprire se la distanza consiste in cinquanta chilometri o cinquemila. Dubito però che siano molto lontani perché la corrente non è molto forte e sono passate solo dodici ore. In ogni caso chieda agli scienziati di lavorarci sopra e riferisca a Barlennan quanto è successo.

Benj obbedì in modo veloce ed efficiente. Non si sentiva più stanco, preoccupato e pieno di risentimento. Dopo l’abbandono della Kwembly dodici ore prima aveva perso ogni speranza di vedere di nuovo sano e salvo il suo amico mesclinita e aveva raggiunto la sua cabina per una dormita agognata da molto tempo. Non che fosse molto convinto di riuscire a chiudere occhio, ma alla fine la chimica corporea vinse la partita e Benj crollò in un sonno profondo. Nove ore dopo si era presentato al lavoro da McDevitt in laboratorio e solo il fato aveva fatto sì che si trovasse nel salone delle comunicazioni quando i due emersero dall’acqua. McDevitt lo aveva inviato di sotto a raccogliere i dati arrivati con l’ultimo rapporto degli altri ricognitori, in quanto il meteorologo dipendeva sempre più dalla sua conoscenza dello stennita per le comunicazioni dirette con gli equipaggi, e Benj non aveva potuto evitare di aggirarsi per qualche minuto vicino alla consolle della Kwembly.

La dormita e la scoperta che Beetchermarlf dopotutto era vivo lo aiutarono a superare il sentimento di rivalsa che provava nei confronti di Dondragmer. Confermò al capitano di aver ricevuto la sua richiesta, chiamò sua madre per farsi sostituire davanti agli schermi e si diresse al livello superiore, dove si trovavano i laboratori, con tutta la velocità consentita dai suoi muscoli nella gravità della stazione spaziale.

Easy, anche lei riposata grazie a qualche ora di sonno, riferì della partenza di Benj e annunciò che prendeva il suo posto. Poi chiamò Barlennan e gli ripetè l’ordine dato da Dondragmer, per tornare poi con l’attenzione al capitano mesclinita con l’intenzione di porre una domanda per conto suo.

— Abbiamo trovato i suoi due timonieri e ne sono felice, ma pensa che esistano ancora speranze per i due piloti?

Per quanto cercasse di pesare le parole, Dondragmer quasi si tradì. Certamente sapeva dove si trovava Reffel, grazie allo scambio di messaggi occorso tra il campo e il dirigibile, ma Kervenser sembrava sparito nel nulla. La sua scomparsa era assolutamente veritiera e Dondragmer ora considerava le sue possibilità di sopravvivenza addirittura inferiori a quelle dei due timonieri un’ora prima. Chiaramente menzionare questo a Easy non comportava alcun problema, ma il suo errore consistette nel dimenticare completamente di menzionare Reffel: i pronomi personali “lui” e “loro” in stennita erano diversi quanto nella lingua degli umani, ma Dondragmer si sorprese parecchie volte a usare il primo quando invece parlava di più soggetti. Easy sembrò non farci caso, ma il dubbio per Dondragmer rimase.

— Difficile a dirsi — rispose Dondragmer. — Non vi sono loro tracce ormai da molte ore e se hanno dovuto effettuare un atterraggio di emergenza sull’altro lato della valle non vedo come possano raggiungerci adesso. La circostanza è doppiamente sfortunata perché con un volatore a disposizione avremmo forse potuto trasferire altri marinai sulla Kwembly e riportarla indietro più facilmente. Naturalmente sarebbe impossibile usare i volatori per il trasporto del materiale, ma la differenza non è tutta qui: se saltasse fuori che per qualsiasi motivo è impossibile riportare qui la Kwembly, un volatore farebbe una differenza enorme per i due rimasti intrappolati a bordo. Peccato che i vostri scienziati non riescano a localizzare la trasmittente che Reffel portava con sé come invece possono fare per quella sul ricognitore; ci avrebbe aiutato molto.

— Lei non è l’unico a rammaricarsi per questo — concordò Easy. La faccenda era saltata fuori poco dopo la scomparsa di Reffel. — Non conosco a sufficienza il funzionamento delle telecamere da sapere perché la potenza del segnale dipende in senso stretto dalla chiarezza dell’immagine; ho sempre pensato a un’onda portante come a una costante nello spazio, ma si direbbe che sbagliavo. Quindi, o la telecamera di Reffel si trova in un ambiente completamente buio oppure è andata distrutta. Ma vedo che avete quasi terminato di sistemare le vasche di biorigenerazione.

L’ultima frase non rappresentava per Easy un tentativo di chiudere l’argomento: era la prima volta che riusciva a osservare da vicino l’installazione del sistema e provava una genuina curiosità a riguardo. Consisteva di parecchie vasche quadrate e trasparenti, forse un centinaio, che coprivano una superficie pari a circa cento metri quadrati. Un terzo del volume della vasca era riempito di liquido, in costante movimento per le colonne di bolle generate dall’emissione di idrogeno quasi puro che costituiva l’atmosfera di Mesklin. Un generatore forniva l’energia necessaria al funzionamento delle lampade speciali che davano luce alle colture, mentre le pompe per il ricircolo del gas venivano azionate a mano. Il manto vegetale che ossidava gli idrocarburi saturi prodotti dal ciclo respiratorio dei mescliniti emettendo in cambio idrogeno puro era composto soprattutto di organismi unicellulari assomigliante per quanto si trattasse di un paragone improprio, ad alcune specie di alghe terrestri. Il criterio della scelta si basava sulla loro commestibilità anche se il gusto lasciava molto a desiderare, o almeno così sapeva Easy. Ma qualcosa era rimasto sul ricognitore: le grosse vasche idroponiche che contenevano i cespugli fruttiferi, troppo voluminose per venir trasportate sui lati della valle.

Easy non sapeva come avvenisse la rimozione e l’inserimento di oggetti nelle serre, ma poté assistere alla saturazione delle cariche necessarie per respirare nelle tute spaziali. Di nuovo, la forza manuale giocava una parte importante per pompare l’idrogeno in grossi recipienti contenenti un certo numero di blocchi di un materiale poroso. Anche questo non era di fattura mesclinita: si trattava di materiale assorbente, con una struttura molecolare vagamente simile a quella della zeolite e in grado di assorbire l’idrogeno nei suoi canali strutturali e rilasciarlo mantenendo una pressione parziale equilibrata anche in una vasta gamma di temperature.

Dondragmer rispose all’osservazione di Easy: — Già, ma abbiamo cibo e aria a malapena. Il vero problema è cosa fare adesso. Abbiamo salvato molto poco dell’equipaggiamento necessario per gli studi, e quindi non possiamo continuare il nostro lavoro. Potremmo tornare alla colonia a piedi, ma questo significherebbe dover mettere in piedi un campo a poche centinaia di cavi da qui, trasferirvi tutto l’equipaggiamento, aspettare che le vasche ricomincino a produrre idrogeno, saturare le cariche e ripartire per ricominciare da capo alcune centinaia di cavi dopo. Dato che distiamo dalla colonia più di trentamila… pardon, più di quindicimila dei vostri chilometri ci impiegheremo anni per arrivare fin là. E questa non è una metafora, né sto parlando dei vostri anni. Se vogliamo continuare a far parte del progetto dobbiamo riportare qui la Kwembly.

Easy poté solo dichiararsi d’accordo, anche se pensava a un’alternativa che il capitano non aveva menzionato. Naturalmente Aucoin non sarebbe mai stato d’accordo; ma forse, viste le circostanze, il suo umore poteva diventare più malleabile. Dopotutto l’equipaggio di un ricognitore, preparato ed esperto com’era, rappresentava un investimento cospicuo; forse era questa la linea migliore da seguire.

Passarono altri lunghi minuti prima che Benj tornasse con la sua informazione, e casualmente con un certo seguito di scienziati molto interessati agli ultimi avvenimenti.

— Capitano — disse. — La Kwembly si sta ancora muovendo ma non molto velocemente: qualcosa come venti cavi l’ora. L’abbiamo localizzata sei minuti fa a quattrocentonovantasette chilometri, cioè a più di duecentotrentatremila cavi di distanza da voi. La cifra potrebbe variare se la differenza di altitudine è cospicua, non siamo riusciti a stabilire la lunghezza complessiva del fiume, nonostante le venti e più letture satellitari prese da quando vi siete incagliati la prima volta, però abbiamo tracciato una mappa approssimativa.

— Grazie — rispose dopo un po’ Dondragmer. — Siete riusciti a stabilire un contatto con i due che si trovano a bordo?

— Non ancora, ma sappiamo che sono riusciti a entrare. Sicuramente troveranno l’apparato trasmittente sul ponte molto presto, anche se immagino che cercheranno prima in altri posti. Tra l’altro l’aria nelle loro tute spaziali deve essere quasi terminata.

Questo corrispondeva perfettamente alla realtà. I due timonieri non impiegarono più di pochi minuti ad accertarsi che la Kwembly era deserta e che la maggior parte delle colture idroponiche mancava. Questo li obbligò a pensare a un modo per assicurarsi che l’atmosfera a bordo non recasse traccia di contaminazione da ossigeno. Nessuno dei due possedeva sufficienti nozioni di chimica di base, o delle procedure seguite da Borndender, da sviluppare un test. I due stavano valutando l’opportunità alquanto drastica di aprirlo togliendosi l’elmetto quando Beetchermarlf pensò che una telecamera doveva senz’altro trovarsi a bordo, lasciata di proposito per scopi scientifici. Forse gli umani potevano aiutarli. Ma in laboratorio non videro nulla; l’unico altro posto dove poteva logicamente trovarsi era il ponte. La voce di Beetchermarlf si levò verso la stazione spaziale non più tardi di dieci minuti dopo il loro ritorno a bordo.

Benj rimandò i convenevoli quando sentì la richiesta di Beetchermarlf e avvisò immediatamente Dondragmer. Il capitano chiamò i suoi scienziati e spiegò loro la situazione, e per la mezz’ora successiva il canale radio rimase sempre occupato. Borndender spiegava una cosa e Beetchermarlf la ripeteva, poi scendeva in laboratorio per controllare il materiale e l’equipaggiamento tornando infine sul ponte per chiedere qualche chiarimento.

Finalmente tutte e due le parti ritennero che le spiegazioni fossero sufficienti. Dalla sua posizione in cima alla piramide Benj ne era certo. Conosceva abbastanza chimica di base da escludere un’esplosione in caso Beetchermarlf avesse pasticciato un po’. La sua sola preoccupazione era che i due timonieri potessero effettuare il test in modo errato, mancando così di notare percentuali di ossigeno per loro pericolose. In tal caso rischiavano solo di avvelenarsi o la miscela di ossigeno e idrogeno presentava altri rischi? Non lo sapeva, ma ricordava che le miscele di ossigeno e idrogeno erano variabili quanto quelle di acqua e ammoniaca.

Benj attese con una certa tensione che Beetchermarlf ritornasse sul ponte per riferire i risultati delle analisi. Il catalizzatore che eliminava l’ossigeno accelerandone la reazione con l’ammoniaca era ancora attivo e la concentrazione di vapori d’ammoniaca nell’aria era sufficiente a fornirgli qualcosa su cui lavorare. I due timonieri si erano già sfilati la tuta spaziale senza sentire il minimo odore di ossigeno, anche se come per gli umani l’acqua, l’odorato non rappresentava sempre una prova affidabile.

Perlomeno i due potevano vivere a bordo senza problemi per un po’. Una delle prime mansioni che svolsero a bordo fu pompare nelle vasche rimaste tutto l’idrogeno disponibile, che attraversò il liquido contenuto sul fondo con una colonna di bollicine, assicurandosi contemporaneamente che i cespugli fruttiferi non avessero subito danni. Ma il problema più importante rimaneva come uscire dal lago.

Benj riferì al suo amico tutto quello che poteva riguardo la loro posizione, quella della base provvisoria in cui l’equipaggio aveva trovato rifugio, la velocità e la direzione presa dalla Kwembly. Ma queste informazioni in effetti non costituivano problema. Beetchermarlf poteva determinare con facilità la direzione in cui venivano sospinti. Le stelle erano perfettamente visibili e la bussola funzionava. Di fatto il campo magnetico di Dhrawn era molto più forte di quello della Terra, gettando nella costernazione gli scienziati che avevano sempre dato per scontata una correlazione tra il campo magnetico e la velocità di rotazione dei pianeti.

La discussione, che diede origine a un dettagliato piano, fu molto più breve di quella che precedette il test sull’ossigeno, anche se si rese di nuovo necessario un lungo ponte radio. Ma né Dondragmer né i due timonieri nutrivano dubbi su cosa si dovesse fare e come farlo.

Beetchermarlf era molto più giovane di Takoorch ma sembravano non sussistere dubbi su chi comandava tra i due. Il fatto che Benj chiamasse Beetchermarlf sempre per nome e si rivolgesse solo a lui contribuì indirettamente ad affermare la sua autorità. Easy e qualcun altro sospettarono che nonostante facesse di tutto per parlare delle sue peripezie passate, Takoorch preferisse lasciare a qualcun altro l’onere della responsabilità. In ogni caso concordava sempre con i suggerimenti di Beetchermarlf, se non proprio subito almeno dopo qualche discussione.

— Veniamo ancora portati a valle dalla corrente e se non ci fermiamo presto finiremo troppo lontani per tentare qualcosa — concluse alla fine il giovane mesclinita. — L’unica cosa da fare è sistemare delle pale su qualcuna delle ruote collegate a un motore. Inutile tentare di installarle su tutte: ci vorrebbe troppo tempo. Basteranno un paio di serie di ruote a prua, meglio se ai lati, e una nel mezzo per dare controllo, azionando contemporaneamente gli altri motori dovremmo guadagnare abbastanza spinta da raggiungere la sponda in breve tempo. Takoorch e io abbiamo deciso di uscire adesso; tenete d’occhio la situazione il meglio possibile. Lasceremo il prendimmagini dove si trova.

Beetchermarlf non attese la risposta. Lui e il suo compagno indossarono le tute e afferrarono le pale progettate per agganciarsi ad apposite scanalature sulla circonferenza esterna del cerchione. Le pale erano state provate su Mesklin, ma nessuno le aveva ancora utilizzate su Dhrawn e quindi nessuno sapeva quanto fossero affidabili. La superficie di aggancio non era eccessiva per via del gioco ridotto al centro delle ruote, occupato in parte da un meccanismo in plastica che serviva a inclinare progressivamente le pale a seconda della direzione da prendere e della spinta da esercitare. In ogni caso stando alle prove il sistema funzionava; ora bisognava solo vedere quanto. Il pescaggio della Kwembly era molto inferiore su quella soluzione di acqua e ammoniaca che non sull’idrocarburo degli oceani di Mesklin si cui era stata provata.

L’installazione del meccanismo e delle pale fu un lungo e faticoso lavoro per entrambi. Le pale andavano installate una alla volta e con cura per non perderle nel fiume; le funi di sicurezza finivano sempre per impacciarli al momento buono; e le chele dei mescliniti si dimostravano talvolta meno efficaci delle mani umane, anche se l’handicap veniva compensato dal fatto che i mescliniti potevano usarle tutte e quattro in perfetta sincronia dato che la loro struttura corporea non conosceva l’asimmetria corrispondente alla divisione in destra e sinistra degli umani.

Il bisogno di luce artificiale rappresentava un’altra seccatura. Alla fine occorsero più di quindici ore per sistemare dodici pale e un meccanismo inclinante su ogni ruota delle tre serie prescelte per l’operazione. Beetchermarlf spiegò a Benj che non ne occorrevano più di due per lo stesso lavoro con quattro marinai per serie.

I due timonieri si erano accorti ormai da qualche tempo che la Kwembly si muoveva ma non si spingeva ulteriormente nel lago. Dovevano esser stati presi dal margine di un mulinello, che li forzava a compiere un giro dal diametro di sei chilometri. Beetchermarlf pensò di sfruttare questa circostanza quando diede potenza ai motori. Attese fino a quando gli scienziati umani gli confermarono che venivano spinti verso sud prima di avviare le ruote con le pale. Per alcuni secondi nulla fece trasparire l’impiego dei motori. Poi, lentamente, sia gli umani che i mescliniti videro lo scafo muovere debolmente in avanti. Dal ponte i mescliniti constatarono che l’acqua davanti alla chiglia s’increspava, mentre gli umani potevano vedere una serie di piccole onde allontanarsi dai lati del ricognitore. Beetchermarlf spostò la barra con energia per portare la prua in linea con Sol e Fomalhaut. Per circa mezzo minuto rimase pensieroso domandandosi se questo poteva bastare a rispondere ai suoi dubbi; poi, quando il grande scafo virò con tutta la sua mole, il cambiamento di posizione delle due stelle divenne chiaramente visibile. Una volta iniziato a virare fu però difficile fermarsi.

Lo scafo continuò a girare su se stesso privo di controllo per molti minuti prima che Beetchermarlf potesse assumerne il completo controllo. Poi per più di un’ora riuscì a tenere una rotta sicura, anche se non aveva idea della direzione presa. Sembrava logico ritenere che il mulinello lo avesse riportato al punto di partenza, ma poi pensò che forse ne era uscito puntando verso est.

Passò qualche tempo comunque prima che le antenne direzionali dei satelliti e i computer della stazione spaziale confermassero quest’ultima ipotesi. Nel momento in cui questo avvenne la Kwembly toccò gentilmente terra.

Subito Beetchermarlf diede energia ai rimanenti motori disattivando i tre connessi alle ruote con le pale. Il ricognitore uscì dall’acqua.

— Sono uscito dal lago — riferì — ma ora mi trovo davanti a un piccolo dilemma. Se faccio avanzare la Kwembly senza rimuovere le pale rischio di rovinarle; d’altro canto, se ci troviamo su un’isola o dobbiamo tornare in acqua per qualsiasi ragione avremmo sprecato un sacco di tempo e fatica per niente. La prima idea che mi viene in mente è di compiere qualche esplorazione a piedi lasciando la Kwembly dove si trova: forse riusciremo a scoprire dove siamo finiti. Penso ci convenga partire adesso, così potremo eventualmente avanzare con la Kwembly alla luce del giorno. In ogni caso gradirei qualche consiglio da voi umani e l’autorizzazione del capitano.

Quando questo gli venne riferito, Dondragmer emise un ordine tassativo. — Non debbono uscire. Debbono rimanere dove si trovano fino a quando i satelliti non diranno se si trovano sul lato corretto del fiume. Se ho capito bene le loro spiegazioni vi sono buone possibilità che il mulinello li abbia spinti verso est, che corrisponderebbe alla riva giusta: noi ci troviamo sulla sinistra. Se riescono ad accertarsene con una certa sicurezza, tornino in acqua e risalgano nel lago puntando verso ovest fino a… no, forse è meglio di no. Forse è meglio arrivare fino alla foce del fiume e provare un po’ a risalirlo. Voglio vedere se possono navigare controcorrente. So benissimo che procederanno molto più lentamente, ma così non correranno il rischio di incontrare ostacoli tali da bloccare l’avanzata della Kwembly.

— Riferirò immediatamente a Beetchermarlf e ai cartografi, capitano — rispose Benj. — Cercherò di farmi dare una copia delle loro mappe e di inquadrare la posizione precisa della Kwembly con l’aiuto dei due timonieri. Questo potrà forse evitare delle noie inutili.

Ma le informazioni sulla loro direzione non erano, si scoprì, complete. La posizione della Kwembly poteva venir determinata con certezza, ma stabilire la direzione del fiume che li aveva trascinati fin là era tutt’altra cosa. I satelliti presero numerose fotografie in punti diversi e queste dimostrarono senza dubbio il corso estremamente tortuoso del fiume. Dopo svariate discussioni venne deciso che Beetchermarlf doveva riportare lo scafo in acqua e puntare verso ovest rimanendo il più possibile vicino a riva, preferibilmente senza perderla di vista. Se riusciva a trovare la foce del fiume doveva provare a risalirla come suggerito da Dondragmer, altrimenti dovevano seguire la costa fino a ricevere conferma dagli umani che la foce era passata; a quel punto dovevano puntare verso sud.

Mantenersi a una certa vicinanza dalla costa grazie alle luci di bordo si dimostrò possibile, ma occorsero più di due ore per raggiungere la foce del fiume. Questi riempiva una larga curva verso ovest che non era stata rilevata dai controlli sulla posizione dello scafo mentre la corrente lo trascinava a valle; subito dopo il fiume si immetteva nel lago piegando in senso opposto verso est e questo dava origine a una penisola e probabilmente all’ampio mulinello. Uno dei pianetografi fece notare che era inutile tirare in ballo la forza di Coriolis per spiegare l’esistenza del mulinello, perché il lago si trovava a soli sette gradi dall’equatore e sul lato meridionale di un pianeta che impiegava due mesi per compiere una rotazione completa.

Il delta, che spostava brevemente a nord la linea costiera, era solo un anticipo. Beetchermarlf al timone e Takoorch sul lato destro del ponte, dove si trovava il portello, cercarono con tutta la prudenza del caso di trovare un passaggio tra i bassi fondali irregolari del grande fiume, invertendo frettolosamente i motori ogni volta che le ruote toccarono il fondo melmoso. Finalmente i due trovarono un passaggio abbastanza profondo e Beetchermarlf vi lanciò la Kwembly con decisione.

La velocità però si ridusse molto rapidamente, sia perché le ruote non toccavano sempre il fondo sia per la corrente contraria. Ma i due mescliniti non avevano fretta. Dondragmer aveva stabilito che dovevano provare a risalire il fiume per sei ore: se continuava così avrebbero percorso nove chilometri, il che significava arrivare alla base provvisoria uno o due giorni dopo la mezzanotte, cioè in una settimana circa in termini umani.

Fu l’impazienza a modificare i programmi di viaggio. Naturalmente i mescliniti non conoscevano il significato di questa parola: furono Aucoin e gli altri a stabilire che un chilometro e mezzo l’ora non andavano bene. Dondragmer si dimostrò alquanto freddo su questo punto e concordò solo sulla possibilità che i due svolgessero qualche ricerca lungo il percorso. Ma dietro insistenza di Aucoin ordinò a Beetchermarlf di puntare verso ovest, verso una sponda che non sembrava particolarmente difficile seguita da un territorio pianeggiante. Non appena approdarono, i due timonieri uscirono a rimuovere le pale con molto rammarico.

Stavolta il lavoro procedette più rapidamente, dato che il veicolo si trovava sulla terraferma. Gli attrezzi e le pale potevano venir appoggiati a terra e le funi di sicurezza non erano più necessarie. Quando tornò nel salone delle comunicazioni Benj trovò la Kwembly in marcia sulla terraferma a più di dieci chilometri l’ora. I fari illuminavano un territorio pianeggiante letteralmente punteggiato di ruvidi cespugli, la forma di vita più complessa trovata sino a quel momento su Dhrawn, la cui monotonia veniva rotta di tanto in tanto da ampie lingue di roccia affioranti in superficie. Pur essendo abbastanza compatto, appariva chiaro che il terreno era composto di sedimenti. Gli scienziati ritennero che si trattava di una pianura alluvionale e dentro di sé Benj si dichiarò d’accordo con loro.

Beetchermarlf aveva voglia di parlare come sempre, ma si capiva che la sua attenzione non andava solo alla conversazione. Sia lui che Takoorch tenevano gli occhi puntati avanti quanto più potevano, cercando di vedere anche oltre le luci. Nessuno dei due riteneva terminato il pericolo. Senza gli elicotteri a esplorare la strada davanti a loro, dieci chilometri l’ora erano fin troppi e aumentare ancora la velocità come suggeriva qualche umano avrebbe significato non riuscire a fermarsi in tempo davanti a qualche ostacolo. Quando bisognava svolgere altri lavori, come pompare l’idrogeno nelle serre, i due fermavano la Kwembly e scendevano di sotto a lavorare insieme. Due soli occhi non bastavano per procedere sicuri.

Di tanto in tanto, mentre passavano le ore, chiunque si trovasse al timone cominciava a provare un’insidiosa sicurezza dovuta alla mancanza di pericoli; dopotutto avevano percorso decine di chilometri senza dover mai cambiare direzione tranne che per mantenere una certa distanza dalle anse del fiume. Un essere umano avrebbe aumentato a poco a poco la velocità. La reazione dei mescliniti invece era fermarsi e riposare. Anche Takoorch sapeva che quando provava l’impulso di andare contro le leggi elementari del buon senso doveva fare qualcosa per se stesso. E così quando Aucoin notò che il ricognitore non avanzava più pensò dapprima che si trattasse di una delle solite fermate di routine, per poi avvicinarsi allo schermo e vedere Takoorch disteso pigramente sul ponte. La telecamera era stata sistemata nella sua vecchia posizione, con l’obbiettivo puntato verso il timone e la grande vetrata. Il responsabile del progetto domandò il motivo di quella fermata inaspettata e Takoorch replicò che l’aveva decisa perché gli stavano venendo strane idee. Aucoin uscì dal salone con un’espressione enigmatica sul volto.

In ogni caso questa fermata tornò decisamente utile, o perlomeno così sembrò.

Da un po’ di tempo ormai le lingue di roccia si facevano più frequenti, divenendo più piccole, più vicine e più spigolose. Gli scienziati discutevano tra loro con un certo accanimento, futile in effetti con le poche informazioni disponibili sulla composizione del sottosuolo, ma di fatto lo strato superficiale di sedimenti compressi si assottigliava. Tutti sospettavano che ben presto la Kwembly avrebbe cominciato ad avanzare sulla stessa nuda roccia che formava il substrato del campo di Dondragmer.

Quando la marcia riprese fu necessario prestare maggiore attenzione per evitare le lingue di roccia e l’andatura si fece più frazionata. Molte volte in quell’ultima ora gli scienziati insistettero per far fermare la Kwembly e raccogliere campioni di terreno anche se le rocce erano troppo grandi. Aucoin rispose però che sarebbe passato un anno o due prima che quei campioni arrivassero alla stazione spaziale e rifiutò. Gli scienziati risposero che un anno era sempre meglio di niente, cioè il risultato di quella politica.

Ma dopo un po’ la Kwembly si fermò nuovamente per iniziativa di Beetchermarlf. Il motivo però non sembrava troppo consistente: il terreno davanti a loro appariva un po’ più scuro, con un confine netto tra la superficie su cui poggiavano e quella appena poco oltre. La differenza non risultava particolarmente visibile dagli schermi ma i due mescliniti la notarono immediatamente e, senza neppure parlarsi, concordarono che la faccenda andava esaminata con attenzione. Beetchermarlf avvisò gli umani e il suo capitano che contavano di uscire per vedere da vicino. Easy, che tradusse il messaggio, fu letteralmente supplicata dagli scienziati affinché chiedesse a Dondragmer di far raccogliere dei campioni. Alla fine si disse che Aucoin non poteva obiettare nulla viste le circostanze e dichiarò che l’avrebbe chiesto non appena ristabilito il contatto per la conferma finale.

Stavolta il capitano approvò l’idea di uscire, limitandosi a suggerire di esplorare prima i dintorni manovrando i fanali sul ponte. Questo si provò utile. Cento metri più avanti, al limite della portata dei fanali, un piccolo torrente attraversava la loro strada per gettarsi poi nel fiume.

Muovendo il fanale a tribordo fu possibile vedere che questo affluente girava attorno alla Kwembly proveniente da nord per poi cambiare improvvisamente direzione in qualche punto a poppa dello scafo e sparire verso nordest. La Kwembly si trovava su una penisola larga circa duecento metri e non molto lunga delimitata a est, a sinistra, dal grande fiume che stava risalendo e sugli altri lati dal piccolo affluente. Subito sembrò evidente, sia agli umani che ai mescliniti, che il cambiamento nel colore del suolo che aveva catturato l’attenzione dei timonieri fosse dovuto all’umidità assorbita dal terreno, ma nessuno si sentì tanto sicuro di questa ipotesi da proporre di cancellare la ricognizione esterna. Aucoin non era presente.

Fuori, anche con l’aiuto di più luci, la linea di demarcazione risultò meno visibile. La responsabilità andava attribuita a un effetto ottico, giudicò Beetchermarlf. I due grattarono via un po’ di terriccio da una parte e dall’altra della linea e avanzarono per raggiungere il torrente stesso. Questi non si dimostrò altro che un fiumiciattolo poco profondo largo quattro o cinque lunghezze corporee al massimo, con una corrente abbastanza forte ma certamente non in grado di impensierirli che ne aveva scavato il letto per una decina di centimetri. Dopo un breve consulto i due mescliniti cominciarono a seguirlo allontanandosi dal fiume. Non avevano modo di conoscere la composizione di quel liquido, ma ne prelevarono un campione per eventuali analisi future.

Procedendo verso il punto in cui il torrente curvava i due si accorsero che doveva essere di recente formazione. La corrente scavava ancora con facilità nelle morbide sponde, trascinandone i sedimenti nel fiume. Quando si trovarono sulla punta della penisola Beetchermarlf ebbe l’occasione di sperimentare di persona la scarsa consistenza di quelle sponde: la terra d’un tratto gli mancò sotto le zampe e il mesclinita si ritrovò in acqua.

Non era più profonda di pochi centimetri, e quindi approfittò dell’occasione per prelevarne un altro campione. I due decisero di risalire il corso d’acqua per altri dieci minuti, Beetchermarlf nell’acqua e Takoorch sulla riva. Ma pochi minuti dopo trovarono la sorgente del ruscello. Si trovava a poco più di mezzo chilometro dalla Kwembly e l’acqua, proveniente dal sottosuolo, zampillava violentemente formando un piccolo bacino. Beetchermarlf vi entrò per raggiungerne il centro ma quando fu a pochi metri l’impeto del getto d’acqua lo travolse trascinandolo per qualche secondo.

Non c’era altro da fare. Non avevano portato la telecamera» anche perché nessuno aveva insistito affinché la portassero, e prelevare altri campioni non sembrava di nessuna utilità. Decisero quindi di ritornare alla Kwembly per descrivere verbalmente quello che avevano visto.

Anche gli scienziati concordarono che la cosa migliore da farsi era far pervenire il più velocemente possibile i campioni alla colonia mesclinita, dove gli scienziati di Borndender avrebbero potuto analizzarli a dovere. I due timonieri si prepararono per ripartire con la Kwembly.

Il ricognitore si avvicinò al corso d’acqua per entrarvi senza indugio. Il materasso pneumatico assorbì facilmente l’urto dei pochi centimetri di sponda e le ruote penetrarono nel fondo melmoso del torrente. Sul ponte nessuno avvertì nulla di speciale.

Non per altri otto secondi.

Lo scafo si trovava ormai nel mezzo del corso d’acqua quando la differenza tra fondo solido e fondo liquido cominciò a svanire. Sul ponte, i due mescliniti avvertirono un vago rollio mentre gli umani videro l’immagine vibrare all’improvviso.

Poi la spinta in avanti cessò del tutto quasi istantaneamente, anche se le ruote giravano ancora; ma difficilmente potevano esercitare forza completamente immerse nel fango colloso subentrato all’improvviso alla superficie solida. Impossibile sia l’appoggio che la trazione. Le ruote della Kwembly sprofondarono completamente nel fango; poi fu la volta del materasso pneumatico; poi il fango salì fino a raggiungere quasi la linea di galleggiamento. La Kwembly avrebbe tranquillamente galleggiato, ma purtroppo s’inclinò incagliandosi in due punti: uno a poppa appena oltre il materasso pneumatico, l’altro a tribordo vicino al portello principale. Vi fu un forte rumore di fasciame sfondato mentre il veicolo sobbalzava in avanti inclinandosi a tribordo, poi più nulla.

E stavolta l’odorato di Beetchermarlf lo avvisò senza dubbio di un pericolo. Lo scafo aveva ceduto da qualche parte. All’interno filtrava ossigeno.

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